Lavoro, salariato e capitale
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Nella nostra attuale società capitalistica, la forza-lavoro è una merce, una merce come ogni altra, ma ciò nonostante una merce tutta affatto speciale. Essa ha cioè la proprietà specifica di essere forza produttrice di valore, di essere fonte di valore, anzi di essere, se viene impiegata in modo appropriato, fonte di un valore maggiore di quello che essa possiede.
Nello stato attuale della produzione la forza-lavoro dell’uomo non solo produce in un giorno un valore superiore a quello che essa possiede e a quello che costa; a ogni nuova scoperta scientifica, a ogni nuovo perfezionamento tecnico questa eccedenza del suo prodotto giornaliero sul suo costo giornaliero aumenta, cioè si riduce quella parte della giornata di lavoro in cui l’operaio produce l’equivalente del suo salario, e si allunga perciò d’altro lato quella parte della giornata in cui egli deve regalare al capitalista il suo lavoro senza essere pagato.
Karl Marx
Karl Marx (1818–1883), dessen Eltern beide aus bedeutenden Trierer Rabbinerfamilien stammten, studierte nach dem Abitur zunächst Jura in Bonn, wechselte aber ein Jahr später nach Berlin, wo er früh zu den Linkshegelianern um Bruno Bauer stieß. Nach der Promotion 1841 wurde ihm von der preußischen Regierung aus politischen Gründen der Eintritt in eine akademische Laufbahn verwehrt. Er wurde Herausgeber der liberalen Rheinischen Zeitung, musste allerdings bereits 1843 angesichts der preußischen Zensur nach Paris und später nach Brüssel emigrieren. In Paris begann Marx, sich mit politischer Ökonomie zu beschäftigen, und entwickelte in Kritik an den französischen Sozialisten einen eigenständigen politischen und philosophischen Standpunkt. Mit Friedrich Engels, der 1845 mit ihm nach Brüssel ging und ihn zeitlebens auch finanziell unterstützte, verband ihn eine lebenslange Freundschaft sowie enge politische und publizistische Zusammenarbeit. Im Revolutionsjahr 1848 verfassten Marx und Engels für den »Bund der Kommunisten« das Manifest der Kommunistischen Partei. Zeugnis der politisch-ökonomischen Studien der Pariser Zeit sind die aus dem Nachlass herausgegebenen Ökonomisch-philosophischen Manuskripte (PhB 559). 1849 wurde Marx als Staatenloser aus Brüssel ausgewiesen und ging nach London. Am Kapital (1. Aufl. 1867), in dem Marx aus der Kritik der klassischen politischen Ökonomie die Mehrwert- und Ausbeutungstheorie als Theorie der Akkumulation des Kapitals entwickelte, arbeitete er bis zu seinem Tod beständig weiter. Marx, der neben seiner politischen Tätigkeit ein gewaltiges publizistisches Werk verfasst hat, ist der einflussreichste Theoretiker des Kommunismus. Seine Schriften prägten die Arbeiterbewegungen des 19. und 20. Jahrhunderts weltweit.
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Anteprima del libro
Lavoro, salariato e capitale - Karl Marx
Titolo originale: Lohnarbeit und Kapital
Traduzioni di Fausto Codino e Palmiro Togliatti
© 2024, 1960 Editori Riuniti – Roma
di Gruppo Editoriale Italiano S.r.l. – Roma
www.editoririuniti.it
ISBN 978 88 359 8240 1
I edizione in versione ebook maggio 2024
I edizione cartacea in questa nuova collana marzo 2024
È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno o didattico, con qualsiasi mezzo effettuata, non autorizzata.
Indice
Prefazione di Vincenzo Vitello
Introduzione di F. Engels
Lavoro salariato e capitale
I
II
III
IV
V
Appendice
Salario
Discorso sulla questione del libero scambio
Copertina dell’edizione tedesca del 1891
Prefazione
Questo opuscolo, scritto più di un secolo fa (1849), riproduce una serie di conferenze tenute agli operai, nelle quali Marx aveva esposto in forma popolare alcuni concetti fondamentali sulla determinazione del salario, sulla natura del capitale, sul valore e sul prezzo delle merci e sui rapporti tra capitale e lavoro salariato nella moderna società borghese. Come Engels ricorda nella sua Introduzione, le tesi sostenute da Marx in questo opuscolo furono ulteriormente sviluppate e precisate nel corso «della evoluzione mentale dell’autore» soprattutto nella sua opera maggiore Il capitale, in cui è contenuta l’analisi più approfondita del sistema capitalistico di produzione.
Anche questo scritto, tuttavia, ha resistito al tempo e si presenta tuttora come un modello di esposizione divulgativa, in cui la chiarezza e la semplicità del linguaggio sono accoppiati al rigore dell’analisi scientifica. Se ci chiediamo qual è il motivo per cui, alla distanza di più di cento anni, un opuscolo come Lavoro salariato e capitale – apparso per la prima volta sulle colonne della Neue Rheinische Zeitung (rivista diretta da Marx) – conserva la sua originaria freschezza e vitalità di pensiero in un’epoca come la nostra, la sola risposta che si possa dare è che in esso sono analizzati, con tutta la profondità di cui era capace Marx, i fondamenti sui quali è sorto e si è sviluppato il contrasto storico più rilevante del mondo borghese: la lotta di classe del proletariato moderno contro la schiavitù del capitale. L’analisi delle radici economiche di tale contrasto, fatta qui da Marx, resta valida ancor oggi, perché essa coglie la natura specifica del rapporto tra capitale e lavoro, che caratterizza la vita stessa del mondo borghese contemporaneo. È, però, qualcosa di più, che va oggi rilevato; ed è che questa analisi teorica dei rapporti di produzione della società borghese è stata verificata e confermata da tutta la storia delle lotte di classe che sono sorte e si sono sviluppate sulla base di quei rapporti economici che Marx, appunto, cercò di mettere a nudo già in Lavoro salariato e capitale e più tardi, in modo più completo e approfondito, nel Capitale.
Questa verifica storica è della massima importanza. È essa, e solo essa, che dà un criterio preciso di valutazione delle teorie che hanno come oggetto d’indagine la società, o meglio una determinata società come la nostra. Ciò occorre dire soprattutto oggi, per la pretesa che taluni nutrono circa una presunta coerenza formale della teoria, indipendente da qualsiasi verifica storica della sua correttezza.
Ma ciò che costituisce la «forza» della teoria di Marx come il lettore può agevolmente constatare scorrendo le pagine di Lavoro salariato e capitale – è il fatto che la coerenza del ragionamento scientifico (la sua validità formale
) si accompagna indissolubilmente al realismo delle ipotesi formulate; sicché l’analisi dei rapporti economici del sistema borghese di produzione, di cui il rapporto tra lavoro salariato e capitale costituisce l’elemento caratterizzante, è sempre un’analisi dei rapporti reali di produzione, dei nessi più intimi e degli elementi tipici del capitalismo moderno.
Un semplice confronto con il metodo dell’economia borghese nel trattare il rapporto tra lavoro salariato e capitale, può chiarire facilmente in che cosa consiste la superiorità del metodo marxista, e spiegare al tempo stesso la ragione più profonda della verità della teoria di Marx.
Come considera l’economia borghese il rapporto tra capitalista e lavoratore? Essa lo considera semplicemente come uno scambio tra un certo ammontare di lavoro (prestazione del lavoratore) e una certa somma di denaro (salario), alla stessa stregua cioè di qualsiasi altro tipo di scambio tra merci differenti. Il rapporto tra capitalista e lavoratore salariato è concepito, pertanto, come un qualsiasi rapporto di scambio nell’ambito della circolazione delle merci: il "lavoro" è scambiato contro il salario nello stesso modo in cui un oggetto qualsiasi della produzione capitalistica viene scambiato in un certo rapporto con un altro oggetto. La superficialità di questo modo di considerare tale rapporto consiste nel fatto che esso è visto come un rapporto tra cose materiali che tra loro si scambiano, al livello cioè del semplice scambio delle merci, senza indagare la vera sostanza di questo rapporto tra capitale e lavoro salariato, che costituisce la base stessa del sistema capitalistico. Che cosa dà il lavoratore al capitalista in cambio del salario? Il suo "lavoro", risponde in genere la teoria borghese. E se chiedete in che cosa consiste il profitto, che il capitalista ricava facendo lavorare nella sua fabbrica per un certo periodo di tempo quel lavoratore, si risponderà immancabilmente nello stesso modo: "il profitto è la differenza tra il suo ricavo totale e il costo totale". Nei testi correnti di economia a questo in sostanza si riduce ciò che vien detto sul profitto del capitalista: è una semplice differenza! Ma, dove sorge esso? Come si forma e quale ne è la vera fonte? Inutilmente cercherete una risposta a questi imbarazzanti quesiti in ogni buon testo corrente di teoria economica.
Ciò che sfugge
all’economista borghese è qui precisamente, e non a caso, la sostanza del rapporto tra capitale e lavoro, che caratterizza la natura del sistema borghese di produzione. In che consiste questa sostanza?
Marx fu il primo teorico dell’economia moderna che scoprì e mise a nudo, con la straordinaria forza della sua analisi critica, il fondamento reale su cui poggia tutta l’impalcatura del sistema economico borghese: il tipo specifico di rapporti che nella produzione (e non solo nella sfera dello scambio) si stabiliscono tra la classe dei proprietari dei mezzi di produzione e la classe dei proletari, di coloro che per vivere debbono vendere l’unica merce che possiedono, la forza-lavoro (o capacità lavorativa). Egli svelò "l’arcano" della produzione capitalistica, ciò che sta al fondo di quell’apparente scambio tra lavoro
e salario, e che spiega la vera sorgente del profitto capitalistico, del suo crescente accumularsi e quindi la ragione intrinseca dell’espansione del capitale, le leggi del suo movimento e il suo dominio su tutta la vita della società borghese.
Marx era partito nella sua «critica dell’economia politica» (che al tempo stesso è critica del sistema economico borghese) dal punto più alto cui era arrivato il pensiero economico del suo tempo, dall’economia classica che aveva avuto in Inghilterra i suoi massimi rappresentanti: A. Smith e D. Ricardo in particolare. Il suo rapporto con questi economisti è altamente istruttivo. Rappresentanti della borghesia ascendente, essi avevano elaborato delle teorie economiche che tendevano a penetrare nella «struttura intima dei rapporti di produzione capitalistici», come rilevò Marx, il quale ne apprezzò la «spregiudicatezza scientifica» ponendo, al tempo stesso, in rilievo i limiti e le insufficienze relative soprattutto alla loro incapacità di rendersi conto delle contraddizioni interne al sistema economico borghese. Si trattava, in parte, di limiti storici oltre che ideologici in senso stretto. Ma quale differenza tra la loro costruzione teorica – l’analisi del valore, del salario e del profitto, del capitale e della rendita – e gli schemi tecnico-formali di gran parte della teoria economica moderna! L’economia politica classica si distingue dalla successiva linea di sviluppo del pensiero economico (quella che Marx chiamò «economia volgare») soprattutto per il fatto che essa cercò di indagare i rapporti economici tra le classi della società borghese e quindi le relazioni tra le grandi categorie di redditi (salari, profitti e rendite) senza velare la realtà più profonda dei fenomeni economici del periodo iniziale di sviluppo del capitalismo. Marx apprezzò molto, ad es., l’onestà intellettuale con cui Ricardo riconobbe; in una successiva edizione dei suoi Principi di economia politica, che le macchine producono disoccupazione e che la loro introduzione su una scala sempre più vasta poteva «peggiorare le condizioni dell’operaio». Questa analisi spregiudicata ed acuta (che procurava a Marx nel leggere le pagine di Ricardo un «godimento teoretico») fu sostituita in seguito, nelle opere degli economisti posteriori alla scuola classica inglese, da sistemi di teoria economica che in genere si limitavano a generalizzare gli aspetti superficiali ed esteriori dei fenomeni economici, senza coglierne il movimento più profondo al livello dei rapporti capitalistici di produzione. La teoria del valore lavoro che fu alla base dell’economia classica, secondo la quale il valore delle merci è dato dalla quantità di lavoro in esse incorporato¹, fu abbandonata e sostituita dalla teoria soggettivistica dell’utilità marginale, in base alla quale il valore non è dato dai costi di produzione, come per i classici, ma dalla valutazione personale, da parte del soggetto economico, della soddisfazione che gli procurano le ultime unità consumate di date merci².
E così pure fu abbandonata la ricerca che costituì, invece, il punto nodale dell’analisi di Marx nello sviluppo e nella critica delle posizioni scientifiche acquisite dalla scuola classica: la ricerca dell’origine di quel sovrappiù, o «plusvalore», in cui si erano imbattuti gli economisti classici, senza peraltro riuscire a rendersene pienamente conto. Essi, infatti, avevano trovato nel corso della loro analisi del valore che, confrontando i costi di produzione di una mercé col suo valore complessivo, rimaneva un "dippiù", una parte cioè di valore, eccedente il valore esistente al momento iniziale della produzione di quella data merce. Donde proveniva quello che anch’essi chiamarono «plusvalore»? Il fatto era della massima importanza, ma nella pratica industriale del tempo (inizi dell’800) in base alla quale si credeva comunemente che il fabbricante desse all’operaio un salario in cambio del "lavoro" – non era possibile trovare una rappresentazione corretta della vera natura dello scambio tra capitalista e operaio. La difficoltà di spiegare sul piano della teoria come si formava quel «sovrappiù» era collegata