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Due Tiri
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E-book146 pagine2 ore

Due Tiri

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Info su questo ebook

Patrizio trascorre indenne l’adolescenza, tra competizioni sportive e rivalità nella compagnia di amici. Ama le carte e sfidare il gioco, fino a quando il gioco gli ruberà l’anima e lo porterà al mutamento. Durante gli anni dell’università, in una città diversa, cambia soprannome e pelle, diventando ciò che non è. Negli anni ‘90 tutto è possibile, e perdersi in notti sbagliate farà esplodere il suo primo universo. Scappa per non morire, ritrovandosi sopra una panchina a leggere i quotidiani del giorno prima, vicino al negozio di Meg e all’edicola di Mario. E sarà adottato da un cane, che lo accompagnerà nella nuova vita di senzatetto-filosofo.
Un romanzo di formazione dove l’ironia leviga le vicende drammatiche che capovolgono l’esistenza del protagonista.

L'autore
Stefano Lunedei, insegnante riminese nato nel 1963, è al suo sesto libro.
Nel 2000 ha pubblicato il primo volume di poesia, Graffi di Lune, e in seguito altre tre raccolte per Raffaelli editore. Nel 2001 Piacere imperfetto, nel 2005 Un nudo pugnale e nel 2012 solovolinuovi, premiato con una segnalazione al concorso internazionale “Mario Luzi”. Nel 2015 esordisce in narrativa con una raccolta di racconti, Come cinque stagioni, Italic Pequod edizioni. Questo è il suo primo romanzo.
LinguaItaliano
Data di uscita2 ago 2018
ISBN9788898275755
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    Anteprima del libro

    Due Tiri - Stefano Lunedei

    Barbone

    Seconda prima vita

    Il primo giorno nel nuovo universo, Patrizio lo passò camminando. Passeggiò per il paese, scoprendo con gioia che dal centro si arrivava al mare in cinque minuti.

    Sembrava il posto perfetto per il secondo atto della tragicommedia. Vide i giardini pubblici, piccoli ma curati, la piazza centrale con i portici e il teatro sormontato da un grande orologio. La sera decise di stendere il sacco a pelo proprio sotto i portici, vicino al palazzo comunale. Non fu difficile addormentarsi, nonostante il freddo e una certa inquietudine. Era nuovo del mestiere.

    Lo svegliarono i camion dei netturbini che pulivano le strade con brevi getti d'acqua. Decise di alzarsi, aprì la birra che aveva comprato in un alimentari e si accese la prima sigaretta. La colazione dei campioni, l'aveva battezzata, in onore di un libro che aveva letto ai tempi del liceo.

    Ripensò a quanto gli piacesse leggere, in quegli anni, e di come avesse sperperato tutte le passioni per sostituirle con dei vizi che lo avevano distrutto.

    Ci vuole del talento per farsi così male – si disse.

    Il giorno successivo ebbe delle crisi d'astinenza, vomitava all'improvviso, e momenti d'angoscia feroce: fedeli amici che gli avrebbero fatto compagnia per settimane.

    Dopo una lunga passeggiata in spiaggia si rifugiò per la notte sopra le assi di un cantiere edile, all'interno di un'impalcatura a tre piani protetta da una rete verde. Stavano lavorando per la ristrutturazione di un palazzo e gli sembrò un posto perfetto. Quella sera scelse il secondo piano del castello, odiava dormire ad altezza terra.

    Pensò che si sarebbe svegliato prima dell'arrivo dei muratori, invece non sentì neanche il rumore del camion e fu dolcemente destato da una pedata nelle costole.

    E tu cosa ci fai nel nostro cantiere, ragazzo?

    Capirono subito che non era pericoloso, anche se notarono la bottiglia di birra accanto al sacco a pelo. Erano albanesi, e Paolo, il loro capo, parlava un italiano irreprensibile.

    Come ti chiami? Hai perso le chiavi di casa dopo la sbronza?

    Cominciarono a prenderlo in giro ma poi si presentarono, offrendogli da fumare.

    Spiegò che era appena arrivato da un altro universo, che aveva deciso di vivere in strada e che non si meritava più un nome, poiché nel primo mondo si era suicidato. Davanti alle bocche spalancate, aggiunse che sentiva di poter essere felice nel suo secondo universo.

    In fondo, siamo uguali: anche voi, venendo in Italia, avete cambiato mondo e preso altri nomi. Mi sbaglio?

    Lo guardavano come se fosse un alieno. Gli fecero un mucchio di domande ma lui non disse granché.

    Sappiate che tutte le cazzate che si fanno da ragazzi io le avevo trasformate in un mestiere, poi mi sono licenziato. Ora scusatemi, è il momento della colazione, il pasto più importante: la colazione dei campioni.

    E cosa mangi, campione?

    Una birra e due o tre sigarette di fila, quando le ho, e poi sono pronto per una nuova giornata: ho un sacco di cose da non fare.

    Qualcuno rise, poi iniziarono a scaricare gli attrezzi e il materiale dal camion mentre Paolo rimase con lui.

    Sai, ragazzo, non credo che quella roba ti faccia bene, alla lunga; sei così giovane, avrai l'età di mio figlio.

    Non si dia pensiero per me, non ho intenzione di vivere per sempre.

    L'uomo scuoteva la testa, preoccupato. Ascolta, se non trovi di meglio, puoi venire a dormire qui ogni sera, finché non abbiamo finito. E dammi del tu, qui in cantiere funziona così.

    Lei è gentile ma non merito intimità e preferisco eliminare il tu. Quello del tu era il mio primo universo, dove eravamo arroganti morti viventi che bruciavano nell'inferno che avevano creato.

    Ragazzo, sei strano e parli strano. Io non ti capisco, ma non bere troppo.

    E mangia qualcosa. Hai bisogno di soldi?

    No, la ringrazio, ho ancora qualcosa. Oggi mi sembra tutto meraviglioso; mi sdraierò sopra una panchina, accenderò una sigaretta e aspetterò che passi.

    E sorridendo soddisfatto si allontanò senza fretta.

    Alla fine delle giornate il ragazzo andava a dormire nei cantieri degli amici albanesi, che gli davano un po' di euro al giorno come custode del castello. Grazie alla sua presenza, infatti, lasciavano gli attrezzi pesanti e altro materiale in loco, risparmiandosi un po' di carico e scarico.

    Paolo lo aveva preso in simpatia.

    Ehi, non ti stufi a non fare niente? Non ti senti mai solo? Non ti mancano amici, una donna?

    In verità non mi mancano, signor Paolo. Tutte le volte che mi sono sentito solo ero in compagnia e quando avevo bisogno di me ero sempre in giro a far finta di stare bene.

    L'uomo scuoteva sempre la testa. Parli strano, ragazzo. Sai, abbiamo molto lavoro e forse un'altra persona mi potrebbe servire. Ti piacerebbe lavorare con noi?

    Lei è gentile ma se avessi un lavoro avrei anche uno stipendio e con dei soldi non so se riuscirei a non giocare a carte. È un attimo trovare un tavolo da poker clandestino. Nella mia vita precedente ho imparato che, ovunque tu viva, non sei a più di cinquanta chilometri da una casa da gioco e da una bustina di coca. Le emozioni del gioco sono indescrivibili e io non potevo farne a meno. Non ricordo la gente ma quelle sensazioni le ricordo bene e mi mancano, purtroppo. Con un po' di soldi resistere sarebbe una fatica terribile, starei sempre a pensarci. Ora con il mio salario di custode – disse ridendo – posso solo permettermi un panino e la birra e con le sigarette che scrocco mi sento un signore, padrone del tempo e della vita.

    Paolo fumava nervoso e sbuffava.

    Lo so, lei non mi capisce. Chi non ha provato una dipendenza, non sa. Perché se parlo di libertà qualcuno capisce crudeltà? E verso chi, poi? Nessuno soffre per me e io sono in pace. Le confido una cosa: ho una famiglia ma i miei mi hanno ripudiato, giustamente. Ogni tanto telefono a mia sorella e dico che sto bene, per tranquillizzare tutti. Non si dia pena per me, non sono mai stato meglio.

    Quella notte si era già infilato nel sacco a pelo al secondo piano del nuovo castello, quando si accorse di un'ombra immobile all'ingresso di un palazzo. Guardò bene: un gatto.

    Un grosso gatto fermo come una statua, con lo sguardo fisso verso la strada. Forse stava seguendo le mosse di un topo e si preparava all'attacco.

    I fari di una macchina illuminarono la scena e accesero lo scintillio negli occhi del gatto, che si alzò lentamente.

    Fu un attimo.

    Mentre la macchina si avvicinava l'animale fece un balzo in avanti. Si udì un tonfo, un piangere di freni e poi un silenzio irreale. Il paraurti lo aveva scaraventato al centro della via, proprio sotto il ponteggio del cantiere.

    Una ragazza con vestito corto e tacchi lunghi uscì dalla macchina e si chinò sopra il corpo rossastro del gatto.

    O merda merda merda l'ho ammazzato, disse piano, dopo aver dato un colpetto al cadavere con la punta della scarpa.

    Si guardò attorno, risalì sulla macchina e in retromarcia tornò all'incrocio, per poi prendere un'altra strada.

    Il ragazzo non era riuscito a dire nulla.

    Scese giù, prese il gatto, che aveva il collo spezzato, e lo portò nei suoi appartamenti.

    Gatto matto, ma che ti ha preso? Se non fosse assurdo sembrerebbe che tu l'abbia fatto apposta, ma i gatti non si tolgono la vita. Dov'è finito l'istinto felino?

    Lo accarezzava sul muso, come per risvegliarlo da un brutto sogno. Ora stai partendo per un altro universo, come ho fatto io. Magari è solo una delle tue tante vite, e spero tu possa rinascere e trovare la pace. Tutti hanno diritto a una seconda chance. Servirà un nuovo nome anche a te: grosso come sei, mi fai venire in mente un bufalo in miniatura, e allora ti battezzo Tatanka. Forse sei il primo animale battezzato dopo la morte ma non me ne frega niente. Domani notte prendo in prestito una pala, ti porto nel bosco e ti seppellisco sotto un grosso albero, povero Tatanka.

    Buffo, pensò il ragazzo, ho ricominciato a usare il tu per parlare con un gatto morto. Un po' mi manca: magari domani ci riprovo con i bimbi dei giardinetti.

    Intanto l'alba srotolava sulla città il suo drappo viola.

    Prese la bottiglia di birra e una sigaretta intera, per l'occasione; brindo a te, mio nuovo amico morto, fai buon viaggio.

    Si lasciò sorprendere dal primo raggio di sole. Sorrise, senza gioia.

    È l'ora del mio pasto preferito – pensò – la colazione dei campioni.

    Prima vita

    Era nato bene, Due Tiri.

    I genitori non erano ricchi ma possedevano l'appartamento dove abitavano, una macchina con posto-auto nel garage del palazzo e d'estate si regalavano dieci giorni di vacanza in montagna. Negli anni Sessanta, quando nacque Patrizio, significava essere dei piccoli borghesi e non avere titolo al lamento.

    Il padre insegnava fisica in un istituto tecnico e la madre era aiuto farmacista part-time. Il nucleo includeva una sorella più grande di cinque anni e nessun animale domestico, considerato un inutile sfoggio di benessere, quasi cafone. E comunque le regole condominiali lo proibivano.

    L'Imperatrice madre controllava tutto e tutti, con grande severità, nemica di ogni spreco, sia economico sia affettivo. Alta, austera, era il motore, il cuore pulsante di una band vincente.

    Fino all'incidente.

    Marta, la sorella di Patrizio, era in macchina con l'amica R., ferme al casello di ritorno da B., dove frequentavano il secondo anno di università. Mentre l'amica cercava il portafoglio, Marta aveva notato che, dalla macchina dietro, quattro ragazzi gesticolavano per farle accostare. Fece un gesto di diniego, con un mezzo sorriso. Non erano due brutte ragazze – dentro una macchina, tutti sembrano più belli – ed erano abituate agli abbordaggi disperati. Ripartirono un po' lentamente, R. stava armeggiando con la borsa e i soldi del resto, e fu fatale. I ragazzi riuscirono ad affiancarle, urlando di fermarsi. Le due amiche cercarono di allontanarsi velocemente, prendendo per prime lo stretto cavalcavia a doppio senso. La macchina dei quattro tentò di infilarsi in mezzo alla strada mentre un'altra vettura stava arrivando nel senso opposto. Fu un attimo. R., che aveva la patente da poco più di un anno, sterzò bruscamente per farli passare ma non riuscì a rientrare e la macchina cadde di sotto, con un volo di parecchi metri.

    Marta ebbe la peggio: fu salvata da un automobilista che le tirò fuori la lingua, mentre R. gridava dal dolore. La macchina dei ragazzi sparì e nessuno prese la targa. Marta entrò in coma, oltre a spaccarsi le gambe, e così la tennero per due settimane, sedata.

    Due Tiri ricordava perfettamente quelle ore: erano a tavola, aspettando sua sorella, quando arrivò la telefonata di un poliziotto. L'Imperatrice, in piedi vicino ai fornelli, prese il telefono e mandò un suono sommesso e terribile, come una lacerazione di tessuti interni, poi disse, va bene, arriviamo, grazie, e tornò al tavolo. La fissavano con le forchette a mezz'aria. Marta e R. hanno avuto un incidente, sono all'ospedale. Andiamo. E stava già infilandosi le scarpe, dopo aver messo in frigo la padella con il cibo.

    Fino all'incidente, per Due Tiri la sorella era solo una secchiona che non lo considerava, con l'unico merito di avergli fatto conoscere la pallacanestro, snobbata in favore del dio calcio.

    Lei faceva parte della squadra cittadina e non era male ma soprattutto era compagna di F., una giocatrice fenomenale. Patrizio andava a vedere tutte le partite e s'innamorò di quella piccoletta incarognita che correva come una saetta e

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