Suicidio perfetto
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Giallo - romanzo breve (90 pagine) - Un delitto perfetto, segno distintivo dell’intera serie creata dal più inglese dei giallisti italiani
Questa volta Tommaso Testi racconta l’impegno del commissario Grandi rivolto a gettar luce su quello che sembra davvero essere il suicidio di un ricco possidente immobiliare milanese. L’elenco degli indiziati comprende l’amante dell’uomo e la giovane moglie, il boy-friend di quest’ultima, il portinaio e un ex inquilino dello stabile, come pure un amico dello stesso narratore. A dispetto degli indizi all’apparenza indiscutibilmente contrari, lo stagionato detective riuscirà anche in questa occasione a risolvere l’ostico enigma, smascherando il colpevole in modo altrettanto inoppugnabile nel corso di una drammatica serata.
Dunque ancora un delitto perfetto, che non per nulla è il vero e proprio segno distintivo dell’intera serie creata dal più inglese dei giallisti italiani.
Fabio Scaletti (Milano, 1964) è scrittore e critico d’arte. Laureato in filosofia, si è occupato di estetica “sconfinando” nella storia dell’arte. Esperto di Caravaggio e studioso del Rinascimento, tra le sue ultime pubblicazioni, alcune tradotte in varie lingue, ricordiamo: Caravaggio. Catalogo ragionato delle opere autografe, attribuite e controverse (2 volumi, Napoli, 2017), Il Rinascimento nei Musei Italiani (con Claudio Strinati, Reggio Emilia, 2017), Leonardo. Il Genio (Torino, 2018), Raffaello. Il Principe delle Arti (Torino, 2019), Caravaggio. Il Pittore della Luce (Torino, 2020), Michelangelo (Bologna, 2021).
Negli anni Novanta ha ideato la figura del commissario Leonardo Grandi, protagonista di romanzi e racconti gialli in stile inglese ma ambientati per la maggior parte a Milano. Per Delos Digital sono già usciti Delitto alla Statale, Il mostro del Corvetto e Omicidio nella grotta. Ha anche scritto Storia (e filosofia) del giallo, sempre pubblicato da Delos Digital.
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Gialli per voi
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Anteprima del libro
Suicidio perfetto - Fabio Scaletti
Finché si presume che una morte sia un suicidio,
anche la curiosità personale è sconveniente, ma,
non appena si dimostri che si tratta di un
omicidio, la pubblica inchiesta è di dovere.
W.H. Auden
Personaggi
PIERLUIGI FURANI
La vittima
VALENTINA FURANI
Sua giovane moglie
GIULIANA OCCORSIO
Amante del Furani e
amministratrice dei suoi beni
SERAFINO TURCHINI
Vicino di casa dei Furani
RINO TORNABUONI
Portinaio
DONATO CANTAGALLI
Inquilino sfrattato
MARCO VARESE
Capoufficio di Valentina
LEONARDO L. GRANDI
Commissario di polizia
in pensione
TOMMASO TESTI
Assistente di Grandi
e narratore della storia
Prologo
A Serafino Turchini, ne sono convinto, fu sufficiente uno sguardo, lo sguardo di un attimo sublime, per innamorarsi. Negli occhi color dell’ambra che accoglievano quello sguardo estasiato egli aveva percepito tutti i dolci tratti dell’amore, anzi, se mai la divinità dell’Amore avesse dovuto assumere sembianze umane, quella ragazza sarebbe stata l’unica forma degna di incarnare quella magnifica e gioiosa entità.
Il mio amico Serafino era sempre stato un tipo romantico, chiuso nel mondo che la sua fantasia gli assemblava attorno, facile a essere influenzato e soprattutto ingannato, perché l’universo ideale in cui viveva era costruito a misura dei suoi
desideri, e questi erano di una stoffa troppo debole per resistere all’urto devastante dei concreti interessi delle persone reali. Se fosse stato più sicuro di sé, più conscio delle proprie qualità, se fosse stato meno plasmabile di fronte ai
pedissequi ammaestramenti di scialbi maestri, e quindi più propenso a favorire che non a ostacolare l’espressione delle sue capacità creative, avrebbe potuto, abilità redazionale permettendo, fare lo scrittore: l’immaginazione, indispensabile per qualsiasi romanziere che si rispetti, non gli faceva difetto.
Lo conobbi una quindicina di anni prima dell’inizio della storia che mi accingo a narrare, al nostro primo giorno al liceo dietro piazza Cardinal Ferrari (che in seguito avrebbe chiuso i battenti). Dal momento che quella volta la disposizione degli alunni nella classe aveva seguito l’ordine alfabetico, ci eravamo trovati vicini di banco a causa dell’attiguità dei nostri cognomi. Le amicizie che durano una vita sono infatti spesso frutto di combinazioni, e la successione alfabetica dei nostri cognomi era una di quelle. Siccome talvolta le persone che s’incontrano colorano un destino, non si sbaglia quando si sostiene che quest’ultimo, il destino, può stare nel nome. Ci eravamo appassionati alle stesse materie (una sventura poiché non potevamo copiarci a vicenda durante i compiti in classe, essendo ambedue, a seconda della singola materia, o troppo bravi, in quelle letterarie, o troppo scarsi, ad esempio in matematica), per cui, vista la comunanza di interessi, all’università avevamo scelto il medesimo corso di laurea, quello in filosofia alla Statale. Da studenti universitari, però, avevamo perso, anche se non completamente, i contatti. Egli frequentava tutte le lezioni, si immergeva nei pensieri, perlopiù insignificanti, dei professori, di cui comprava l’intera produzione libresca e a cui dedicava un’ammirazione sempre più sconfinata, riempiva pagine e pagine di pasticciati appunti, deliziava l’insegnante di turno con domande che sembravano fatte apposta per far risaltare l’ignoranza dello studente e contemporaneamente la cultura del cattedratico, quando invece, a un osservatore meno ingenuo, avrebbero al massimo ricordato le stolide interviste dei giornalisti ai politici, dove questi non rispondono mai alle domande di quelli, e, qualora lo facciano, è solo per caso perché non hanno capito quanto gli è stato chiesto. Insomma, consentendo al suo insegnante di fare una bella figura davanti agli altri giovani, e dimostrando una dipendenza di giudizio veramente insuperabile, Serafino era quel che si dice uno studente modello. Io ero tutto il contrario: non acquistavo i testi dei professori se non quelli strettamente necessari per scavalcare l’esame, non frequentavo mai le lezioni, e quelle poche volte che mi capitava di farlo non mi sembrava il caso di sprecare attenzione, inchiostro e carta per segnarmi le farraginose affermazioni che avevo la ventura di ascoltare, non porgevo domande e me ne uscivo dall’aula con la ferma convinzione che chi aveva declamato fosse una persona mediocre che solo gli appoggi dei politici e le raccomandazioni delle autorità accademiche avevano a forza sospinto, come un tappo nel collo della bottiglia, in quella posizione (per inciso, ciò mi fa comprendere perché ultimamente buffoni, carcerati e faccendieri vi sono chiamati a tenere lezione: tanto, rispetto ai titolari della cattedra, chi nota la differenza?). Il risultato di questo mio atteggiamento critico fu che, completati gli studi più o meno nello stesso periodo ma con valutazioni ovviamente diverse e anzi contrapposte (a lui la lode e a me il rimbrotto dei chiarissimi
professori, con cui non avevo potuto esimermi dal litigare mettendo io in dubbio la limpidità del luminoso titolo da cui si facevano con sussiego precedere), Serafino era diventato un remunerato assistente universitario in odore, sia pure stantio, di cattedra, io un sottopagato autore di testi altrui, quando andava bene, oppure, quando andava meno bene, praticamente disoccupato; questo sino a che non venni ingaggiato con la qualifica di assistente dal commissario Grandi, il quale viceversa aveva apprezzato molto la mia viscerale insofferenza per il mondo accademico, tanto che, come capii in seguito, essa rappresentò uno dei motivi, fra molti altri, che determinarono la sua scelta.
Dunque, quasi giunto sulla soglia dei trent’anni, Serafino si era innamorato, la qual cosa non sarebbe stata una clamorosa novità se non fosse stato per il fatto che la ragazza in questione gli dava qualche spiraglio per intravedere l’agognato successo, sotto forma di affetto ricambiato, il che non era poco, visti i modesti trascorsi sentimentali del mio ex compagno di studi.
Valentina, la cara Valentina, la splendida Valentina, aveva finalmente accettato un suo invito a cena, quello che le aveva rivolto nel corso di un tragitto in ascensore meticolosamente preparato. Erano ormai passati alcuni mesi da quando Valentina Furani e il marito Pierluigi si erano trasferiti nell’appartamento di via Solari situato accanto al suo, e lei si era certo resa conto di non essere proprio indifferente al suo vicino. Però aveva sempre declinato con freddezza qualsiasi richiesta di appuntamento che egli le aveva timidamente e faticosamente prospettato. Forse Valentina, almeno al principio, non ricambiava l’interesse che Serafino manifestava nei suoi riguardi, forse amava ancora il marito, cosa peraltro improbabile considerando, sulla base di quanto diceva Valentina stessa, la personalità e il comportamento di quell’uomo che aveva il doppio dei suoi anni (cinquanta contro venticinque) e che, sciagurato imbecille, faceva di tutto per perderla, corteggiando altre donne e tormentandola con il suo carattere malinconico e ossessivamente portato alla depressione. D’altro canto, lo sapevo bene, la ragazza rientrava nell’ideale di donna che piaceva al mio amico.
Alta e slanciata, lineamenti del viso delicati e aggraziati, con dei capelli tagliati corti che però lasciavano libera sulla fronte una folta frangia capace, se il caso, di nascondere un paio di occhi il cui colore veniva ripreso dai capelli, che erano
infatti nocciola chiaro, il tutto accompagnato da lunghe gambe sempre valorizzate da ristrette minigonne, nonché da un carattere brillante e deciso, portato a prendere l’iniziativa in ogni settore, dai rapporti sociali a quelli professionali, passando magari per quelli intimi. Insomma, questa ragazza fatale aveva fatto ricredere Serafino, che fino ad allora pensava che l’amore fosse un’aggiunta gratuita alla vita, come l’aria condizionata nell’automobile, oppure una fortuna che, come la vincita alle lotterie, capita sempre agli altri, o, ancora, una sciocca
invenzione dei cattivi narratori per accontentare le lettrici che solo così prendono parte alle vuote storie emanate dalle loro teste sfitte.
Se inizialmente Valentina non pareva essere molto lusingata della corte, discreta ma assidua, di Serafino, il quale aveva raggiunto l’infausta conclusione di non essere proprio il suo tipo, in seguito le cose erano improvvisamente cambiate, e ora la ragazza lo guardava con occhi più interessati, meno distanti e impersonali. Non essendo benestante, anzi essendo uno squattrinato al confronto della smaccata ricchezza del Furani, Serafino era sicuro di non essere preferito a causa di una scelta basata sul censo, timore che comunque difficilmente avrebbe toccato