Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il segreto della Vedova Nera
Il segreto della Vedova Nera
Il segreto della Vedova Nera
E-book194 pagine2 ore

Il segreto della Vedova Nera

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un uomo si risveglia nel ventre di una nave. Con lui il suo ex professore di inglese, vecchio marinaio con mille storie da raccontare.
La Vedova Nera non dimentica i suoi figli; il mare non dimentica i suoi uomini. E l’avventura continua, tra vecchi amici e nuovi nemici, tra porti sicuri e inferni burrascosi: un conto alla rovescia, rosso di sangue e rubini, per salvare un tesoro nascosto.
Riusciranno Kid e Mister Pindar a portare avanti il loro piano e a tirarsi fuori dai guai?
LinguaItaliano
Data di uscita15 feb 2021
ISBN9788833467931
Il segreto della Vedova Nera

Correlato a Il segreto della Vedova Nera

Ebook correlati

Noir per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il segreto della Vedova Nera

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il segreto della Vedova Nera - Angelo Bandiziol

    rimpianto.

    Prefazione

    «Pronto, parlo con il Prof. Prandi?»

    «Sì, sono io.»

    «Buonasera, caro Prof., come la tratta il mondo? Alla grande, as usual, ne sono certo.»

    «Mi scusi, ma con chi ho l’onore di parlare? Deve sicuramente trattarsi di persona importante per osare importunarmi, per non dire qualche altra cosa, in così tarda ora.»

    «Prof., possibile che non mi riconosce! Riporti alla mente i bei tempi di Torquay, la perla della riviera del Devonshire, e riconoscerà la mia voce.»

    «Ah, la vache! Ma sei proprio tu, quello scassaminchia del Rabdomante.»

    «Eh sì, sono proprio io, e non immagina quanta gioia provo nel sentire la sua voce. La sto chiamando da Manchester, dove risiedo da quasi vent’anni.»

    «Anch’io sono contento di sentirti, ma mi dici perché ti sei fatto vivo dopo così tanto tempo? E dimmi: l’inglese lo avrai imparato, finalmente!»

    «Certo, Prof., ormai posso considerarmi un madre lingua. La sto chiamando perché ho scritto un libro, per vincere la noia della clausura, un noir, per l’esattezza, e a chi potevo farlo leggere per primo se non al mio mitico Prof. d’inglese? Glielo mando via e-mail; l’indirizzo, così come il suo numero di telefono, me li ha dati il Biondo. Se lo ricorda?»

    «E come avrei potuto dimenticarvi? Sembravate due gemelli siamesi. Non vi ho mai visto da soli.»

    «Allora, Prof., me lo legge questo noir, così mi dice se posso darmi da fare per una eventuale pubblicazione? A me sembra discreto, ma vorrei un suo parere. Ci terrei proprio che lo leggesse, anche perché è proprio lei uno dei noir characters».¹

    «Io! Ma come ti è saltato in mente?»

    «Prof., io non ho mai dimenticato tutte le storie di uomini e di navi che ci raccontava a scuola, e siccome il libro parla di una nave e del suo capitano, non ho potuto fare a meno di pensare a lei.»

    «E bravo il Rabdomante. Adesso sono proprio curioso di leggerlo; mandamelo subito, e in un paio di giorni ti dirò cosa ne penso. Buonanotte, amico mio.»

    «Grazie, Prof. Lei non mi delude mai. Buonanotte.»

    Puntualissima la definizione di noir data dall’autore al suo lavoro: definizione che mi sento di condividere in pieno, soprattutto per le atmosfere che Angelo Bandiziol ha saputo evocare nella descrizione degli episodi e dei personaggi che caratterizzano la narrazione.

    Il lavoro, grazie a una scrittura vivace e colorita, scorrevole e incisiva, priva di orpelli e talvolta sostenuta da una sottile vena ironica, si legge piacevolmente.

    Le descrizioni sono accurate e non appesantiscono la narrazione complessiva, che poggia su una ben calibrata struttura dialogica e un plot originale e intrigante.

    La linea di svolgimento è ben tracciata e mette in luce una sorprendente capacità di raccontare e rappresentare il senso di una figura, di un personaggio, di una situazione.

    Solido nell’impianto, ben costruito nella trama, il noir si articola grazie a un linguaggio accurato dove le parole hanno l’efficacia della originalità e della freschezza dando, in tal modo, corpo, vita e soprattutto credibilità ai personaggi, anche a quelli di contorno, e alle situazioni.

    Sono certo che questo moderno noir catturerà l’attenzione del lettore fin dalla prima pagina, impedendogli di alzarsi dalla sedia.

    Francesco Prandi

    ¹ Personaggi.

    Il risveglio

    1950.

    Questa era la data che mi ronzava nella testa quando ripresi i sensi.

    Nel riaprire gli occhi, a stento riuscivo a mettere a fuoco la stanza. C’era una gran confusione.

    Dove mi trovavo?

    Perché balla tutto? Può essere che mi sono ubriacato così tanto ieri sera da non ricordarmi cosa sia successo?

    Lentamente il cervello cominciava a riattivarsi. Presto capii che non era la mia mente a dondolare, ma la stanza. Era tutto ancora sfocato. I suoni che sentivo erano quelli tipici delle lamiere di una nave, piegate dal movimento ritmato delle onde.

    Stavo per stropicciarmi gli occhi quando fui risvegliato all’improvviso dal suono di due catene giunte a fine corsa. Mi tenevano fisso al muro peggio del Padre ’terno; una sensazione davvero sgradevole non potersi toccare il viso.

    La stanza sapeva di umido misto a sale. Mi guardai intorno in cerca di qualche indizio quando vidi un uomo morto a terra, in un lago di sangue, e un’altra figura seduta, incatenata poco lontana da me.

    «È impossibile» mormorai mentre cercavo di mettere a fuoco. «Professore, ma che diavolo ci fa lei qui, e chi è quello?»

    «We are in deep shit, Kid» mi rispose.

    Ci fu qualche momento di silenzio.

    Io, ormai sulla soglia dei quaranta, incatenato – con tutta probabilità su una nave – con Mister Pindar, il mio vecchio professore del liceo?

    Le cose non quadravano.

    Il Rabdomante

    «Vedi Kid, devi capire che se rimani in Italia vivrai sempre con un paio di paraocchi che limiteranno la tua visuale. Esci, viaggia, prova, sbaglia, riprova. Segui quello che ti piace veramente, che ti rende felice, e non mollare. Perché fallisce chi smette di provarci, non chi sbaglia. Thomas Edison diceva: Non ho sbagliato, ho soltanto trovato diecimila metodi che non hanno funzionato. Cazzo, l’ha detto Tommaso, mica l’ultimo fregnone!» Poi aggiunse: «Ah… e non sposarti troppo presto, mi raccomando. Tromba più che puoi. Stai in Inghilterra, la patria della promiscuità. Se non t’accoppi qua, alla tua età, vuol dire che sei un caso disperato!».

    Era l’estate del 1998, avevo appena diciassette anni quando Mister Pindar dispensava consigli sull’acchiappo; lui le chiamava ironicamente le arti della seduzione. Sedevamo sul molo di Torbay, la costa di Torquay nell’Inghilterra meridionale dove andai in vacanza studio con la mia classe del liceo. Pindar, al secolo Francesco Prandi, era il mio professore di inglese nonché l’accompagnatore che ci portò lì quell’estate; l’unico che nel tempo mi insegnò veramente qualcosa tra i banchi di scuola. Chi l’avrebbe mai detto che da lì a pochi anni, dopo quella vacanza a Torquay, sarei andato a vivere nel Regno Unito…

    Mi trasferii in Inghilterra con tutta la famiglia per via del lavoro di mio padre. Lo feci più per far felici i genitori che per curiosità.

    «Fare niente per non fare niente, a questo punto vienitene all’estero con noi, almeno impari l’inglese» mi ripeteva mia madre.

    Nel gennaio 2004 i miei genitori andarono a vivere prima a Birmingham e poi a Manchester. Io li raggiunsi un mese dopo, con la speranza di imparare la lingua. Vado a stare tre mesi e poi vediamo se tornare alla base o meno.

    Ricordo ancora il freddo, avvolto da un vento forte che lo rendeva affilato come una lama. Alzai gli occhi al cielo, era cupo e le nuvole stese a perdita d’occhio sembravano non avere nessuna intenzione di muoversi. Fu in quel momento che capii che quegli scenari tinti in scale di grigio mi avrebbero accompagnato per molto tempo.

    Dopo qualche anno vissuto all’estero entrambi i miei genitori decisero di tornare in Italia, io invece ci presi gusto a stare in quell’isola fredda del Nord Europa; mi intrigava la cultura liberale, l’essere un paese multietnico e soprattutto meritocratico. Finii per rimanere a Manchester, trovando in quei posti ciò che veramente mi rendeva felice, come diceva Pindar. Per sbarcare il lunario iniziai dando lezioni di italiano agli inglesi; anni dopo finii per fare l’imprenditore nel settore immobiliare. Questo mi diede la libertà di godermi il tempo: l’unica moneta veramente importante che ho imparato a tenermi stretta.

    Al tempo del liceo ero dannatamente timido e andare in gita a Torquay rappresentò per me un’opportunità unica per scrollarmi di dosso questo peso. Volevo migliorare il mio rapporto con gli altri, ma soprattutto con le altre. A quell’età un ragazzo non pensa ad altro.

    Non essendo ancora maggiorenni, però, non potevamo muoverci troppo liberamente; ogni decisione doveva passare per Mister Pindar in quanto garante.

    «Se avete in mente di fare una minchiata e sparire da qualche parte, prima venite da me a dirmelo. Non voglio essere svegliato nel cuore della notte per venirvi a prendere alla stazione di polizia e soprattutto non voglio spiegare ai vostri genitori come ci siete finiti! È chiaro, guaglio’?» ripeteva come un mantra.

    A me quelle cose sinceramente non interessavano. Non ero attratto dal rischio, figuriamoci poi in terra straniera. Quando andavamo in gita per vedere i monumenti della zona, cercavo invece di imbastire una conversazione con le ragazze di altre scuole anche loro in visita a Torquay. Incominciavo a prenderci gusto, e appena intascavo un no mi gettavo subito su un’altra preda.

    Il Professore mi guardava sempre da lontano, e tra una spiegazione e l’altra mi dava dei feedback con la mano: «Ok; così così; ma cosa ca… fai?». Quest’ultimo, poi, era inequivocabile anche a metri di distanza.

    Una volta, durante una gita fuori porta nel Country side di Torbay, ci fermammo per il pranzo al sacco in uno di quegli enormi parchi pubblici dominati da una distesa perfetta d’erba tagliata uniformemente. Quel giorno le nuvole avevano deciso di sgranchirsi le gambe e il sole ne approfittò per fare capolino. Ero seduto sotto un albero intento a scegliere una canzone da ascoltare sul mio lettore cd portatile quando Mister Pindar si venne a sedere accanto a me. Vestiva dei jeans tubolari, mocassini e una di quelle giacche a vento gialle canarino tipiche nelle escursioni fuori porta; teneva una mano in tasca, mentre l’altra reggeva una Marlboro rossa. A quei tempi portava sempre un cappello avana con la visiera dal quale uscivano lunghi capelli argento. Anche a occhi bassi, capivo quando Pindar si avvicinava per via della sua acqua di colonia che emanava una fragranza leggera ma avvolgente che ricordava il sapore del mare.

    «Guaglio’, ho visto che ti dai da fare. Pari un rabdomante!» mi disse ridendo sotto i folti baffi grigi.

    Il Professore aveva coniato questo nomignolo, il Rabdomante, perché diceva che andassi in giro in cerca di donzelle come se fossero una falda acquifera. In effetti non aveva tutti i torti.

    «Noto che ti piace la musica» disse. «Cosa ascolti?»

    «Professo’, i Platters!»

    «Ma come i Platters?» mi rispose quasi infastidito. «Un ragazzo della tua età non può ascoltarsi roba del genere, dai! Ci credo che poi ricevi picche tutte le volte. Ogni evento che scandisce la nostra vita potrebbe essere riassunto in una canzone. Tu stai vivendo il momento rock della tua. Dovresti puntare su altro. Ti piace il rock?»

    «Boh, non saprei.»

    «Non puoi essere un rabdomante e non conoscere il rock. Tieni, ascolta questo attentamente. Te lo regalo.»

    Pindar tirò fuori un disco dal suo zaino, dove anche lui aveva riposto un lettore portatile con tanto di cuffie arancioni di spugna – strappate a chissà quale walkman – che male si affiancavano a quel ritrovato tecnologico che leggeva i dischi con un raggio laser.

    Guardai con curiosità la copertina del CD. Era dorata con una band raffigurata al centro; era Made in Japan, il disco dal vivo del gruppo inglese Deep Purple.

    «Kid» disse Pindar quando me lo diede, «questo è il miglior live di hard rock della storia. Punto!»

    Da quel momento l’hard rock scandì i battiti della mia vita.

    Tra una rabdomanzia e l’altra, quell’estate mi divertivo a passare il tempo con il mio professore; instaurammo un bel rapporto che andava oltre la letteratura inglese e i suggerimenti sulla seduzione. Parlare con Pindar era un po’ la mia arma segreta; ascoltare le sue perle di saggezza mi dava una sensazione di vantaggio sul tempo. Una sorta di palla di vetro personale.

    Ho sempre ammirato la leggerezza e la sfacciataggine con cui il Prof si relazionava con gli altri, soprattutto con le donne; gli veniva naturale. Quando lo vedevo in azione con il suo fare ammiccante, un po’ mi vergognavo per lui, ma mi rendevo conto che il suo metodo funzionava, specialmente in Inghilterra dove le persone sono più fredde di noi italiani, ma al contempo amano circondarsi di animi passionali come i nostri.

    Tornati da Torquay, cambiai completamente atteggiamento verso il mondo grazie all’esperienza inglese. Parecchie cose che reputavo importanti, dopo la gita all’estero caddero improvvisamente nel cassetto dove accatastavo quelli che mi piaceva definire pensieri poco importanti. Ahimè, la rabdomanzia è un’arte potente che, se gestita male, può far danni, e questo lo capii a mie spese, tant’è che in quel cassetto c’erano finiti per sbaglio pure latino, greco, matematica, italiano e compagnia bella.

    Morale della favola? L’anno successivo, quello importante, degli esami del liceo, invece di studiare me ne andavo in giro in cerca di falde acquifere locali. Ero instancabile, stavo in giro tutto il giorno, nemmeno facessi il rappresentante.

    «Angelo, ma non hai gli esami tra un mese?» sentivo ripetermi a casa.

    «Sì, ma’, è tutto sotto controllo.»

    «Guarda che se ti bocciano prendi schiaffi a due a due finché non diventano dispari.»

    «Tranquilla, fai come se mi fossi già diplomato!» rispondevo ostentando sicurezza.

    Il risultato fu che uscì dal liceo con sessanta centesimi, il minimo sindacale. Non sono mai stato un fenomeno a scuola, ma nemmeno un asino; insomma, ero un animale da metà classifica che però aveva preso sottogamba la preparazione agli esami. Purtroppo, la gita ad Albione lasciò un segno indelebile.

    Quell’anno Pindar andò in pensione ma si fece vivo comunque per vedere i quadri appesi all’entrata della scuola – ormai chiusa per le vacanze estive – dove venivano pubblicati i risultati degli alunni.

    Il ricordo di quella giornata torrida di giugno è ancora vivo nella mia mente: da solo, davanti a quella lista di persone, notai di essere l’unica vittima della mia classe a essere uscito con un voto così basso! Ci rimasi di sasso, davanti a quel cacchio di sessanta. Non pensavo di essere andato così male. Certo, se Pindar avesse aggiunto alla rabdomanzia un bugiardino con su scritto attenzione, se usata in età prematura, può nuocere gravemente allo studio, magari mi sarei dato una regolata!

    E ora che cacchio racconto a mia madre? Quella mi uccide. E niente vacanze per almeno vent’anni. Mado’, che casino!

    Avevo lo sguardo fisso su quel bollettino di guerra che dava un solo caduto e la mia mente vagava cercando una risposta fattibile da dare ai miei genitori.

    Potrei inventarmi che gli esami sono stati alterati dai professori interni. Magari potrei anche aggiungere che la professoressa di latino, quella stronza, ha passato

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1