Tornare A Casa
Di Chima Ugokwe
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Info su questo ebook
Un bambino rifiutato ancora prima di nascere non ha altra scelta che lottare per conquistare il proprio futuro. Nessun altro gli potrà rendere identità e libertà. Nel corso degli anni é costretto ad affrontare una serie di nuove esperienze accanto alla poverissima madre. Quanto più la ricerca della propria identità diventa un bisogno impellente, tanto più cresce l’ineluttabile esigenza di intraprendere il viaggio verso la terra natìa. Ma che senso ha andare a cercare un padre che ha abbandonato sua madre quando lui non era ancora nato? Il bambino non sa rispondere a questa domanda. Tuttavia, per qualche misterioso motivo, spera che quel giorno arriverà.
Ndudi sente che deve trovare il padre.
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Anteprima del libro
Tornare A Casa - Chima Ugokwe
Coming Home
Chima Ugokwe
SINOSSI
Un bambino rifiutato ancora prima di nascere non ha altra scelta che lottare per conquistare il proprio futuro. Nessun altro gli potrà rendere identità e libertà. Nel corso degli anni é costretto ad affrontare una serie di nuove esperienze accanto alla poverissima madre. Quanto più la ricerca della propria identità diventa un bisogno impellente, tanto più cresce l’ineluttabile esigenza di intraprendere il viaggio verso la terra natìa. Ma che senso ha andare a cercare un padre che ha abbandonato sua madre quando lui non era ancora nato? Il bambino non sa rispondere a questa domanda. Tuttavia, per qualche misterioso motivo, spera che quel giorno arriverà.
Ndudi sente che deve trovare il padre.
CAPITOLO 1
I miei genitori avevano già tre bellissime bimbe e non pensavano neanche lontanamente di avere un quarto figlio. Ciò nonostante mia madre si ritrovò nuovamente in dolce attesa. Mio padre era fermo sulle sue posizioni, non mi voleva. Mia madre iniziò ad amarmi da quel preciso momento.
Tara, non possiamo portare avanti questa gravidanza. Stiamo bene con le nostre tre bimbe
le disse una mattina mio padre.
Non rispose. Dentro di sé era convinta che con il tempo mio padre avrebbe cambiato idea.
Con il passare dei mesi la gravidanza divenne impossibile da nascondere e mio padre si fece sempre più insistente nel chiedere a mia madre di abortire.
Mia madre non parlava molto, ma era molto brava e discreta quando decideva di portare avanti i propri piani, specialmente quando si trattava della sua vita privata. Riuscì a rimanere ferma nella sua decisione pur senza contraddire apertamente il marito. Era ben consapevole delle spiacevoli conseguenze che sarebbero scaturite da un dichiarato rifiuto.
Signore, portiamo avanti questa gravidanza. Non siamo tipi da assassinare bambini prima che nascano. Imparerò a crescerlo senza farlo pesare sulla famiglia. Le nostre figlie saranno presto in età da marito e si sposeranno com’è giusto che sia per le donne. Nessuno sa cosa questo bambino potrebbe diventare
supplicava mia madre.
Quando è così, dobbiamo separarci. Non dividerò mai il tetto con te e quel bambino. Mai!
Proclamò mio padre battendo il pugno sul tavolo.
Fu la sua ultima parola sull'argomento.
Mia madre abbassò il viso e iniziò a piangere silenziosamente. Sapeva di non poter tornare dai genitori poiché la guerra la aveva già resa orfana quando mio padre la sposò.
I suoi genitori erano morti da qualche tempo e, come molte altre sue coetanee, lei era stata data in sposa al primo uomo che aveva dichiarato di volersi prendersi cura di lei.
Mio padre era diventato il suo unico sostegno e la costringeva a obbedirgli sempre e comunque, incurante del rispetto dovutole come donna e come moglie. Qualsiasi fosse la decisione da prendere, mio padre difficilmente avrebbe detto si
dopo aver detto no
. Era davvero un uomo dal carattere singolare.
Ma signore...?
.
La faccenda è chiusa!
. Tagliò corto quando mia madre riprese a supplicarlo.
Lei era terrorizzata quando si accorgeva che lui non la ascoltava più. Non era uomo da scherzare con le parole, lui. Mia madre era consapevole dell’ineluttabilità di quella decisione.
Ed infatti mia madre lasciò la casa. Non le restava altro da fare. Mio padre tenne con sé le loro tre figlie. Quella mattina mia madre camminò a lungo allontanandosi dal villaggio verso un lontano convento di suore missionarie ad Akauzur, piangendo ininterrottamente.
Il convento divenne la sua nuova casa e per quasi tre anni da quel giorno visse a cielo aperto.
Due mesi dopo il suo arrivo al convento, diede alla luce un bambino. La prima volta che tenne il piccolo innocente fra le braccia fu colta da emozioni contrastanti.
Da un lato, secondo la nostra tradizione, lei era ora una donna completa, pronta ad affrontare la vita con un figlio maschio al proprio fianco a proteggerla per sempre. D’altro canto la sua gioia non sarebbe mai potuta essere piena, consapevole com’era che la sua ostinazione le sarebbe costata anni di sofferenze ed il definitivo abbandono da parte del padre di suo figlio.
Pochi mesi dopo la nascita del suo bambino, la povera donna fu assalita da un travolgente senso di responsabilità e si sentì impreparata a prendersi cura di me. Era vero, ma oramai ero lì.
Mi chiamò Ndudi, come mio padre, e tutti quelli che pronunciavano il mio nome nel convento, inclusa mia madre, erano consapevoli che, quale che fosse il mio destino, si sarebbe realizzato solo dopo durissimi anni. Ammesso che fossi sopravvissuto.
Immagino dovessi essere felice che mia madre avesse deciso di tenermi in vita a costo di tanti sacrifici e nonostante la difficile situazione.