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Un regno di Stelle e Ombre
Un regno di Stelle e Ombre
Un regno di Stelle e Ombre
E-book286 pagine4 ore

Un regno di Stelle e Ombre

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Info su questo ebook

Un matrimonio combinato tra il principe del regno Fae e la Starblessed più potente che sia nata da oltre un secolo
dovrebbe proteggere il popolo dalla minaccia della Corte del Sangue.
Ma non è il futuro re a infestare i sogni di Adara, quanto più suo fratello, il mezzosangue fatto di oscurità e peccato.
Quando i vampiri attaccano lei è costretta a fare una scelta:
tradire un regno o tradire il suo cuore.



Adempiere al tuo destino o cedere al desiderio?
Dove risiede la tua lealtà?

Mi è stato detto che la mia unione con il principe, il futuro re, avrebbe salvato i Fae del regno. Ma non è il mio promesso sposo a infestare i miei sogni.
È suo fratello mezzosangue, il principe che sta al suo fianco.
Lui è peccato e oscurità, e le sue promesse sussurrate all’orecchio mi fanno bramare un uomo che non posso avere. Anche i miei pensieri fanno di me una traditrice del regno che ho giurato di proteggere.

Quando la Corte del Sangue attacca, sono costretta a fare scelte per le quali non sono preparata.
Le bugie e gli inganni si impigliano in una rete fatta di ombre e stelle, e il mio destino mi è chiaro.

Tradire un regno o tradire il mio cuore.
LinguaItaliano
Data di uscita29 mag 2023
ISBN9791220705011
Un regno di Stelle e Ombre

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    Anteprima del libro

    Un regno di Stelle e Ombre - Holly Renee

    1

    Cercai di deglutire mentre il fumo dei tizzoni ardenti del braciere all’angolo mi avvolgeva in una crudele, lenta tortura. L’esercito reale era accampato fuori dalla fenditura tra il nostro mondo e il loro da tre giorni. Tre giorni terribilmente lunghi.

    Il lugubre rintocco dell’orologio riecheggiò in tutta la stanza e il cuore mi cominciò a correre prima ancora che il secondo risuonasse.

    Infilai il piede nello stivale, le dita tremarono nel tirarne i lacci. La stanza era quasi completamente nera come il cielo senza stelle della mia terra, ma non mi importava. Anzi, accoglievo la notte con piacere, perché era l’unico momento in cui potevo agire senza che gli altri osservassero ogni mia mossa.

    «Dove stai andando?»

    Serrai gli occhi e nascosi in fretta il pugnale nella parte laterale dello stivale, prima che potesse vederlo.

    «Ho solo bisogno di un po’ d’aria.» Mi alzai e tirai sulla testa il cappuccio del mantello logoro. «Torna a dormire.»

    Mia madre si avvolse le braccia sottili attorno al corpo ed evitò il mio sguardo. «Non riesco a dormire,» confessò. «Non dovresti lasciare la casa stanotte.»

    «So badare a me stessa.»

    «Lo so.» I suoi occhi marrone scuro finalmente incontrarono i miei. «Ma non manca molto al loro arrivo e…»

    «E dovrei potermi godere le ultime ore di libertà come voglio.»

    Alle mie parole contrasse la mascella. «Non ti vengono a prendere in qualità di prigioniera, Adara. Essere la prescelta, la Starblessed, è una benedizione degli dèi.»

    «Certo.» Mi inchinai con fare teatrale davanti a lei. «Guarda la vita che ti ha permesso di fare.»

    Inspirò di scatto, scioccata, sebbene non fosse la prima volta che toccavamo l’argomento. Il mio destino non era mai stato mio e mia madre aveva accettato molti lussi in cambio della figlia. Lussi contro i quali mio padre aveva combattuto. A causa dei quali aveva perso la vita.

    Mi avvicinai alla porta ed esitai quando la sua voce tremante mi richiamò. «Non scappare. Ti troveranno e pagheremmo entrambe il prezzo del tuo tradimento.»

    Mi feci scivolare addosso le sue parole e ricordai a me stessa che tipo di persona fosse. Il cuore mi si strinse e un’ondata di terrore mi invase. Il fato poteva anche essere nelle mani dei soldati che mi aspettavano fuori dalla fenditura, ma non avrei versato una lacrima per coloro che mi sarei lasciata alle spalle.

    Aprii la porta e uscii, l’aria fresca della notte mi danzò sulla pelle come se mi stesse aspettando. Strinsi il cappuccio intorno al viso per nascondere la mia maledizione, mentre mettevo piede sulla strada acciottolata e camminavo dritta verso il luogo che avrei dovuto evitare.

    Le strade erano spoglie e silenziose. Persino il piccolo pub, che di solito traboccava di birra e di mariti infedeli, era ben chiuso e dalla finestra non traspariva nemmeno la fiammella di una candela.

    Non mi permisi di provare lo stesso timore degli abitanti di Starless. La famiglia Achlys era potente, ma non erano divinità. Se lo fossero stati, non avrebbero avuto bisogno di me.

    Non avevo mai visto nessuno di loro. Né il re, né la regina, né il principe ereditario che avevo promesso di sposare. Sapevo solo che erano Fae e che il sangue che mi scorreva nelle vene era in qualche modo la chiave per sbloccare un loro potere sopito.

    Un potere letale che bramavano possedere.

    Per quanto ne sapevo, nessuno dei reali aveva mai attraversato la fenditura. Lo facevano altri uomini al loro posto e quelle guardie di basso rango erano gli unici Fae che avevo mai visto. Se anche loro possedevano la magia, non gliel’avevo mai vista usare.

    Mia madre diceva che dal nostro lato non la usavano perché non ne avevano bisogno, ma una parte di me si chiedeva se avessero davvero quel potere. Se così non era, allora non avevo motivo di temerli. Potevo scappare e lei sarebbe stata l’unica ad affrontarne le conseguenze.

    Senza magia, dubitavo che qualcuno di loro sarebbe stato in grado di trovarmi. Solo le lune gemelle, che mi guardavano muovere tra le ombre, conoscevano i miei segreti. Tutti nel mio mondo pensavano di sapere esattamente chi fossi, e ciò significava anche che tutti credevano che fossi la chiave per ottenere una qualche benedizione da parte dei Fae reali, una volta sacrificata la mia vita.

    Posai le dita sui mattoni e superai l’ultimo edificio mettendo un piede sull’erba umida. Conoscevo il sentiero che portava al bosco meglio di quanto conoscessi casa, e lasciai che le gambe lo seguissero guardandomi attorno alla ricerca di osservatori indesiderati.

    La periferia della nostra città era a pochi minuti di cammino della fenditura e mi piaceva andarci spesso per sbirciare e immaginare come fosse la vita dall’altra parte. Non sembrava molto diversa da quella del regno Senza Stelle.

    Gli alberi crescevano alti e possenti su entrambi i lati e l’unica indicazione dell’esistenza della fenditura era il sottile velo che si intravedeva di notte. Mi ricordava la nebbia delle prime ore del mattino ma con una differenza: la fenditura non se ne andava mai. Mi ci accovacciai e feci scorrere le dita nella sua magia. Una scossa di eccitazione mi attraversò. Guardai in alto osservando la magia che si ritirava al mio tocco, ma che continuava a perdita d’occhio.

    Era difficile da spiegare, ma la divisione tra i nostri mondi mi era sempre apparsa più familiare della mia stessa casa. Sembrava una vecchia amica che non conoscevo nemmeno. Un’estranea che mi salutava sempre.

    Quella sera, però, la fenditura mi era parsa diversa. Più oscura, in qualche modo, come se mi stesse mettendo in guardia. Ritrassi la mano e cercai con lo sguardo attraverso il bagliore.

    C’erano almeno cinquanta soldati accampati nel bosco a poco meno di una ventina di metri dal velo di magia. Mi concentrai su quello che stava di guardia al limite dell’accampamento. Scrutava la linea degli alberi alla ricerca di una minaccia, eppure non mi aveva notata. Avrei potuto facilmente attraversare la fenditura e tagliargli la gola, se ne avessi avuto il coraggio. Sarebbe stato più facile se fosse stato solo un uomo, ma non sapevo quali poteri si celavano sotto quello sguardo impenetrabile.

    Tesi le dita in direzione del pugnale, mentre guardavo oltre e scrutavo l’accampamento. C’erano diverse tende, tutte recanti con orgoglio il sigillo reale, e alcuni soldati sedevano accanto a un grande fuoco, ridendo e parlando tra loro. Contrassi la mascella nel vederli così a loro agio.

    Soldati mandati lì per prendere una ragazza umana contro la sua volontà. Nessuno di loro sembrava sentire il peso di un compito del genere.

    A guardarli il cuore mi martellava nel petto, non erano altro che sciocchi uomini di un regno corrotto.

    Nessuno di loro avvertiva una minaccia. Nessuno di loro si preoccupava di ciò che gli Starless, i Senza Stelle, avrebbero potuto fargli.

    Ma io non ero senza stelle.

    Le due lune gemelle brillavano luminose in cielo, con le dita ripercorsi il manico di metallo grezzo del pugnale che avevo memorizzato anni prima; si tesero quando avvertii un pericolo alle spalle. Mi voltai proprio quando una mano guantata mi tappò la bocca. Fui presa dal panico e cercai di girarmi di nuovo per guardare gli occhi scuri che avevo intravisto per un istante. La mano dell’uomo si fletté con più forza, come se temesse potessi urlare da un momento all’altro. Non l’avrei fatto. Nessuno al villaggio mi avrebbe aiutata e non volevo attirare l’attenzione dei soldati Fae.

    Erano venuti per portarmi via, non volevo che sapessero che li stavo osservando così da vicino.

    «Che diavolo state facendo?» ringhiò una voce profonda e sensuale, prima che lo sconosciuto mi liberasse la bocca e afferrasse fulmineo il pugnale dallo stivale.

    «Ridatemelo.»

    Allungai il braccio per prendere la lama, ma lui arretrò rapidamente e uscì fuori dalla mia portata. Aprì la mano e il coltello fu avvolto da un fumo nero che gli colava dalle dita. Fluttuò nell’aria come se nulla lo trattenesse, se non la magia. Il respiro mi uscì di getto, i miei marchi ronzavano contro la pelle. Era come se lo sconosciuto di fronte a me li avesse risvegliati da un sonno profondo in cui non mi ero accorta si trovassero.

    «Assolutamente no.» L’uomo abbassò il cappuccio e io avvampai nel guardarlo. La mascella era affilata e gli zigomi alti. I capelli corti e neri come il cielo notturno. E, dèi, era bellissimo. Un Fae di alto lignaggio, ne ero certa. Le sue orecchie avevano una punta accennata che ne suggeriva l’appartenenza alla specie, ma era la bellezza innaturale a rivelare così facilmente ciò che era. Quello e la sua audacia arrogante.

    «Cosa ci fate sul bordo della fenditura con nient’altro che un pugnale a proteggervi?»

    «So badare a me stessa.» Mi ero stancata di ripetere sempre lo stesso concetto, ma lo dissi comunque, incurante del fatto che non dovevo alcuna spiegazione a quel Fae.

    «Davvero?» domandò. La sua mano guizzò in avanti e mi strattonò. Sussultai e notai a malapena che mi tirava indietro il cappuccio con un movimento fluido.

    La testa scattò all’indietro e lo sguardo mi passò rapido sul viso. Sapevo esattamente cosa vedeva.

    «Voi siete la Starblessed, benedetta dalle Stelle?» L’uomo mi strinse il braccio fin quasi a farmi male e il battito mi accelerò.

    «Maledetta, semmai,» lo corressi, sollevando il mento. «E voi siete un soldato Fae?»

    Non assomigliava agli altri soldati che avevo visto girare per il campo. I vestiti erano tutti neri e non presentavano alcun simbolo della Guardia Reale.

    Esitò un attimo prima che un piccolo sorriso apparisse sulle sue labbra carnose. «Si può dire così.»

    Non mi fidavo di lui. Chiunque fosse, sapevo che era una persona da cui dovevo stare lontana.

    «Lasciatemi andare,» protestai, liberando il braccio dalla sua presa, e il sorriso gli si allargò fino a scoprire i denti.

    «Cosa ci fa tutta sola la Starblessed nel bosco nel cuore della notte? Non dovrebbe riposarsi per incontrare il nuovo marito domani?»

    Domani. Avrei incontrato il principe ereditario di Citlali domani.

    «Ho un nome,» dissi. Gli voltai le spalle e tornai a guardare verso l’accampamento. I soldati non sembravano rendersi conto che eravamo tra gli alberi appena fuori dalle loro tende.

    «Adara.» Il mio nome suonò come una preghiera sulle sue labbra. Mi girai di nuovo verso di lui e lo scrutai in viso.

    «Sembra che io sia in svantaggio. Voi mi conoscete, ma io non ho la minima idea di chi siate.»

    Quello lo fece sorridere ancora di più.

    «Non sono nessuno di importante.»

    Mi dava sui nervi. Non era altro che una distrazione.

    «Allora non mi direte come vi chiamate?»

    Gli occhi si assottigliarono e piegò la testa di lato studiando lentamente ogni centimetro del mio corpo. Non avrei saputo distinguere la verità dalla menzogna, a prescindere da ciò che mi avrebbe risposto, ma a prescindere da chi fosse, sentivo che era forte. Irradiava potere senza pronunciare una parola. Avrebbe potuto essere il principe ereditario in persona e io non l’avrei riconosciuto.

    «Mi chiamo Evren.»

    «Evren.» Pronunciai il nome ad alta voce e assaporai la sensazione che mi dava sulle labbra. «Sarete voi a scortarmi nella mia prigione?»

    Arretrò come se gli avessi dato uno schiaffo. «Considerate il vostro fidanzamento con il principe una prigione

    «Non l’ho mai incontrato, eppure sono stata costretta a promettergli la mia mano solamente perché lui brama il potere che crede risiedere nel mio sangue. Se questa non è prigionia, come la definireste?»

    Fece un passo avanti, avvicinandosi abbastanza a me da permettermi di sentire odore di cuoio e qualcosa che non riuscii a definire con precisione. Mi irrigidii quando vidi gli occhi scurirsi e la mascella contrarsi.

    «Dovreste stare attenta a come parlate della famiglia reale.»

    Pericolo. Tutto in lui sembrava una minaccia.

    «O cosa?» lo sfidai, fissandolo dritto in faccia con il respiro accelerato. «Mi imprigioneranno? Mi uccideranno? Il mio sangue non serve a nulla se si raffredda.»

    «Avete vissuto una vita agiata grazie alla moneta reale, non è vero?» Il tono era tagliente e lo sguardo fermo. L’impulso di prenderlo a schiaffi era irrefrenabile, ma mi rifiutavo di far vedere a quel Fae quanto mi avessero colpito le sue parole. «Non sapete nulla della vita che ho vissuto,» risposi invece.

    Era un Fae, non poteva immaginare gli orrori che accadevano nel nostro mondo. I Senza Stelle vivevano nella povertà e nella paura. La mia famiglia era stata benedetta dalla luce delle Stelle, ma eravamo anche stati maledetti. Il favore reale ci aveva fornito acqua e cibo per non farmi morire di fame, un tetto sopra la testa per tenermi al sicuro. Ma gli Achlys si erano presi mio padre. E mi avevano rubato il destino.

    Sebbene avessi sia le guance che il naso ricoperti da quelle che sarebbero potute passare per lentiggini, se non fosse stato per il loro innaturale colore dorato chiaro che sembrava scorrermi sotto la pelle, era la mia schiena a sconvolgere sempre le persone. Gli stessi segni che avevo sul viso scendevano a cascata lungo la spina dorsale in una fila dopo l’altra di luce di Stelle, che strabordava come se non potesse essere arginata. Alcuni restavano vicini alla colonna vertebrale, altri arrivavano fino alla curva delle costole.

    Per me quei marchi quasi non significavano nulla, ma per tutti gli altri valevano moltissimo.

    «Forse no,» ammise infine Evren. Sollevò la mano e per un attimo pensai che stesse per sfiorarmi i marchi sulla guancia, ma poi la chiuse a pugno e la riabbassò al suo fianco. «Forse non siete affatto come vi avevo immaginata.»

    «Mi avete… immaginata?» chiesi, divorata dalla curiosità.

    «Tutti lo abbiamo fatto, Adara.» Fece un passo indietro, mettendo un po’ di spazio tra noi, prima di restituirmi il pugnale. «Sarete voi a determinare il futuro del nostro mondo.»

    Il battito del cuore mi accelerò alle sue parole e tremai nel riprendermi l’arma da quello sconosciuto che l’aveva rubata così facilmente. «E se vi sbagliaste su questo? Se non fossi affatto come tutti voi credete?»

    Fece un altro passo indietro nell’ombra degli alberi, ma potevo sentire il suo sguardo che continuava a vagare ovunque su di me. «Ci conto.»

    2

    Il sole filtrò attraverso la finestra e io gemetti. Era troppo presto per essere svegliata dalla falsa promessa di un nuovo giorno luminoso. Soprattutto quando avevo passato intere ore la notte precedente a guardare l’esercito e a immaginare che cosa avrebbe portato con sé la giornata.

    Avevo osservato Evren allontanarsi da me e tornare all’accampamento. Si muoveva furtivo tra gli altri soldati e, quando gli avevo tolto gli occhi di dosso solo per un attimo, era scomparso. Non importa quanto a lungo avessi scrutato il campo, non ero più riuscita a trovarlo.

    Ma non aveva importanza. Evren era solo un soldato che era lì per fare il suo lavoro, ed era un lavoro per il quale lo odiavo.

    Perché quel giorno sarei stata prelevata da casa e portata a Citlali.

    Tirai la trapunta fino a coprirmi completamente la testa e chiusi gli occhi a contrastare la realtà di quella mattina. Avevo solo bisogno di qualche minuto in più per sognare. Di qualche altro momento per pensare a come avrebbe potuto essere la mia vita se non fossi nata con quelle macchie sul viso e sul dorso.

    Starblessed.

    Che umorismo del cavolo. Le stelle non mi avevano benedetto. Avevano maledetto me e il mio futuro, e non ero del tutto preparata a quello che sarebbe successo.

    Quella con Evren era stata la mia prima esperienza con la magia dei Fae, ma sapevo che erano capaci di molto di più. Durante l’infanzia mi avevano raccontato molte storie, ma ognuna assomigliava più a una favola oscura.

    Mi avevano narrato di come bevevano il sangue degli Starblessed per alimentare i loro poteri. Un’usanza che avevano adottato dai vampiri prima di essere banditi dalle loro terre. Niente di tutto ciò mi era sembrato reale, ma finalmente avrei scoperto la verità.

    Evren non aveva l’aspetto del mostro che avevo immaginato. Non somigliava per nulla all’immagine che mi ero fatta dell’aristocrazia Fae.

    «Adara, è ora di alzarsi.» Mia madre irruppe nella stanza e mi strappò la coperta di dosso. Era vestita con il suo abito rosa più bello che le cadeva addosso come se fosse stato fatto apposta per lei. I capelli scuri erano scostati dal viso e mettevano in evidenza il bagliore degli occhi.

    «Madre,» ringhiai allungando la mano verso la trapunta, ma lei stava già aprendo del tutto le tende.

    «È stato riferito che le guardie reali hanno già dismesso l’accampamento e presto attraverseranno la fenditura. Devi alzarti e vestirti. Oggi è il primo giorno del tuo destino.»

    Il mio destino. Era sciocca se credeva davvero che quel giorno fosse qualcosa di diverso da una condanna a morte. Mi stava consegnando volontariamente ai Fae e sorrideva mentre si muoveva nella stanza senza esitazione.

    Per un attimo mi chiesi cosa avrebbe fatto se fossero stati i vampiri a reclamarmi. Mi aveva raccontato molte leggende sulla Corte del Sangue che si trovava oltre il regno di Citlali. Mi avrebbe consegnato così volentieri anche a loro?

    Sapevo nel profondo che mi avrebbe comunque sacrificato in cambio della vita lussuosa che conduceva. La gente di quella città venerava mia madre. Dopo più di un secolo, aveva fatto nascere la Starblessed con il marchio più grande.

    Lei pensava che quello la rendesse speciale, che in qualche modo rendesse benedetta anche lei, e probabilmente aveva ragione. Avermi partorito le aveva offerto una vita che non si sarebbe mai potuta permettere da sola, e ciò le era costato una figlia e un marito che avrebbe dovuto amare.

    «Sono sveglia.» Feci oscillare le gambe oltre il bordo del letto e mi strofinai gli occhi. Indossavo ancora gli stessi vestiti della sera prima e pensai che lei si sarebbe lamentata per tutto lo sporco che mi ero portata nel letto. Ma non disse una parola.

    Invece, mi fissò deglutendo a fatica. «Hai bisogno di farti un bagno, poi ti sistemerò i capelli. Non puoi arrivare a palazzo così.»

    «Non voglio affatto arrivare a palazzo.» La supplicai con gli occhi, sentendo il cuore martellarmi nel petto.

    Scosse la testa, ma non me la sentii di pregarla di scegliere me. Non c’era nulla che potessi dire per farle cambiare idea sulla decisione che stava prendendo. Anche se ci fossi riuscita, entrambe sapevamo che i reali le avrebbero fatto la stessa identica cosa che avevano fatto a mio padre quando aveva cercato di opporsi.

    E non valeva la pena che sacrificasse la sua vita per la mia.

    La superai con una spallata ed entrai nel bagno. Aveva già preparato la vasca per me e mi spogliai rapidamente prima di immergermi nell’acqua tiepida. La tensione si allentò, ma il calore non riuscì a fermare il modo in cui il cuore mi batteva sempre più in preda al panico ogni secondo che passava.

    Scivolai sotto l’acqua e annegai il mondo per qualche breve istante. Cercai di recuperare la sensazione di quando mi trovavo sul bordo della fenditura, molto al di sopra della città, dove nessuno poteva vedermi. Lì provavo un senso di libertà che non avvertivo mai da nessun’altra parte. Quel giorno tale conforto mi sfuggiva.

    Invece, tutto ciò che riuscivo a visualizzare era il volto di Evren e il modo in cui i suoi occhi scuri mi avevano studiato.

    Sarete voi a determinare il futuro del nostro mondo.

    Parole pesanti che non ero pronta ad affrontare.

    Uscii dall’acqua respirando affannosamente. Non sapevo cosa Evren pensasse di me, ma qualunque cosa fosse, si sbagliava.

    «Tieni.» Mia madre mi passò una saponetta e non mi lasciò nemmeno un po’ di privacy.

    Non si allontanò più da me. Non finché non fui lavata e i miei capelli aggrovigliati furono puliti e pettinati. Poi si sedette sul letto e discutemmo a proposito del vestito che aveva preparato per me e del fatto che io invece preferivo il solito paio di pantaloni scuri.

    Si arrabbiò quando li misi e vi infilai la camicia nera con colletto che era appartenuta a mio padre, ma non me ne curai. Aveva sempre scelto ogni cosa al posto mio, ma stavolta avrei deciso almeno cosa indossare.

    Si offrì di intrecciarmi i capelli e di decorarli con alcuni fiori che aveva raccolto nel campo e, anche se avrei voluto rifiutarmi, l’angoscia nei suoi occhi mi fece sedere davanti a lei e mordere la lingua finché non ebbe finito.

    «Sei bellissima.» Infilò l’ultimo fiore e io distolsi lo sguardo prima di fare qualcosa di stupido come pregarla ancora una volta di non farlo.

    Fu solo un secondo dopo, quando il forte rintocco della campana risuonò in tutta la città, che il terrore mi invase.

    «Sono arrivati,» bisbigliò, sebbene nessuno lì avesse bisogno di spiegazioni. Sapevamo entrambe che giorno era e per cosa erano venuti.

    Mi alzai, afferrai il pugnale di mio padre dal comò e lo infilai nello stivale. Mia madre osservò ogni mossa, ma non osò proferire parola.

    Mi guidò attraverso la nostra casa e cercai di assorbire ogni minimo dettaglio. Le pareti erano consumate e macchiate dagli anni, e c’erano fiori freschi sul piccolo tavolo sufficiente solo per noi due. Non mi sarebbe mancato nulla, perché non l’avevo mai sentita come casa, ma era l’unica che avevo conosciuto.

    Il luogo in cui vivevamo prima, dove c’era anche mio padre, era un ricordo così lontano che

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