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Ali di angelo
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E-book347 pagine4 ore

Ali di angelo

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Info su questo ebook

Sono vari i motivi per cui la lettura di questo romanzo si rivelerà avvincente e divertente. Il primo sta senza dubbio nell’indiscutibile capacità della giovanissima autrice Ilaria Alleva, di dare ritmo e suspense alla sua storia, arricchendola dei turbamenti tipici dell’adolescenza. L’amore e l’amicizia, con i dubbi, le incertezze, i continui ripensamenti, si mescolano in modo accattivante alla trama che coinvolge e lascia fino all’ultima riga in attesa di ciò che accadrà. In un crescendo di mistero ed emozione, impareremo a conoscere personaggi ben riusciti in una rete complessa di sentimento e azione. L’ambientazione è poi un altro elemento di forte interesse. La città, con i suoi luoghi più riconoscibili come i giardini o la biblioteca, punti focali della vita dei più giovani, diventa non solo lo scenario in cui si svolge una vicenda fantastica ma il fulcro in cui convergono più mondi, il luogo privilegiato della contesa tra Bene e Male.
LinguaItaliano
Data di uscita14 gen 2018
ISBN9788827552254
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    Anteprima del libro

    Ali di angelo - Ilaria Alleva

    Ilaria Alleva

    Ali di angelo

    Il contenuto di questa opera è interamente frutto di fantasia.

    Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti

    è da considerarsi puramente casuale.

    Gennaio 2018

    © 2009 All rights reserved Ilaria Alleva

    Formato ebook realizzato da Dalia Servizi

    Immagine di copertina di Alex Canali

    A volte succede che gli amici di una vita litighino per amore, perché si contendono la stessa persona. O che due innamorati si lascino a causa o per il bene di altri, senza accorgersi che stanno distruggendo se stessi. Per gelosia si rende infelice chi avrebbe potuto essere felice con noi, per egoismo si cerca di avere ciò che si desidera senza pensare agli altri e ai loro sentimenti, per avidità si inseguono tutte le ricchezze del mondo. Per rabbia ci si sfoga con chi ci sta a cuore, e lo si ferisce. Qualche volta, per disperazione, le persone muoiono. Altre volte, invece, capita semplicemente di dover scegliere tra l’uno e l’altro. Tra le due persone che amiamo di più della nostra stessa vita. Ma finisce sempre così: qualcuno si fa male. Ma due persone possono farsi del male semplicemente perché si amano troppo? Ci si può fare del male solo per rendere felice chi non se lo merita? Si può proibire a due anime gemelle di stare insieme? Com’è strano l’amore. È il sentimento che più si adatta per rappresentare il bene e il male allo stesso tempo. Rompersi tutte le ossa farebbe meno male che avere il cuore infranto, perché le ossa si aggiustano di sicuro, il cuore ci impiega molto tempo a guarire, se ci riesce. L’amore è anche odio, tradimento, dolore, delusione e tristezza e, quando finalmente trovi la persona che vorresti accanto a te per tutta la vita, che ti fa stare così bene da fartela sembrare irreale, hai sempre paura di svegliarti e che il sogno finisca. Hai paura di perdere la persona che ami. E quando invece sei convinto che sia tua, che niente potrà mai separarvi, succede l’imprevedibile, e svanisce tutto sotto i tuoi occhi. Vieni avvolto dall’oscurità più nera, il cuore si disintegra e avresti preferito morire piuttosto che affrontare tutto questo. Bastano sempre e solo poche parole: Ti voglio bene, ti amo, ti odio, ti ho tradito, ti lascio. Ma è così solo alla fine, all’inizio è tutto diverso. Quando hai davanti un foglio bianco e devi ancora scrivere tutta la storia, è meraviglioso. Quando è tutto nuovo e vai incontro all’ignoto, quando sai di poter scrivere la storia come più ti piace, prima che arrivi la stanchezza… ma ci sono delle storie in cui non ci si stanca mai, in cui è sempre tutto nuovo. Storie che durano. E durano per sempre.

    I

    Conoscenze

    Un bosco, e i passi veloci di qualcuno che correva, inciampava. Fuggiva. C’era una presenza opprimente alle mie spalle. Sì, ero io che stavo scappando, ma ero molto diversa: i miei capelli erano molto più lunghi, fino alla vita, il mio fisico più simile a quello di una donna che a quello di una ragazzina di quindici anni. In quell’immagine che mi rifletteva apparivo almeno quattro anni più grande.

    Ilary corri!

    Era la voce di un ragazzo che risultava familiare, ma non l’avevo mai sentita. Qualcosa mi sfiorò il fianco e si conficcò nel tronco di un albero. Una normalissima freccia. Eppure ne percepivo il potere, la magia che racchiudeva. Non riuscivo a capire se fosse maligna o benigna in quel momento. Corsi più veloce, stando più attenta possibile a non cadere. Alla fine la presenza si fece meno opprimente. Mi fermai un momento a riposare. Avevo il fiatone, mi mancava l’aria. Iniziai a fare profondi respiri, l’ansia mi sovrastava. All’improvviso davanti a me comparve un mio clone, ma aveva qualcosa di diverso da me: gli occhi scuri, persi, vuoti. La pelle quasi diafana. Subito dopo la sua apparizione, la figura fu avvolta da spirali scure e iniziò a sprofondare nel buio. Sempre con quell’espressione vuota, tese la mano verso di me.

    Salvami. Salvati.

    Mi svegliai di soprassalto, con l’ansia e il fiatone. Che sogno strano che avevo fatto! Mai capitata una cosa così. Sì, certo, spesso sognavo di scappare dai lupi mannari insieme a Edoardo, che mi salvava, anche se lui nel sogno era un magnifico vampiro simile ad Edward Cullen, il personaggio più famoso dell’ultimo mese. Avevo scoperto i libri della saga di Twilight poco tempo prima, e quando li avevo letti mi ero innamorata di Edward come di Edoardo. Lui, quel giorno, mi aveva detto di volermi tanto, tanto bene. Ma sapevo che non diceva sul serio, si divertiva a prendermi in giro. Da sempre. Per un momento, prima che pronunciasse questa frase, dal tono stupido, avevo sospettato… o, almeno, sperato che volesse baciarmi. Il mio cuore, al solo pensiero, aveva iniziato a battermi così violentemente che sembrava volesse uscire dal petto. Sapevo bene che Ivan lo aveva forzato a dirlo e sapevo quanto gli fosse costato pronunciare quelle parole, ma mi sentii presa in giro. E risposi con un tono di voce dolce e triste: Non sei obbligato a farlo.

    Probabilmente intuì un’ombra di tristezza nelle mie parole, infatti cercò subito il modo per dare un senso più realistico al ti voglio tanto, tanto bene. Dissi che preferivo la sincerità, ma il mio orgoglio si sentiva ferito: mi sembrava quasi che provasse… pena per me. Non volevo la sua pietà, né la sua compassione e i suoi inutili sforzi di farmi coraggio. Volevo semplicemente amore. Perché io lo amavo, ma lui sembrava non rendersene conto. Sembrava un gioco, per lui.

    Guarda che non stavo scherzando… cioè, ti voglio bene sul serio!

    Preferisco la sincerità. ripetei.

    Beh, magari ci avrei messo un tanto in meno, ma è vero!

    Sospirai tristemente, per fargli capire che non ero tanto ingenua come lui credeva, e mi chiusi nel mio piccolo, solitario mondo. Dopo poco procedette animatamente la conversazione tra Irene, Chiara, Ivan e lui. Decisi di concentrarmi su quella di Alexis e Martina, per distrarmi dalle voci al mio fianco, e, soprattutto, dall’insopportabile risatina di Irene che molte, troppe volte, era risultata più attraente del mio silenzio e dei miei sorrisi appena accennati, dolci e timidi… troppo per un tipo così. Mi sorpresi nello scoprire i miei pensieri. Anche se per pochi secondi, ero stata crudele nel pensare che Irene mi stesse tradendo e provai vergogna della mia fragilità. Ma io, in fondo, non avevo niente di speciale: i capelli lunghi fino alle spalle, castani scurissimi, quasi neri e vagamente mossi (a volte riuscivo a farmi i boccoli, ma niente di speciale), gli occhi grandi, marroni e tendenti al color cioccolata. Non ero uno stecchino come Irene, alta sì, ma non come lei; la mia carnagione era pallida come quella di un vampiro… insomma, niente di speciale, come ho già detto.

    Quando mi voltai di nuovo, lui era lì, molto più lontano di prima, ma era lì, accanto a me, baciato da un raggio di sole che filtrava dalle alte finestre. La sua pelle non diventava scintillante alla luce del sole come fosse ricoperta di piccoli diamanti, no di certo, ma era comunque bellissimo. La sua carnagione pallida si faceva luminosa; i suoi capelli castani chiari e arruffati scoprivano venature dorate e il sorriso entusiasta, divertito e dolce brillava. Ai miei occhi, in quel momento, non esisteva una creatura più bella, forse solo Edward, ma quest’ultimo era frutto di pura fantasia, uno di quei personaggi che trovi solo nei libri. Edo invece non veniva da un libro, era reale. Tremendamente reale.

    Per qualche minuto rimasi incantata nel guardarlo, come mi succedeva sempre. Vederlo abbracciato dalla luce mi sorprendeva ogni volta. Quella mattina, era così vicino, eppure… così lontano.

    La prima volta che lo avevo visto, ero subito rimasta di stucco davanti alla sicurezza che io non avevo mai avuto e che invece lui ostentava. Non pensai a nient’altro, oltre al fatto che sarebbe stato un anno molto faticoso, seguito da altri quattro. Non mi ero resa conto che ero già innamorata di lui. Il primo segnale arrivò a poche settimane di distanza, quando Martina mi venne a dire, entusiasta, del suo fidanzamento improvviso con un ragazzo. Scoprii presto che si trattava proprio di lui: Edoardo. C’era una parte di me che non sopportava quell’idea e, anche allora, mi sentii sporca a causa dei miei pensieri così vili. Gelosia. Era quello di cui soffrivo. Dopo Martina, c’era stata Julia Mattarelli. Ma era felice in quel periodo… talmente felice, che non riuscii ad esserne gelosa. Anzi, ero molto contenta. La sua felicità era contagiosa. Eppure, quando lo intravedevo tra la folla del coro natalizio, il pomeriggio, mentre aspettava lei, un’enorme voragine si apriva nel mio petto. E soffrivo terribilmente. Ma non lo ammettevo comunque nemmeno a me stessa. Soffrivo in silenzio e ne traevo una specie di benessere. Il mio scopo era che lui fosse felice. Lo avevo promesso a me stessa, anche se ci sarei stata male. Il mese di Dicembre fu uno dei più felici della mia vita: lui era nel banco dietro al mio. Da lì controllavo ogni cosa: le sue reazioni, i guai che combinava, ciò che diceva… ed eravamo incredibilmente amici. Irene gli rivelò i miei sentimenti, dopodiché a volte era più facile, altre più difficile parlare, scherzare e tutto il resto. Difficile solo perché a me la sua amicizia non bastava. Il mese dopo, di ritorno dalle vacanze, lui era… diverso. Troppo diverso. Non era più il ragazzino con quella luce negli occhi che arrossiva a ogni mio sorrisino malizioso, pur se solo accennato. Sembrava molto più adulto, e questo non riuscivo ad accettarlo. Quasi non mi parlava più. Io ero terrorizzata all’idea di perderlo. Non credo sia più tornato lo stesso. Inoltre, aveva lasciato Julia al rientro dalle vacanze. Ed era innamorato di una persona che non avrei mai immaginato… Irene. Era diventato così sfacciato da mandarle addirittura sms in cui le diceva che l’amava più di ogni altra cosa al mondo, e che Loris, il suo migliore amico, quasi un fratello per lui, non la meritava, che non ne era degno e che quindi avrebbe dovuto lasciarlo. Egoista. Era questo il termine adatto per Edoardo, non c’erano altre parole. Irene, nel raccontarmi di tutte quelle sue dichiarazioni piene d’amore, mi feriva e mi faceva soffrire senza volerlo. Edoardo era egoista… e innamorato. Innamorato di lei come lo ero io di lui. Lo capivo meglio di molti altri.

    Un pomeriggio Irene mi chiamò: Ciao Ily.

    Nella sua voce c’era qualcosa di strano. Una nota di indecisione e colpevolezza.

    Ciao. Hai visto oggi? Che giornata schifosa! dissi per non affrontare il discorso che stava per arrivare, un discorso che ero sicura di non voler sentire.

    Eh già, ma credo che potrebbe andar peggio, no?

    Come!? Dico, sei pazza? Che cosa potrebbe esser peggio!?

    Ily… devo dirti una cosa…

    Tutto inutile, quel discorso andava affrontato, a quanto pareva.

    Riguardo a che?

    Beh, ecco… prometti di non uccidermi?

    Non potevo prometterlo, perché avrei infranto la promessa. Avevo una tale voglia di strozzarla…

    Irene, cos’è questa cosa? chiesi nervosa.

    Beh, magari non dovrei dirlo. Edo mi ha chiesto di non farlo…

    Riguarda Edo!?

    I miei nervi non sarebbero riusciti a reggere ancora per molto.

    Ops!

    Irene uno… Irene due… guarda che non ho ancora promesso di non ucciderti… Okay, okay, okay! Ti dirò tutto, parola per parola, giuro!

    Edo le aveva scritto via sms: t.a.t.

    Rimasi in silenzio per qualche istante. Era un’abbreviazione di ti amo tanto.

    I-Ilary?

    Che cosa ha avuto il coraggio di scriverti!? urlai.

    Mi dispiace Ily, davvero, ma… non è colpa mia…

    Ti dispiace!? Ma io l’ammazzo!

    Sì, questa è un’ottima idea.

    Continuai ad ascoltare attentamente tutti i messaggi, uno per uno. Poi, tutto quello che Ire disse dopo, parole al vento. Prima ero arrabbiata con lui, poi con lei, poi con me stessa e infine affranta.

    Ily, ma tu non mi puoi stare zitta tutta la sera!

    Cosa?

    La mia voce era piatta come il mare di prima mattina.

    Io cerco di distrarti e tu…

    Allora stai sprecando tempo. Scusa ma mio padre dice che devo chiudere. Grazie. Ciao.

    La mia serata si prolungò in bagno, l’unico posto dove potevo stare in pace, da sola a sfogarmi. La stanza era buia, illuminata solo dai fiochi raggi di luna. Ero seduta per terra, nella parte più buia del bagno, davanti allo specchio. L’MP3 a palla nelle orecchie. Potevo specchiarmi. Mi guardavo, ma non mi vedevo. Non vedevo me. Vedevo una specie di creatura fantastica, affascinante. Gli occhi neri luccicavano nel buio, i lineamenti erano morbidi ed eleganti, ma contemporaneamente duri, animaleschi, contratti per la rabbia e il dolore. Una massa di capelli scuri che ricadevano sulle spalle e incorniciavano il viso mettevano in risalto la pelle chiarissima che assumeva sfumature argentee al contatto con la debole luce lunare. Poi ondeggianti, sinuose, le ciocche disegnavano delle onde sul corpo rannicchiato dalle curve magnifiche, tremendamente femminili. Quella ragazza non ero io. Quella era un’illusione, la ragazza che avrei voluto essere. Una creatura tanto bella quanto pericolosa, senza sentimenti, immune agli scherzi dell’amore, immune alla sofferenza che causava quel sentimento che, in una moltitudine di casi, era la cosa più bella di tutte. Quella non ero io. Eppure, nel vedere quell’immagine riflessa nello specchio, improvvisamente mi resi conto che quello che vedevo non era affatto un mostro, incapace di provare sentimenti. Era come me. Gli occhi luccicavano perché colmi di lacrime che quella ragazza cercava, invano, di reprimere; i lineamenti del suo viso erano contratti dalla rabbia e dal dolore che provava per amore. Possibile che quella fossi io? Era troppo bella. E se fosse stato così? Sì, quella ragazza rappresentava il mio stato d’animo. Se fosse stata la ragazza che ero all’interno? Appena questi pensieri mi sfiorarono, l’immagine svanì di colpo e vidi la solita ragazza, quella di sempre, la solita me: la secchiona goffa, anonima, innamorata di quel ragazzo per il quale lei non era all’altezza. Lui però non sarebbe mai stato all’altezza della ragazza riflessa nello specchio fino a poco prima. I miei occhi erano uguali a quelli della mia illusione: lucidi, pieni di lacrime. Me ne scivolò una sul viso, rigandomi la guancia. I miei lineamenti erano più da bambina che da donna, ma ugualmente contratti dalla rabbia e dal dolore, come quelli della non me. Poi decisi di alzarmi e guardai meglio l’immagine riflessa nello specchio. No, quella non era affatto una bambina. Non era una donna. Una ragazza del liceo che sembrava molto più grande. Ed effettivamente le mie curve non erano niente male. Mi asciugai il volto e uscii. Lui, lei, non potevano nulla contro di me. Ero nettamente superiore a entrambi. Ero più forte.

    Qualche giorno dopo andai a casa di Irene. Le strappai il cellulare dalle mani e lessi tutti i messaggi che lui le aveva mandato in quei giorni. Un respiro profondo dopo l’altro. Quando tornai a casa, feci la stessa identica cosa di tre sere prima, ma stavolta spedii anch’io un messaggio a Edo, che in quei giorni qualcosa aveva scritto anche a me:

    Ciao. Come stai? Io… male. Oggi sono andata a casa di Ire. Ho letto tutti i messaggi dal primo all’ultimo, contro la sua volontà. t.a.t. lo sapevo già. Non sono arrabbiata. Comunque sappi, che io… ti amo. Ti amo sul serio e voglio che tu sia felice, il resto non importa, e se vuoi un’amica, io sono qui.

    Nessuna risposta. Non riuscivo a crederci: gli avevo scritto quelle cose con tanta leggerezza… Andai a letto e quella fu una notte senza sogni.

    Nei giorni successivi, nessuna risposta da Edoardo, ma nel frattempo avevo litigato un po’ con Irene. Lei mi informava in continuazione di ciò che Edoardo le scriveva: Ilary, questo continua a scrivermi t.a.t..

    Oppure: Oh, m’ha scritto che Loris non mi merita, o "Che pizza! Edoardo continua con io sono tuo, ti amerò per sempre… ma perché non capisce che mi fa schifo!? È tanto difficile?".

    Sembrava quasi che lo facesse apposta per farmi arrabbiare. Pian piano iniziavo a pensarci sempre di meno. Seguirono solo due sue chiamate per i compiti di grammatica, nelle quali, stavolta, fui io a essere breve. Lui non era mai stato acido con me. Io lo fui. Dopodiché, più niente di niente, neanche un augurio di buon anno. L’anno nuovo iniziava senza di lui. Forse questo era un bene. Ogni oroscopo mi diceva che avrei iniziato l’anno benissimo e che sarebbe stato fantastico. Molti dicevano che avrei avuto sorprese in amore. Ormai non ci credevo quasi più. Era davvero possibile? Soltanto quando tornammo a scuola iniziò a parlarmi di nuovo, un po’ impacciato, ma almeno mi parlava. Ad esempio si tagliò e mi chiese un fazzoletto, che non avevo. Irene glielo porse senza che lui lo chiedesse. Questa fu una cosa davvero strana, perché Irene era sempre stata scontrosa con lui. Ma non ci badai troppo. Passavano i giorni ed Edoardo era sempre più distaccato, assente con me. Quello non era il ragazzo di cui mi ero innamorata. Era diverso.

    II

    Biblioteca

    Tornai ad avere incubi che somigliavano a quelli dell’estate passata, ma cercavo di distrarmi in tutti i modi. Lo studio era un ottimo compagno per non pensare. Di tanto in tanto andavo in biblioteca ed ero avvantaggiata grazie alle molte conoscenze che avevo in quell’ambiente. Ci lavoravano diversi genitori dei miei amici delle elementari e delle medie. Spesso andavo lì per fare ricerche, per studiare, mentre a volte ci andavo per il semplice gusto di leggere qualcosa. Prendevo un libro a caso e iniziavo a leggerlo. A volte lo finivo in un solo pomeriggio. Edoardo continuava a non parlarmi. Alle uscite che organizzavano i nostri compagni lui non veniva mai. Inventava sempre qualche scusa: la partita, il compleanno del fratello, della sorella, gli allenamenti… non c’era mai. Il cielo era sempre più grigio e le giornate non tendevano a migliorare.

    A scuola, ogni sabato mattina ormai da tempo, Edoardo evitava di prendermi in squadra durante la partita di pallavolo. Di solito era il capitano. Un giorno ero rimasta l’unica che sapesse colpire e prendere la palla in modo decente. Scelse la squadra. A loro non importava che tra me e il capitano ci fosse del rancore, loro volevano vincere e basta. Mi chiamarono senza farsi tanti scrupoli, mentre Edoardo metteva il muso e abbassava lo sguardo. Guardammo entrambi il pavimento in direzioni opposte. Gli passai vicino sfiorando la sua spalla. Neanche una parola. Trattenemmo il respiro entrambi, ma niente di più. Fece battere Irene che, ovviamente, sbagliò e mandò la palla sul soffitto. Lei era stata mollata da recente, dopo che lui era riuscito a rubarle il primo bacio.

    La solita incapace, in questo gioco…

    Edoardo mi guardò con aria severa. Io ricambiai con uno sguardo carico di rancore e tristezza. Doveva essersene accorto perché si concentrò subito altrove. Poi suonò la campanella dell’uscita e, senza proferire parola, mi diressi verso lo spogliatoio. Lui mi prese per un braccio e mi trattenne per qualche secondo costringendomi a guardarlo. Sostenni il suo sguardo.

    Lasciami andare Jj. sussurrai guardandolo in faccia.

    Avevo un nodo in gola e gli occhi lucidi, poi mi liberai dalla sua presa con uno strattone, andai a prendere lo zaino e a infilarmi il giaccone. Accesi di corsa il cellulare e telefonai a mia madre: Mamma, non aspettarmi per pranzo, mangio un pezzo di pizza al volo e poi vado in biblioteca.

    Ma…

    Non fece in tempo a finire che già avevo riattaccato.

    Presi il viale alberato e poi salii sul primo autobus per il centro. Si fermava proprio davanti a palazzo Spada, la sede del Comune di Terni. Mi diressi verso corso Tacito; una salto per uno spuntino da Superman e, appena fuori, ancora con la pizza calda tra le mani, mi sorprese una pioggia fortissima. Mi incamminai verso la biblioteca senza ombrello. La pizza, a un certo punto, la gettai: con l’acqua era diventata di gomma. Arrivai che ero bagnata dalla testa ai piedi. Diedi la mia tessera all’ingresso e mi diressi nella zona più silenziosa e meno trafficata. Nei pomeriggi che avevo passato lì, non mi ero limitata a divorare libri. Era un posto immenso e ogni pomeriggio ne scoprivo un’ala nuova. Mi ero fatta persino una mappa, per non perdermi tra i tanti corridoi. Quel posto era l’ultimo che avevo scoperto. Tirai fuori dallo zaino il mio MP3 e misi il volume tanto alto che mi fece male alle orecchie. Presi un libro a caso e iniziai a leggerlo. La musica si fermò e l’MP3 si spense. Pila finita. Lo sbattei nello zaino e ripresi a leggere. Ero già a metà del libro, ma la mia testa era altrove. Poco dopo mi accorsi che era buio pesto. Toccai la lampadina: era ancora calda. Poi sentii un respiro, non era il mio. Per esserne sicura trattenni il fiato. No, non era affatto il mio. Era un respiro un po’ pesante. Di quelli che le persone hanno mentre dormono. Mi voltai e vidi una sagoma poco distante da me. Fui improvvisamente presa dal panico: Aaaaaaaaaaaah!!!.

    Aah! esclamò la figura vicino a me, e cadde dalla sedia con un tonfo tremendo. Poi sentii i passi di qualcun altro tra i lamenti di quello che era a terra. Arrivò un custode.

    Tutto a posto, signorina?

    Sì, credo di sì.

    Poi illuminò con la torcia vicino a me. C’era un ragazzo.

    E lei, giovanotto, cosa cercava di fare?

    Io non cercavo di fare proprio niente! Mi stavo riposando un po’ dopo una corsa di mezzo chilometro sotto l’acqua prima di iniziare a leggere un libro, quando questa pazza si è messa a urlare come un ossesso, dico, ma sei scema!?

    Lo aveva detto con arroganza e gli arroganti non mi erano mai piaciuti molto, eppure…

    Signore, credo che serva una lampadina nuova, questa si è fulminata e…

    Il custode mi guardò con aria severa e un po’ scocciata, tirando un sospiro.

    Ora ho capito, succede spesso… provvedo subito.

    Grazie.

    Il ragazzo era ancora lì: Si può sapere che urli? Io non stavo facendo niente di male!.

    Mi rivolsi a lui con tono acido: Oh, scusa se mi hai fatto prendere un colpo, è colpa mia, certo, perché ogni persona normale vedendo comparire all’improvviso un tizio vicino a sé, soprattutto se è al buio, non reagirebbe come ho fatto io!.

    Guarda che io sono qui da più di un’ora! Non mi risulta di essere comparso all’improvviso come un fantasma! Sei tu che non te ne sei accorta perché avevi l’MP3 a palla nelle orecchie!

    Il custode tornò con una lampadina nuova. Lo ringraziai di nuovo.

    La prego, non urli più in quel modo. disse mentre attaccava la presa.

    Non lo farò, si è trattato di un malinteso, questo posto mette un po’ di suggestione! dissi aprendomi in un sorriso colpevole e imbarazzato.

    Quando il custode se ne andò, accesi la lampadina. Il ragazzo era ancora sdraiato per terra.

    Dai alzati dissi un po’ più allegra.

    Facile, per te! Non sei tu che sei caduta. Fa male, sai?

    Sì, lo so, credimi. Non hai idea di quante volte io sia caduta.

    Si girò verso di me, ma non riuscivo ancora a vedere il suo viso.

    Serve una mano? dissi tendendo la mia.

    Grazie rispose afferrandola.

    Poi si mise seduto, prese il libro che stavo leggendo e se lo mise davanti alla faccia. Era alto, magro e vagamente muscoloso… cioè, notai, i muscoli li aveva, ma sotto la camicia si vedevano poco, erano appena percettibili.

    E tu staresti leggendo questa roba? La vecchia edizione della biografia di Cristoforo Colombo? disse, sempre con il libro davanti al viso.

    Io rimasi alquanto perplessa.

    Stavo davvero leggendo quel libro?

    Iniziò a ridere e la sua risata mi sembrò il suono più meraviglioso del mondo.

    Beh? Che c’è di buffo? dissi tornando seria, e anche un po’ acida.

    Leggevi un libro senza neanche sapere di che parlasse?

    Arrossii. Che figura da idiota.

    E tu allora? Io almeno leggevo, tu dormivi!

    Ma tu guarda che razza di ragazzina mi doveva capitare! Senti, io vengo qui abitualmente per dormire in santa pace!

    E non puoi farlo a casa tua?

    No, perché c’è il secchione leccapiedi della mia scuola che lo riferirebbe al preside.

    Rimasi in silenzio a riflettere sulle sue parole. Poi dissi: Sei in punizione?.

    "Sì. Mi ci mettono sempre e mi dicono di andare in biblioteca a studiare più

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