Lo sciopero dei bambini
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I bambini gradualmente prendono consapevolezza di non essere loro i responsabili delle ire e delle severità dei loro genitori. All'inizio del mese di ottobre, tra folate di vento e turbinii di foglie, i bambini decidono di sparire, e di rimanere nascosti finché i loro genitori non avranno dimostrato loro di aver capito le loro ragioni e di essere disposti a cambiare.
La preoccupazione dei genitori lascia il posto alla rabbia quando vengono a sapere che i loro figli stanno "scioperando". Alcuni si mettono in discussione, altri si indignano sempre più.
Il libro ripercorre la rielaborazione dei traumi infantili, di altri vissuti abbandonici e di maltrattamento, di disagio e sofferenza di alcuni genitori, che, finalmente capaci di salvare il loro bambino interiore, possono vivere in pienezza l'affettività e la responsabilità del loro essere genitori.
I bambini ritornano, per essere accolti in un abbraccio vero, destinato a durare nel tempo.
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Anteprima del libro
Lo sciopero dei bambini - Cristina Zabeo
Silvana
L'arrivo
La corriera percorreva come ogni giorno la strada dalla città al paese, ma per lei era la prima volta; guardava fuori mentre si passava in mezzo alle vigne ed ai campi di granturco.
Per chilometri non si vedevano che campi e rive di fossi alberate che percorrevano il paesaggio in modo creativo e imprevedibile incontrandosi tra loro per creare scorci palustri popolati da rane e libellule.
Angoli ombrosi macchiavano i campi assolati di colori più vivi, facendo risaltare la luce abbagliante che illuminava tutto il resto.
Qualche rara casa si vedeva in lontananza.
A parte il rumore del motore, ogni altro suono sembrava azzittito dal calore giallo del sole che a settembre a quest'ora scottava ancora.
-Ultima fermata, poi si torna indietro- si premurò di dire l'autista. Probabilmente era preoccupato che quel passeggero mai visto a bordo si scordasse di scendere.
La giovane signora si preparò vicino alla porta; in una mano aveva una valigia, nell'altra una grande borsa.
-Buongiorno- disse. Sporse la scarpa chiara verso la luce della strada e scese.
Quando la corriera fu ripartita fece un profondo respiro e si guardò attorno strizzando gli occhi. Gli angoli della bocca si contrassero un po', poi tirò fuori dalla tasca un foglio ripiegato, lo aprì e dopo averlo guardato camminò decisa verso la scuola.
La scuola nuova non aveva bisogno di tante presentazioni: si vedeva da lontano e nessuno avrebbe potuto dire che si trattava di una casa come le altre.
Essendo l'unico edificio pubblico le era stato riservato il posto più prestigioso nell'unica piazza del paese.
Sopra la porta d'ingresso era dipinto sul muro il suo inequivocabile nome: -scuola elementare Bruno Munari-
La signora posò le due borse grandi per terra davanti alla porta, frugò nella borsa piccola che aveva a tracolla e, trovate le chiavi, aprì.
Il negozio della Isa, invece, era dall'altra parte della piazza.
Dall'altra parte significava che dalla porta della scuola a quella del negozio si dovevano fare circa sessanta passi se eri in prima, circa cinquanta se eri in quinta, e poi potevi aver vinto il turno a un-due-tre-stella o potevi entrare a comprare le cose che la mamma ti aveva chiesto.
Il negozio c'era sempre stato, ma da qualche anno non lo gestiva più la Isa, perché lei, di anno in anno, faceva le cose sempre più lentamente e a fatica. Il peso delle confezioni dei prodotti, e delle sue stesse gambe, sembrava aumentare col passare del tempo.
Così lei passava le mattine camminando, lentamente, come una piccola tartaruga rugosa e ogni giorno ogni albero, ogni casa, ogni fiore, ogni cane e gatto, ogni persona del paese, la vedeva passare e le faceva un sorriso.
Nel negozio sua figlia Silvana aveva preso il suo posto, ma la vecchia Isa c'era quasi sempre, dopo la passeggiata, seduta sulla sua sedia di legno, vecchia forse quanto lei, con uno di quei vestiti da nonne scuri con tanti piccoli fiorellini bianchi, i pochi capelli raccolti e le migliaia di rughe agli angoli degli occhi lucenti, ancora calde.
Ogni volta che veniva aperta la porta del negozio un campanellino suonava.
Din-dididin
-Buongiorno-
-Buongiorno- disse Silvana con un sorriso.
La cliente mise nel suo cestino tutto ciò che si era segnata su un foglietto rosa.
Silvana la osservò con discrezione, senza farsi notare: le sue scarpe basse color sabbia e la gonna lunga e larga, che ricordava nella forma e nei colori certe vesti zingaresche, erano veramente inusuali rispetto ai vestiti che indossavano solitamente le clienti di quel piccolo emporio.
Ma la camiciola estiva in lino rosso slavato e l'oggetto con cui erano puntati i capelli per restare raccolti sulla testa erano, invece, addirittura strambi.
I lunghi capelli castani stavano su, senza cadere, in una specie di nodo col pennacchio, sorretti esclusivamente da un pennello da acquerello.
La signora cercò un po' intorno, poi aggiunse ancora qualcosa e mise tutto sul nastro della cassa.
-C'è una cartoleria in paese?- chiese.
-No, ma se ma se mi dice che cosa le serve posso ordinarglielo io-
-E in quanti giorni arriva il materiale?-
-Due-
-Va bene, grazie, tornerò nel pomeriggio con la lista.-
-Benissimo. Sono quarantacinque euro e diciotto centesimi. Grazie-
-Arrivederci.-
-A dopo.-
Din-dididin
Silvana guardò la giovane signora che attraversava la piazza.
-Secondo me è la nuova maestra...- sentenziò.
Isa contrasse un po' di più gli angoli della bocca, seguì con lo sguardo la signora che apriva la porta accanto a quella della scuola e portava dentro la spesa. Poi si alzò, andò davanti al calendario e strappò la prima pagina.
Non era più agosto e tra pochi giorni sarebbe iniziata la scuola.
Maestra aliena
Diciassette paia di piedi partirono da quattordici case del paese, tutte seriamente intenzionate a portare verso una precisa direzione il resto del corpo.
E non solo.
Anche lo zaino.
E dentro, in dotazione, oltre ai libri e alla merenda, portavano anche una discreta quantità di altre cose, come curiosità, timori ed eccitamento, e altro ancora.
Era il primo giorno di scuola.
E quest'anno ci sarebbe stata una nuova maestra.
La maestra che aveva insegnato fino allo scorso giugno, la maestra Carla, era una di quelle maestre vecchio stampo che piacciono tanto ai genitori vecchio stampo e che sarebbero piaciute anche ai bambini vecchio stampo, se mai ce ne fossero stati.
Invece i bambini, tutti regolarmente prodotti con nuovi stampi inediti, e dotati di grande freschezza e creatività, con la maestra Carla si trovavano a passare le cinque ore di scuola come se sulla sedia ci fossero stati sparsi tanti piccoli sassolini.
Ora dopo ora si sentivano come una pentola a pressione sul fuoco grande, che ad un certo punto esplode in quel fischio rumoroso che sembra un po' uno sbuffo amplificato di bambino esasperato.
E l'esasperazione, mai espressa perché la gamma di sanzioni previste per il dissenso era variegata e temibile, derivava dall'infinità di regole, dette o non dette, delle quali molte sembravano agli scolari inutili e noiose, che venivano fatte rispettare dalla maestra attraverso rimproveri severi, punizioni e brutti voti.
Ma ora la maestra Carla era andata in pensione.
Per questo, nonostante si fossero visti quasi tutti i giorni durante l'estate, quando si ritrovarono davanti alla scuola, arrivati a gruppetti da varie direzioni, sembrava stessero per andare ad una festa.
Sapevano che c'era il rischio che la nuova maestra fosse ancora più rigida e severa della precedente, ma prevaleva la speranza di un miglioramento.
Finché, alle 8.00, qualche sguardo si alzò.
La campanella suonò.
Il cancello scattò, aprendosi.
Le bocche si chiusero.
Allora tutti gli sguardi si alzarono a guardare verso la porta.
Qualcuno parlò.
E tutti si mossero per entrare.
Martina si guardò attorno, poteva vedere le facce di tutti i suoi nuovi compagni, e a mano a mano che il suo sguardo si posava su ciascuno di loro un risolino quasi incontenibile le esplodeva in bocca.
Anche se lei teneva le labbra strette, perché non ne uscisse neanche un suono, aveva la sensazione che tutti se ne sarebbero accorti, ma non poteva farci niente: più li guardava e più le veniva da ridere.
Allora Alessia, avendola sentita, cominciò a guardarsi intorno incuriosita, e venne da ridere anche a lei: tutti i bambini, tranne loro due, Giorgio e Mauro avevano le sopracciglia inarcate e gli occhi stranamente grandi.
Martina rideva, a lei veniva da ridere, e Giorgio e Mauro sorridevano.
Scorreva la sfilata di volti: sopracciglia inarcate, sopracciglia inarcate e bocca semiaperta, sopracciglia inarcate e mezzo sorriso , sorriso (era Giorgio) e così via.
Poi riguardò tutti quei bambini seduti in cerchio sul pavimento.
Poi tornò indietro e riguardò tutti di nuovo, e capì.
Solo lei, Martina, Giorgio e Mauro non erano troppo sbigottiti. I bambini che cominciavano le elementari per la prima volta.
Gli altri sembravano esterrefatti, come se avessero visto un alieno.
Un alieno verde e molliccio, con due antenne a banana sulla testa da cui sporgevano gli occhi, e che ad un certo punto aprì la bocca verde e molliccia per dire: - Ciao a tutti... -
- Buongiorno, signora Maestra! - risposero in coro i bambini.
Pausa.
Lunga.
Due sopracciglia castane si inarcarono ed i due occhi sotto le sopracciglia castane si spalancarono.
- Oh! - la maestra si morse un labbro, come se volesse trattenere una risata, pensò Matteo. Ma sì, forse era una maestra che rideva, questa.
Sapeva