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Un'altra occasione
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E-book170 pagine2 ore

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Info su questo ebook

«Adesso, per farti perdonare, raccontami qualcosa su di te, qualsiasi cosa, ma voglio sapere nei trent’anni che non ci siamo visti che hai combinato, di bello e di brutto.» È proprio tramite questa esortazione che la protagonista comincia a raccontare di sé a Jacopo, ex corteggiatore che la contatta su Internet. Attraverso uno scambio epistolare, la donna ripercorre le tappe più importanti della sua vita: il matrimonio, la cecità di suo marito, la separazione, i figli, il lavoro e la ricerca di un senso alla propria esistenza. Accortasi dell’importanza terapeutica della scrittura, a metà tra il romanzo epistolare e il flusso di coscienza, racconta le sue storie intrecciate; le analizza, ne fa catarsi, le rivive e intanto prosegue per la sua strada, coi suoi sogni e le sue utopie, fino ad apprendere di sé lati e rivelazioni che non conosceva.
LinguaItaliano
Data di uscita12 mar 2020
ISBN9788863939552
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    Anteprima del libro

    Un'altra occasione - Rosa Angela Bozzi

    Prologo

    Cara Ribelle,

    ho letto il tuo messaggio; ero là per portarti la roba che avevi lasciato a casa nostra.

    Solo ora apprezzo il tuo gesto di non farti vedere, anche se lo avevo previsto partendo da presupposti diversi da quelli che tu hai esposto.

    Hai ragione nel considerare irrimediabili le aberrazioni tra noi; è mancata la volontà di superarle e affrontarle tranquillamente.

    La facilità con cui metti una pietra sopra a tutto dimostra quanto per te sia morta una cosa che per me è ancora viva; non voglio mettere la lapide su una parte di me che voglio respiri ancora, perché è l’amore che mi fa sentire diverso e vitale. Non ti preoccupare, rispetto la tua volontà. Mi sto rendendo conto di quanto sia facile per me non vederti, sapendo che ciò potrebbe ferirti.

    Per il mio «male» sto cercando le cause, credo di averle trovate (ti ricordi della novella Nel gorgo di Pirandello, che leggemmo insieme?) e riesco a vederne i rimedi. L’uso che fai del condizionale passato mi fa capire quanto l’irrimediabilità degli eventi aiuti a dimenticare.

    Sono pronto a prendermi tutte le colpe e a riflettermi nel quadro che mi hai fatto. È così che mi hai visto!

    Mi sarebbe piaciuto fossimo liberi e insieme, ma questa è una condizione che bisogna conquistare con fatica.

    Forse è stupido da parte mia sperare che un giorno sarà possibile, anche se dopo ciò che hai scritto sarebbe fuori luogo.

    So che sei forte e in gamba e riuscirai di nuovo a sognare. Vedrai che l’allegria verrà da sé, con la serenità, anzi credo che già stare con i tuoi cari ti abbia giovato.

    Ritornerai presto a ballare nella vita come solo tu sai fare. È vero che i colpi che hai subito sono stati violenti e, per quello che mi riguarda, non so come espiare le mie colpe. Perdonami.

    Non ho saputo ascoltare. Saper ascoltare vuol dire mettere a frutto l’esperienza degli altri, per evitare gli errori; abbiamo molto da imparare dagli altri. Bada bene però a non perdere di vista te stessa, mai.

    La decisione finale spetta sempre a me, perché questa è l’unica vita che ho.

    E io avevo perso di vista proprio questo. Non esistevo più, come se la vita avesse smesso di appartenermi. Un altro errore è stato voler recuperare il tempo perduto. Vorrei che tu non facessi altrettanto: bisogna utilizzare al meglio il tempo che abbiamo, senza strafare, con passo costante.

    Lascia perdere le civetterie: la tua parte migliore sta nella testa e nel cuore. Sei abbastanza bella da non aver bisogno di trucchi o altro. Non farti trasportare dalle mode e dai cliché che impongono l’apparire, perché tu sei già bella nel tuo essere, nelle idee, nel pensiero, nell’energia che emana la tua fresca vitalità, e questo già ti fa essere a posto, con la sicurezza di ciò che hai dentro.

    Mi rendo conto che questa lettera è piena di mea culpa, di una forma di critica costruttiva; nonostante tutto, quello che vorrei è saperti serena e felice.

    Dopo il vortice che è stata la nostra vita sto ripercorrendo tutta la strada, prima di te e con te. Tutte le altre cose hanno un senso, filano lisce, chiare, hanno un corso razionale, ma quando nel pensiero subentri tu mi perdo, tutto diventa confuso. Già questa lettera mi costa uno sforzo enorme. Mi è così difficile scriverti.

    Nell’ordine che sto facendo tra le mie cose, distinguendo tra i sentimenti e la ragione, la tua immagine è nitida e inafferrabile. Forse è questo ciò che chiamano essere innamorati, o forse è solo il disorientamento che deriva dall’aver perduto quello che di più caro avevo al mondo.

    Quello che è certo è che da quando ti ho conosciuta ogni pensiero e ogni azione sono stati per te, per noi, e credo sia stato proprio questo il mio errore: la paura che tutto potesse finire, un giorno.

    A te, spirito ribelle, non poteva stare bene il mio attaccamento e, d’altronde, io non ho voluto assecondare la tua dispersiva vitalità. Mi rendo conto di essermi isolato, non sapevo più come esprimere il mio amore o come farti una carezza, quello che non esprimevo lo conservavo per me, anche se a malincuore; ero bloccato dall’insicurezza e dalla folle gelosia che provavo. È successo anche l’ultima volta che abbiamo litigato…

    Ho preservato dalla corrosione questo mio sentimento per te ed è l’unica cosa che mi resta, con le mani vuote e i neuroni in disordine.

    La mia vita ora sta avendo una svolta, non so quali cambiamenti subirà, ma so che ciò che provo per te è una cosa che capita una sola volta nella vita.

    Questo è quello che volevo dirti prima di partire; il mio punto di vista senza drammi. Saperti felice e realizzata è ciò che più desidero. E che i tuoi occhi tornino a sorridere come mi ricordo. In pace.

    L’uomo che non riconobbe Amore,

    il Principe

    Adesso per farti perdonare

    Io sono un uomo sincero

    di dove cresce la palma,

    e voglio, prima di morire,

    dall’anima far uscire i miei versi.

    José Martí, Io sono un uomo sincero

    Adesso, per farti perdonare, raccontami qualcosa di te, qualsiasi cosa. Voglio sapere, nei trent’anni che non ci siamo visti, che cosa hai combinato, di bello e di brutto. Aspetto, mia cara.

    Con affetto ritrovato,

    Jacopo

    Alcune mie amiche hanno intenzione di convincermi a scrivere, prima o poi, un libro, quindi eventualmente dovrai aspettare se deciderò di farlo, anzi se riuscirò a trovarne il tempo, nella mia vita affaccendata. Sei sicuro di volerti pappare dei papiri? Non sto scherzando.

    Inizierei da quando ho capito di essere non convenzionale, già alle scuole medie. Mi potrai seguire? Mi sono successe davvero tante cose bellissime e bruttissime.

    Ho perso due figli ancora prima che nascessero, ero già avanti con la gravidanza, è stato come perderli alla nascita; sapevo il sesso, avevamo scelto i nomi. Ho sposato mio marito, nonostante non vedesse a causa di una retinite pigmentosa. Quando è nato F-Billy e i suoi occhi erano sani ho ringraziato il cielo, non ho voluto tentare ancora la sorte dopo di lui. Questa è la prefazione delle brutte.

    L’ultimo a definirmi non convenzionale è stato Natalino, un infermiere del mio reparto. Lui si riferiva alle mie scelte fuori dai binari, al mio essere particolare, antitetica, oggi si dice open minded, ma in fondo ho i bisogni di tutti. La città che rimpiango è Bologna: nove anni densi, meravigliosi, di studio, lavoro e conoscenze, per me culturalmente stupendi.

    In poche righe, già alcune note salienti di vita. Sembra l’inizio di una storia, di un romanzo. Ho passato tanto tempo a immaginare come fare per raccontare qualcosa e cimentarmi con la letteratura e l’ho già davanti agli occhi. Quasi quasi inizio così, con queste semplici note: do, re, mi, fa, sol, la, si…

    Sono così trasparenti e vere, queste prime righe, che non le voglio cancellare, anzi le voglio imprimere nella memoria e sulla carta. Improvvisata scrittrice, e meno male che ho un’altra professione! Mi trovo in bilico tra presunzione e curiosità, tutto legato alla passione, sempre rimandata, per qualunque cosa che sia letteratura, poesia, narrazione.

    Come se dalle parole potessero nascere nuove coscienze, per arrivare con il tempo a un’unica coscienza collettiva, come le canzoni delle rivoluzioni. Forse sarebbe aspirare troppo in alto. Vuoi un esempio? Eccolo:

    Io sono un uomo sincero

    di dove cresce la palma.

    E voglio, prima di morire,

    dall’anima far uscire i miei versi. […]

    Conosco gli strani nomi

    delle erbe e dei fiori,

    e di mortali inganni,

    e di sublimi dolori.

    Ho visto nella notte oscura

    piover sopra la mia testa

    I raggi di luce pura

    della divina bellezza. […]

    Ho visto un uomo vivere

    con un pugnale nel petto,

    senza mai pronunciare il nome

    di colei che l’aveva ucciso. […]

    Ho tremato, una volta al cancello

    che si apre sulla vigna

    quando la barbara ape

    punse in fronte la mia bambina.

    È una poesia cubana di José Martí, espressione di un popolo.

    Di uomini e donne, grandi e piccini, generazioni e accadimenti che si avvicendano nel corso degli anni.

    Età e memorie.

    Di donna che non ha nessuno e di chi ha qualcuno, di chi è rimasta ancorata e di chi ha lottato per riscattarsi, di chi ha sognato e inseguito e di chi si è lasciata cullare dal quieto vivere.

    Della vita reale e un po’, concedimi, della fantasia.

    Di uomini, anche questi veri e immaginari, conosciuti e sconosciuti, forti e deboli, eroici e scaltri, sognati e amati.

    Adesso, come organizzare una possibile stesura sperando di riuscire a catturare il lettore? Me lo dici? Perché è noto, si deve almeno far sì che il lettore entri in ciò che sta leggendo, che si immedesimi, provi emozioni. Per raccontare occorre una grande empatia; ricorrere alla scienza delle essenze, riuscire a sfruttare una delle tante possibilità che l’essere umano ha per entrare e vivere la dimensione comune con l’altro.

    Edith Stein, personaggio che tanto mi ha affascinato nei suoi scritti filosofici prima della conversione, nei suoi trattati, definisce l’empatia come l’atto sui generis mediante il quale si coglie l’esperienza vissuta altrui. È il vissuto dell’altro, estraneo a me, che si annunzia in me, si rende manifesto al mio io. L’uomo coglie la vita psichica dell’altro. Così lei vive un percorso che l’ha condotta alla canonizzazione con il nome di Santa Teresa Benedetta della Croce, seconda patrona d’Europa.

    Lei insegna che maggiormente un essere trova se stesso, più può diventare maestro di comprensione, o maestro di amore, ed è in grado di entrare in empatia con l’altro.

    Sai: se queste pagine verranno scritte e forse stampate, sarà perché sono già state accolte con affetto, in ore e ore di amicizia e scambi, da anime buone e semplici che condividono il mio vivere e lavorare quotidiano, e anche da te, Jacopo, dolce amicizia ritrovata.

    Mi immedesimerò, ove possibile, in coloro che ho incontrato nel tentativo di viverne le esperienze; metterò alla prova la mia capacità empatica nei loro confronti e ne racconterò le gioie e i dolori, come fossero i miei. Scrivo per chiunque in me si riconosca, per chi giudicherà e chi analizzerà, per chi potrà ridere o anche riflettere. Per chi si sente più felice e realizzato e per chi è stato ferito, privato di qualcosa, per chi ha sofferto. E anche per chi, con il cuore, va incontro a chi ha bisogno d’amore.

    Sto giocando con questa pagina, sì, facciamo che stiamo scherzando. Adesso diciamo solo che provo a buttar giù qualcosa. Titolo: Ci provo o non ci provo? oppure Un viaggio e tanti viaggi? Un viaggio per conoscere, per staccarsi dalla quotidianità, per ritrovarsi o sfuggirsi, per spaziare oltre una sterile oppressione.

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