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Il mito infinito
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E-book302 pagine1 ora

Il mito infinito

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Info su questo ebook

Il capitalismo, soprattutto la sua edizione turbo-finanziaria, è una inesausta, implacabile macchina mitologica, per usare un concetto caro a Furio Jesi.

I passi, ovvero gli atti in cui si articola la drammaturgia del potere, sono fondamentalmente: l'individuo, la sua cura, il corpo, la scienza, quest'ultima con la funzione di collante dell'intero "pacchetto".

Il saggio si chiude con un capitolo sulla logica circolare: il cerchio come figura che meglio rappresenta l'infinito implementato dal capitalismo nella vita dei soggetti.
LinguaItaliano
Data di uscita5 gen 2016
ISBN9788891137784
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    Anteprima del libro

    Il mito infinito - Sandro Vero

    INDICE

    Introduzione: la farsa del capitalismo in 4 atti……..p. 5

    Raccordo……………………………………………………………..p. 15

    Cap.1: Individuo, soggettivazione, colpa……………..p. 16

    Raccordo……………………………………………………………..p. 31

    Cap.2: Il potere e il suo negativo…………………………p. 32

    Raccordo……………………………………………………………..p. 46

    Cap.3: La cura, critica della ragion psicologica……p. 47

    Raccordo……………………………………………………………..p. 63

    Cap.4: Il corpo disabitato…………………………………….p. 64

    Raccordo……………………………………………………………..p. 80

    Cap.5: L’innocenza della scienza………………………….p. 81

    Raccordo……………………………………………………………..p. 92

    Cap.6: La logica circolare…………………………………….p. 93

    Bibliografia…………………………………………………………p.100

    Introduzione¹

    La farsa del capitalismo in 4 atti,

    fra scienza dell’individuo, soggettivazione e pratiche del corpo

    «Così Platone fonda la cultura dell’Occidente,                                                                                                                    dove il valore, l’idea, lo spirito(….) sono la vera realtà                                                                rispetto a cui la materia, le cose, i corpi,                                                                                                nel gioco delle loro differenze, sono espropriati del loro significato                                                            che è sempre altrove, nell’equivalente generale che li misura»² Umberto Galimberti

    La cultura occidentale ha da tempo occupato precise postazioni, dalle quali guarda intorno col piglio sicuro di coloro che non ammettono dubbi, che non tradiscono tentennamento alcuno. Parliamo di postazioni e non, più genericamente, di posizioni, per sottolineare il loro carattere conflittuale, militare, specie se messo in relazione con un processo – oggi definito di globalizzazione – che ha visto l’Occidente colonizzare il resto del pianeta, prima con gli eserciti e poi, e sempre di più, con le armi della finanza e del capitale.

    Il rapporto con la natura, che da cinque secoli almeno è caratterizzato da un’aggressività totalmente funzionale ai modi in cui si è dato il rapporto produttivo nella società occidentale, è la prima postazione³. La scissione corpo/mente, che ha statuito una separazione ontologica curiosamente contrapposta alla confusione fra natura e cultura – anche questa funzionale alle logiche del profitto nel contesto produttivo –, ovvero fra natura e storia, è la seconda⁴. La progressiva de-temporalizzazione del rapporto fra passato (ovvero tradizione) e futuro (ovvero progresso), che ha impresso una formidabile accelerazione/immobilizzazione del tempo come vissuto, è la terza⁵. La trasformazione dell’immagine del mondo, che da luogo rappresentabile solo come disegno è divenuto spazio dicibile solo in quanto continuamente modificato, è la quarta⁶.

    L’elenco delle postazioni potrebbe continuare, rimanendo solo una questione di scelta, quella di tagliare l’approccio al tema per far risaltare la sua correlazione con lo strumento cardine mediante il quale l’Occidente ha valorizzato, ribadito, fissato quelle stesse postazioni: il mito circolare, ovvero l’implementazione, dentro alla sua macchina mitologica⁷, del dispositivo dell’infinito⁸. Mettere un loop dentro un programma vuol dire rendere quel programma ricorsivo, capace di auto-lanciarsi ad ogni giro. E il meccanismo del loop è solo una delle possibili metafore che possono dar conto del lavoro incessante prodotto dai dispositivi mitici del capitale.

    La razionalità nella sua declinazione contemporanea, comunemente attribuita ai mercati finanziari, sottintende, in realtà, una sorta di disciplina logica che fa uso dell’infinito – nella forma ciclica dell’anello – come suo strumento primario: qualità che si inscrive perfettamente nella natura dell’attività economica e dell’immanenza delle sue finalità.

    Più precisamente, l’infinito che agisce dentro la giostra capitalistica non è quello trascendente che tutto contiene e tutto spiega: ha invece un carattere di immanenza, che lo rende elemento costitutivo della realtà economica e della declinazione del soggetto come homo oeconomicus. Non è l’infinito-Dio che comprendendo il reale lo spiega, svelandone il senso. È piuttosto una continua produzione sociale - reale quanto fantasmatica - che annette al suo dominio ogni cosa possibile e ogni cosa reale, e il loro contrario, fino a farne materia utile ai suoi scopi. Una produzione che disegna una traiettoria lineare, indefinitamente crescente, ma anche circolare – il cerchio essendo forse la figura geometrica che meglio rappresenta la forma di infinitezza che qui ci interessa - come accade ad esempio per l’etica del profitto discendente dalle pratiche ascetiche calviniste⁹, che non ha più alcun legame con i bisogni e si fonda esclusivamente su quella che Benjamin aveva individuato come la religione cultuale del capitalismo¹⁰.

    L’infinito, dunque, come processo di annessione di ogni singola materia – anche originariamente antagonista – al processo di lievitazione dell’area del consumo, che non è più, come prima, il consumo di questa o di quella merce, bensì il consumo del consumo! In questo, l’occidente capitalistico ha sovvertito ogni rapporto immaginabile fra il bisogno e le cose, prodotte attraverso la trasformazione della natura e dunque attraverso il lavoro: istituendo un blocco permanente nel processo che lega bisogno e cose e facendo risalire al primo, fino a invaderlo e trasformarlo, la priorità assegnata alle altre, sussunte nella forma di merci nell’orizzonte simbolico oltre che esistenziale degli individui, contestualmente forgiati come tali per essere utili ricettacoli delle cose (merci) che li riempiono, li saturano¹¹.

    La mitopoiesi infinita dell’Occidente è nient’altro che la mitopoiesi infinita del suo sistema di rapporti produttivi, che attraversa la sua storia dal XVI secolo ad oggi e che ha un nome preciso: capitalismo. Ma la mitopoiesi capitalistica non è infinita soltanto perché infinitamente ripetuta, lo è perché immediatamente intrisa di infinito, strutturalmente centrata sugli effetti che l’infinito, concretamente declinato, ha sul soggetto umano e sociale perfettamente corrispondente ad esso: l’individuo.

    Analizzeremo alcune delle produzioni di questa inesausta macchina del mito, che si nutre potenzialmente di qualunque materia disponibile, assimilandola e trasformandola come un organismo fa con il cibo che lo alimenta: può farlo con tutto ciò che sembra immediatamente prestarsi, ma può farlo anche con tutto ciò che sembra immediatamente contrastarla. Può farlo perfino con l’azione stessa del contrastarla, ovvero con un’azione impregnata dello stesso pensiero organizzato per contrastarla¹².

    Il mito dell’individuo, ovvero l’ipostasi di una entità surrettizia che, riproducendo su diversa scala le tensioni e i conflitti che si generano sul terreno della dialettica sociale, sposta il focus dei discorsi e delle risorse ideologiche per imbrigliare l’energia antagonista¹³, è la prima di queste produzioni. Il capitale ha bisogno dell’infinito, di questa cosa oscena che non a caso nella classicità era sovente indicata come il male del pensiero. Ne ha bisogno non per insinuare nella coscienza dei singoli una sorta di addiction della razionalità, resa necessaria dallo sgomento di fronte all’infinito stesso, ma per fondare l’individuo, che fuori dalla circolarità mefitica dei suoi anelli respirerebbe e che invece, dentro di essi, è in apnea, e dunque fa tutto ciò che fa in una sorta di eterna emergenza. L’individuo è dunque la creatura vivente che scaturisce dall’imposizione dell’infinito alla vita delle persone.

    Connesso a quello, vi è poi il mito della cura, ovvero la cura dell’individuo, con la conseguente proliferazione delle cosiddette scienze umane e, in particolare, delle scienze della cura, di cui la psicologia, che si fregia di essere perfettamente in linea coi dettami dell’epistemologia scientifica, garantisce il principale vettore delle strategie di controllo¹⁴.

    Dal mito della terapia dell’individuo, attraverso un’articolazione logicamente debole ma strumentalmente efficace, si perviene al mito del corpo, considerato come oggetto capace di aggirare le strettoie della relazione: è lo spazio pervasivo del corpo come luogo disabitato, ripulito, essiccato, mondato di ogni putrefazione fisiologicamente prodotta dallo svolgersi del tempo e della vita attraverso di esso. E perciò ostensibile come merce nel mercato del desiderio¹⁵.

    Il collante che tiene le produzioni precedenti - fornendo loro un sostegno giustificativo costante, un crisma di indubitabilità che ha la funzione di spezzare sul nascere ogni resistenza - è infine il mito della scienza, che fa leva sulla separazione netta, artificiosa, fra

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