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Le porte del paradiso
Le porte del paradiso
Le porte del paradiso
E-book381 pagine5 ore

Le porte del paradiso

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Fantascienza - romanzo (289 pagine) - Cosa saresti disposto a fare per riportare indietro qualcuno che hai perso?


Shawn ha un solo scopo: raggiungere le porte del paradiso per riportare in vita la sua migliore amica. Per farlo dovrà affrontare un viaggio nell'inferno: un mondo pericoloso del quale non conosce nulla. Dovrà imparare tutto rapidamente se vorrà sopravvivere e portare a termine la sua missione. Quello che non sa è di essere una pedina in un gioco molto più grande.


Aaron Leonardi è nato a Catania, alle pendici dell’Etna, nel 1988. Appassionato sin da piccolo alla lettura, colleziona i libri di autori come Stephen King (da sempre il suo preferito), James Rollins, George R. Martin. Gamer attento al mondo videoludico (nel 2021 ha curato la redazione di numerosi articoli e recensioni online) e a quello dei giochi da tavolo e di ruolo. L’amore per la scrittura nasce in lui tra i banchi del liceo: la sua prima pubblicazione è stata il racconto breve Giorno uno, come audioracconto nel podcast La Porta Segreta. Ha poi pubblicato altri racconti brevi tra i quali Flyway 617 all’interno dell’antologia 50 sfumature di Sci-Fi. Nel 2012 ha presentato a Lucca Comics & Games Project Sun, fumetto di cui è autore della storia, nato dalla collaborazione con la fumettista freelance Valeria “Tenaga” Romanazzi.

LinguaItaliano
Data di uscita14 giu 2022
ISBN9788825420814
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    Anteprima del libro

    Le porte del paradiso - Aaron Leonardi

    Prologo

    Se mi stai ascoltando, avrai già oltrepassato le lande aride di Lèpafos. Devo quindi complimentarmi con te, significa che sei scampato al Colosso di Randek. Applausi! Ti avrei lasciato anche un pacco di coriandoli e una bottiglia di ottimo champagne per festeggiare. Sempre se il tempo che ti è rimasto sia maggiore di quello che ho a disposizione io.

    A ogni modo, adesso sei qui, nella vecchia centrale energetica. Proprio all'ingresso. Io aspetterò qualche altra ora prima di salire in cima. Se non troverai altri miei messaggi, allora significa che ho fallito nella mia impresa e ti auguro davvero il meglio. Se non potrò vederle io, spero davvero che possa farlo tu, chiunque tu sia.

    Parte prima

    Jen

    La perdita

    19 giorni al Riassestamento. Ore 7.16

    – Jen è morta.

    Il ragazzo seduto sul cesso avrebbe voluto capire male. Quelle parole formavano certamente una frase sconclusionata e senza senso, non c’era altra spiegazione.

    – Shawn, mi hai sentito?

    Lui annuì, nonostante il suo interlocutore fosse dalla parte opposta dell'auricolare. Rimase immobile ad osservare le bianche piastrelle del muro che si stavano tingendo lentamente di un colore rosso vivo. Rosso scarlatto. Rosso sangue.

    Percepì un nodo alla gola.

    – Ok – sussurrò senza muoversi.

    Cos'altro poteva dire? In un momento come quello qualunque cosa gli passasse per la testa era nulla se paragonato al dolore che stava provando.

    – Ho capito, Valiant.

    Il ragazzo dall'altra parte non riagganciò. Rimase in silenzio, aspettando forse una parola da parte sua. – Mi dispiace dovertelo dire in questo modo.

    – Devo chiudere – tagliò corto Shawn.

    – Io… Ne vuoi parlare?

    – No! Non ne voglio parlare! – urlò l’altro interrompendo la chiamata.

    Passarono trenta minuti prima che uscisse dal bagno. Non appena mise piede fuori avvertì la pesantezza del suo appartamento totalmente vuoto. Nonostante Bryce l'avesse lasciato anni prima, ne sentiva dannatamente la mancanza. Voleva un supporto, qualcuno con cui sfogarsi o semplicemente da abbracciare.

    Ma non c'era nessuno.

    Era da solo, ora più che mai.

    Shawn deglutì, abbassò il capo lentamente rientrando le labbra verso l'interno. Tutta la realtà che lo circondava non esisteva più, c'era solo un immenso spazio nero dal quale non aveva idea di come uscire.

    Forse, si disse, non ne sarebbe più uscito.

    Una sensazione orrenda lo pervase, la vista parve mancagli, la testa iniziò a girargli.

    – Sto per crollare – fu tutto ciò che riuscì a pensare prima di avere un mancamento. Riuscì a reggersi in piedi appoggiando la schiena al muro, ma si lasciò scivolare lentamente fin quando non si ritrovò seduto a terra.

    Deglutì. Una moltitudine di pensieri lo assalirono, causandogli più dolore di quanto non ne stesse già provando. Portò le ginocchia al petto, stringendole con entrambe le mani. E pianse.

    – Non è possibile – sussurrò.

    La voce non sembrava neanche la sua. Gli arrivò lontana, come quella di un estraneo, ma non ci si focalizzò a lungo. La sua mente era già altrove, stava ripercorrendo in rapida successione gli ultimi momenti che aveva passato con Jen.

    Avevano litigato quella sera. Era successo più di una volta nel corso dei venti anni che li avevano legati, ma mai come quella volta.

    – Perché non mi ascolti mai, Jen?! – le aveva chiesto in preda alla rabbia, battendo i palmi delle mani sul tavolo.

    – Piantala Shawn, non è né il luogo né il momento adatto per una delle tue sceneggiate – aveva risposto lei con tranquillità.

    – Credi che incazzarmi perché hai deciso di passare il resto dei tuoi giorni con un uomo che beve nei giorni pari e si droga durante i dispari sia solo una sceneggiata?

    – Sì, lo è. La vita è mia, Shawn, e sono io a scegliere come viverla. Non ho bisogno di un amico geloso che mi dica cosa fare.

    Per Shawn era stato un duro colpo, si era sentito come se avesse ricevuto una serie di pugni allo stomaco. Ma dal canto suo non li avrebbe solo incassati senza controbattere.

    – Mi stai quindi dicendo che non hai bisogno di me?

    – Esattamente, Shawn. Forse è arrivato il momento in cui tu dovrai finalmente sganciare il guinzaglio al quale credi di tenermi legata.

    Shawn aveva trattenuto il fiato e contato fino a dieci, nella speranza che la rabbia si affievolisse. Non funzionò.

    – Ti ha picchiata fino a tre giorni fa! Hai coperto tutto con un po' di trucco, ma non puoi nascondere i lividi che ti ha lasciato quello stronzo! – aveva sbraitato.

    – Non è come credi.

    – No? Cosa dovrei credere allora? Che è stato solo un momento di ira? Che da domani tutto finirà e che si comporterà come se fosse il principe azzurro? È questo ciò che…

    – Sono incinta, Shawn – aveva confessato guardandolo negli occhi grigi. – Sono intenzionata a tenerlo, ma non posso mantenerlo da sola. Per questo ho bisogno di lui.

    – Hai bisogno di lui? Non hai neanche preso in considerazione me?

    – Tu? – Aveva ribattuto Jen, trattenendo una risata. – Senza offesa, Shawn, ma devo per caso ricordarti cosa mi hai detto quando tra noi è finita? Che non ero ciò che realmente volevi perché eri interessato a tutt'altro. Adesso vorresti prendere il posto del mio ragazzo? Mi dispiace ma non puoi, non più.

    – E allora vuoi continuare a restare con lui? Fai pure, Jen! Sei talmente stronza da rinfacciarmi ciò che ti ho confessato, e dannatamente ottusa da non capire che sto solo cercando di aiutarti! Un giorno, accecato dagli effetti delle droghe e dell'alcol, quella belva ti ucciderà. E allora puoi star sicura che io non verserò una lacrima, tantomeno verrò al tuo funerale!

    – Vaffanculo, Shawn!

    – No, Jen! – si era alzato dal tavolo rumorosamente e l'aveva guardata negli occhi. – Vaffanculo tu!

    Aveva pagato il conto ed era uscito dal ristorante, lasciandola da sola. Se solo le cose fossero andate diversamente, allora forse…

    – Hai un nuovo messaggio, desideri riprodurlo? – L'assistente vocale che gestiva le funzionalità dell'appartamento lo fece trasalire.

    – Come?

    La voce femminile ripeté il messaggio con la medesima innaturale calma.

    Shawn tirò su col naso. – Sì, riproduci il messaggio.

    Un piccolo sibilo e la voce di Valiant si propagò per tutto l'appartamento.

    – Shawn, sono io. Mi dispiace disturbarti, dico davvero, ma voglio che tu sappia che per te ci sono sempre se hai bisogno. Sono davvero dispiaciuto per averti dato la notizia in questo modo, ma purtroppo non posso lasciare l'ospedale, eppure non volevo tenerti all'oscuro – disse il ragazzo, prendendo poi un attimo di pausa. – Volevo solo dirti che so bene cosa ti sta passando per la testa in questo momento. Credimi, ti capisco perché anche io ho perso qualcuno. Io… beh, io so di non essere nulla per te, ma per qualunque cosa sai dove trovarmi.

    Shawn strinse i pugni con tanta forza da farsi male. Quando l'assistente vocale gli domandò se volesse inviare un messaggio lo ignorò.

    Sapeva della perdita di Valiant avvenuta anni prima, glielo aveva raccontato durante una di quelle sporadiche volte in cui si era fermato a dormire da lui, ma in quei momenti non si era preoccupato di ascoltare la sua storia. Non realmente, almeno.

    – Merda – sbottò cercando di rialzarsi.

    Si sentiva debole, intontito, come se richiuso in una bolla. Tentò di concentrarsi sul presente, di schiarirsi la mente, e la sua attenzione venne attirata dalle parole di Carol Trachenderg, la bella giornalista che trasmetteva il notiziario del mattino. Seguì quella voce, come un navigatore soggiogato dal canto di una sirena, fino ad arrivare in cucina dove il Cluster-H era acceso. Osservò lo schermo olografico aggrottando le sopracciglia. Nonostante l'immagine avesse qualche interferenza, era l'audio ciò che gli importava maggiormente.

    – Mancano poco più di due settimane al Riassestamento. Gli abitanti di tutto il mondo si stanno già preparando al peggio ma Josh Guntier dell'ASH, l'Accademia Scientifica di Heterya, rassicura la popolazione: non sarà un evento catastrofico.

    Shawn alzò il volume. Preso com’era dal suo dolore, aveva dimenticato di quanto fossero vicini al giorno del Riassestamento. I giornali di tutto il mondo ne parlavano da anni, i grandi scienziati ne avevano dibattuto talmente tanto da diventare star dello spettacolo, era l’evento del millennio. Forse di tutta la storia umana. Ma in quel momento cosa poteva importargliene di riportare la Terra alla sua velocità di rotazione ordinaria?

    Deglutì quando nella sua mente affiorò il ricordo della volta in cui aveva parlato insieme a Jen di quell'evento.

    – Dovremmo ritenerci fortunati – gli aveva detto lei, durante una serata di qualche anno prima, passata a sgranocchiare snack e bere una Qes seduti sulle scale in legno della veranda di casa di Shawn.

    – Non ti spaventa? – le aveva chiesto, prendendo la bottiglia e sorseggiandone il contenuto. – Insomma, non è qualcosa con cui facciamo i conti ogni giorno.

    Lei aveva fatto una smorfia e aveva alzato gli occhi al cielo. – No. E poi confido nell'affidabilità dell'Excelsias Inc., da quel che si dice stanno lavorano al progetto da prima che fosse reso noto. Di sicuro sanno quello che fanno.

    – Sarà…

    – Non vedo l'ora di assistere. Sarà fantastico – aveva aggiunto Jen portando gli snack alla bocca.

    La voce improvvisa dell'assistente vocale lo fece trasalire di nuovo, richiamando dai suoi pensieri per riportarlo alla realtà.

    – Ci sono due nuovi messaggi. Si desidera riprodurli?

    – No – rispose Shawn, interessato a ciò che il notiziario stava trasmettendo. – E tieni la suoneria in modalità silenziosa.

    – …splosione provocherà al resto del globo. L'intento è quello di riattivare il nucleo della Terra, facendo sì che il pianeta ritorni nuovamente alla velocità originaria. Grazie alle strutture progettate dalla Excelsias Inc. la forza di gravità rimarrà invariata all’interno delle nostre città e, anche se per i primi anni saremmo ancora soggetti agli Sbalzi, alla fine quest'ultima verrà…

    – Ripristinata progressivamente – continuò Shawn.

    Ricordava uno strano evento accaduto una decina di anni prima. Durante un afoso pomeriggio di giugno aveva aperto il frigorifero per cercare una bottiglia d'acqua fresca. Il forte bisogno di dissetarsi e la foga con cui lo aveva fatto gli aveva fatto cadere il tappo della bottiglia, che era finito sotto il frigorifero. Probabilmente aveva imprecato, non ne era così sicuro, ma ciò che non riusciva a dimenticare era la facilità con cui era riuscito a spostare il frigo, sembrava che pesasse la metà. Solo poche ore più tardi, e dopo altri inutili tentativi di saggiare la sua forza, era venuto a sapere che l'evento aveva colpito tutto il globo per una manciata di secondi. Era stato il primo evento, e da quella volta le alterazioni gravitazionali avevano continuato a susseguirsi con sempre più frequenza. L'ASH aveva denominato questi strani eventi col nome di Sbalzi.

    – … domande al dirigente dell'Excelsias Inc., Cooper Martinez, il quale continua a rassicurare i cittadini sostenendo che i sistemi di sicurezza entreranno in funzione pochi giorni prima del Riassestamento, proteggendo le nostre città. Non sono mancate le dichiarazioni da parte del Sommum, il quale afferma che…

    – Comando. Spegni.

    Lo schermo olografico del Cluster-H sparì davanti ai suoi occhi.

    – Stronzate – ringhiò a mezza voce, nello stesso momento in cui l’immagine di Jen tornò a materializzarsi nella sua mente. La rivide distesa su quel letto d'ospedale, gli occhi chiusi, collegata ad un macchinario che le consentiva di restare in vita.

    Con gli occhi velati di pianto salì le scale e si diresse a passi lenti in camera, quella stessa camera in cui Jen aveva dormito più volte nel corso degli anni.

    Si avvicinò al letto, affacciandosi alla finestra per guardare il mondo all'esterno.

    – Comando! – disse ad alta voce, attivando l'assistente vocale. – Contatta Valiant.

    La voce femminile confermò la richiesta e stabilì una connessione.

    Shawn attese qualche secondo prima che il ragazzo rispondesse.

    – Valiant?

    – Shawn.

    Bastò solamente che il ragazzo pronunciasse il suo nome per farlo cedere. Si sedette sul letto, portando una mano davanti al viso.

    – Non riesco a crederci, Valiant – Balbettò a fatica. – È un incubo.

    – Lo so – sussurrò l’altro. – Posso fare qualcosa per te?

    – Quando… quando è morta?

    – Un'ora prima che io te lo dicessi – rispose con cautela. – Mi è stato riferito che non ha sofferto.

    Cazzate Shawn si massaggiò la tempia sinistra. Qualcosa pulsava senza sosta dentro la sua testa.

    – Shawn, so che vuoi stare da solo in questo momento. Ma sappi che puoi contare su di me, in qualunque caso. Sono tuo amico e…

    – Solo un favore – lo interruppe Shawn, stringendo i denti. – Dimmi dove l'hanno portata.

    – Al Willow Green. Posso inviarti la posizione se lo desideri.

    – So benissimo dove si trova. Ti ringrazio, Valiant.

    – Non dirlo nemmeno. Sai che se…

    – Si, lo so. Se avrò bisogno di te, lo saprai – tagliò corto, chiudendo la chiamata.

    Ancora una volta si era comportato da vera carogna con Valiant, sapeva di sbagliare, ne era consapevole, ma non riusciva a cambiare.

    Prima o poi si sarebbe fatto perdonare.

    Afferrò i jeans e la t-shirt da terra e si vestì.

    C'era di certo un motivo per il quale avevano portato Jen al Willow Green, e Shawn sapeva quale.

    Mordendosi il labbro inferiore si costrinse a muoversi. Voleva andare a vederla… un'ultima volta.

    Il corpo freddo

    Ore 11.21

    Le strade erano stranamente vuote per essere una giornata luminosa e serena. Avrebbe potuto prendere il MonoVelo, ma aveva bisogno di guidare e stare da solo. Per questo motivo la scelta era ricaduta sul suo mezzo, quella mattina.

    Entrambe le corsie di qualunque via erano sgombre. Vi erano solo pochi ciclisti e qualche sporadico guidatore.

    – Tutti pronti per il Riassestamento… – mormorò il ragazzo, stringendo il volante tra le dita. Guardandosi intorno non vide altro che desolazione. La città, che da sempre era abituato a osservare gremita di gente, appariva più come una metropoli fantasma.

    Sebbene mancassero poco meno di tre settimane, Shawn non era agitato. Non lo era mai stato, era come se l’evento non lo riguardasse, come se fosse qualcosa che aveva già vissuto mille volte e che era finito in un angolo remoto del suo cervello. Chiunque lo avrebbe preso per pazzo, non esisteva nulla di più importante del Riassestamento.

    Chiunque, però, non aveva appena perso la persona più importante della propria vita. O forse sì, ma a Shawn non poteva importare minimamente. In quel momento era lui ad aver ricevuto la sconvolgente notizia, non chiunque.

    Aveva deciso di volerla vedere, un’ultima volta, prima del trapasso.

    La volontà espressa dai Kirk, i genitori di Jen, per la figlia, era il ritorno allo stato primario.

    Shawn voleva vederla un’ultima volta prima che diventasse un mucchietto di ceneri. Voleva rivedere l’ovale del suo viso, accarezzarle i capelli scuri e perdersi nella piccola cicatrice che aveva sotto al mento.

    Quando arrivò al Willow Green, il grande obitorio cittadino, erano da poco passate le nove del mattino. Shawn scese dal suo mezzo e venne investito dalla soffocante temperatura esterna. Il caldo afoso fuori stagione era uno dei tanti effetti climatici che stavano flagellando il pianeta, qualcosa che nessuno aveva preso sul serio e che ora rendeva difficile stare all’aria aperta.

    Non appena mise piede all’interno dell’edificio, un cattivo odore di chiuso lo investì prepotentemente. Avanzò sul pavimento di lucido marmo nero all’interno di un salone deserto.

    Un uomo in camice bianco lo accolse alla reception con un buongiorno.

    – Salve, sono Shawn Walker. Sto cercando Twiski Kirk.

    L'uomo digitò qualcosa sulla sua tastiera, premendo poi il pulsante del proprio auricolare. Chiamò il nome desiderato e pregò Shawn di attendere in sala d'aspetto.

    Non era mai stato in un obitorio, non aveva idea di come funzionasse lì dentro o se gli operatori fossero come quelli dei presidi ospedalieri. Ciò che sapeva con certezza era che il Willow Green puzzava di morte.

    – Shawn – lo chiamò una voce maschile.

    D'istinto si voltò in quella direzione. Vide un ragazzo sui vent’anni; i capelli neri e arruffati gli conferivano un'espressione buffa ma contrastante con quella professionale associata agli occhiali da vista e al camice bianco.

    Shawn si alzò di scatto, senza distogliere lo sguardo da quello del ragazzo. Era di un pallore innaturale.

    – Ciao, Twiski – lo salutò, poggiando entrambe le mani sulle spalle del ragazzo. – Le mie condoglianze.

    Twiski ringraziò, chiuse gli occhi e espirò con tristezza.

    – Credo di sapere perché sei qui.

    – Giuro che non avrei mai disturbato se non fosse…

    Twiski annuì e gli fece un cenno per dirgli di seguirlo.

    Camminarono in silenzio per un lungo corridoio, mentre il rumore dei loro passi sembrava rimbalzare in ogni parete. Quando Twiski entrò nel suo ufficio, Shawn lo seguì richiudendo la porta alle sue spalle.

    – Ti ringrazio davvero per ciò che stai facendo – Shawn poggiò una mano sulla spalla del ragazzo.

    Twiski restò in silenzio e sistemò il camice sbottonato che indossava. Le borse sotto gli occhi e l'aria stanca gli segnavano volto.

    Shawn strinse la presa. Sapeva ciò che stava passando, perché lo stava provando lui stesso. Condividevano entrambi lo stesso dolore, anche se Jen era una sorella di sangue solo per Twiski.

    – Se vuoi parlarne, sai che ci sono.

    Twiski annuì.

    Shawn lo conosceva dal giorno in cui Jen era entrata a far parte della sua vita. Provava stima e affetto per quel ragazzo, ma sapeva che parlare di ciò che era successo, era l'ultima cosa che voleva.

    – I tuoi genitori? – domandò Shawn cercando di incrociare il suo sguardo.

    – Hanno detto che saranno qui prima del ritorno allo stato primario. Il Diretto parte domani. Spero solo che arrivino in tempo – sospirò piano. – Il mio superiore mi ha riferito che nel pomeriggio effettueranno l'autopsia, ma sappiamo entrambi qual è stata la causa.

    Sì, lo sapeva bene, e tutt’ora non riusciva a darsi pace.

    Shawn immaginò i signori Kirk in lacrime, consolandosi l'un l'altro in un abbraccio disperato alla notizia che la loro figlia era morta quella stessa mattina. Il solo pensiero lo riempì di disperazione.

    – Vorrei poter fare di più – sussurrò Shawn togliendo la mano dalla spalla del ragazzo. – Credimi, mi sento così inutile.

    – Mai come me. Ho visto mia sorella morire lentamente davanti ai miei occhi – Twiski, abbassò lo sguardo, strozzando l’ultima parola. – Non ho potuto fare nulla, se non osservare silenziosamente i medici che hanno cercato in tutti i modi di tenerla in vita. Sono rimasto lì, fino a quando non è stata dichiarata clinicamente morta.

    – Dev’essere stato terribile. Non avresti dovuto assistere a una cosa del genere. Perché l’hai fatto?

    – Sei sicuro di volerla vedere? – gli chiese Twisky ignorando volutamente la sua domanda.

    Se lo stava chiedendo da un intero giorno anche lui. Ne era sicuro? Voleva davvero vederla un’ultima volta per ricordarla nei giorni a venire come un corpo freddo disteso su un ripiano di una cella criogenica?

    L’incertezza si fece strada dentro Shawn, l’avrebbe ricordata nei momenti migliori della loro vita, lo avrebbe fatto per sempre. Ma non poteva non vederla, non lo riteneva corretto nei confronti di Jen. Al suo posto, lei avrebbe fatto la stessa cosa? Era sicuro di sì.

    Si guardò intorno: l’ufficio dove si trovavano, illuminato da una semplice luce a neon bianca, era molto piccolo, il giusto indispensabile era presente sulla scrivania. Appena oltre, una porta che dava sull’ampio e oscuro androne in cui vi erano le celle criogeniche, dentro le quali venivano riposti i corpi di coloro che erano deceduti per cause non naturali.

    Non naturali ripeté a mente, mentre una fitta di dolore lo colpì al petto.

    Shawn annuì in risposta alla domanda del ragazzo.

    – D'accordo. È nella fila 6, cella 17– Twiski, indicò la porta con l’indice. – Io aspetto qui.

    Shawn deglutì e annuì ancora una volta. Poggiò nuovamente la mano sulla spalla del fratello di Jen, e con non poca sorpresa, Twiski abbozzò un sorriso, uno di quelli spenti e forzati, ma che gli trasmise ugualmente gratitudine.

    Si allontanò dall’ufficio, attraversando l’uscita che Twiski gli aveva indicato, ritrovandosi all’interno dello stanzone freddo come la morte stessa.

    Guardandosi intorno cercò di individuare la cella contrassegnata dal numero 17. Il cuore gli batteva in petto. Girò su sé stesso, socchiudendo gli occhi e aggrottando la fronte. Infine la vide: fila 6, cella 17.

    Avvertì le mani tremare, dovette aprirle e chiuderle più volte prima che riuscisse ad alleviare quella vibrazione. Dopo un tempo che gli sembrò incredibilmente lungo, al punto che le parole scambiate con Twiski gli parvero appartenere ad una vita precedente, giunse di fronte alla cella criogenica. Poggiò il palmo della mano sul gelido metallo di cui era composto il portello, senza battere ciglio e non distogliendo lo sguardo da quel numero: diciassette. Era quindi quella l'attuale dimora di Jen? La cella 17? Avvertì un dolore allo stomaco che lo costrinse a togliere la mano da lì e afferrare la maniglia.

    Era davvero sicuro? Se lo domandò per l’ennesima volta, e la risposta fu nuovamente affermativa. La tirò con una forza pari alla tristezza che stava provando. Un’ondata gelida lo investì come un treno in corsa e per poco credette di cadere, che sarebbe crollato al suolo perdendo i sensi, talmente alta era la tensione. Forse sarebbe stata la cosa migliore, ma non avvenne.

    Lì, in quel rettangolo buio incavato nella parete, c’era un sacco nero. Ancora una volta lo colpì quel dolore allo stomaco che gli tolse il fiato. La sua testa girava vorticosamente, ma ciò non gli impedì di afferrare il carrello metallico e tirarlo fuori dalla cella.

    Vide una targhetta posta sul sacco, la scritta era a lettere maiuscole: JENNIFER KIRK.

    Ebbe la sensazione di star vivendo all’interno di un sogno, ma il gelo che provava sulla sua pelle, l’odore di gas refrigerante e il dolore che provava erano così reali da farlo restare con i piedi per terra.

    Sì, era proprio il suo nome. Tentò di deglutire, ma non ci riuscì: lo stesso nodo che quella mattina gli aveva stretto la gola aveva deciso di ritornare. Gli occhi erano già velati da una patina acquosa che sfaccettò la sua visuale come le molteplici facce di un cristallo.

    Non riusciva a muovere nessun muscolo, la sua mente glielo stava impedendo.

    Sei riuscito ad arrivare fin qui pensò contrastando il suo stesso volere. Avanti, abbassa quella cerniera e guardala bene.

    Chiudendo gli occhi, dai quali sgorgarono due lacrime che scivolarono sul suo viso, afferrò tra l’indice e il pollice la linguetta della zip tirandola in giù e aprendo il sacco nero. Facendosi coraggio e forza, riaprì le palpebre e la vide: i capelli castani avevano perso tutta la loro lucentezza, gli occhi chiusi davano l'illusione di un sonno non turbato, la sua pelle era bianca come la neve e fredda come il ghiaccio mentre le labbra, da sempre rosee, avevano assunto un colore violaceo.

    Jen era lì. Forse, si disse, aveva sperato fino alla fine che si trattasse di un incubo o di un drammatico errore. Aveva sperato che la sua amica fosse sopravvissuta e che in quel momento si trovasse sul letto di un ospedale in riabilitazione.

    Non esisteva più, però, alcuna speranza. Era tutto reale. Mille pensieri gli balenarono in mente, mentre accarezzava dolcemente i capelli di Jen; nonostante avesse davanti a sé il corpo della sua migliore amica, non riusciva ancora a crederci. Le tre parole ‘morte’, ‘non’ e ‘naturale’ continuavano a ronzargli in testa.

    Sei soddisfatto?

    – No – sussurrò impercettibilmente, continuando ad osservare il corpo senza vita della sua migliore amica.

    L’indecisione

    Ore 13.24

    Non riusciva a ricordare quando fosse stata l’ultima volta che aveva visto un cadavere. Aveva visto i corpi dei suoi genitori quando erano morti? Non riusciva a ricordarlo, come se qualcosa avesse eliminato quelle memorie. In quel momento però non gli diede molto peso, chiedendosi se fosse stato corretto vedere il corpo della sua migliore amica.

    Le ultime due ore erano state terribili.

    Vedere il cadavere di Jen era stato terribile, si sentiva come se degli artigli lo avessero dilaniato dall'interno, riducendolo a un guscio vuoto. A ciò si aggiungeva la consapevolezza che nessuno avrebbe pagato per quella morte. Non riusciva a farsene una ragione.

    Si stava rendendo conto che la sua vita era sempre dipesa da Jen. Quando Valiant gli aveva dato la notizia, ma soprattutto quando lui l’aveva vista, era morta anche una grossa parte di sé.

    E adesso? Cosa sarebbe rimasto?

    Un involucro, che conteneva solo la sua strana voglia di vivere per inerzia. Viveva perché doveva farlo, non perché gli piacesse.

    Uno strano desiderio si stava facendo strada dentro di sé, inarrestabile come il suo S_Ruler che Shawn stava guidando a tutta velocità, ben oltre il limite consentito. Niente ostacoli di alcun tipo, nessun codice da rispettare e nessuna intenzione di riflettere sul poter essere un pericolo pubblico.

    Non gli importava più niente. Cosa poteva contare dopo quella giornata?

    Valiant gli disse una vocina ragionevole dentro la sua testa. Quel ragazzo prova qualcosa per te e lo sai.

    Avrebbe voluto ignorare quella voce che affiorava tra i suoi pensieri, incontrollabile come quella di una seconda personalità.

    Valiant.

    Cercò di focalizzare l’attenzione su ogni particolare del ragazzo: i capelli castano chiari, il fisico atletico e gli occhi azzurri come il cielo. La voce dolce e il carattere allegro del ragazzo, totalmente opposto al suo. I baci, gli abbracci, i momenti di intimità a letto. Stava bene con lui, eppure non riusciva a legarsi, non avrebbe mai potuto provare qualcosa per lui.

    Si sforzò, ma senza risultato.

    Il dolore per Jen non voleva abbandonarlo. La sua mente era annebbiata e Shawn vi si era perso dentro, non trovava più la strada della ragione.

    Oltrepassò a grande velocità il cartello che salutava tutti i visitatori della sua città, informandoli che da quel

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