Perché sfuggo all’amore?: Il dolore è un talento
Di Viola Conti
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Ma in quella tranquillità perfetta e sempre uguale, fatta di routine e priva di quegli slanci di fantasia di cui un amore si nutre, Micol si sente segretamente soffocare.
Quando il destino le fa incrociare lo sguardo di Flavio, di cui il soprannome il Vichingo racconta ogni cosa, esplode una violenta passione clandestina, accesa di sensualità e di curiosi giochi mentali. Flavio è agli antipodi di Alberto, sfacciato, aggressivo, sfuggente, ogni momento con lui è una sfida imprevedibile ma inebriante.
Micol si ritrova lacerata tra due opposti, in cerca di un equilibrio impossibile e della determinazione per compiere una scelta definitiva, mentre i sensi di colpa la divorano e la confusione non fa che crescere.
Una storia vivace e di grande acutezza che sa raccontare le sfumature complesse di un sentimento universale, quel bisogno di completezza e insieme il desiderio di brivido che si vorrebbero sempre al centro di un rapporto sentimentale.
A illuminare il racconto con una interpretazione psicologica, un saggio chiaro e divulgativo sulle organizzazioni di personalità, con un focus particolare sulla personalità depressiva detta abbandonica, che per la paura della solitudine indossa maschere reprimendo se stessa nel tentativo di aderire alle aspettative altrui.
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Anteprima del libro
Perché sfuggo all’amore? - Viola Conti
1
Libeccio e Tramontana
L’aveva fatto in mille pezzi, quel bastardo! Sarebbe stato inutile cercare di rimetterli a posto tutti, avrebbe solo allungato l’agonia del mio cuore esanime.
Non mi sarei mai immaginata una fine così penosa per la nostra folle storia, che era stata un ultimo giro di giostra nella stagione della mia giovinezza: con il passare dei giorni si spegneva, cedendo il passo alle rughe e alla noia della convivenza con Alberto.
Flavio lo conobbi una sera in un open bar molto trendy del centro, una delle rare volte in cui uscii senza il mio fidanzato, che odiava quel genere di ambiente che, specialmente dopo la mezzanotte, si faceva ancora più buio e rumoroso del solito. E quella sera fu sollevato nel lasciarmi andare da sola con le amiche.
Mi aveva invitata Federica per il suo compleanno e non potevo dirle di no. Ci conoscevamo dai tempi delle scuole medie e, a differenza di altre pseudo amiche, lei non mi aveva mai tradita. Mi era stata vicina durante la mia prima storia d’amore con Giacomo, mi aveva poi accolta a casa sua ai tempi dell’università, quando una volta litigai ferocemente con i miei per aver accettato un misero diciotto all’esame di Letteratura italiana, e mi aveva sempre asciugato le lacrime quando cadevo nelle mie continue paranoie, pensando di non essere abbastanza forte per affrontare le prove più difficili della vita. E Alberto, ancora prima di Flavio, fu la prima di queste.
Me lo fece conoscere lei a una cena con gli amici di Simone, il suo ragazzo. Era studente alla facoltà di Ingegneria a Milano, ma poi si era trasferito con la famiglia a Pisa, per il lavoro di suo padre, pilota alla base militare americana di Camp Darby. Era l’immagine del bravo ragazzo, misurato in tutto, metodico, equilibrato, paziente. Insomma, il classico ingegnere, o meglio, futuro ingegnere. Il suo libretto universitario era una sfilza di trenta, anche con lode, e nonostante i suoi fossero separati e li vedesse poco, ne parlava sempre bene, come se fossero stati i migliori genitori al mondo. Sembrava non avere mai problemi, raramente alzava la voce o diceva qualcosa di stupido, fuori luogo, anche soltanto per scherzare. Scansava le provocazioni e sempre, prima di intervenire con gesti e parole in ogni tipo di situazione, analizzava come uno scienziato nel suo laboratorio ogni comportamento altrui senza farsi trascinare dalle emozioni.
L’unica volta in sette anni in cui lo vidi quasi perdere il controllo fu quando, dopo pochi mesi che abitavamo insieme, portai a casa Bubu, un meticcio del canile. E il motivo non fu tanto quello di aver portato un cane a casa senza chiedergli prima se fosse d’accordo, quanto il fatto che il cucciolo, per l’emozione di trovarsi in una nuova casa, innaffiò di pipì il divano a isola del soggiorno, e lui, rincasando dall’ufficio, distrattamente ci si sdraiò beato, poggiandoci pure la documentazione tecnica del suo ultimo progetto che avrebbe dovuto consegnare l’indomani al suo capo.
Amore! Mi spieghi perché il divano è completamente bagnato? Pensavi di lavarlo a secchiate d’acqua, o imprudentemente volevi cercare di pulire il lampadario e ti è caduto il secchio dalla scala? Lo sai che le faccende domestiche non sono mai state il tuo forte, te l’ho sempre detto, devi lasciare fare all’uomo di casa! La prossima volta che ti metti a fare la bella lavanderina, almeno copri i mobili con un lenzuolo o del cellophane. Se proprio non te lo ricordassi, trovi tutto l’occorrente sul terzo ripiano del ripostiglio.
In realtà è stato Bubu a bagnare il divano, ma non di acqua.
Bubu? E chi sarebbe? Il ragazzo filippino che hanno preso per le pulizie del condominio? Non dirmi che meschinamente l’hai adescato subito per farti dare una mano in casa.
No, è il meticcio che ho preso oggi al canile.
Eh?
Amore, è tanto che ti dico che voglio un cane, e quando Federica mi ha detto che la sua amica Angela del canile ne aveva uno dolcissimo e ancora cucciolo, sono andata a vederlo, ed è stato proprio un colpo di fulmine!
Sei sempre la solita testona, alla fine fai sempre come ti pare. E poi un meticcio, non era meglio un Chihuahua? Ne avrebbe fatta sicuramente meno! Che disastro, guarda si sono macchiati tutti i miei documenti! E ora che gli dico al capo? Che è soltanto pioggia dorata del mio Bubu?
Neanche se ne accorgerà. Vai a prendere il phon. Male che vada, gli dirai che inavvertitamente ci hai versato sopra un po’ di tè.
"Ci passo male, è una cosa poco professionale, sono documenti ufficiali. E poi sappi che Bubu è un nome che