Il Dio Nello Specchio
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Anteprima del libro
Il Dio Nello Specchio - Gianpaolo Marcucci
A mio fratello Gian Luca
Il Dio nello specchio
Introduzione allo studio delle forme contemporanee di espressione della spiritualità
- Cap. 1…………………………………….……………………………….…………..….pag 4
Il filo di Arianna
1.1 Il dolore dei vincitori
1.2 I limiti della secolarizzazione: re-incanto del mondo o mancato disincanto?
1.3 Il percorso religioso individuale
- Cap. 2…………………………………………………….………….……………….….pag 38
Ulisse e le navi
2.1 Lo spirito italiano (i dati quantitativi)
2.2 Definire le forme contemporanee di espressione della spiritualità
2.3 New age, Next age e nuovo Gnosticismo
- Cap 3…………………………………………………………………………………….pag 74
La Rete del sacro
3. Internet, religione e religiosità
- Cap 4…………….……………………………………………………..…………….….pag 79
Esperire il PRI attraverso il web
4.1 Una prima esplorazione: l’universo della consapevolezza;
4.2 Eckart Tolle: un esempio da cui partire
- Conclusioni o aperture…………………………….………..……….…………………pag 102
- Appendice……………………………………………………..……..….………………pag 104
A. Prima bozza di lista per un censimento dei maestri spirituali italiani/persone influenti nell’ambiente della spiritualità italiana e dei relativi spazi/contenuti web di riferimento.
B. Lista famiglie spirituali italiane (Cesnur 2013)
- Bibliografia………………………………………………..………….…………………pag 139
Capitolo 1
IL FILO DI ARIANNA
1.1 Il dolore dei vincitori; 1.2 I limiti della secolarizzazione: re-incanto del mondo o mancato disincanto?; 1.3 Il percorso religioso individuale
1.1 Il dolore dei vincitori
"Gli uomini? Ne esistono, credo, sei o sette.
Li ho visti molti anni fa. Ma non si sa mai dove trovarli.
Il vento li spinge qua e là. Non hanno radici, e questo li imbarazza molto".¹
Oggi di quale individuo precisamente va indagata la religiosità? L’immagine dell’homo religiosus odierno che la sociologia vuole studiare è un’immagine molto sfocata e gli strumenti che si hanno a disposizione per tracciarne i confini risultano non perfettamente accurati. Pascal Bruckner², circa venti anni fa, nel suo saggio La tentazione dell’innocenza
scrive:
Sciolto da tutti gli obblighi, l'individuo trova una guida nella sua stessa volontà e perde, nello stesso tempo, la sicurezza di un luogo, di un ordine, di una definizione. Guadagnando la libertà, ha perduto la sicurezza, entrando così nell'epoca del tormento perpetuo. Soffre perché ha vinto. (Bruckner 2001 p. 15)
Nelle parole che concludono questo breve estratto è possibile rintracciare l’essenza del discorso che si vuole portare avanti: soffre perché ha vinto. Spiega:
"[Oggi]³ Ad ognuno di noi è dato il compito di costruirsi e di trovare un senso alla propria esistenza. Un tempo credenze, pregiudizi e costumi non erano che delle odiose tutele; proteggevano contro il caso e contro i rischi, garantivano, in cambio dell'obbedienza alle leggi del gruppo o della comunità, una certa tranquillità. […] Egli [l’uomo pre-moderno] era dunque riconosciuto e investito di una responsabilità limitata. Mentre l'uomo moderno, liberato in generale da tutti gli obblighi che non si è dato da sé, si piega sotto il peso di una responsabilità senza limiti. […] La sua esistenza non è scritta in anticipo, essa è a sorpresa, deve forgiarsela da solo nella incompletezza, procedendo a tastoni. Non avrà altri significati che quelli che lui stesso vorrà darle" (Ibidem p. 25-27)
L’uomo dopo la lunga e sanguinosa battaglia per la sua indipendenza sale sul trono dei Re che ha decapitato e guarda finalmente orgoglioso ai suoi piedi. Quello che trova è però, in un primo momento, solo la consapevolezza di non essersi mai reso conto di avere le vertigini. E il trono è alto, altissimo, la libertà sul pianeta terra ha un prezzo che si chiama responsabilità⁴. Ci vuole coraggio [a] servir[si] autonomamente della [propria] intelligenza
(Kant in Bensi 2013). Per usare le parole di chi della scatola chiusa che si sta tentando di aprire ne ha tastato buona parte dei bordi, potremmo dire che l’uomo⁵, finalmente coronato di una libertà per anni limitata, si accorge del fatto che è un bene essere più liberi di quanto si pensasse di essere; è un male sentirsi ripetere in continuazione che le persone libere non hanno nulla e nessuno cui attribuire la colpa della propria situazione se non se stesse
(Bauman 2000 p. 63) e nulla nell’oceano della mente è più intimo e più religioso della colpa. Arriva così "la condanna della libertà"⁶, l’uomo non se l’aspettava, prima c’erano la comunità, la tradizione, la religione che l’arginavano, la custodivano in uno scrigno, dando in cambio una porzione di quella tanto agognata sicurezza di cui l’uomo andava in cerca: una maschera da indossare nella recita sociale⁷, una strada su cui mettere i piedi, un sentiero affidabile. Poi qualcosa cambia, i vecchi garanti della sicurezza vengono accantonati, sono obsoleti, e nell’aria fischia un vento di autonomia, indipendenza. Arriva la democrazia, la società, il mercato, la città, la scienza, inizia la burocratizzazione, tutto sotto l’egida della razionalità. Non ci faremo determinare da nessuno!
grida l’uomo, mentre senza accorgersene, ricade vittima dello stesso gioco che lo aveva visto poco fa' vincitore. Uccidendo i suoi vecchi Re, ne crea di nuovi, più belli, meno opprimenti; ma i Re, per quanto buoni e democratici possano apparire, sono sempre Re, il loro mandato è sacro, sono legittimati direttamente dagli Dei, e come tali si comportano. Di nuovo, a richiesta di protezione chiedono devozione, a richiesta di sicurezza, libertà. È la volta così di due pilastri fondamentali della società moderna: la nazione e la famiglia. A cosa rispondono tali istituzioni? Quale funzione per l’uomo moderno, uscito da poco dalla comunità, acquistano questi nuovi Dei? Se la domanda si può porre nei termini di un’indagine sull’origine di tali entità, sulla loro nascita, come prima mossa bisogna andare a vedere se per caso, condividano qualcosa con i precedenti, chiedersi dunque: Saranno mica nati da dove sono sempre
nati?
"La scoperta più importante compiuta dalla specie umana […] è il fatto della mortalità: della morte universale, inevitabile, ingovernabile che attende ogni singolo membro della specie. Gli esseri umani sono le sole creature viventi a sapere che moriranno e che non c'è scampo dalla morte. Non tutti devono necessariamente vivere per la morte, come sosteneva Heidegger, ma tutti vivono la propria vita all'ombra della morte. Gli esseri umani sono le sole creature viventi consapevoli della propria transitorietà; e poiché sanno di essere solo temporanei, possono (devono) anche immaginare l'eternità, un'esistenza eterna che, diversamente dalla propria, non ha né un inizio né una fine. E una volta immaginata l'eternità, diventa ovvio che due generi di esistenza hanno dei punti di intersezione, ma nessun giunto o cerniera fissa che leghi l'una all’altra. Tra le due esistenze c'è solo un collegamento contingente lasco e precario, sempre vulnerabile, sempre sul punto di interrompersi: un legame tanto vulnerabile quanto la vita stessa, la singola vita temporanea. La seconda esistenza, quella eterna, svincolata dal tempo, sembra ostinatamente indifferente a quanto accade nella vita dell'individuo e, nella sua maestosità, resta fuori da qualunque cosa possa aver luogo nella prima, la presenza nel mondo individuale. A quanto si sa le due esistenze non hanno termini di riferimento comuni. Se esiste un legame solido o un collegamento stabile tra i due generi di esistenza, deve ancora essere scoperto o costruito, continuamente difeso e regolarmente controllato. Pertanto le domande: Da dove vengo? Che cosa devo fare della mia vita? E, che cosa mi succede quando muoio? Sono […] antichissime e fondamentali" (Bauman 2000 p. 39).
V’è una questione primaria e centrale nell’esistenza umana, la mortalità, di fronte alla quale tutto il resto perde immediatamente d’importanza. Dunque come fa l’uomo moderno a "rendere vivibile la vita all’ombra della morte?" (Ibidem p. 40) La risposta non esita ad arrivare:
La condizione di membro di una totalità duratura […] divenne ciò che dotava di senso una vita individuale altrimenti breve e insignificante, benché tale determinazione fosse incompleta senza un doveroso sforzo da parte dell'individuo stesso; ma a quel punto era compito dell'individuo imprimere alla propria vita una direzione che rendesse la totalità davvero duratura e quindi capace di svolgere la propria funzione di attribuire senso. […] Non era più soltanto una questione di ricompensa o punizione postuma, di condanna o redenzione, ma la condizione che permetteva di cogliere l'opportunità di una trascendenza altrimenti negata, la garanzia di una vita dotata di senso e appagante contro una vita insensata è vuota. Tra le totalità capaci di adattarsi bene a questa strategia ne emersero due: la nazione e la famiglia. […] Sia la nazione sia la famiglia sono soluzioni collettive ai tormenti della mortalità individuale. I loro messaggi sono simili: la mia vita, per quanto breve, non è stata inutile né priva di significato, se nel suo piccolo ha contribuito a perpetuare un'entità più ampia di me stesso […], la quale precede e supererà in durata l'arco di tempo della mia stessa vita, per quanto a lungo io possa vivere; è quel contributo ad assegnare un ruolo immortale alla vita mortale. Una volta passato questo messaggio, la domanda: che cosa succede dopo la mia morte? Suona meno sinistra: io morirò, ma la mia nazione, la mia famiglia continueranno a vivere, ciò sarà anche perché io ho fatto la mia parte.
(Ibidem p. 42-45)
Ma Famiglia e Nazione, proposte da Bauman, sono solo due tra le chiavi fondamentali per aprire di nuovo lo scrigno della libertà, riporre silenziosamente questa al suo interno e rubacchiare ciò che è rimasto della sicurezza perduta. Bisogna fare un passo indietro, concettualmente e cronologicamente. L’uomo moderno è in guerra col passato, è pronto a sfoderare le sue pistole, a sferrare l’attacco che vorrebbe fosse quello finale, epico, un attacco che dovrà passare "innanzitutto per la detronizzazione dell'autorità della tradizione" (Musso 2005 p. 27). Il concetto che torna in auge è sempre lo stesso, l’esclusività. Non possono esserci troppi Re per un trono solo, troppi Dei per un solo tempio. Il nuovo deve escludere il vecchio.
Tuttavia Davide sembra debole questa volta, pare aver perso la sua fionda durante la guerra così "la modernità non [esclude] gli dei: [tenta] di ingoiarli. Ne [introietta] la potenza del dominio tecnico e scientifico sulla natura. Ed [assume] su di sé l'onere di elaborare i principi di regolazione con cui le società umane si reggono socialmente e politicamente" (Musso 1996 p. 23). Ma questo onere, come denota Musso, è un macigno, così, come un apprendista-sceneggiatore a cui si chiede di mettere insieme i cocci di un’opera che fa acqua da tutte le parti, la modernità si prodiga subito nel far entrare in scena il deus ex machina: La ragione.
"Alla ragione viene affidato il compito di religere il mondo, di allontanare e ridurre l'incertezza in ogni sua forma: conoscitiva, sociale ed esistenziale (Musso 1996 p. 24). Lungo questa stessa via si produrrà quella orrende frattura […] della modernità. […] La rottura del limite mette il destino del genere umano nelle sue stesse, incerte, mani. E lì lo lascia, inesorabilmente. Per i greci, com'è noto, un aumento della conoscenza non produce un aumento della felicità. Anzi è un impedimento al suo raggiungimento, proprio perché strappa l'uomo all'originaria armonia cosmica governata da leggi divine" (Musso 1996 p. 22, 23).
E figlia legittima e diretta della ragione è la scienza, colei che dovrà salvare l’uomo dall’incertezza e dalla (presunta) morte degli Dei della tradizione. "La scienza razionale, infatti, ha tradizionalmente svolto la funzione di demistificare la realtà, facendo emergere la realtà vera proprio dietro le costruzioni sociali di significato" (Parini 2006 p. 29). Ma ciò che si dice in grado di far emergere la verità deve avere già il seme della verità al suo interno. Da nulla di incerto può nascere certezza, così dal momento in cui "si verifica una de-monopolizzazione delle pretese di conoscenza scientifica [ovvero] la scienza diventa sempre più necessaria ma nello stesso tempo sempre meno sufficiente per la definizione socialmente vincolante della verità" (Parini 2006) anche il Dio della scienza dimostra la sua fallibilità.
La violenta reazione ai recenti sviluppi della fisica moderna può essere compresa soltanto se ci si rende conto che questa volta hanno cominciato a cedere i fondamenti stessi della fisica; e che questo movimento ha prodotto la sensazione che sarebbe stata tagliata la base su cui poggiava la scienza
(Heisemberg in Capra 1982 p. 63). […] Einstein provò la stessa impressione sconvolgente quando venne a contatto per la prima volta con la nuova realtà della fisica atomica. Egli scrisse nella sua autobiografia: "Tutti i