I Viaggi di Jackob
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I Viaggi di Jackob è il primo romanzo di Gianpaolo Marcucci, scritto a 18 anni.
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Anteprima del libro
I Viaggi di Jackob - Gianpaolo Marcucci
Gianpaolo Marcucci
I viaggi di Jackob
A Giacomo, mio nipote
Jackob è un giovane ragazzo che vive in riva al mare.
In realtà non è proprio più un ragazzo e inizia a avvicinarsi ad un'età che rende a volte ambiguo l'aggettivo giovane.
Ha 44 anni e fisiologicamente lo si dovrebbe definire un uomo maturo, ma lui non è così, è un ragazzo, giovane e vive in riva al mare.
In effetti, anche su questo ci sarebbe qualcosa da obbiettare;
Jackob vive in campagna, adora leggere libri, e di fronte casa sua ha un piccolo lago, un lago artificiale, un lago coi pesci, un lago; non il mare.
Si riescono perfino a scorgere senza troppa fatica tutte le coste, una grande pozzanghera
si potrebbe pensare.
Ma lui non lo pensa.
E' il mare quello, a lui piace così e dice sempre che chi in quell'acqua non riesce a vedere il mare è lo stesso che non riesce a capire che una goccia di pioggia, piccola, tenera e cristallina può diventare un incubo fatale per una piccola, tenera e giovane farfalla.
Jackob è solo, profondamente solo, quasi piacevolmente solo; nonostante questo vive da 15 anni con la moglie Anna e i figli Chris e Maria.
Anna è una donna di bellezza salutare, interiore ed esteriore, anteriore e posteriore.
Una figura geometricamente salutare.
Ogni sua parte del corpo è in perfetto rapporto di proporzione con le altre e in rapporto di proporzione con il suo interno; vi è quasi un isomorfismo tra i suoi pensieri e i suoi movimenti.
E' brillante, e non in senso metaforico; la sua pelle è così liscia e luminosa che è riuscita spesso ad irradiare il buio dei pensieri di Jackob.
Si sono conosciuti a scuola.
Lei ci lavorava, era insegnante di educazione fisica, e Jackob a scuola ha passato buona parte della sua vita.
Non avrebbe mai immaginato che una donna di così grave bellezza, si sarebbe lasciata sfiorare dal pensiero di prendere in considerazione la sua proposta di frequentarsi, ma il caso e il fascino infantile che inconsapevolmente Jackob emanava resero possibile l'impossibile e li unirono in un magico vortice di sensazioni, che li ha prepotentemente tenuti insieme sino ad oggi.
Proprio da questo vortice, nacquero Maria e Christopher.
Maria, la più grande, venne al mondo nove mesi dopo la notte di nozze.
Era una bambina bellissima e la cosa preoccupava la madre, assediata dal popolare proverbio bella in culla brutta in piazza
.
Jackob, invece, ne era fiero.
Vedeva scorrere la vita a grandi ondate nelle vene della piccola, la quale adorava (senza tralasciare la madre) in modo particolare il suo dolcissimo papà.
Chris non era altrettanto bello (era, infatti, il preferito della madre) ma Jackob lo amava come nessuno al mondo.
Nato a due anni dalla nascita di Maria, aveva fatto tornare Anna e Jack in quello stato di veglia perenne che segue sempre l'entrata in famiglia di un nuovo cucciolo di uomo.
Li aveva fatti tornare forse troppo presto però, poiché dopo pochi mesi dall'avvento dell'uragano Christopher Anna fu costretta ad entrare in analisi presso lo studio del dottor Romanov; un uomo che dona pregnanza e significato alla a volte abusata parola strano.
Jackob e la sua famiglia vivono in una tranquilla casa in campagna di bellezza 'particolare'.
Non bella perché sfarzosa, o particolarmente grande o originale; bella perché dotata di una particolare bellezza che lo stesso Jackob definiva sin da piccolo rurale.
E' la casa dove Jackob è nato e dove ha passato la sua infanzia e la sua giovinezza.
Disposta su due piani conta un gran numero di stanze e oggi come allora, è arredata con quel gusto tendente alla semplicità e all'utilità, anzi, alla semplice utilità, proprio della vita contadina.
Di tutte le stanze, Jackob già da bambino preferiva di gran lunga la sala da pranzo; non molto grande, quanto basta, ma piena di bellissime finestre.
Le finestre sono ciò che Jackob ama di più.
Attraverso le finestre si possono guardare realtà e mondi uguali e diversi dal nostro senza esserne in alcun modo vincolati.
La chiusa tristezza dei muri diventa alberi colorati, gialli, neri, rossi, alberi e foglie, fiori, oppure case e monti, gioia allo stato solido, ma anche inquietudine.
Ognuno ci vede quel che vuole nelle finestre, Jackob lo ripete sempre siamo noi che diamo il colore al cielo, la luce al sole
.
Lo stesso cerbiatto visto da una finestra può divenire un terribile mostro o la più tenera della creature di Dio o la proiezione del nostro io, del desiderio che ognuno di noi ha di scappare e correre in un grande prato, qualsivoglia sia il suo colore, così senza pensieri.
Nella sala da pranzo vi erano subito state posizionate ben sette finestre, quattro nella parete orientata ad est, due in quella orientata a sud, e solo una in quella orientata ad ovest.
La prima da sinistra (guardando la parete a est), che ora però non c’è più, si affacciava su un tramonto oscillante tra il grigio e l'oro; era abitata da una donna scheletrica che in punta di piedi, tenendo la gonna con la mano destra (forse in segno di riconoscenza) e un piccolo ombrellino sulla mano sinistra, volgeva lo sguardo all'osservatore; uno sguardo ambiguo, quasi timido. Il tipico sguardo di chi cerca di nascondersi. E sembrava nascondersi, infatti, sotto il caldo cappello di pelo e la bianca e lunga sciarpa; la quale poteva facilmente ingannare l'occhio degli spettatori, rimandando ad una lunga barba che lasciava appena intravedere un accenno di labbra.
La seconda finestra (e questa c’è ancora) da sugli scogli.
Scogli color ghiaccio che tengono tra le fessure, coraggiose piantine di ginestra.
La terza è la più particolare di tutte.
Si affaccia su una dimensione surreale.
Forse un paesaggio egizio:
Due piramidi, una più piccola l'altra vistosamente più grande, si stanziano l'una sopra l'altra, ma senza intersecarsi.
Non lontano vi è una donna, più in carne di quella con la sciarpa e l'ombrellino, seminuda, coperta solo dai suoi lunghissimi capelli biondi.
Tra la donna e le piramidi una rosa rossa a testa in giù, accompagna un approssimato velocifero a tre ruote.
Il tutto, perennemente sovrastato da un cielo tanto grigio e opprimente da rimandare al giorno dell'assunzione.
L'ultima finestra della parete est da esattamente sullo stesso paesaggio dell'unica finestra della parete ovest e per questo non è mai stata di grande interesse per Jackob.
Nella parete sud si aprono le ultime due finestre.
Quella sulla destra da sulla strada ed è meticolosamente suddivisa in tante piccole finestrelle da una vecchia inferriata; quella sulla sinistra invece è inquietante; muta continuamente il suo sfondo.
Da bambino Jackob passava ore intere a contemplare le sue finestre.
Le guardava, una dopo l'altra, oppure solo una.
Ognuna gli parlava e gli diceva qualcosa di diverso.
La signora con la barba (la sciarpa), la vedeva come una mamma, un simbolo, un'autorità alla quale chiedere consigli.
Un giorno Jackob si ritrovò di fronte una scelta tra le più ardue che avesse mai affrontato; aveva sei anni e si sa, a quell'età si colgono cose che col tempo perdono di importanza, di significato.
Il suo piccolo criceto Tom era tristemente venuto a mancare e Jackob aveva deciso di donargli una rispettosa sepoltura.
Aveva scavato già la buchetta in giardino e invitato gli amici Mario e Jean-Claude per la cerimonia quando la madre scoprì le macabre intenzioni di Jack.
La madre di Jackob era profondamente religiosa ed era fermamente convinta che uno stupido topo non poteva essere di certo degno di sepoltura, soprattutto se questa doveva avvenire proprio nel giardino di casa, proprio accanto alle magnolie.
Tom però non era uno stupido topo.
Tom era un bravo criceto, era stato buono con Jackob e anche se qualche volta lo aveva morso (sicuramente perché adeguatamente stuzzicato) Jackob gli voleva bene, e non avrebbe mai permesso che fosse brutalmente gettato nell'immondizia.
Era una morte triste; era ingiusto.
Perché anche le persone più cattive possono essere seppellite in modo più che legittimo e il povero Tom che in vita era stato quasi un santo doveva finire insieme agli avanzi e