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Antiche malìe
Antiche malìe
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E-book260 pagine3 ore

Antiche malìe

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Info su questo ebook

Breve romanzo ambientato in una cittadina marinara della Sicilia occidentale tra il 1959 ed il 1962.
Il protagonista si racconta e racconta della propria infanzia siciliana ritornandoci con la memoria di un bimbo immigrato al nord con la famiglia, in un periodo in cui gli italiani del Sud e del Nord-Est d'Italia partivano per cercare fortuna in un altrove spesso disilludente. Ed é con l'ausilio della propria memoria che ricomporrà uno spaccato di mondo marinaro dove violenza e affettività , sopraffazione e autoritarismo, prepotenze spesso gratuite erano parte integrante del vivere quotidiano e dove il mondo dei bambini 'di strada' com'era lui si manifestava a immagine e somiglianza di quello degli adulti.
LinguaItaliano
Data di uscita15 ott 2014
ISBN9786050327434
Antiche malìe

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    Anteprima del libro

    Antiche malìe - Salvo Ballatore

    Salvo Ballatore

    Antiche malìe

    UUID: c7b9afb6-549c-11e4-b031-ed5308d36374

    This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com)

    by Simplicissimus Book Farm

    un'infanzia ritrovata

    Presentazione di Giosuè Rodofili ( é stato responsabile Controllo Adempimenti Editoriali della Biblioteca Nazionale centrale di Roma fino al 2012).

    Prima di entrare nel merito del libro devo, necessariamente, far riferimento alla mia esperienza di lavoro.

    Da più di vent’anni sono legato, direi in modo quasi viscerale, alla produzione editoriale italiana. Ho diretto l’ufficio Diritto di stampa della Biblioteca Nazionale di Roma e adesso sono il responsabile dell’ufficio controllo adempimenti editoriali.

    Questo vuol dire che ogni anno ho visto passare sotto i miei occhi qualcosa come 40.000 titoli, di vario genere e importanza: dal best-seller della grande casa editrice al successo inaspettato di un nuovo autore; dal testo scientifico al romanzo; dal fumetto al più intimo dei diari. Tutto mi ha portato il fiume della scrittura in Italia: tutto il bello e il brutto (naturalmente!). Altrettanto naturalmente non parlerò delle grandi case editrici, dei grandi romanzi e dei grandi scrittori! Uso la parola grande anche nel senso di molto noto, conosciuto, riconosciuto. Io sono molto più legato, anzi legatissimo, alle infinite sorprese che la piccola e piccolissima produzione letteraria mi ha dato in questi anni. Quella produzione che, pur non avendo l’imprimatur della critica e del grande pubblico, rappresenta il cuore, il respiro e la carne del nostro popolo scrittore.

    Ho scoperto testimonianze vive, poesie delicate, racconti sanguigni, profumi e sentori inaspettati, dolori e gioie raccontati forse con ingenuità ma con fresca immediatezza. Per farla breve, pur non essendo io un critico letterario (potrei anche dire per fortuna!) sono però, per mestiere e per abitudine, un lettore professionista.

    Con Salvo ci siamo conosciuti e reciprocamente apprezzati e piaciuti, in occasione di un mio soggiorno in Corsica. Rotto il ghiaccio e aperti il cuore e il cervello alla reciproca e piacevolissima conoscenza, questa è sfociata in una solida e duratura amicizia.

    Così Salvo, conoscendo il mio mestiere, ha insistito per farmi leggere la bozza di quello che sarebbe diventato, dopo molti anni, il suo romanzo. Badate! Ho usato il termine insistito in modo ironico! In realtà mi ha praticamente costretto a leggerlo e a farlo in un tempo limitatissimo perché voleva assolutamente avere un mio giudizio.

    La storia raccontata non mi dispiacque. Il nocciolo, l’idea, il disegno di fondo è rimasto e ne sono lieto.

    Leggendo il manoscritto avevo avvertito la voglia, anzi direi la necessità, di fare i conti con un passato che in Salvo era rimasto sospeso nella nebbia ….di Milano! Salvo doveva raccontare la sua Sicilia degli anni Cinquanta, il suo rapporto con i vari componenti della famiglia e quello con la natura. Doveva scrivere dell’amicizia, della sua infanzia perduta, del mondo durissimo della marineria e del lavoro in genere. Soprattutto doveva estrinsecare l’attrazione e la repulsione per l’isola tanto amata e così inestricabilmente sua.

    E finalmente, dopo anni di tentativi, abbandoni, ritorni, illusioni e delusioni (come in tutte le storie d’amore che si rispettino) il romanzo esce con il titolo suggestivo di Antiche malie.

    Esso ha una struttura circolare, cadenzata anche dal titolo dei capitoli: il primo, Primavera 1965, si apre subito con una frase di Cola (13 anni, voce narrante e protagonista del romanzo) che è quasi il manifesto della trama: Sono passati quasi tre anni da quando abbiamo lasciato la Sicilia e l’abitudine alla nuova vita non riesce a cancellare la mia nostalgia. Milano non è l’Eldorado immaginato e desiderato. Carlo, fratello maggiore di Cola, ha lasciato Milano ed è tornato in Sicilia tentando di fare la vita da pescatore che già fanno gli zii. Troppo faticosa e insicura quell’occupazione! Tornerà quasi subito a Milano cominciando a lavorare da adulto.

    Cola descrive il conflitto quasi insanabile tra il padre e la madre e il dialogo serrato tra i due, con lei che rimpiange la precedente vita in Sicilia e lui che ribadisce caparbiamente tutti i perché della scelta di vita a Milano.

    Cola chiude le tre brevi e fittissime pagine così: In questo clima d’incomprensione e di tensioni familiari irrisolte Carlo inizia la sua vita d’uomo ch’è ancora un ragazzo.

    E la memoria torna al momento della partenza per Milano, tre anni prima; è il secondo capitolo e, direi, la seconda introduzione al romanzo, dal titolo Estate 1962, 12 luglio.

    Sembra quasi la scena iniziale di un film, uno di quei film bellissimi e struggenti sull’esodo di massa dal Meridione verso il nord. Così la prima immagine è quella della littorina per Palermo e poi del treno per Milano; lo straniamento di un posto tante volte pensato come un meraviglioso sogno e adesso scoperto per quello che realmente è: la periferia di una città, un luogo di palazzi tutti uguali, di cieli grigi e di persone affannate e troppo serie.

    La bellissima presentazione fatta in biblioteca nazionale dalla dott.ssa Laura Biancini prende in prestito la domanda che Culuzza si pone con angoscia: E’ qui che mi toccherà diventare grande?

    Ecco, in questo grido dell’anima c’è la fine dell’infanzia e l’inizio di una nuova fase della vita.

    E c’è anche l’avvio vero e proprio del romanzo. Cola descrive brevemente i primi mesi a Milano; la bocciatura scolastica, sua e del fratello Carlo; l’incapacità del fratello di adattarsi allo smog; la nostalgia cocente e il desiderio dell’infanzia perduta in Sicilia. …Ripenso a momenti della mia infanzia siciliana con grande commozione… E coltivo la mia malinconia con la mente rivolta ad un tempo irrimediabilmente perduto, di un altro mondo. Un mondo ed un tempo che risorgono impetuosamente dalla mia memoria. Così si chiude il secondo capitolo e il viaggio della memoria ha inizio: è la primavera del 1959 (che è anche il titolo del terzo capitolo) e il bambino Cola, sette anni, pian piano assume il giusto rilievo di voce narrante e protagonista principale (ma non unico) di tre anni raccontati con grandissima partecipazione e vigore.

    La testimonianza del mondo perduto si fa vita e cronaca quotidiana (e il tempo usato nel romanzo è il presente, non a caso) e tuttavia insieme diventa racconto e storia di un’epoca oramai remota (mezzo secolo divide il bambino Cola dallo scrittore Salvo e dal lettore).

    Per i dialoghi Ballatore utilizza un siciliano molto diretto, immediato e anche, diciamolo, piuttosto difficoltoso, lontano da quello sapientemente costruito e sofisticato di Camilleri, parlandone con tutto il rispetto possibile. Intendo dire che la lingua di Andrea Camilleri è una monumentale costruzione stilistica; un siciliano letterario e colto ben distante dal ruvido dialogo tra i ragazzi di Antiche malie. D’altra parte per rendere tutta la naturalezza dell’eloquio popolare e crudo dei bambini, per rendere bene l’imitazione smaccata dei modi e del linguaggio adulto, per farci vedere, alle volte, anche la crudeltà pre-morale propria di questi uomini non ancora uomini, occorreva dimenticare stile e pudore.

    Può disturbare, in certi passaggi, l’utilizzo di termini non propriamente…urbani o la crudezza con cui ci si parla. Ma sono i modi che si utilizzano, che utilizziamo, nel parlare corrente e, diciamo, fuori dell’ufficialità. Anche oggi i ragazzi, nelle loro espressioni verbali, esagerano molto per una precisa necessità di affermazione e presenza.

    Così Salvo/Cola si sdoppia ed anche la lingua assume doppia natura e valenza. Il narratore adulto utilizza la lingua italiana per rievocare, da storico, le vicende narrate. Invece la cronaca dialogata dei personaggi ha la crudezza, ma anche l’incanto e la freschezza, del siciliano parlato.

    Un altro evidentissimo pregio ha il romanzo: per i giovani di oggi leggerlo significa comprendere come era il mondo dei ragazzi solo cinquant’anni fa. S’imparava facendo; si entrava prestissimo nella vita dei grandi, di quegli adulti invidiati, ammirati ed emulati, nella speranza che le porte del loro mondo si aprissero finalmente all’adolescente, accogliendolo. Per imitazione e per gioco (ma serissimo gioco!) ci si esercitava nelle attività proprie della vita adulta. Tra i tanti vividi personaggi descritti da Cola rimangono negli occhi e nella mente figure come quella del cugino pescatore, Nunzio, vera forza della natura e paladino dei deboli. Tutti quelli che hanno oggi i miei anni (ahimè!) conservano nella memoria qualche ricordo simile: un parente, un amico più grande di noi che assurge a mito, a eroe, a prototipo di forza, saggezza, eleganza e via discorrendo. I giovani di cinquant’anni fa crescevano con fatica, con gran fatica, ma si allenavano a diventare adulti con una propria personalità ben precisa.

    Azzardo a dire che un libro come quello di Salvo potrebbe e dovrebbe essere adottato nelle scuole, per quel che può mostrare come esempio di costruzione e crescita della personalità. Altro che fiction e ragazzi del muretto e tre metri sopra il cielo! Si cresce sulla propria pelle e provocandosi abrasioni e sbucciature, del corpo e dell’anima.

    Altre persone s’incontrano e avanzano sul palcoscenico della memoria con piccole o grandi parti. Il banditore del mercato del pesce; il traghettatore; il venditore di fichidindia; il venditore di frutta e verdura (Nino carì carì); Vanni che vende saponi, candeggina e altri detersivi; Bartuliddu (l’ambulante di pesce fresco); Cicciu lu scarparu; Don Totò lu barberi; e tanti altri ancora.

    E poi, trama che regge tutto l’ordito del romanzo, Virgilio che accompagna nel viaggio, Mentore di novello Telemaco; la figura più bella, quella più amata alla quale è anche dedicata l’opera: la nonnò, la nonna di Cola, Donna Vitina.

    Poche parole bastano per comprendere il legame tra Cola e nonna Vita: Con me è comprensiva e dolce, di una dolcezza essenziale, capace di arrivarmi fino al cuore.

    La nonna è l’elemento che tiene salda l’intera famiglia, nonostante i litigi, le incomprensioni, le inimicizie. È lei che ha l’ultima parola nelle questioni importanti ed è lei che, alla fine, mostra un equilibrio ed una saggezza di vita (nomen omen) che attraversa tutte le vicende e le riconduce al giusto grado d’importanza. Quando parla del marito, l’uomo severo, terribile e dispotico che pure amava, e ne racconta le furie improvvise, conclude sempre con un sospiro come ad esprimere un gran senso di sollievo. Nonna Vita ha un modo tutto suo di far sentire adulto e importante il nipote: Ah, ‘stu me’ niputi è d’oru! Com’è chissu nun ci nn’è e ancora Eh Culuzza Culuzza, di picciriddi com’e tia nun ni nàscinu cchiù.

    Sempre Laura Biancini ha giustamente parlato, per l’ambiente e le vicende del romanzo, di una società che sembra patriarcale ma è, al contrario, profondamente matriarcale. Mi piace qui riportare una frase della sua presentazione perché coglie benissimo questo aspetto. Dice la Biancini che quella società è …maschilista solo in forza di una prevaricazione convenzionalmente accettata: nonne, mamme, zie si muovono con singolare disinvoltura e sicurezza sulla ribalta di un palcoscenico dove quotidianità, famiglia, vita si declinano singolarmente al femminile.

    Come vive tutto quel mondo riportato in vita da Cola! Che commedia umana viene fuori dalle pagine del racconto! La marina, la contrada, la campagna, il cortile, il fiume. E poi i giochi dei bambini, le liti dei grandi, le tragedie e gli episodi buffi. Tutto prende colore e spessore. È un come eravamo senza nostalgia ma tale da costringerci a riflettere, nel bene e nel male, su quanto e come è cambiato il mondo.

    A mia nonna che ha forgiato il mio sentire di bambino

    A Denise che vi ha instillato una sana curiosità verso

    gli esseri umani

    Primavera del 1965

    Sono passati tre anni da quando abbiamo lasciato la Sicilia e l'abitudine alla nuova vita non riesce a cancellare la mia nostalgia.

    Mio fratello Carlo s’è pure ammalato. Diventa ogni giorno più triste, è spesso pallido, non ha più l'energia di un tempo (e di forza ne aveva da vendere quand'era in Sicilia).

    Signora gli esami parlano chiaro, il soffio al cuore di suo figlio é causato da reumatismi nel sangue ed é meglio che sia curato fintanto ch'é nell'età dello sviluppo, riferì nostra madre dopo essere stata dal dottore. Ce lo raccontò alla sua maniera e a me sembrò di dovermi rassegnare al peggio.

    Carlo è diventato più cupo e inquieto dopo quel responso, sembra un uccello in gabbia: a pallone non potrà più giocare, guai a correre o a fare sforzi.

    L’hanno obbligato a trascorrere più d'un mese sul lago di Garda, in mezzo a malati cronici, a uomini di una certa età (non sono frequenti i casi come il suo). Noi, la famiglia al completo, andiamo a trovarlo tutti i fine settimana ed ogni volta lui domanda quanto tempo ancora dovrà stare in quel posto:

    Ma’, non ne posso più, voglio tornare a casa, dice ad ogni nostra visita.

    Mamma, impotente, di fronte al parere autorevole dei medici, risponde sempre la stessa cosa:

    Pazienza Carluzzu, ancora una settimana e ti portiamo a casa, pensa a guarire.

    Ma a casa, mia madre, si ribella in ben altro modo a quest'ingiustizia, perché lei sa bene che se un colpevole c’è nella malattia di mio fratello quello è papà: lui è voluto venire al Nord.

    In assenza di Carlo scoppiano liti furibonde tra i miei genitori.

    Che colpa ne ho se il bambino s'é ammalato... poteva succedere ovunque, si ostina a dire papà.

    Si, ovunque! Mio figlio s'é ammalato a furia di respirare quest'aria puzzolente e finiremo con l'ammalarci tutti di questo passo, risponde incattivita mamma.

    Ma non dire fesserie... Guardati in giro, sono tutti ammalati forse? In Sicilia invece, stanno tutti bene, là vivono d'aria...

    Lasciamo perdere, va... Io te lo giuro sulla testa di 'sti picciriddi, se gli succede qualcosa a mio figlio ne devi rispondere davanti a Dio.

    Papà è costretto a contenere la sua rabbia e non va mai oltre le parole: metterebbe sottosopra il mondo per dimostrare che non è vero quanto costruisce mamma con le sue fantasie: si sente disperatamente incompreso. Io e Carlo siamo convinti che nostra madre abbia ragione: il clima di Milano, lo sentiamo a fior di pelle, non ha giovato alla nostra salute.

    Una volta dimesso, Carlo fatica a riappropriarsi dell'umore di prima: mia madre l'accudisce come un malato e lui diventa sempre più introverso.

    Un giorno, a pranzo, si fa coraggio e dice a nostra madre quel che io già so:

    Ma', voglio tornare in Sicilia, non resisto più a stare qui, non mi piace.

    Non é possibile, tuo padre non vuole, non può essere, quello ha deciso che dobbiamo crepare qui, vicino ai suoi parenti, a sua madre, alle sue sorelle, che gl'interessa dei suoi figli...

    O ma', se Carlo parte io vado con lui.

    Si, pure questo ci manca... No figlio mio, tu sei ancora troppo piccolo.

    ...Eppoi io non ti voglio Culù, ...e non cominciare a fare lu camurriusu! Senti ma', ...perché non parli con la nonnò , così vado a stare da lei... e tu puoi stare tranquilla.

    E a tuo padre… chi glielo conta a tuo padre? No Carluzzu, nun pò essiri; se lo viene a sapere, e dovrà saperlo, fai succedere una tragedia. Porta pazienza, quando sarai grande farai di testa tua.

    No ma', io me ne scappo e chiddu chi succedi succedi.

    Bedda matri, chi va' dicennu figghiu me' ..., t'ha' rassegnare. Si fussi pi’ mia fussimu tornati in Sicilia da un pezzo, ma con quello, con vostro padre non ci si può ragionare. E con nostro padre non ci prova nessuno a ragionare.

    Dopo una lettera della nonna che raccomandava di fare le cose con l'accordo di tutti …e di tuo marito ch'é sempre il padre dei tuoi figli, mio fratello è partito di nascosto, all’insaputa di papà che la sera lo scopre e succede il finimondo.

    Se mio figlio non torna ti denuncio ai carabinieri, a te e a tua madre, che l'ha accolto a braccia aperte, invece di rispedirlo a casa. Bella cosa a fatto la mia cara suocera... Siete irresponsabili, tutti quanti!

    Iu ci lu dissi di nun pàrtiri, non ha voluto sentire raggioni, che dovevo fare?

    Dovevi dirmelo, ecco qual era il tuo dovere: dirmelo! ché lo mettevo a posto io quel mascalzone.

    Stai parlando di nostro figlio, anzi, di mio figlio! L'ho fatto io, io ho faticato per portarlo al mondo e non credere che non sia in pena per lui.

    Per questo l'hai fatto scappare. ...E’ meglio lontano, in Sicilia!? Ch'é andato a fare? Andrà a mare coi tuoi fratelli... certo!

    Perché, non é un lavoro onesto andare a mare?

    Non per i miei figli, non voglio che prendano la strada dei tuoi fratelli, che vita fanno i tuoi fratelli?

    Almeno guadagnano e fanno star bene la famiglia, non sono sfaccendati come te...

    Si, perché per te lavorare é solo fare quel che fanno i tuoi fratelli, la nostra famiglia la mantieni tu...

    Lasciamo perdere va, meglio che nun nésciu chiddu chi c'é ‘dintra ‘sta panza’ che sennò pi’ veru succedi ‘na traggèria...

    Qui la tragedia succede se nostro figlio non torna immediatamente! ...Se entro due giorni non é qui vi denuncio tutti: a te, a tua madre e pure i tuoi fratelli denuncio...

    Papà, Carlo non se la passava più qui, l'ha detto pure a me...

    E tu sei d'accordo con lui, naturalmente… vuoi scappare pure tu, eh?

    No, io sono troppo piccolo, sennò partivo con mio fratello.

    E bravo! …Vai a dormire va, piccolo delinquente. Ecco come vi educa vostra madre, v'insegna a volermi bene... ...Sei una sgualdrina, ecco cosa sei, mi metti contro i figli... e che ci guadagni?

    Le due settimane successive alla fuga di Carlo sono cariche di tensione. Mio padre ha scritto alla nonna una lettera piena di minacce e le ha telefonato quasi ogni giorno. Il suo comportamento, le parole incredibili che gli ho sentito dire hanno finito col turbarmi, tanto che ho cominciato a credere davvero imminente la tragedia.

    Nonna l'aveva previsto nella sua lettera. Certo, lei ha accolto Carlo, ma ora per rimediare ed evitare il peggio, è lei a telefonare ogni giorno a mio padre. Lo rassicura che sta facendo l'impossibile per convincere lu picciriddu a tornare a Milano.

    Mio fratello intanto, ha provato la vita di mare con zio Vito e zio Luciano, riuscendo a soffrire soltanto cinque giorni, prima di rinunciare.

    Lo vedi figlio mio quant'é dura la vita di mare? …Meglio che torni a Milano e che studi ancora, s'é possibile… Ha ragione tuo padre, qui non avresti avvenire, va' figlio mio, parti ch'é meglio per tutti.

    Questi discorsi avrebbe riferito Carlo a nostro padre, una volta tornato a Milano, avendo ben chiaro quanto nonna fosse innocente e quanto ingiusto l’accanimento contro di lei.

    Papà nel frattempo, gli ha trovato pure un lavoro d’apprendista meccanico a Carlo: è il figlio maggiore e visto che in casa di un altro salario c’è necessità, che bisogna aspettare? …Che diventi dottore, per rendersi utile alla famiglia? Meglio lavoratore onesto che sbandato e fannullone, sostiene orgogliosamente mio padre. E cosi, mio fratello, preda d’una inquietudine insanabile, ma pure confuso dal trambusto che ha creato, obbedisce. Non ha voluto rinunciare allo studio però e s’è iscritto ad una scuola serale privata, l'istituto professionale dei Salesiani. Ha pagato l'iscrizione con i soldi che gli aveva dato di nascosto mamma, papà l’ha saputo a cose fatte e non si è opposto. In questo clima d’incomprensione e di tensioni familiari irrisolte Carlo inizia la sua vita d'uomo ch'è ancora un ragazzo.

    Estate 1962, 12 luglio

    Saliti sulla littorina per Palermo, nei minuti che precedono la partenza, i nostri parenti si affannano a gesti e a gran voce con mille raccomandazioni:

    Stati attenti quannu arrivati a Palermo....è facili ch'arrobbanu a Palermo.

    Pure a Napoli aviti a tèniri l'occhi aperti chi li napulitani sunnu peggiu di li palermitani.

    Ma su tutte prevale la voce confortante di mia nonna:

    A te, Nina, stai attenta ai tuoi picciriddi, non farli affacciare dai finestrini ch'è pericoloso! Mi hai sentita?! E li bagagli…, nun perdirli di vista, mi raccumannu; - poi, parlando tra sè e sè, a voce alta, che tutti possono sentire, con lo sguardo rivolto al cielo, continua: - Ah Signore! Che sorte hanno dovuto avere queste mie figlie femmine! Immediatamente si scatena una commozione contagiosa, con pianti e lacrime e gesti di consolazione affettuosamente teatrali.

    Dopo 27 ore di viaggio dentro un

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