Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il bastardo
Il bastardo
Il bastardo
E-book368 pagine5 ore

Il bastardo

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Lione, 1245.  Francesco Fieschi, ambizioso nipote del Papa, non avrebbe mai immaginato che la relazione segreta con l’avvenente nobildonna Matelda de La Rocheblanche lo avrebbe fatto diventare cavaliere e imbarcarsi per la settima crociata.  Affascinato dalla prospettiva di combattere al fianco del re e guadagnarsi la gloria in difesa della Cristianità, si ritroverà invece costretto a destreggiarsi tra intrighi e invidie, tra potere temporale e spirituale, tra l’imperatore Federico II di Svevia, Papa Innocenzo IV e il Re di Francia Luigi IX.  Riuscirà a raggiungere la Terrasanta, nonostante l’inquietante presenza di un misterioso nemico che continua a ostacolarlo?
LinguaItaliano
Data di uscita2 giu 2022
ISBN9791280100306
Il bastardo

Correlato a Il bastardo

Titoli di questa serie (2)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa storica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il bastardo

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il bastardo - Daniela Piazza

    AltriTempi

    Daniela Piazza

    Il bastardo

    Proprietà letteraria riservata

    ©2022 AltreVoci Edizioni srls

    ISBN: 9791280100306

    Realizzazione grafica: Creativita Agency

    Immagine fronte: © Andrey Kiselev – Adobe Stock

    Immagine retro: © Álvaro Germán Vilela - Adobe Stock

    Prima edizione digitale: maggio 2022

    Questo romanzo è un’opera di fantasia e quando si riferisce a personaggi realmente esistiti, il loro ruolo, le loro parole e le loro azioni sono da intendersi come interpretate dall’autrice ai fini della narrazione e non rispecchiano necessariamente l’esattezza storica.

    Per accedere ai contenuti extra de Il bastardo fai la scansione del codice o visita il seguente indirizzo:

    www.altrevociedizioni.it/qr/il-bastardo

    In caro ricordo di Stefano Magagnoli

    Nota dell’autrice

    Questo è il primo romanzo da me scritto, frutto della rielaborazione e dell’ampliamento in forma di trilogia di un breve racconto ideato in classe con i miei alunni, nell’ambito di un progetto volto alla realizzazione di un prodotto multimediale dedicato al romanico in Liguria. Pur trattandosi, nelle mie intenzioni, di un romanzo ligure, in realtà questo primo volume è ambientato in Francia ed Egitto, nelle prime fasi della vii Crociata. I protagonisti liguri non approdano (ancora) nella nostra terra, ma la Liguria è spesso evocata e fa in qualche modo da sfondo ideale agli avvenimenti: diventa la Terra promessa che verrà raggiunta solo alla fine della saga.

    Il racconto immaginario si sviluppa all’interno di una trama storica reale, la cui ricostruzione è basata sulla lettura di numerosi testi, tra cui cito qui solo i più significativi:

    Federico Mario Boero, Fieschi e Doria. Due famiglie per una città, cem, 1986;

    Marina Firpo, La famiglia Fieschi dei Conti di Lavagna. Strutture familiari a Genova e nel contado fra xii e xiii secolo, De Ferrari Editore, 2006;

    A. Michaud, Storia delle Crociate, Sonzogno, 1854;

    Jean De Joinville, Storia di San Luigi, Il Cigno Galileo Galilei, 1999.

    Quest’ultimo è stato sicuramente il testo più importante per la mia ricostruzione storica e l’ho seguito in modo piuttosto fedele, anche quando le informazioni, pur essendo di prima mano (Joinville partecipò alla Crociata e ne redasse la cronaca), risultano per gli storici poco precise o addirittura errate.

    I protagonisti principali (Francesco, Matelda, Filippo e Adele) sono frutto della mia fantasia, ma sono in qualche modo personaggi possibili. Appartengono a famiglie in vista, famiglie di cui compaiono nel libro anche altri esponenti invece storicamente noti, ma ne sono membri in qualche modo scomodi o caduti in disgrazia, fatto che potrebbe giustificare la loro assenza dalla storiografia famigliare tramandata ai posteri.

    Nella scrittura ho utilizzato un linguaggio attuale, a volte anche gergale, per rendere più vicini a noi i personaggi, senza però rinunciare alla verità storica e sociale del Medioevo. Ho avuto particolare cura nel delineare i caratteri psicologici dei vari personaggi, marchiati dalle vicende che hanno dovuto affrontare. Non c’è un eroe positivo, nel racconto: Francesco, che ne è il protagonista principale, è un violento e un arrogante, Filippo, allegro e simpatico, si macchia però del tradimento nei confronti del proprio migliore amico. Forse più positivi sono, come spesso nei miei romanzi successivi, i personaggi femminili: la severa ma affidabile Adele, moglie di Filippo, e la ribelle Matelda, moglie di Francesco.

    Capitolo 1

    Lione, estate 1245

    «Aspettami, non correre così! Non riesco a starti dietro!»

    «Forza, lumaca, se non vuoi che ti lasci qui. Pensa a quello che ti attende e spingi con quei calcagni!»

    «Quel che mi attende… non sono io quello che è atteso!»

    Brontolando, Filippo si risollevò dal collo del suo cavallo ansimante e sudato e osservò con aria perplessa le sue froge dilatate, la schiuma che scendeva dagli angoli della bocca colando sui fianchi; gli diede un benevolo colpetto sulle spalle massicce.

    «Non fare tutte queste scene, bestiaccia. Se vuoi venire con me a riconquistare Gerusalemme, devi impegnarti di più!». E all’amico che tornava impaziente sui propri passi, disse indispettito: «Mica tutti possono permettersi un cavallo veloce come il tuo! Il povero Saladino fa quello che può. Se mi vuoi a reggerti la coda, corri meno. Tanto, stai tranquillo che la tua bella non scappa. Quella sì che ci ha preso gusto, a cavalcare…».

    Francesco finse indignazione, ma rideva compiaciuto.

    «Non ti permetto doppi sensi al riguardo di una delle fanciulle più virtuose e oneste di Francia. Non esistono parole che possano descrivere la sua bellezza. Sapessi con che sentimento, con quali sospiri sa intonare le più tenere canzoni d’amore, con che grazia e sapienza sa pizzicare ogni corda dello strumento, con che trasporto sa suonare il piffero fino a far vibrare tutte le note più nascoste dell’animo…»

    «Basta, basta, per carità!», sghignazzò Filippo, le guance arrossate dalle risate e dall’eccitazione. «Risparmiami codesti tuoi vaneggiamenti musicali e raccontami piuttosto come sono le sue natiche! Già le posso immaginare, quando la vedo strusciarsi sulla sella… una bella vista davvero!»

    Francesco si irrigidì e il suo viso affilato si voltò bruscamente verso il compagno, mentre i lunghi capelli neri sferzavano l’aria. La mano si portò istintivamente al fianco, al coltello infilato nella cintura: «Ehi, vedi di immaginare un po’ meno e di pensare semmai alle natiche della tua amichetta!».

    Filippo non si curò dell’espressione minacciosa dell’amico e continuò a scherzare.

    «Sì, bella amichetta, quella. Se ne sta dritta, impalata, come se avesse ingoiato un bastone, con gli occhi spalancati, le orecchie tese, invocando la Madonna, preannunciando i più terribili disastri, tanto che mi devo di continuo toccare lì per scacciare il malocchio… già, se non ci tocco io, lei non tocca di sicuro, figurati che se provo solo a rivolgerle un mezzo complimento, salta su come se le avessi dato un pizzicotto sul sedere. Guarda che ti sto dando davvero una bella prova di amicizia, a corteggiare quel pezzo di legno secco!»

    Francesco tornò a ridere, rasserenato, assestando una manata cameratesca sulla spalla dell’amico, e gli rispose: «Hai ragione, fratello, scusami. Ma questo non ti autorizza a mettere gli occhi su Matelda! E poi tu esageri: Adele non è così male, senza contare che il legno secco, quando brucia, arde fiammeggiando quanto nessun altro!».

    «Non so neanch’io se desiderare che questo fuoco si accenda.»

    I due amici continuarono a trottare fianco a fianco, scherzando e deridendosi a vicenda. Erano tornati, come sempre quando erano soli, alla loro lingua d’origine, il genovese, abbandonando il francoprovenzale, la lingua parlata a Lione, che ormai entrambi conoscevano discretamente. I mesi passati l’uno accanto all’altro, a esercitarsi nell’arte del combattimento, dell’equitazione, nell’apprendimento delle belle maniere della vita di corte − poco messe in pratica nella vita di tutti i giorni − avevano creato tra loro una confidenza profonda e una solida fratellanza, che nemmeno il carattere diffidente e altero di Francesco, peraltro bilanciato dalla bonomia e socievolezza dell’altro, riusciva a mettere in crisi.

    Fisicamente, erano quanto di più diverso si potesse immaginare: alto, magro, quasi allampanato, Francesco, il volto sottile appena ombreggiato da un timido accenno di peluria scura sul mento e marcato dal lungo, imperioso naso diritto, marchio di fabbrica dei maschi della famiglia Fieschi. Gli occhi scuri, intelligenti, erano sempre in movimento, lo sguardo guizzante, volitivo, trascorreva irrequieto su cose e persone ma, quando si fermava su qualcuno, sembrava metterlo a nudo; la fronte alta era incorniciata dai capelli nerissimi, illuminati da riflessi quasi bluastri, che cadevano in morbidi boccoli, contrastanti con la spigolosità dei tratti del volto, sulle spalle ancora femminee; un fisico da adolescente cresciuto troppo in fretta, che tuttavia era reso più adulto dall’espressione fiera, baldanzosa, a tratti torva, di chi ha un’alta concezione di sé ma si sente talvolta disconosciuto dagli altri nel proprio valore.

    Se Francesco aveva il volto di un adulto su un corpo ancora non completamente sviluppato, in Filippo il rapporto si invertiva; infatti, pur essendo di un anno più giovane e molto più basso dell’amico, presentava un fisico atletico, che a malapena riusciva a governare, assumendo talvolta un’andatura e atteggiamenti sgraziati, che gli erano valsi l’appellativo irridente di scimmia bionda da parte dei coetanei. Il suo corpo, sia pure un po’ tozzo e massiccio, era tuttavia attraente per la vigoria che emanava e per il colorito ambrato della pelle lucida, tesa sopra i muscoli rigonfi; dalle larghe spalle si levavano le braccia forti, dai bicipiti possenti, così come sode erano le cosce. Ma i capelli biondo cenere, dritti e secchi come fascette di paglia arruffata, si intrecciavano disordinatamente sopra a un viso quasi infantile, dagli occhi vivaci, sempre ridenti e svegli, di un blu intenso che illuminava il volto abbronzato. Un gran paio di orecchie a sventola erano l’unica nota stonata in questo viso per il resto gradevole e regolare, anche se sempre in bilico in una mutevolezza espressiva tra l’irridente e il sornione. Un viso e una costituzione che attiravano gli sguardi delle donne, cameriere e servette, che giravano trafficando nei cortili della residenza papale a Lione, e talvolta anche di qualche dama, che pensava sorridendo che, una volta acquisita una maggiore cura di sé e una maggiore armonia nei movimenti, Filippo sarebbe stato proprio un gran bell’uomo.

    Nonostante fosse fisicamente più robusto di Francesco, Filippo aveva accettato il ruolo di capo assunto dall’altro, non tanto perché lo ritenesse più abile, quanto per il suo istintivo desiderio di essere amico di tutti, che lo portava a sfuggire le situazioni di tensione e a liquidarle con una scrollata di spalle. Un tipo di reazione che rendeva furioso Francesco, il quale, invece, a primeggiare ci teneva proprio ma non sopportava questo atteggiamento di condiscendenza e che perciò spesso provocava Filippo a bella posta, trattandolo come un sottoposto alle sue dipendenze, dandogli dello stupido e del goffo, senza, però, ottenere particolari effetti. Ma le volte che la reazione c’era stata, Francesco si era pentito amaramente di essersela andata a cercare, perché il confronto fisico si era sempre concluso con la sua sconfitta.

    In questi casi, Francesco ricorreva all’autorità costituita e si lamentava con lo zio, che altri non era che l’energico pontefice Innocenzo iv Fieschi, spauracchio di tanti potenti d’Europa, a cominciare dall’imperatore Federico ii. Immancabilmente, il giorno dopo arrivavano le scuse ufficiali del padre di Filippo, un genovese che aveva scelto di accompagnare il Pontefice in Francia, con l’ovvia speranza di ricavarne benefici e riconoscimenti per sé e per la sua famiglia, i Grimaldi, da tempo legati alla politica guelfa dei Fieschi. Francesco poteva così dispensare magnanimamente il proprio perdono all’amico e tornare a cercare la sua compagnia, che gli era diventata ormai indispensabile. Nessun altro come Filippo, infatti, era disponibile a seguirlo nel suo continuo andare alla ricerca di guai.

    Francesco si lanciò al galoppo, seguito dall’altro che incitava il suo cavallo e insieme superarono in velocità l’ultimo dosso che li separava dal luogo dell’appuntamento, una piccola radura costellata di bassi alberelli sulle rive di un torrente che qui si allargava a formare un minuscolo laghetto, circondata da modeste alture. Il luogo era ancora deserto. I due amici scesero da cavallo e legarono i loro animali ai bordi del ruscello, dove potevano dissetarsi. Subito Saladino immerse il muso nell’acqua fresca, aspirandola ad ampie sorsate, osservato quasi sdegnosamente da Kalaf, lo splendido stallone arabo di razza kouhaylan di Francesco che il padre Tedisio gli aveva regalato al momento della partenza dalle terre di famiglia, il feudo di Lavagna, affacciato sul Mare Ligustico. Era stato forse l’unico, vero segno di affetto del padre nei confronti di questo figlio scomodo per molti motivi, e anche per questo Francesco adorava l’animale e lo circondava di ogni cura possibile.

    Si sedettero su due rocce e iniziarono a ingannare l’attesa cercando di colpire con i ciottoli il ramo sporgente di un albero; Francesco era inquieto, si alzava, subito si risiedeva, guardando di continuo verso il passaggio tra gli arbusti, dal quale loro stessi erano arrivati.

    «Sento rumore di zoccoli. Lo senti anche tu?»

    «Ma no. Sono i colpi delle pietre sul ramo.»

    «E allora smettila di far baccano. Lasciami ascoltare!»

    «Ma cosa vuoi ascoltare? Quando arriveranno le vedrai.»

    «E se sbagliano sentiero? Se vanno all’altro laghetto?»

    «Sei insopportabile! Sarà la ventesima volta che ci vediamo qui, perché proprio oggi dovrebbero sbagliare strada?»

    «E se il Marchese non le lasciasse più uscire a cavallo?»

    «Sarebbe quasi ora, quelle due stanno diventando la favola di tutta Lione. Ma il Marchese ha altri pensieri, stai tranquillo. Tira brutta aria al Concilio. Tuo zio non sembra intenzionato a recedere dalla sua volontà di confermare la scomunica all’Imperatore e la maggior parte dei Signori di Francia, a cominciare dal Re stesso, sono preoccupati per le conseguenze che questo gesto potrebbe avere. In realtà molti di loro, e lo stesso de la Rocheblanche, vedrebbero di buon occhio una riconciliazione.»

    «Non c’è alcuna possibilità che mio zio ceda su questo punto. Per lui Federico è l’incarnazione del demonio e io la penso come lui. È dai tempi dell’ultima Crociata che finge di fare l’interesse della Cristianità e invece non fa che seguire il proprio tornaconto e stringere patti con i nemici di Dio.»

    Ma Francesco non era in vena di conversare di politica e lasciò cadere il discorso. Per alcuni minuti riprese ad andare avanti e indietro in silenzio, poi si rivolse nuovamente a Filippo: «Se arrivano anche i soldati della scorta, cosa raccontiamo?».

    «Che stiamo facendo una cavalcata in campagna, che diamine! Certo, se qualcuno venisse a sapere che il luogo è frequentato, allora sì che non le lascerebbero più venire sole al laghetto. Questa storia del bagno nel ruscello, questo improvviso bisogno di pulizia giornaliera, non so quanto potrà ancora durare.»

    «Dio non lo voglia!», Francesco si mise le mani nei capelli al solo pensiero. «Come potrei fare a meno di lei?»

    «Quante storie! Ti sei arrangiato da solo per tutti questi anni, riprenderai l’esercizio! Già, le tue mani mi sembrano un po’ consunte. Forse, la tua amata non lo suona poi così tanto come vorresti farmi credere, il piffero…»

    Filippo si scansò ridendo, per evitare il sasso che lo mancò di poche dita. Mentre si alzava rapidamente, con l’intenzione di gettarsi sull’amico e scaraventarlo in acqua, il rumore di zoccoli sul terreno si percepì in lontananza.

    «Taci, bestia. Stanno arrivando.»

    Entrambi guardarono verso i cespugli, ansiosi per motivi diversi. Mentre Francesco pregustava le delizie dell’incontro, Filippo ripassava mentalmente tutti i racconti d’Oltremare che aveva sentito narrare in quei giorni, sperando che potessero interessare Adele e raddolcirla un po’, facendole dimenticare per qualche minuto le fiamme dell’inferno dove già si vedeva sfrigolare con la sua amica. Fiamme che non mancava di descrivere al giovane, che già per l’inferno aveva poca simpatia di suo, in modo così vivido che anche lui non poteva fare a meno di provare una sgradevole sensazione di bruciore sulla pelle.

    Capitolo 2

    Come sempre, la prima a comparire fu Matelda. Il cuore di Francesco si fermò per un attimo. Era davvero uno spettacolo che mozzava il fiato vederla piegarsi per scostare un ramo fino a lasciar intravedere, sotto la tunica leggermente discosta, un piccolo triangolo di pelle nivea tra le due curve appena accennate dei seni, mentre la reticella intrecciata di perle che le avvolgeva i capelli dorati scivolava su un lato, lasciando sfuggire qualche ciocca ribelle. Gli occhi, unici nel loro colore, poco più scuro del biondo dei capelli, brillavano di emozione e illuminavano l’atmosfera intorno come un raggio di sole. Le narici del nasino impertinente, leggermente girato all’insù, che si stringevano e dilatavano, e le labbra piccole e carnose, appena socchiuse, suggerivano immagini allettanti e conturbanti. Per non parlare dei piedini, appoggiati sul fianco destro del cavallo grigio, chiusi in deliziose scarpette di cuoio tinto in azzurro, che lasciavano libera gran parte delle sottili caviglie nude, fino al bordo dorato del vestito dello stesso colore.

    «Attenta, potreste cadere!»

    Con uno scatto, Francesco si portò al lato del cavallo e aiutò la fanciulla ridente a scivolare agilmente a terra, tra le sue braccia protese.

    La seconda ragazza, che nel frattempo l’aveva affiancata, osservava la scena con aria di profonda disapprovazione.

    «È più facile che voi possiate cadere dal letto, piuttosto che io dal cavallo, mio Signore. Un giorno vi dovrò dare una lezione. Sono sicura che batterei voi e il vostro bellissimo Kalaf anche montando in questa maniera assurda.»

    «State certa, il giorno in cui potremo galoppare liberamente insieme, fianco a fianco, verrà, e allora si vedrà chi sa cavalcare più veloce!»

    «Ma prima di allora, conviene che facciate ancora molto esercizio», intervenne maliziosamente Filippo, fulminato con un’occhiataccia da Adele, che, se non altro, aveva il dono di capire le cose al volo.

    «Verrà, quello sì, e tra non molto, il giorno che il Marchese de la Rocheblanche darà a voi e a quest’altro giovanotto una bella lezione, se continuerà ancora questa pazzia», gli disse. «Le guardie della nostra scorta sospettano qualcosa, ne sono sicura; prima o poi, si avvicineranno per spiarci e allora sarà finita per tutti noi. No, grazie, scendo da sola.»

    Allontanò con un gesto stizzoso Filippo, che si era avvicinato per aiutarla a smontare, e saltò giù con un agile balzo. Adele non sarebbe poi stata così sgradevole come la dipingeva il giovane, se non fosse stato per quel suo sguardo severo, perennemente accigliato, che le aveva già creato una serie di sottili rughe sulla fronte e due profonde fossette ai lati della bocca. Era alta e snella (secca, come diceva Filippo, che era alto mezza testa meno di lei ma largo il doppio), il petto completamente piatto che nemmeno la cintura portata subito sotto il seno riusciva a mettere in rilievo. I suoi capelli non si erano mai visti, perché li portava nascosti sotto un velo bianco, quasi monacale, che si chiudeva sotto il mento conferendo un innaturale pallore al volto. Filippo li immaginava biondi, quasi bianchi, pressoché trasparenti. Tutto, in quella giovane, gli dava questa idea di diafanità, di trasparenza cristallina, glaciale: dai lineamenti delicati ma allo stesso tempo spigolosi, dominati dal naso leggermente adunco, agli occhi chiarissimi quasi privi di sopracciglia, fino alle labbra sottili di un rosa pallido. Per la prima volta da quando era costretto a farle, suo malgrado, la corte, nel vederla saltare a terra il pensiero che sotto quel pesante mantello grigio ci fosse un corpo vero, vivo, gli provocò tuttavia un leggero fremito di eccitazione e gli fece materializzare davanti agli occhi l’immagine di lei che si toglieva freneticamente di dosso tutta quella stoffa e si trasformava in una donna anelante, vogliosa, assetata di sesso.

    Per poco non le scoppiò a ridere in faccia, mentre educatamente si ritraeva con un inchino e richiudeva le porte della fantasia.

    «Ma su, Adele, come sei sempre esagerata», stava cinguettando allegra Matelda. «Cosa vuoi che ci succeda? Nessuno si preoccupa di quello che faccio o non faccio. Mio zio ha altro a cui pensare, tra il Concilio, i preparativi per la Crociata, la carriera ecclesiastica di mio cugino… Per lui sono solo una seccatura e sono sicura che non c’è giorno in cui non maledica i miei genitori per aver avuto la bella idea di morire anzitempo, lasciando a lui l’incombenza di occuparsi di me e dei miei fratelli. Anzi, se sapesse che mi vedo con il fi… con il nipote del Papa, forse acquisterei un po’ di valore ai suoi occhi.»

    «Ma Matelda, come potete parlare così? Vostro zio vi ama e fa per voi e la vostra famiglia tutto il possibile. Viene perfino incontro a questa vostra pazzia di voler andare in giro da sola, o quasi, a cavallo! E vestita come una principessa, con le perle nei capelli. E per fare il bagno nel ruscello, seminuda! E voi fate di tutto per farlo ammattire, gli fate delle scenate se vi fa accompagnare dai suoi uomini, come è giusto e decoroso che sia. E coinvolgete anche me in queste menzogne, me che sono così sciocca da venirvi dietro!»

    «Ma Adele, non vorrai mica che dei rozzi e affamati soldatacci possano assistere allo spettacolo del nostro bagno e vedere… questo!», e così dicendo, Matelda sollevò il vestito fin oltre il ginocchio. Con una incantevole mossa dei fianchi mise in mostra una gamba soda dalla pelle rosata e l’attaccatura di una coscia robusta e tornita, lasciando senza respiro i due ragazzi che seguivano il battibecco, divertito Filippo, infastidito Francesco, che si era fatto improvvisamente scuro in volto.

    Subito l’amica si segnò, inorridita. Ma Matelda, ricompostasi, le corse incontro, l’abbracciò di slancio e, ridendo spensierata, continuò: «Adele, non saremo giovani in eterno. Godiamoci la nostra età, finché è possibile. Io ne ho abbastanza di vedere intorno a me solo preti e cardinali, abati e priori. E voglio sapere cosa vuol dire amare prima che Re Luigi mi porti via tutti i bei giovani di Francia per farli morire in Outremer».

    Fu interrotta da Francesco, che le afferrò bruscamente un braccio, strattonandola con sgarbo fino a fermarla contro il proprio petto; portò il proprio viso a una spanna dal suo e la fissò intensamente: «Io dall’Oriente tornerò, e ricchissimo, con mille doni per colei che mi aspetterà infischiandosene di tutti gli altri bei giovani di Francia e del loro destino».

    Matelda rispose corrucciata al suo sguardo carico d’ira. Ma subito dopo la sua risata squillò di nuovo argentina.

    «Sì, lo so. E io sarò fiera di voi e voi non avrete motivo di essere geloso». Gli gettò le braccia al collo. «Ma basta chiacchiere. Il nostro tempo è poco, non lo sprechiamo in futili parole. Venite!»

    «Io non sono geloso. Ma non mi piacciono le donne che civettano davanti ai miei amici.»

    Francesco, dopo averle risposto con livore ma sottovoce, per non essere udito dagli altri due, scostò le sue braccia dal proprio collo; poi però la seguì, avviandosi con lei verso un altro sentiero, sul lato opposto della radura. La ragazza ricominciò ben presto a chiacchierare allegramente, incurante del suo malumore.

    «Adele, mi raccomando, stai all’erta. Filippo, se sentite qualcuno avvicinarsi, fischiate!»

    Adele scuoteva la testa.

    «Se arriverà qualcuno, ci sarà da fischiare un intero Miserere. E vi giuro che io racconterò a tutti che ci avete assalite e che il vostro compagno ha rapito la mia Signora.»

    Ma poi, accompagnata da Filippo, che, ignorato, le porgeva il braccio, si sedette su un grosso masso, pronta a lanciare l’allarme al primo suono di passi.

    «E non parlate così forte: vi sentiranno», raccomandò ai due che si allontanavano, sussurrando a mezza voce, con insistenza. «Non state via molto, vi prego.»

    Filippo si sistemò sul prato, ai suoi piedi, ripassando ancora una volta mentalmente i racconti che aveva pensato di narrarle. Lo sguardo gli si era posato, senza volere, sulla caviglia fasciata di bianco, posata sull’erba a breve distanza dalle sue ginocchia, e indugiava in questa gradevole vista; ma, appena la ragazza se ne accorse, risistemò il mantello grigio, fino a coprire anche i calzari in cuoio e si raddrizzò ancor più sul suo sedile di pietra.

    «Ho un’idea», propose Filippo. «Perché, nell’attesa, non facciamo anche noi un bagno nel ruscello? Con questo caldo potrebbe essere fantastico.»

    Adele lo guardò come se fosse pazzo e si fece il segno della Croce, gli occhi al cielo. Riportandoli poi su di lui, gli si rivolse sprezzante.

    «Ma con chi pensate di avere a che fare, con una ragazza di malaffare come quelle che solitamente frequentate, forse?»

    «No di certo, mia Signora». Avrebbe voluto aggiungere: purtroppo, ma invece continuò: «Siete stata male informata, riguardo alle mie frequentazioni. Ma nel fare un bagno, non c’è nulla di male, in fondo possiamo tenere la camicia. Asciugherà in un attimo, nessuno lo saprà mai, nemmeno Matelda, nemmeno Francesco. Sarebbe bellissimo. Davvero non volete, eh?», la sua espressione sconsolata strappò alla ragazza un accenno di sorriso, subito soffocato.

    «Non dovete sentirvi in obbligo di farmi compagnia, posso aspettare da sola. Se volete, voi potete fare il bagno.»

    Eccola qui, la verginella, pensò Filippo. Non mi vuol far vedere la caviglia, ma non disdegna di ammirare le mie natiche. Quasi quasi…

    «Se dite così, se non vi dispiace, io sarei felice di approfittare di quest’acqua meravigliosa.»

    E già cominciava a slacciarsi gli stivali.

    «Ma no, che fate, non qui, davanti a me! Andate altrove!», scattò lei, segnandosi ancora.

    «Non potrei mai lasciarvi sola!», Filippo, che all’inizio aveva solo voluto provocarla, adesso cominciava a divertirsi.

    Gettò le calzature sotto un cespuglio e cominciò a slacciare le calze e ad abbassarle, girando di quando in quando uno sguardo rapido su Adele, il cui viso cereo si stava animando di tutti i colori dell’arcobaleno.

    «Impudente, fermatevi subito! Se continuate così, rivelerò tutto al Marchese e a vostro padre! Via, andate via!», la sua voce, pur cercando di rimanere bassa, si stava facendo stridula, il suo sguardo lanciava fulmini e saette.

    «Suvvia, Adele, perché non vi alleggerite un po’ anche voi? Quel mantello deve essere un tormento, con questo caldo», e ridendo gettò via anche la guarnacca e iniziò a sollevare la tunica sopra le spalle. Adele era ormai di un rosso paonazzo. Era furente e Filippo era sicuro che, se fosse stata armata, lo avrebbe colpito senza pensarci due volte.

    Gettò anche la tunica sul mucchio. Lei si girò dall’altra parte con un movimento talmente brusco da farla quasi cadere dalla roccia.

    Filippo afferrò il bordo della camicia e fece per alzarlo.

    «Fermo, non osate! Se fate questo, ve ne pentirete amaramente», quasi gridò lei.

    «Ssst, silenzio, volete attirare dei curiosi?», la redarguì sornione Filippo. «Non vorrete farmi bagnare la camicia?», continuò con tono falsamente implorante.

    «Non osate, non mi mettete alla prova. Saprei ben io come farvi passare la voglia di scherzare!»

    Lui cercò di immaginare quali tipi di tortura lei potesse avere in mente e si accorse con stupore che qualcosa si stava muovendo all’altezza del proprio inguine. Ma, consapevole di non poter andare troppo oltre, riabbassò la camicia sopra le cosce e rispose: «D’accordo, crudele. Sappiate però che se morirò per l’infreddatura, sarà per la vostra mancanza di cuore e sarà colpa vostra se Gerusalemme avrà un uomo in meno a combattere per la sua liberazione!», e iniziò ad avanzare nell’acqua in camicia, provando un’immediata sensazione di freschezza e di intenso godimento, soprattutto quando l’acqua raggiunse le sue parti più surriscaldate, riportandole a una temperatura ragionevole.

    Totalmente preso da questo nuovo piacere, che gli rammentava le sensazioni perdute dei giorni d’infanzia passati sulle rive del Mare Ligustico, quasi si scordò della fanciulla e si immerse, tornando quindi a galla sbuffando; quindi si rituffò, dimentico della propria nudità e iniziò a sguazzare allegro nella pozza, emettendo grugniti di piacere.

    Solo dopo un po’ si ricordò di lei e le lanciò un’occhiata, in tempo per vedere in un lampo velocissimo che lei lo stava osservando da sopra la spalla voltata, con negli occhi un luccichio insospettato, ma appena i loro sguardi si incrociarono, tornò a girarsi bruscamente. Filippo le sorrise e la colpì con uno spruzzo, ottenendo solo una scrollata sdegnosa di spalle.

    Fai, fai la sostenuta, pensò. Ancora una settimana e te la tolgo, quell’espressione di superiorità dal viso e te lo faccio dimenticare io l’Inferno; ancora una settimana e sarai tu a chiedermi di aprirti le porte del Paradiso!

    Capitolo 3

    Matelda e Francesco si erano allontanati di un centinaio di passi, fino a raggiungere i ruderi di un vecchio mulino ad acqua ormai abbandonato, che avevano scoperto qualche tempo prima. Procedevano allacciati, scambiandosi baci e affrettando i passi, presi da una smania crescente di sentirsi, di toccarsi. Tuttavia, Francesco ancora avvertiva un disappunto che si mischiava all’eccitazione e lo turbava, spingendolo a insinuare negli abbracci una nota nervosa e brusca.

    Non aveva mai provato per alcuna altra giovane prima di allora niente di simile a ciò che sentiva nei confronti di Matelda; anzi, lui considerava le donne esseri inferiori, ricettacolo di vizi e malvagità. Ma questa fanciulla lo aveva ammaliato già dal primo incontro; da quando, poi, lei gli si era concessa, Francesco era stato preso da una smania crescente, da un desiderio sempre più forte, unito a un senso di possesso e di protezione nei confronti di quella giovane che, al di là dell’apparenza spregiudicata e impertinente, intuiva delicata e sensibile.

    L’incontro con Matelda era stato il coronamento di un periodo straordinario della sua esistenza, che aveva ricompensato tante frustrazioni

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1