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Sì alla vita
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E-book87 pagine1 ora

Sì alla vita

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Queste pagine ci raccontano una storia vera, vissuta: è la storia di Simonetta ma potrebbe essere la storia di tante altre donne che come lei hanno vissuto esperienze di prevaricazione, di violenza fisica e psicologica. Ma la sua vicenda ci fa comprendere come sia possibile credere in se stessi e nella vita tanto da trovare la forza di uscire, di denunciare, di riconquistare la propria libertà. Sì alla vita non è una storia triste, anzi, è una storia di forza, di amore, di gioia voluta a tutti i costi. Di relazioni, affetti veri, autentici. Leggendo si ha la sensazione e la certezza - come ci ricorda Simonetta - che l’energia della vita è in ciascuno di noi.
LinguaItaliano
Data di uscita22 feb 2019
ISBN9788831602532
Sì alla vita

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    Anteprima del libro

    Sì alla vita - Simonetta Rizzotto

    riproduzione

    Questo libro lo dedico a Nicole,

    Georgette, Lynn, alla mia mamma

    e soprattutto al mio Angelo.

    Con immensa gratitudine.

    ll volo per London Gatwick è decollato da pochi minuti, sono le 16:30, la mia prima volta in aereo: ho paura, ma è una figata. Londra sto arrivando. Seduta accanto a me una signora anziana che sembra inglese è rilassata. Si vede che deve aver già volato altre volte. Mi sorride. Inizia il viaggio che cambierà per sempre la mia vita.

    Ho vissuto i miei primi diciotto anni in un piccolo paese di duemila anime nel basso bellunese, studiando come segretaria d’azienda solo per tre anni. I miei non avevano molti soldi, ma volevano darmi qualche occasione in più nella vita. Con vari sacrifici, avevano deciso di offrirmi la possibilità di avere almeno un diploma che mi permettesse di trovare un buon lavoro. Studiare mi è sempre piaciuto, con una particolare attitudine per lingue straniere e, in particolare, l’inglese.

    Dopo essermi diplomata, ho iniziato subito a cercarmi un lavoro da segretaria. Nelle mie zone c’erano fabbriche di lampadari o occhiali e, nelle vicinanze, anche quelle di mobili. Tuttavia, sembrava che il mio diploma non bastasse, perché si richiedevano esperienza e una buona conoscenza di una lingua straniera. Cose che io non avevo.

    Sono sempre stata caparbia, questo mi ha permesso di non arrendermi e di andare fino in fondo nelle cose in cui credo.

    Cercare lavoro comportava la necessità di avere un mezzo di trasporto, autobus e treni avevano orari scomodi. L’acquisto di un’automobile o di un motorino sarebbero stati l’unica soluzione, ma non me li potevo permettere.

    Un giorno mio papà mi disse di aver saputo da un suo amico che un’azienda di lampadari nel paese vicino stava cercando un’operaia. Non ne fui entusiasta, ma visto che di porte ne avevo bussate parecchie senza risultati e sapendo di essere di peso all’economia della famiglia, decisi di andare al colloquio.

    Speravo tanto potessero assumermi come assistente segretaria, ma non fu così. Mi presero come addetta al montaggio dei lampadari, il montaggio delle parti con relativo collegamento dei fili. Ogni tanto penso e spero che nessuno si sia mai ustionato la mano appendendo un lampadario fatto da me. In caso mi stesse leggendo, chiedo scusa. Non ero bravissima, anche perché bisognava fare tutto in fretta. Ogni sera, prima di andare a casa, dovevamo compilare un libretto e segnare il numero di pezzi completati. Ricordo che era uno stress e le mie colleghe, che lavoravano da più tempo, mi facevano sentire un’incapace per il numero dei miei pezzi sempre inferiore ai loro. Ci rimanevo male, benché questo lavoro non mi piacesse.

    Nella primavera del 1984 mia zia, la sorella di mio papà, mi parlò di una giovane inglese che lavorava come ragazza alla pari presso i suoi vicini di casa per tre mesi. Decisi di incontrarla per capire come funzionasse questa esperienza. Sarah, così si chiamava, era la tipica ragazza inglese: chiara di pelle, bionda, non tanto alta, parlava poco italiano. La famiglia in cui lavorava sapeva l’inglese e traducevano per me. Così riuscii ad avere il contatto dell’agenzia per ragazze alla pari di Londra.

    Sarah mi promise di scrivere per conto mio alla ricerca di una famiglia che mi potesse accogliere in Inghilterra per fare la stessa esperienza. Lei studiava all’Università di Nottingham. Ci salutammo con la speranza di risentirci presto con qualche buona notizia per me. Ero già emozionata solo all’idea.

    Così arrivò l’estate e i miei genitori partirono per Roma, la città natale di mia mamma, io invece rimasi a casa perché non avevo voglia di farmi le vacanze con loro. Proprio in quel periodo, ricevetti una lettera di Sarah in cui mi scriveva di avermi iscritta all’Agenzia e che sarei stata chiamata a breve, mi consigliava di partire subito per Nottingham dove sarei potuta stare con lei fino a quando una famiglia non mi avesse richiesta.

    Non ci pensai un attimo ed andai ad acquistare un biglietto di sola andata per Londra, avrei poi proseguito in pullman fino a Nottingham.

    Dovevo dirlo ai miei genitori. Partii per Roma e trascorsi il viaggio in treno a fare le prove su come glielo avrei comunicato. Mi domandavo se sarebbe stato più saggio dirlo subito a entrambi, oppure prima a mamma e poi a papà o aspettare che ci fossero anche gli zii. Arrivai in tarda serata, erano a cena, salutai e abbracciai tutti poi dissi con voce molto ferma e sicura: parto per Londra, siete felici per me?

    Mamma si mise a piangere, papà provò a dissuadermi in tutti i modi, per non parlare degli zii che continuavano a ripetermi che ero una pazza. Una tavolata coalizzata nel cercare di farmi cambiare idea.

    Io avevo deciso e nulla e nessuno poteva convincermi del contrario, ero maggiorenne da poco e non avrebbero potuto fermarmi.

    La partenza era fissata per la settimana successiva, così tornammo a casa. I miei genitori tristi ed arrabbiati, io piena di gioia e desiderosa di fare questa esperienza all’estero.

    Il giorno arrivò. Ero così emozionata, impaurita e triste allo stesso tempo. Andavo in un paese lontano, dove non conoscevo nessuno a parte Sarah. Mi spiaceva lasciare la mia famiglia, soprattutto la mamma che stava poco bene, una malattia che aveva fin da quando ero piccola. Certo che se fossi rimasta, non sarebbe stata la mia presenza a farla guarire. Con il tempo e l’esperienza ho poi imparato che ognuno di noi è responsabile della propria vita e non possiamo sacrificare i nostri sogni e i nostri desideri per nessuno, nemmeno per i nostri genitori. Potrà sembrare egoistico, ingiusto e magari poco amorevole, però alla fine è la realtà. Ciascuno ha il proprio cammino da esplorare, non importa cosa porta e dove, l’importante è seguirlo.

    Trattenni le lacrime fino a quando non salii in aereo. Mamma piangeva, continuava a chiedermi se fossi convinta e io ripetevo: sì mamma, sono sicura.

    La destinazione era Gatwick terminal 1, ad aspettarmi agli arrivi c’era Sarah accompagnata dal padre. Avremmo passato la notte a casa della sua famiglia, a Crawley, prima di proseguire per Nottingham.

    Non riuscii a chiudere occhio quella notte. Non mi rendevo conto di dove fossi e mi sembrava tutto surreale. Sarah mi parlava nel poco italiano che ricordava e io cercavo di parlare il mio inglese scolastico ma era difficile e sembrava che tutti parlassero troppo velocemente perché potessi afferrare il senso.

    Fu anche la prima cena all’inglese. La ricordo bene: patate al cartoccio, piselli sconditi e un hamburger. La mamma di Sarah, una signora molto gentile, mi guardava con curiosità. Parlava ma non capivo nulla. Per finire, una bella tazza di tè e a nanna.

    Ci alzammo all’alba, il papà di Sarah ci accompagnò alla stazione dei pullman e partimmo. ll viaggio durò parecchie ore, fu piacevole perché passai la maggior parte del tempo ad ammirare il paesaggio inglese, così verde e, nello stesso tempo, così grigio.

    Una volta arrivate

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