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Un regno di fuoco e destino
Un regno di fuoco e destino
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E-book235 pagine3 ore

Un regno di fuoco e destino

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Info su questo ebook

Sono tormentata dagli incubi, Sorin consuma ogni mio pensiero. All’indomani della guerra, l’intensità del nostro legame si accende più che mai. Mi fa visita, nel cuore della notte, sussurrandomi promesse di un futuro radioso. 
Indebolisce la mia determinazione e la paura di perderlo offusca tutto il resto. 
Quando arriva la notizia che il re degli uomini, probabilmente alleato con il padre di Evren, ha intenzione di indire un torneo per vincere la sua mano, a cui solo le Starblessed possono partecipare, decido di partire alla volta del regno nemico.
Sorin, feroce e incrollabile, si rifiuta di lasciarmi affrontare questo pericolo da sola. Rischia tutto per proteggermi. Insieme, navighiamo tra segreti e inganni, celando la mia vera identità mentre tentiamo di dipanare la rete contorta intessuta da re Henrick.
In un mondo in cui la linea tra amico e nemico si confonde e il pericolo è in agguato, ci troviamo di fronte a scelte che determineranno il nostro destino. 
Tradirò il mio cuore in nome di ciò che è giusto?
O mi lascerò andare al fuoco di un amore che potrebbe distruggere ogni cosa?
 
LinguaItaliano
Data di uscita2 apr 2024
ISBN9791220707558
Un regno di fuoco e destino

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    Anteprima del libro

    Un regno di fuoco e destino - Holly Renee

    1

    THALIA

    Il sole iniziava a farsi strada all’orizzonte, tingendo il cielo di una tonalità infuocata. L’aria era immobile e silenziosa e, sebbene dall’esterno apparissi calma, il mio cuore si dibatteva nel petto simile a un animale in gabbia che cercava di fuggire. Rimasi a osservare la luce combattere contro le tenebre e sentii la paura scorrermi nelle vene.

    La guerra era alle porte.

    Inspirai a fondo, scrollando le spalle nel tentativo di liberarmi di quel terrore che minacciava di consumarmi. Il mondo era in procinto di cambiare, ma non avrei permesso al caos di travolgermi. Gavril stava avanzando verso il nostro regno con il suo esercito, deciso ancora una volta a prendere con la forza ciò che non gli apparteneva.

    Non gli avrei lasciato scorgere nemmeno un’ombra di incertezza nei miei occhi, quando sarebbe arrivato.

    Lui non avrebbe avuto pietà e io nemmeno.

    Per quanto avessi cercato di dimenticare il passato, di dimenticare lui, non ero ancora riuscita a liberarmi del tutto delle sue parole velenose e di quel tocco brutale. Entrambe le cose ormai erano marchiate a fuoco sulla mia pelle, nello stesso modo in cui lo erano le cicatrici che si era lasciato dietro. Ogni volta che il ricordo di quel principe crudele mi attraversava la mente, il mio cuore arrancava. Ma non avrei ceduto al panico, stavolta.

    «Stai bene?»

    Sobbalzai nel sentire la voce di Jorah alle mie spalle.

    «Sì, sto bene,» risposi, con voce ferma nonostante il disagio crescente. Mi voltai. «Sto solo cercando di prepararmi per quello che verrà.»

    Lui annuì, con gli occhi puntati verso l’alba. «Siamo pronti ad affrontarlo. Tu sei pronta.» Cercò il mio sguardo, io lo evitai.

    «Sono pronta,» ripetei, annuendo una volta. Tentai di imprimere quella verità nel profondo delle mie ossa.

    Volevo crederci quanto lui.

    Dal primo momento in cui avevo messo piede nel Regno del Sangue, Jorah era diventato uno dei miei amici più fidati. Anche se la Thalia che era arrivata con Evren dal regno fae anni prima era completamente diversa.

    Adesso non ero più la ragazza spaventata e impotente che Gavril aveva preso quando e come voleva. Non ero più la sua prigioniera, la sua Starblessed. Nonostante ciò, per quanto lo detestassi, la sola idea di trovarmi vicino a lui riusciva ancora a terrorizzarmi. Non aveva più controllo su di me, ma ogni fibra del mio essere sembrava ricordare perfettamente come era stato quando ne aveva.

    «Gavril non ti toccherà,» disse Jorah, intuendo i miei pensieri. «Non gli permetterò di avvicinarsi abbastanza nemmeno per guardarti.» La convinzione che animava la sua voce placò appena il panico che mi stava montando dentro.

    «Non è una cosa che mi puoi promettere.» Scossi la testa e mi voltai a guardarlo negli occhi. Lo vidi soffermarsi sui miei lineamenti e sentii il cuore farsi pesante, prima ancora che aprisse di nuovo bocca. Sapevo cosa stava per dire.

    «Potrei prometterti tante cose, Thalia. Se solo me lo lasciassi fare,» commentò.

    Non distolsi lo sguardo dal mio amico, da quel guerriero che desiderava combattere per me e proteggermi e al quale la mia anima non apparteneva. Non avrebbe potuto, non quando era già di un altro. Sapevo che un uomo come Jorah meritava molto di più della mia amicizia, ma era tutto ciò che potevo offrirgli.

    Mi avvicinai e gli sfiorai un braccio. «Sei un amico incredibile,» mormorai. «E qualunque cosa accada, ci saremo sempre l’uno per l’altra.»

    Lui annuì, ma il suo sguardo era tormentato. «Naturalmente,» rispose, e le sue labbra si curvarono in un sorriso che non arrivò agli occhi.

    «Jorah,» cominciai, alzando di nuovo la mano per toccarlo. Lui arretrò di un passo, prima che potessi terminare il gesto.

    «È Sorin, ho ragione?» domandò a bruciapelo. Eravamo tutti amici. Lo eravamo da molto tempo, ma sentirlo pronunciare quel nome in quel frangente mi destabilizzò, più di quanto non avesse fatto la strisciante paura della guerra imminente.

    «Cosa?»

    «È sempre stato lui, non è così?» chiese, senza staccare gli occhi dalle mie labbra. «Quando è nella stanza, non vedi altro che lui.»

    «Non è vero.» La bugia aveva un sapore amaro sulla mia lingua. Jorah guardò oltre la mia spalla, mettendo fine alla nostra conversazione: qualcosa aveva attirato la sua attenzione. Lo imitai e, oltre la finestra, vidi Sorin risalire la strada che portava al castello insieme al nostro principe. Non ci aveva notati e sperai che continuasse a non farlo. Stavo cercando di trovare un po’ di pace prima della battaglia e di tutto avevo bisogno meno che di affrontare Sorin, l’unico in grado di far crollare le mie difese senza nemmeno provarci.

    Ciò che mi divorava da dentro gli sarebbe stato evidente, con una sola occhiata, e avrebbe preteso spiegazioni che non ero disposta a dare.

    Lasciai che il mio sguardo vagasse su di lui mentre parlava con Evren. Era vestito per la battaglia e aveva l’aspetto, in tutto e per tutto, del guerriero che conoscevo. Qualcosa dentro di me si acquietò quando gli lessi in volto una seria determinazione. Ero consapevole che avrebbe protetto il nostro regno con la sua vita. E che avrebbe protetto me allo stesso modo. L’ondata di conforto che provai a quel pensiero mi colpì in pieno, così come il senso di colpa per la consapevolezza che non avrei mai provato nulla di simile per Jorah. Nonostante anche lui fosse deciso a proteggermi.

    «Sono qui,» disse, spezzando il silenzio tra noi con una punta di panico nella voce. Alzai il capo e in lontananza vidi esattamente quello che stava vedendo lui: soldati che cominciavano ad apparire dal nulla e a varcare i confini del nostro regno.

    L’esercito dei Fae era arrivato.

    Mi svegliai di soprassalto, alzandomi di scatto a sedere sul letto. Vagai frenetica con lo sguardo, esaminando la stanza con il cuore che batteva così veloce da riuscire a sentirne l’eco dentro di me. Inspiravo ed espiravo rapidamente, avevo il lenzuolo stretto al petto e la schiena sudata.

    Era stato solo un sogno.

    Cercai di calmarmi, ispezionando ancora con lo sguardo la mia camera da letto. Mi era sembrato così reale, come se fossimo davvero di nuovo sull’orlo della guerra con Gavril, pronti ad affrontare il nemico. Ma si era trattato solo di un incubo, un ricordo delle paure provate e dei dubbi che ancora albergavano in me. E un promemoria della scomparsa di Jorah.

    L’angoscia per la sua morte tornò a investirmi, distruttiva come uno tsunami, schiacciandomi il petto e rendendomi difficile respirare. Ero oppressa da un senso di colpa che mi artigliava la gola e minacciava di farmi precipitare in una spirale di dolore senza fine.

    Il mio amico non c’era più.

    E io gli avevo voluto così tanto bene per così tanto tempo che il semplice pensiero della sua assenza mi rubava l’aria dai polmoni. Tentai di calmarmi, obbligandomi a fare respiri profondi e lenti finché non sentii più il sapore della cenere sulla lingua o la sensazione appiccicosa del sangue sulle mani. Scrollai le spalle, cercando di scacciare ciò che restava del sogno, ma non riuscii a tranquillizzarmi del tutto. Per un momento temetti davvero di non essere sola tra quelle quattro mura.

    Con un gesto della mano lanciai un piccolo rivolo di potere verso il caminetto sulla parete opposta. Quando le fiamme lambirono il legno e il fuoco illuminò il buio, fui sollevata nel constatare che dopotutto ero davvero l’unica presenza in quella stanza.

    Stai bene, Thalia.

    Scesi dal letto e mi avvicinai alla finestra. Osservai il cielo notturno: le stelle brillavano luminose e la loro luce gettava un tenue bagliore sul mondo sottostante. Davanti a quello spettacolo meraviglioso ritrovai un po’ di pace. Almeno finché le immagini di quell’incubo non tornarono ad affollarmi la mente, insieme a una paura irrazionale che non mi lasciava andare. Faticavo a liberarmi del passato che mi perseguitava notte dopo notte.

    Cercai di allontanare i ricordi.

    Era solo un sogno. Niente di più.

    Ma nel profondo sapevo che stavo mentendo a me stessa.

    Era troppo vivido, troppo reale. E il senso di colpa, insieme al terrore, cominciava a diventare qualcosa di vivo e pulsante. Qualcosa che vorticava tra i miei pensieri. Che si dibatteva come una bestia rinchiusa. E mi dilaniava, divorava ogni gioia e respiro, lasciandomi vuota e spezzata.

    Le cose sarebbero finite diversamente se avessi ricambiato i sentimenti di Jorah? Sarebbe stato meno avventato sul campo di battaglia quel giorno se mi fossi aperta e gli avessi detto quanto era importante per me, seppur come amico?

    Scossi la testa e mi allontanai dal davanzale, costringendomi a far convergere la mia mente su altro. Mi avvicinai alla cassettiera e con mani tremanti ne estrassi un libro, sfogliando le pagine fino a trovare il punto in cui mi ero fermata la sera precedente.

    A mano a mano che procedevo con la lettura, però, le parole cominciavano a perdere il fuoco. La mia mente, distratta, continuava a tornare all’incubo. Non riuscivo a sfuggirvi, per quanto mi sforzassi.

    Chiusi il libro con uno scatto e lo posai accanto al letto, sfregandomi le mani sul viso per la frustrazione.

    Sospirai e mi alzai di nuovo, tornando alla finestra. Vagavo come uno spirito tormentato, che cercava conforto nel buio della notte. Dinnanzi al vetro, però, l’unica cosa in grado di attirare il mio sguardo era il riflesso dei miei occhi spaventati.

    Uno spettacolo a cui ormai ero abituata.

    Sarebbe stata una lunga notte.

    Come quelle dei due mesi precedenti.

    Tesi le orecchie quando sentii uno strascichio provenire dal corridoio. Passi, lievi e lenti. C’era qualcuno. Il mio cuore saltò un battito ed esitai solo un momento prima di avvicinarmi alla porta. La aprii nel silenzio più totale. Non avevo ancora terminato il movimento che ebbi la conferma di chi mi sarei trovata davanti, prima ancora di scorgerne il viso. Me lo sarei dovuta aspettare.

    Sorin mi stava fissando con uno sguardo vagamente allarmato. Esaminò rapido ogni parte del mio corpo. Era di una bellezza devastante, nonostante fosse palese che si fosse svegliato da poco. I suoi capelli castano chiaro, di norma legati in un codino, adesso erano sciolti. Incorniciavano i suoi lineamenti e parevano esistere solo per esaltare i tratti duri della mascella. Provai l’impulso di farvi scorrere sopra le dita.

    Sorin tese una mano e io mi scostai appena, a disagio all’idea di farmi sorreggere da lui proprio in quel momento. La verità era che agognavo la sua presenza, bramavo disperatamente il conforto e la consolazione che solo lui poteva darmi. E l’ardore del mio desiderio mi spaventava.

    Lui parve percepire il mio disagio e abbassò il braccio, senza smettere di guardarmi negli occhi.

    «Thalia,» disse circospetto. «Cosa c’è che non va? Hai fatto un altro incubo?»

    Mi morsi il labbro inferiore e feci un passo indietro, tornando nella sicurezza della mia stanza. «Sto bene. Stavo solo cercando qualcosa con cui distrarmi.»

    «Non stai bene. Sentivo il tuo cuore battere fin dalla mia stanza,» protestò. Cercai di non farmi condizionare dalle sue parole. I suoi sensi erano acuti, d’altronde era un vampiro, ma non poteva aver davvero sentito i miei battiti da due camere di distanza.

    «Mi dispiace averti svegliato, ma è tutto a posto.» Cominciai ad accostare la porta e lui la bloccò con un piede, impedendomi di chiuderlo fuori.

    «Devo assicurarmene.» La sua voce burbera non lasciava spazio a discussioni, anche se ne avevo un disperato bisogno.

    Incrociai le braccia al petto e lasciai che riaprisse la porta.

    «Va tutto benissimo, davvero.»

    «Perdonami se non ti credo sulla parola. So che non è così, anche se continui a ripeterlo.»

    Mi morsi la lingua, per impedire alle parole di uscire. Aveva ragione. Non stavo bene da quando Jorah era morto. Forse non ero mai stata davvero bene. Non da quando ero stata data in pasto a Gavril, almeno. E ciò che era successo al nostro amico aveva solo peggiorato le cose. Arretrai ancora, in modo che potesse vedermi a figura intera e allargai le braccia.

    «Ecco.» Ruotai lentamente su me stessa. «Sono tutta intera. Sei soddisfatto?»

    «Sai che non lo sono.» Oltrepassò la soglia e ci chiuse dentro. La mia stanza sembrò improvvisamente troppo piccola. Mi sentivo soffocare, l’unica aria che entrava nei miei polmoni conteneva tracce del profumo di Sorin.

    Il suo odore mi invase le narici.

    Vacillai leggermente perché, seppur reduce da una notte tremenda, tutto quello che desideravo era che Sorin cancellasse ogni mio pensiero salvo quelli che riguardavano lui.

    «Che cosa hai sognato?» chiese, con uno sguardo tenero che detestai. A quella domanda, però, sentii lo stomaco sprofondare e cercai in tutti i modi di non far trapelare la mia sofferenza.

    «Non lo ricordo,» mentii. Di recente era diventato più facile lasciarsi sfuggire dalla lingua le bugie piuttosto che la verità.

    «Bugiarda,» disse, e con lo sguardo percorse il mio corpo. «È sempre lo stesso?» Aspettò una risposta che non concessi. «Quello della battaglia?» precisò.

    «Non sono affari tuoi, Sorin.» Mi allontanai e mi diressi verso il letto. Fu allora che mi resi conto che non indossavo altro che la biancheria intima e la camicetta – ero stata troppo stanca per cambiarmi prima di infilarmi sotto le coperte – così mi strinsi nelle braccia prima di voltarmi di nuovo verso il mio ospite inatteso. Le labbra di Sorin si piegarono in un sorriso.

    «Certo che sono affari miei,» rispose, dopo una fugace occhiata alle mie cosce nude. «Sei una mia amica. Una delle persone a cui più tengo in questa vita. Non puoi costringermi a smettere di interessarmi a te.»

    Di nuovo, aveva ragione. Ero stata ingiusta con lui. Ma non sapevo come parlargli di ciò che mi tormentava. Non sapevo come dirgli che il ricordo dell’amico che avevamo perso mi perseguitava più di quanto sembrasse perseguitare chiunque altro. Che desideravo farmi consolare ma che la sola idea di permetterglielo mi terrorizzava. Che ero profondamente spaventata dall’idea di poter perdere anche lui.

    Una paura, diversa da qualsiasi altra avessi mai conosciuto, si insediò nelle mie viscere mentre i miei pensieri si soffermavano su quella verità che mi artigliò nel profondo e si rifiutò di lasciarmi andare. Una parte di me era grata di aver perso Jorah e non Sorin. Era grata di non aver perso l’uomo che mi stava di fronte e che in quel momento riuscivo a malapena a guardare.

    La morte di Jorah era stata una delle prove più difficili della mia vita, eppure ero sollevata al pensiero che non fosse di Sorin il cadavere che dovevo piangere. Il senso di colpa per quella verità si espanse, infiltrandosi in ogni angolo di me e rischiando di mandarmi in pezzi.

    Fu in quel momento che finalmente alzai lo sguardo e lessi la preoccupazione sul suo volto. Sorin era lì, a guardarmi come se non desiderasse altro che riempire il vuoto dentro di me. Come se non volesse altro che farmi dimenticare ciò che mi perseguitava, e l’avrebbe fatto se solo glielo avessi permesso.

    «Sono preoccupato per te,» disse, dopo un lungo silenzio.

    Fece un passo in avanti, accorciando le distanze, e io respirai a fondo la sua essenza. I ricordi del suo tocco, del suo corpo contro il mio, si abbatterono su di me. Mi perseguitavano quasi quanto gli altri.

    «Dovresti andare.» Feci un cenno con la testa verso il corridoio e incrociai di nuovo le braccia per proteggermi dall’aria fresca della notte e dall’impulso di allungare una mano e sfiorarlo.

    «Se è questo che vuoi.» Pronunciò quelle parole, ma non si mosse. Rimase in piedi davanti a me, senza insistere ma dandomi tutto il tempo di cambiare idea.

    «È quello che voglio,» garantii con lo sguardo fermo, e affondai le dita negli avambracci. I marchi delle stelle ronzavano contro la mia pelle, ma ormai ero abituata a sentirli reagire in sua presenza.

    «D’accordo.» Si scostò i capelli dal viso e se ne infilò una ciocca dietro l’orecchio. Le mie dita formicolavano, desiderando fare altrettanto. «Se hai bisogno di me, sai dove trovarmi.»

    «Certo.» Annuii e pregai che non riuscisse davvero a sentire il battito del mio cuore. Sospirò pesantemente poi mi diede le spalle. Non sopportavo quella vista. Non volevo che se ne andasse. Tutto dentro di me spingeva perché lo pregassi di restare.

    Non farlo.

    Non chiederglielo.

    Fece un paio di passi verso la porta. Più si allontanava, più il mio panico cresceva, così mi costrinsi a respirare cercando di darmi un contegno.

    «Sorin.» Nella mia voce c’era una traccia poco velata di disperazione. Sapevo che poteva sentirla benissimo, così come sapevo che avrebbe potuto leggermela in volto se si fosse voltato. Quando parlai, lui si fermò e si girò appena, guardandomi da sopra una spalla.

    «Sì, Thalia?»

    Deglutii, incapace di sostenere i suoi occhi.

    «Rimani? Solo per stanotte,» dissi. Le parole mi sfuggirono dalle labbra rapide. «Solo finché

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