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Donna Tosca
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E-book118 pagine1 ora

Donna Tosca

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Info su questo ebook

Dalla Danimarca Signe si ritrova ad abitare a Lucca, con tutto quello che ne consegue. Qui conoscerà diverse altre donne che la cambieranno profondamente.
Donna Tosca tratta quelle scelte e quei ruoli che le donne si trovano ad assumere e che ne definiscono l'identità. In fondo tutte ci chiediamo chi siamo.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2014
ISBN9786050315608
Donna Tosca

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    Anteprima del libro

    Donna Tosca - Charlotte Hagen

    2013

    1.

    In danese si dice:

    Kvinder er kvinder værst!

    Le peggiori nemiche delle donne sono le donne stesse.

    Per questo ero stata nervosa e insicura per tutto il giorno?

    Era già abbastanza difficile essere estranea in terra straniera e di mettermi nel ruolo della nuova della classe, proprio non ne avevo bisogno. Mi chiamo Signe, ho quarantatré anni e mi sono appena trasferita in Italia, qui a Lucca, con mio marito, lo Psicologo.

    Le mie preoccupazioni comunque non ebbero presa su Samantha, o Sam, come si presentò al telefono quando chiamò per invitarmi a uscire con il suo Club delle ragazze.

    Dai Signe, vieni. Sono simpatiche e ci divertiremo!

    Sono tutte donne tra i trenta e i cinquantatré anni.

    Questa fu l’unica cosa che anticipò su di loro. Per me saranno sempre le mie damotte.

    Mi feci convincere a uscire con loro per farmi nuove conoscenze.

    Era la prima volta, da quando ci trasferimmo in Italia, che uscivo da sola la sera. Non sapevo cosa aspettarmi, e questo, nonostante non fossi più una ragazzina, mi rendeva tesa. Dove dovessimo andare e cosa dovessimo fare non era molto importante, ma il pensiero di dovermi giostrare con la lingua italiana mi faceva sentire una morsa allo stomaco e sudare i palmi delle mani. Sono una conversatrice. Non nel senso di una comunicatrice, che è anche competente nell’ascoltare, ma più come una persona da cui fluisce un più o meno costante flusso liberatorio di parole. All’improvviso è stato un handicap maggiore non riuscire a esprimermi in danese di quanto non lo sia la paralisi che blocca un lato del mio corpo.

    Se si trattasse di semplice vanità o la mia ansia di non apparire abbastanza femminile e quindi non riuscire a integrarmi nel gruppo, non saprei dirlo.

    Il giorno precedente andai per la prima volta da un parrucchiere italiano. La scelta ricadde sul piccolo Mode, il più vicino a casa nostra. Una signora gentile e premurosa mi accolse, ma subito un signore anziano mi chiamò dal fondo della stanza. Afferrò i miei capelli e sorrise soddisfatto. Fu un’azione che mi fece intuire un raro compiacimento per la loro robustezza, che a volte li faceva sembrare la criniera di un cavallo. Dopo che un’altra giovane finì di lavarmi e massaggiarmi la testa, ritornai fra le mani del signore anziano. Fui un po’ spaventata quando tirò fuori un rasoio dal cassetto e iniziò a tagliarmi i capelli. Stetti in silenzio e lasciai a lui decidere. Mi fece delle domande semplici in italiano, e risposi al meglio delle mie capacità. La prima signora era la proprietaria del salone, mentre il signore anziano era suo padre e il precedente proprietario. Per me lui sarà sempre il Maestro.

    In seguito si sono trasferiti in un locale più spazioso e più bello sulla mia piazza preferita, San Salvatore, e io fedelmente li ho seguiti.

    Adoro entrare nel salone, farmi viziare e farmi sistemare i capelli. Col tempo il mio italiano è migliorato, ora posso conversare un po’ con il personale, ma preferisco comunque stare in silenzio e osservare. Sanno trasformare le stanche e spettinate clienti che entrano, nelle belle, femminili e soddisfatte donne, che con un senso di compiacimento profondamente ancorato ai loro capelli lasciano il locale.

    Quella sera lo Psicologo mi accompagnò fino a piazza San Salvatore, dove gli lasciai svolgere il nostro rito quotidiano di riempire le bottiglie d’acqua. In quel settembre molto caldo bevevamo giornalmente diversi litri d’acqua fresca dalla fontanella.

    Fu veramente un cambiamento profondo dei ritmi e dello stile di vita per noi, semplicemente andare a prendere l’acqua fresca da una fontanella, andare al mercato o nei piccoli negozi a prendere ingredienti freschi per i nostri pasti, attività che ci potevano impegnare l’intera giornata, ma cosa importava? Il tempo era il nostro nuovo lusso. In Danimarca ci vedevamo la sera, stanchi dopo la giornata lavorativa, andavamo al bancone frigorifero del supermercato per scegliere quasi sempre la stessa, semplice, anche se più cara soluzione: cenare con una bistecca e dell’insalata.

    Adesso l’espletare i nostri bisogni basilari era diventato il fulcro della giornata e poteva richiedere lunghe e grandi riflessioni.

    Lo Psicologo mi baciò e disse:

    Dai, riguardati.

    Le sue parole mi portarono indietro all’estate tra la seconda e la terza superiore, quando dovevo partire per un interrail e mio padre mi salutò con le stesse identiche parole.

    Quasi tutte le damotte sono, come Sam, straniere sposate con italiani. Patrizia invece è di Torino, finita nella periferia di Lucca per via di suo padre. La maggior parte sono venute in Italia da bambine o da giovani e con il tempo si sono scordate la loro lingua madre.

    Il gruppo si è formato intorno all’estroversa e socievole Sam. Il primo inverno dopo il suo arrivo nella zona ha organizzato un club del libro di letteratura in lingua inglese in una biblioteca locale. Il gruppo si riunisce almeno ogni tre mesi, o per pranzo o per cena, per stare insieme e rinfrescarsi l’inglese.

    Entrai a far parte del gruppo grazie all’amicizia che stava nascendo tra lo Psicologo e me con Sam e suo marito, il Viticoltore. Anche le altre donne mi accettarono nonostante avessi un marito danese e desiderassi ardentemente parlare in italiano.

    Non posso tornare in Danimarca, se prima non ho imparato l’italiano!

    Così risposi quando mi chiesero quanto tempo saremmo rimasti in Italia. Un collega mi fece la stessa domanda prima che partissi. A lui dissi che per nessun motivo sarei stata seppellita in Italia!

    Dovevamo incontrarci in un posto a meno di dieci chilometri dalle mura che circondano il centro storico della città. Il fascino medievale svaniva mano a mano che ci si allontanava da quelle mura. Qui fuori l’abbraccio rassicurante che mi avvolgeva veniva meno. Cercai di rievocare la sensazione abbracciandomi da sola, ma la sicurezza mi scivolò via come tra mani unte. Nonostante la temperatura quella sera fosse di almeno ventisei gradi e lo spazio nella Smart di Sam fosse poco, all’improvviso sentii freddo.

    Tutto a posto Signe?

    Feci uno sforzo per sorriderle e annuire e lei rivolse di nuovo la sua piena attenzione al traffico. Guidava come una vera italiana, agitando il suo corpo esile e commentando costantemente gli altri automobilisti.

    Il chiacchiericcio di Sam riempì la piccola macchina di vibrazioni positive, ridando calore al mio corpo.

    Riflettevo sul fatto che forse anch’io sarei stata così rilassata dopo due anni qui.

    Due anni! Non programmammo neanche di restare così a lungo. In effetti parlammo di fare una prova di un anno. La prima settimana a Lucca incontrammo una coppia danese, che era stata in Italia per un anno, ma stava per tornare in Danimarca. Ci raccontarono che i primi sei mesi sarebbero passati ad abituarsi all’idea di essere in un altro paese, solo dopo ci si sarebbe iniziati a sentire parte del luogo.

    Ora vedo che avevano ragione. Oltre alla difficoltà di adattarsi alla lingua, imparare a svolgere le nostre faccende quotidiane fu sfiancante. Si trova il latte senza lattosio qui? Dove si va per avere un dottore? Come ci si iscrive a una compagnia telefonica? Le complicazioni sociali prima di ottenere una connessione a internet e potrei continuare così.

    Il ristorante era grande come una palestra danese, ma quasi tutto pieno. Scoprii che molti italiani, e le damotte, vivevano la maggior parte della loro vita sociale fuori casa. Ci si incontrava spesso nei ristoranti, per godersi del buon cibo e uno o due bicchieri di vino, ma raramente più di due. Tutt’altro rispetto a come ero abituata su da noi, dove solitamente ci incontriamo a casa di un amico per mangiare un pasto fatto in casa e beviamo decisamente più di due bicchieri di vino. Qui ci si lascia dopo aver mangiato e si ritorna a casa, mentre in Danimarca si continua a chiacchierare fino a tarda notte.

    Faccio la casalinga.

    Maddalena, che veniva dalla Francia, mi chiese cosa facessi qui in Italia.

    L’averlo detto ad alta voce mi turbò, rimandandomi indietro ai tempi della seconda media, quando il cantante del gruppo locale mi diede un bacio davanti a tre compagne di classe. Provai nel contempo vergogna e orgoglio. Gli stessi sentimenti mi pervasero in quel momento, a più di trent’anni di distanza.

    Evidentemente ero orgogliosa di essere stata in grado di dire la parola

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