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Lemmi Spinoziani
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E-book396 pagine15 ore

Lemmi Spinoziani

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Info su questo ebook

Secondo l’indicazione di quell’arco di pensiero che si tende dal De Deo sino alla libertà umana che è la manifestazione della forza della mente poiché “La mente umana non può distruggersi del tutto con la distruzione del corpo; ma di essa rimane qualcosa che è eterno” l’Autore ha ritenuto di confrontare la filosofia, soprattutto moderna, nei suoi creatori più radicali ed altri più flessibili, criticando quelle ramificazioni che si sono estese dalla religione sino alla dimostrazione dell’esistenza di dio del matematico K. Gödel; oppure su Spinoza e la fisica; la puntualizzazione delle difficoltà logiche della proposizione XIII del libro II dell’ “Ethica” ; sulle letture dell’universo spinoziane e galileiane; sulla disputa del parallelismo; alle critiche ontologiche che gli promosse F. Herbart e l’apparente indifferenza di Newton, tramite Oldenburg, verso il suo omologo tagliatore di lenti per telescopi. Inoltre concordanze, e discordanze, con Freud; o le differenze fra il concetto geometrico tra Spinoza, Pascal ed i matematici G. Cantor e David Hilbert. Ed anche la “permeazione’’ spinoziana in certi aspetti teorico-conoscitivi einsteiniani, affatto estranei alle relatività ma convergenti sui concetti di “conoscenza’’ e la “realtà’’ che l’astuzia della ragione hegeliana è tramutata nello assioma einsteiniano in un lemma famoso “La natura è una Dea scontrosa’’.
LinguaItaliano
EditoreBookBaby
Data di uscita12 gen 2014
ISBN9781483517001
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    Anteprima del libro

    Lemmi Spinoziani - Armando Brissoni

    2013

    Capitolo primo

    Sulla religione einsteiniana

    Tra gli argomenti che imperversano su Einstein quello della religione non trova quiete. Religione e scienza; religione e fede; scienza e fede, e via discorrendo.

    Purtroppo si leggono sull’argomento troppe notizie inesatte, che mettono in giro idee stravaganti e pericolose. Einstein diede un grande valore alla religione; ma il punto fondamentale è che la sua religione era quella spinoziana: perché lo scienziato, essendo di fede ebraica e studioso di Spinoza, non poteva dissentire dal correligionario in tutti i suoi princìpi religiosi. E per capire un poco talune cose bisogna riscontrare due fatti: il primo, che nel Tractatus theologico-politicus Spinoza chiarisce in ogni ordine il valore della religione; e poi, che nella Lettera LXXIII ad Oldenburg egli dice a chiare lettere ... io ho di Dio e della Natura un’opinione ben diversa da quella che i Cristiani moderni sembrano professare¹. Di qui nasce il credo fideistico-religioso einsteiniano, come attesta la sua filosofia morale². Questo è il punto principale.

    Variati argomenti ed interpretazioni religiose su Einstein si trovano nel testo ben congegnato di Max Jammer, Einstein and Religion (Princeton University Press, 1999), nel quale si leggono giudizi, interpretazioni, stravaganze pericolose, bizzarrie (come la derivazione biblica della E = mc²), di autori che Jammer ha collazionato, giudicato e stroncato coi princìpi severi sia di Einstein sia di Spinoza.

    Ed è questa la cosa più significativa, poiché molte interpretazioni sono non solo arbitrarie bensì false. Ciò anche a causa della parzialissima conoscenza del pensiero generale einsteiniano e spinoziano da parte di moltissimi autori. Jammer tende più che altro a sostenere il credo della religione cosmica einsteiniana. Ma che vuoI dire questa nuova equazione?

    Ce lo dice lo stesso fisico in alcuni suoi begli scritti su religione e scienza³ ( ove si legge: Ma vi è ancora un terzo stadio della vita religiosa, sebbene assai raro nella sua più pura espressione, ed è quello della religione cosmica ⁴.

    Questa religione non trova radici nella scienza ma nella intimità umana, come nota bene Jammer ricorrendo esplicitamente a Spinoza seppur con un giudizio diverso dal nostro, poiché il modo di pensare il mondo e l’universo non esime l’uomo dal pensare alle leggi prime, che sono quelle originarie dell’universo. Ma qui ci limitiamo solo ad un appunto, poiché questa visione è il cuore del suo testo. Riteniamo vera la tesi einsteiniana; tuttavia per farlo dobbiamo eguagliarla a quella spinoziana della Natura naturata che si esplica nel Deus sive natura per la sola ragione che la presenza divina nella natura, o, meglio, volendo, l’identità di Dio e Natura (cfr. il concetto spinoziano di Natura espresso all’Oldenburg), è fondante. Tra le equazioni che Spinoza incluse nella sua dottrina questa ci pare la più convincente in fatto di relazione tra Dio ed il mondo, ma essa faticava ad entrare nel pensiero filosofico e scientifico. Sicché codesta ha trovato le più variate interpretazioni sino a quando Einstein, in virtù della sua forte religiosità e della teoria della relatività, che non ha nulla a che fare con la teologia, ha concluso che la vera religione è quella cosmica (Kosmische Religion).

    Il Deus sive natura ha trovato perciò un’altra equazione spinoziana corrispondente che la risolve ancora più esplicitamente (fatto appena accennato nel bel testo di Jammer) e completata nella religione cosmica. Questa semplifica in modo assai eloquente il significato della relazione fra Spinoza, la natura e la esplicazione razionale-scientifica einsteiniana. Senza questa completezza noi avremmo un vuoto nella ricerca su questi studi (assai alti e proficui nelle società teologiche ebraiche e cristiane sia in New York sia in Gerusalemme) e sulla comprensione più esatta del significato delle definizioni spinoziane (soprattutto quelle del De intellectus emendatione). E di queste esplicazioni abbiamo una grande necessità, altrimenti piuttosto che veder chiarite le varie filosofie e scienze le vedremo sempre più attorcigliate l’una con l’altra e incapaci purtroppo di dare se non frutti sterili. Il testo di Jammer non è che la prima prova d’un lavoro sistematico su questo tema spinoziano, che noi dovremo affrontare alacremente.

    NOTE:

    (1) Spinoza, B.: Epistolario. Torino, Einaudi, 1951; pag. 291.

    (2) Brissoni, A.: Einstein e Spinoza, Rivista d’Europa, Roma 1986; Commento alla filosofìa morale di A. Eintein, Accademia delle Scienze, Bologna 21 ottobre 991

    (3) Einstein, A. : Idee e opinioni, a.c. di A. Brissoni: Roma, 1990, pp. 183-19

    (4) Ibid., pag. 185

    Capitolo secondo

    Gli autori matematici spinoziani

    Consultando scrupolosamente l’inventario della biblioteca privata di Bento Spinoza, messo in calce all’operetta Le vite di Spinoza di Lucas-Colerus (a cura di R. Bordoli; Macerata, Quodlibet, 1994), ben redatto da Patrizia Pozzi (ma da aggiornarsi coi recenti ritrovamenti), vi si trovano. titoli di opere di autori che in gran parte possono ragguagliarci sulla formazione culturale autodidattica e teorica di Spinoza. Noi siamo soliti attribuire al pensiero spinoziano l’immanentismo, il teologismo, l’aspra polemica con le Scritture e il materialismo, ma soprattutto il famoso more geometrico che postula la certezza della verità filosofica spinoziana ("... quidem in ordinem mathematicum redegissemus, nisi prolixitatem ...", in R. Des Cartes Principiorum Philosophiae P. I & II more geometrico demonstratae per B. de S. ... / Prolegomenon). Fin qui nulla da obbiettare. Invece ci pare più utile soffermarsi brevemente su alcuni autori, oltre a Descartes, che orientano meglio il principio del more geometrico delineato da due fatti: i) quello spinoziano era un more geometrico euclideo nell’aspetto didascalico, ma fondamentalmente cartesiano-analitico; ii) che nella biblioteca di Spinoza era presente nientemeno che François Viète (1540-1603), cioè uno tra gli inventori della moderna algebra e del calcolo letterale che ha aperto la via a quella matematica definita anche algebra astratta, introducendo con la sua Isagoge (1591) la distinzione fra logica speciosa e logica numerosa.

    Che cosa c’entrino queste cose col comune andamento speculativo spinoziano si direbbe, all’apparenza, poco, ma, nella realtà, molto. Vediamone le congiunzioni e troviamo dapprima Diofanto (n° 9 dell’Inventario), poi Viète (15), la Geometria di Descartes ([45], 49), Schooten (53, 64) (rimarchevole è la seconda opera schootiana, poiché è un’introduzione critica alla geometria analitica vièteana-cartesiana di cui Spinoza si giovò molto), Euclide (150), e la mancante Arithmetica philosophica di W. Verstap (78). Questi sono gli autori (classificati per inventario e non per valore) che Spinoza, alla luce di quella classificazione, ha studiato per quanto concerne il more geometrico, sintetizzando il meglio che potesse esserci in fatto di matematica-geometria. (Va detto per inciso che coi teoremi di Pappo e Diofanto sino alla Isagoge del Viète uniti alla Geometria analitica di Descartes - che affronta Pappo e Apollonio Rodio - sono state fondate le basi per la nuova geometria analitica che si spinse alla soglia della geometria non-euclidea. Qui Spinoza particeps). E per i metodi dell’analisi gli studi algebrico-logico-fisici sulle opere di Lansbergius (70), Kinckuysen (72-74), Keckermann (106), Arnauld (125), Claubergius (127), Nulandt (160). Siamo troppo affrettati nel reiterare che Spinoza mutuò da Descartes il modo della clarté mathématique con la quale si risolve il problema della razionalità. Questo, preso letterariamente, è un espediente da dimenticare poiché il more geometrico spinoziano non è il metodo della geometria applicato alla speculazione filosofica ma il principio di analisi geometrica che porse a Spinoza i concetti teoretici per comporre con elementi semplici e primari il suo pensiero. In altre parole ha unito la logica geometrica ai princìpi speculativi (fatto ripetuto da Riemann seguendo Herbart).

    ννοιαι) e proposizioni (προτασις), vediamo come la filosofia spinoziana ricerca non solo sulla idea vera ma sulla dimostrazione della verità imperniata nei suoi princìpi.

    Spinoza tuttavia è post-euclideo poiché incorpora nelle catene deduttive (come ci hanno insegnato Frege con la Ideografia o Hilbert con la teoria formalistica nei Grundlagen der Geometrie o Gödel/Cantor col concetto di insieme transfinito) quanto è venuto a creare Descartes, il quale, unendo alla geometria euclidea la Logica Speciosa ed il Canon Mathematicus (1579) vièteani, inventò la dimostrazione analitica. Dice il matematico: "...tous les problemes de geometrie se peuvent facilement reduire a tels termes, qu’il n’est besoin après que de connoistre la longeur de quelques lignes droites, pour les construire. [... ] Oubien en ayant une, que je nommeray l’unité pour la rapporter d’autant mieux aux nombres, et qui peut ordinairement estre prise a discretion, puis en ayant encore deux autres, en trouver une quatriesme, qui soit a l’une de ces deux, comme l’autre est a l’unité, comme l’autre est a l’unité, ce qui... ( R. Descartes, La Geometrie, livre Ier, p. 1; Leida, 1637); e nel libro secondo si legge: ... et considerant la Géometrie comme une science qui einseigne generalement a connoistre les mesures de tous les cors, on n’en doit pas plutost exclure les lignes les plus composées que les plus simples, pourvu qn’on les puisse imaginer estre descrites par un mouvement continu, ou par plusieurs qui s’entresuivent et dont les derniers soient entierement reglés par ceux qui les precedent." (Op. cit., pag. 349; Intr.).

    La riduzione analitica descartesiana della semplicità come sistema teoretico (ripreso dallo Hegel nella Grande Logica) è dilatata in Spinoza, poiché nell’Ethica – che potremmo definire anche Στοιχεια, Elementi – egli ha reso analitici definizioni, assiomi, proposizioni, dimostrazioni, corollari e scolii con la idea vera, trasformando il more geometrico dalle definizioni sintetiche astratte in quelle che possiamo definire tautologie concrete, andando oltre a quanto preludesse Descartes nel Discours de la Methode.

    Ne consegue che bisogna tenere distinta la dicitura ordine dal metodo. Se per Descartes al pensiero bisognava apporre un metodo al fine di ricondurre tutto a ragione ma soprattutto ai tipi di ragione analitici (di qui l’impiego della geometria/matematica), per Spinoza vigeva l’ordine o l’analisi interna al pensiero; alla speculazione (De Intellectus Emendatione, § 49); a quella filosofia che per quanto fosse congiunta alla geometria aveva una illimitatezza tanto grande da non trovare un teorema che la rendesse indecidibile in un sistema logico. Questo colpo finale alla matematica fu inferto nel 1931 da Kurt Gödel col teorema della indecidibilità, riportando nella speculazione logica l’evento dimostrativo di fronte a quello assertivo. Dunque: le definizioni spinoziane nel loro ordine geometrico sono dimostrative o assertive? Il VI assioma spinoziano (il suo ορος), Idea vera debet cum suo ideato convenire (Ethica, I), essendo posteuclideo è anticipato dalla dimostrazione "Idea vera (habemus enim ideam veram) est diversum quid a suo ideato"? (D. I. E., § 33; cfr. anche §§ 34-35 e 70-77). Una riflessione opportuna ci rimanda ad un problema che ancor oggi è vivissimo.

    Capitolo terzo

    Che zoticone quel Bento!

    Nella traduzione dell’ Epistolario di Spinoza, effettuata dal Droetto per l’ editore Einaudi nel 1951, a pag. 30 è traslato il passo assai curioso ricavato da una lettera che l’insincero Leibniz scrisse al Thomasius, suo maestro, il 21/31 gennaio 1672, a proposito del Nostro.

    Il matematico di Hannover scriveva ad un certo punto queste parole: "Auctor libri de libertate philosophandi, cujus refutationem brevem, sed elegantem programmate complexus es, est Benedictus Spinoza Judaeus, αποσυναγωγος ob opinionum monstra, ut mihi a Batavis scribitur. Ceterum homo omni literatura excultus, et inprimis insignis Opticus praeclarorum admodum Tuborum elaborator [corsivo nostro]" (G.W.Leibniz, Philosophische Schrifien: New Vork, 1978; voI. l°, pag. 39, lettera XV). Queste le obiezioni sul Tractatus, seguite dagli apprezzamenti su Spinoza del filosofo tedesco, il quale, per dirla con E. Bell, fu uomo capace di ... torbidi intrighi durante la sua lunga carriera di filosofo diplomatico (E. Bell, l grandi matematici: Firenze, 1966; pag. 127).

    Quello che ci indigna da lungo tempo è che la traduzione italiana, ripetuta anche nel reprint del 1974 (medesimo editore), riporta il passo nella seguente guisa: (E poco dopo, nel gennaio del 1672, lo stesso Leibniz scriveva al suo maestro Thomasius, adoperando gli stessi termini che il Graevius aveva preso, evidentemente, dal collega Velthuysen:) …Spinoza, un ebreo cacciato dalla Sinagoga [ossia αποσυναγωγος = aposynagogòs] per le sue mostruose opinioni, come mi scrivono dall’Olanda. Del resto è un uomo senza alcuna cultura [corsivo nostro], conosciuto soprattutto come ottico e artefice di tubi molto apprezzati)" (Epistolario, e reprint, citt., pag. 30).

    Ora non sappiamo se in qualche altra parte il traduttore (o qualcun altro) abbia corretto la sua interpretazione, che a dir poco è calunniosa, nonché falsa. Tuttavia alcuni potrebbero dire che è passato più di mezzo secolo dall’uscita della prima edizione e che con l’aiuto degli Opera Omnia leibniziani è stato possibile chiarire le cose, e via giustificando. Invece noi sosteniamo che una taccia così pesante, ma soprattutto immeritata, su Spinoza non si cancella facilmente.

    Il traduttore avrebbe dovuto esaminare attentamente il contenuto di quella lettera, poiché Leibniz era sì una stoffa d’uomo mal tessuta ed invidioso, tuttavia sapeva spender bene intelletto e linguaggio. Perciò il Droetto, poiché avrebbe dovuto conoscere bene la filosofia spinoziana, si sarebbe dovuto accorgere durante il suo tradurre che qualche cosa non andava; e che se lì per lì poteva essergli sfuggita un’interpretazione infausta, cosa comprensibile, rileggendo il suo testo – con la lettera integrale del Leibniz alla mano per la collazione – si sarebbe dovuto accorgere deIl’ errore.

    Nella lettera leibniziana già il primo disprezzo, col fare clericale dello αποσυναγωγος, è una tirata odiosa seppure ornata dalla lingua greca; poi seguono i termini laudativi inequivoci su Spinoza, a cominciare dall’omni literatura excultus (tradotto in francese, con una certa enfasi, ... un homme cultivé en chaque secteur des lettres ... – ma forse è meglio così: "Per il resto costui [homo] è dotto in ogni scienza"), fino all’insignis Opticus, eccelso nella costruzione di telescopi. Sicché, durante la traduzione, chi ha intendimento fino si accorge che le note laudative che vengono dopo la bollatura di zoticone ("uomo senza alcuna [corsivo nostro] cultura") stonano, ma soprattutto sono una palese contraddizione. Non si riesce a capire questa confusione o dimenticanza. Inoltre l’excultus la dice lunga: e se Leibniz, avaro di lodi verso i suoi colleghi come era, e polemico intrigante la sua parte (non dimentichiamo la disputa con Newton per la scoperta del calcolo infinitesimale: il fisico inglese diceva le cose con semplicità, riferendo ciò che aveva fatto; il filosofo tedesco invece malignava per pretendere la priorità sul presunto rivale), si è espresso in quella maniera, non si può non rimanere colpiti per l’espressione di quel giudizio che peraltro non sappiamo sino a qual punto fosse sincero. Nemmeno l’insignis Opticus passa inosservato. La lode ci riporta alla Dioptrique di Descartes che è del 1637 ed è strettamente congiunta alla geometria analitica che le è coeva. Dunque Spinoza, come ha disposto il suo more geometrico secondo la nuova geometria, lo stesso fece per l’ottica calcolando lenti secondo la diottrica geometrica. Newton a tal proposito affermava così la grande portata della diottrica: ... se solo si riuscisse a conferire alle lenti, durante la molatura, la figura geometrica desiderata ... (I. Newton, Lezioni di ottica: Torino, 1978; pp. 57 e 58). Bisogna rimarcare, e non costituisce novità, che Spinoza non era un meccanico né un vetraio, né un politore, o tornitore di lenti, che esegue un lavoro manuale, bensì un ottico geometrico che conosceva bene la diottrica e la teoria della luce (Einstein per certe ambiguità ottiche diceva sovente: non so, ma qui c’è qualche difficoltà non posta in chiaro da Euclide... ). Non era dunque un operaio molatore di vetri già misurati, bensi colui che misurava le diottrie su ogni tipo di lenti e di vetri (non per nulla nella sua biblioteca c’erano i trattati del Neri, Ars vitraria, del Gregorius, Optica promota, del Nulandt, Elementa physica; con in più i trattati di anatomia, da Stenone al Tulpius, e, per l’astronomia, dal Metius al Sacrobosco allo Scheiner al Logomontano; strana l’assenza di Galilei; e non è da escludere che Spinoza abbia studiato attentamente anche il cartesiano Traité de l’Homme oltre alla Dioptrique dello stesso autore).

    Stona inoltre quel tubi. Tuborum non doveva esser preso alla lettera, poiché quel termine oggi va benissimo per gli idraulici e i ponteggiatori, ma non per autori come Spinoza. Anche Galileo chiama tubo il suo telescopio: ma quando? Se il Droetto avesse consultato il superbo Sidereus Nuncius galileiano, ove si legge sul frontespizio ... PERSPICILLl nuper a se reperti beneficio ... , e avesse scorso le prime pagine dell’opera (con l’aggiunta di un’occhiatina al Kepler e a G.B. Della Porta, De Refractione (1593), libro VIII, e alla polemica del napoletano con Federico Cesi (cfr. G. Galilei, Edizione Nazionale: Firenze 1968, voI. 10°, lettera 230 del 28.8.1609 e lettera 450) per rivendicarne la priorità (ove tra l’altro si dice ... l’inventione dell’occhiale in quel tubo .. (Napoli 1610), avrebbe letto da prima ... ope Perspicilli a me excogitati ... , poi ... consimilis Organi beneficio ... , ... Belga Perspicillum elaboratum ...; e in più ... per quae ad consimilis Organi inventionem devenirem ... . Ed a proposito del tubo si legge quanto segue: ... quam paulo post, doctrinae de refractionibus innixus, assequutus sum: ac tubum primo plumbeum mihi paravi, in cuius extremitatibus vitrea duo Perspicilla, ambo ex altera parte plana, ex altera vero unum sphaerice convexum ... (G. Galilei, Op. cit.: voI. 3°, pag. 60). Perciò i Tuborum leibniziani avrebbero attirato l’attenzione del traduttore se egli sapeva che Galileo, quando costruì il suo telescopio, parlava di un tubo di piombo come oggetto e non come sinonimo di cannocchiale. Che volgarmente il telescopio fosse chiamato tubo – ma da Galileo in poi venne divulgato in larga misura come cannone, canone, occhiale, perspicillo e tubo – non giustifica la traduzione meramente lessicale. D’altra parte: stando alla traduzione italiana, che cosa poteva produrre uno zoticone se non volgari tubi?

    Ma la nota più inquietante – è giusto definirla cosi – è la leggerezza con cui si mandano e si tramandano libri in giro. Gli esperti editoriali lasciano correre simili errori, ed i professori (fatte salve le poche eccezioni), quando adottano testi altrui, non pensano che vi possono essere delle incongruenze nelle traduzioni. Non è certo un delitto una cattiva traduzione: ma allo studente ed allo studioso pigro che non cerca la radice degli scritti essa nuoce moltissimo. C’è bisogno di meravigliarsi dunque? Per noi sì: eccome; anche se dalla traduzione è passato più di mezzo secolo. Una cantonata la pigliamo tutti, ma scambiare colto (o ‘diligente’) con zoticone ci pare un po’ troppo. Questo è il punto, poiché tradurre è una questione di logica e non solo di lingua, lessico e sintassi. Tutto ciò oggi vigoreggia, poiché se pigliamo certe antologie filosofiche vi leggiamo degli spropositi su alcuni autori, che con la filosofia non c’ entrano, da fare spavento. Oppure, come è accaduto di leggere in un calendario filosofico, si gustano dei giulebbi filosofici che scambiano il contrario con la contraddizione o per i quali il luteranesimo non era cristiano. Oppure in un recente insipido testo su Einstein si legge la traduzione di tanburica con tamburica: uno strumento a corda balcanico scambiato per uno strumento a percussione; ed il pronome plurale tedesco Unsere, nostro, con Deiner, tuo; e addirittura si scambia una lettera del 4 aprile 1901 con un’altra del 27 marzo 1901 ove si legge ancora ... an unsern Forschungen ... .

    Insomma: la relatività è di Mileva Maric (alla quale siamo molto affezionati) e non di Albert Einstein. Well! Ma, visto l’autore (un meschino pennarolo-copionista da film hollywoodiano), e la traduttrice, non c’è da meravigliarsi.

    La cosa deprimente è che gli editori sono intoccabili: ma va bene così, poiché questi ultimi sono benedetti dai refeeres, che come al solito sono i famigerati cattedratici: ai quali (salvo onestissimi casi) è ... hoc Iicebit.... Dunque il Bento era uno zoticone. Davvero? A noi (e credo a moltissimi altri) pare di no.

    Capitolo quarto

    Einstein pellegrino a Rijnsburg

    Dopo le accertate affermazioni della teoria della relatività Einstein dovette assumere in certo senso il bordone, la zucca-borraccia, la tunica stracciata di canapa ed i calzari del pellegrino. l santuari einsteiniani sono di varia nazionalità (quelli italiani sono fiorentini, fiesolani, bolognesi; quelli spagnoli – in particolar modo la chiesetta di Santo Tomé a Toledo, marzo 1923, ove scopri l’opera di El Greco La sepoltura del Conte di Orgaz dicendo di essa ... è una delle opere d’arte tra le più profonde che io abbia mai visto. Giornata meravigliosa!). Non possiamo certo dire che Einstein fosse di animo non religioso, né che fosse un religiosolus qualunque. Anzi; fu tutto il contrario nonostante il suo dichiarato laicismo ed umanitarismo. Ma il sostantivo religio è plurisemantico; dunque un significato tocca anche al fisico: quello del sincerum iudicium. Nel 1920, perciò, Einstein, nel mese di ottobre, tenne la prolusione alla Università di Leida, poiché in quell’anno gli venne conferito l’incarico durevole di Visiting Professor (professore parziale " presso il Corpo accademico di una università, e non professore in visita come traducono gli italsassoni italioti): vale a dire un docente che, riconosciuta la sua valentia, viene invitato per brevi tempi, due-tre settimane, a tenere, remunerate, delle open lectures nel caso di Einstein sulla fisica (e nel 1925 la stessa Università gli conferirà la laurea honoris causa). D’altra parte a Leida c’erano Lorentz (le cui trasformazioni furono non solo la modifica a quelle di Galileo, bensì quelle che servirono ad Einstein per la relatività ristretta), Ehrenfest, Kamerlingh-Onnes, Zeeman (che aveva il suo laboratorio ad Amsterdam), l’astronomo Willem de Sitter; e nel 1927 Einstein reincontra Niels Bohr.

    Fatte che avesse le sue lezioni Einstein non si contentava di parlare di fisica o di epistemologia, ma suonava il violino in casa di Paul Ehrenfest (un fisico viennese naturalizzato olandese), abitante a Leida. Insieme formavano un duo non poi tanto trascurabile, poiché Ehrenfest pare suonasse molto bene iI pianoforte (possedeva uno Hupfeld acquistatogli da Einstein per il prezzo di 165000 marchi) ed il violino. Citiamo alcune testimonianze di Einstein rivolte al collega: Caro Ehrenfest, è bene che tu possa suonare Bach senza dover attendere che qualcun altro ti accompagni. Io vengo volentieri a Leida non soltanto per suonare Bach ma anche per altri piaceri raffinati - lettera ad Ehrenfest del 24 ottobre 1916; in quella del 10 dicembre 1919 gli scriveva: Ho acquistato per te un pianoforte a coda (uno Hupfeld) [ ... ] È uno strumento magnifico dal tocco molto dolce [ ... ]; due violini (2000 marchi ciascuno), che non sono ancora pronti, ma non appena costruiti saranno nuovi fiammanti [ ... ]. Ne ho ordinato uno anche per me poiché questo artigiano è un vero artista della liuteria. Il 19 luglio 1920 l’annuncio: Finalmente uno dei violini è pronto! [ ... ] Come sarò felice quando tu avrai provato lo strumento; è veramente bello. Insomma un ‘atmosfera che si alternava tra la musica, la fisica, le passeggiate ed ... i pellegrinaggi. Il viaggio votivo compiuto da Albert Einstein il 2 novembre 1920 (il 10 novembre fu ospite di Kamerlingh-Onnes) si effettuò da Leida sino a Rijnsburg (banlieu della città), dove Bento Spinoza abitò dal 1660 al 1663. La sua casa, Het Spinozahuis, ora trasformata in museo fu la meta einsteiniana. Lo scienziato, che appose la sua firma sul registro dei visitatori nella data suddetta, non ci andò da solo; ma la sua compagnia qui è cosa secondaria perché ciò che interessa è formulare la giusta motivazione di quel pellegrinaggio. C.W.J. Beenakker, un professore di fisica a Leida, in una conferenza intitolata Wat zoeht Einstein in Rijnsburg? (Che cosa cercava Einstein a Rijnsburg?), ha ipotizzato le ragioni di quella visita. Einstein voleva vedere e visitare e magari commentare in loco la casa di un suo correligionario, per di più maître à penser. Ora bisogna fare un passo indietro per capirne il legame non solo religioso.

    Einstein studiò attentamente l’Ethica (edizione procurata da Solovine) durante il periodo dell’Akademie Olympia in Berna, tra il 1903 ed il 1905: gli anni che fecero di lui uno tra i maggiori fisici esistiti. Spinoza su Einstein ebbe un ascendente razionalistico-deterministico benefico, tanto è vero che dopo le grandi fatiche della Relatività generale il fisico si mise con buona lena a teorizzare sia una epistemologia confacente alle scoperte della fisica, sia una filosofia morale.

    Nel 1928 lesse l’alto epistolario spinoziano e siamo certi che ne avrà tratto tutti i vantaggi: in particolar modo dalla lettera XII sull’infinito. Su di essa avrà meditato a lungo. In diverse occasioni Einstein si trattenne su Spinoza con lettere, citazioni (cfr. A. Brissoni, A. Einstein - Opinioni su Spinoza: Firenze, 1990), introduzioni a testi monografici (Kayser) e allo Spinoza Dictionary (a cura di D.D. Runes), e passi ben adattati al suo pensiero, poiché per la Relatività ristretta (o speciale) spontaneamente trasse taluni spunti pertinenti l’equivalenza di tutti i sistemi inerziali: punto fondante per il principio di relatività.

    Ciò che colpiva Einstein, della filosofia spinoziana, era il forte sforzo razionale nel produrre i concetti. Il razionalismo assoluto spinoziano induceva Einstein a meditare sulla natura delle idee vere, ma soprattutto, poiché fisico, su tutto ciò che l’Assioma VI del De Deo conferisce alla ragione: Idea vera debet cum suo ideato convenire (B. Spinoza, Ethices I, in Opera: Lipsia, 1843, VoI. I, pag. 188). E qui si aprono le porte non alla radiosa conoscenza empirica bensì agli antri accecanti della conoscenza puramente razionale, neIla quale la cosa che più importa è la struttura della conoscenza quando questa ha come idea infinita Dio e la illimitatezza con ogni sua propria verità.

    Questa teoresi è confermata da Einstein in un saggio trimane del 1935 con Podolsky e Rosen (EPR), intitolato La descrizione quantica della realtà può essere considerata completa? Lo scritto, che ha acceso la vis polemica di Niels Bohr il quale ha risposto a tono nelle riviste Nature e Physical review dello stesso anno sulla relazione quanti-realtà (lavori sunteggiati magistralmente nel volume miscellaneo einsteiniano A. Einstein philosopher-scientist (Evanston, USA; 1949), dandoci forse a suo tempo il migliore scritto fisico-teorico sulla quantistica, contiene una proposizione che Einstein definisce condizione di completezza, così concepita: "Ciascun elemento della realtà fisica deve avere una controparte (Entsprechung?/Equivalent?) nella teoria fisica". La dissertazione è complessa e difficile e non ne faremo qui il commento (anche perché l’abbiamo già fatto altrove in riferimento alla Prop. VII Ethices II), ma tutto questo ci riporta al convenire dell’ Assioma VI.

    Di più, in quell’assioma, già ben introdotto nel De Intellectus Emendatione, §§ 33-71, sono già predisposte le tesi che con maggior raffinatezza Spinoza poi estenderà nell’Ethica facendoci davvero sprofondare nei recessi del pensiero.

    Non che l’idea sia identica al suo ideato, poiché ciò contraddirebbe il primo nesso logico; ma l’ideato, deve convenire con la sua idea. Vale a dire che è diverso come fatto pensato ma non identico al pensante. Altrimenti il concetto di prisma sarebbe uguale alla figura prismatica: fatto che Spinoza, deterministicamente, nega. .

    Einstein, nella cui biblioteca si conserva ancora la copia dell’Ethica in tedesco in un’ edizione del 1910 (?), ha sempre tenuto presente il pensiero del suo maestro e non manca mai, quando l’opportunità esiste, di citare il Nostro con riverenza e quasi con timore. Il fisico si rese conto che la filosofia spinoziana, con l’Ethica, che oltre a costituire una legge significa anche ordine razionale, fece breccia nel pensiero filosofico-scientifico non solo per il determinismo teoretico. V’era quella condizione di completezza che divenne presto un principio da cui muovere il proprio destino razionale e morale. Non importava a che cosa ed a chi si riferisse, ma l’Assioma VI, con quel "convenire" (scilicet accordarsi, differenziandosi dalle "connexio idearum e connexio rerum" della Prop. VII Ethices II), ci fà capire che si approda ad una vera completezza dello spirito (Geist) quando la ragione è infinita; rappresentata da un Dio infinito che rivesta la solenne forma di un Determinismo superiore da cui dipendere e fare dipendere "et sic in infinitum ... ".

    Perché Spinoza si trattiene tanto a lungo con L. Meyer sul concetto di Infinito? Perché con quella infinità, che non era la indefinitezza ma una sintesi unicamente a lui riuscita del concetto di infinito sia matematico sia filosofico, Hegel sui testis, si riusciva a conciliare la ragione con l’ azione. E se bene esaminiamo la struttura dell’ Ethica risulta come il De Deo ha principii poiché è da una mente (Determinismo) infinita che muove tutta la razionalità con la quale si deve convenire: di qui dobbiamo avere quella condizione di completezza razionale; di quella ragione, che per Hegel è astuta, sino ad avere la coscienza di sé in ogni realtà. Einstein avvertiva questa grande motilità dello spirito umano instaurato dallo Spinoza ed a tanto coglieva il nesso più intimo che era quello della critica, non della ragion pura ma alla ragion pura: fatto venuto meno al razionalista/empirista Descartes. Non ci si poteva permettere di andare oltre con l’ ambiguità sulla ragione e Spinoza volle darle una vera condizione di completezza non solo corrispondente ma altresi illimitata: la condizione di completezza fisica e l’ infinito spinoziano si trovano concordi nella loro forma deterministica. Einstein in una precisa circostanza disse: Brevemente le posso soltanto dire che sono esattamente del parere di Spinoza e che io come determinista convinto non posso stringere amicizia con l’idea monoteista (lettera del 4 settembre 1930 a ***). Il suo determinismo non era la facile accettazione di un principio, bensì la convinta posizione critica che si deve dare ai fatti di ragione.

    Einstein non rifece in fisica quello che Spinoza fece in filosofia poiché le specie speculative sono diverse, tuttavia un unisono sussiste, e non solo affettivo o religioso, bensì razionale. Spinoza filosofava da razionalista, ma quando doveva rispondere o produrre esperimenti scientifici faceva delle sensate esperienze (cfr. Epistulae).

    Ciò lo poteva fare perché la sua arma non era l’esperienza, o pure percezioni, bensi la razionalità estesa al limite dei limiti. Crediamo di poter dire che nonostante vi siano ottimi studi, soprattutto tedeschi, col pensiero spinoziano dobbiamo aprire altre vie ermeneutiche poiché la ragnatela delle relazioni che ha prodotto un razionalismo così ferreo non si è ancora sdipanata. Potremmo fare un elenco anche approssimativo, di tutti i problemata che ancor oggi la filosofia spinoziana ci offre anche se taluni sono stati in certo senso lumeggiati, non sono stati ancora risolti del tutto. A cominciare dalla tragedia del Tractatus theologico-politicus da intersezionare col Tractatus Politicus). Quel testo, in effetti, è una tragedia, poiché

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