I giorni dell'alta marea
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Anteprima del libro
I giorni dell'alta marea - Alvaro Zerboni
vita
CAPITOLO 1
… sono in questo basso mondo dove fare del male è spesso lodevole cosa
e fare il bene, qualche volta è considerato pericolosa follia.
Shakespeare, Macbeth
Un improvviso, assordante tuono annunciò l’arrivo del temporale. Le vetrine del negozio vibrarono a lungo, tintinnando sinistramente, quasi fossero sul punto di frantumarsi e i colombi, che nella greve calura di quel tardo mattino di luglio si rinfrescavano intorno alla fontana del Babuino, si levarono tutti insieme in volo per rifugiarsi, con un pesante batter d’ali, tra gli ospitali loggiati dei due campanili della chiesa di Sant’Anastasio.
Non immaginavo neppure lontanamente, come invece in seguito mi accadde più volte di pensare, che il fragore di quel tuono fosse come un segnale deliberato per scandire l’inizio di uno sconvolgente momento della mia vita, un violento colpo di gong con il quale il destino apriva teatralmente il sipario su un drammatico nuovo cambiamento di scena della mia esistenza…
Al di qua della porta a vetri del mio negozio di antiquario, osservavo con un po’ di perverso divertimento l’improvviso fuggi fuggi dei passanti bersagliati dalla pioggia che veniva giù con scrosci violenti. Il cielo aveva assunto un minaccioso colore plumbeo con sfumature violacee. Un temporale estivo di grande veemenza, eppure tanto atteso per la speranza che riuscisse a portare per qualche giorno, o almeno per qualche, ora un po’ di refrigerio all’insopportabile canicola di quel torrido fine luglio.
Favoriti dal vento, gli scrosci d’acqua si avventavano impietosamente sulle persone che cercavano inutilmente di trovare riparo sotto i cornicioni, su qualche ombrello imprudentemente aperto, sulle auto che avanzavano a fatica in quella confusione, e sulle vetrine del mio negozio. Ero in attesa che si calmasse un po’ quel diluvio per uscire fuori con l’attrezzo a uncino e tirar giù la serranda dell’ingresso. Intanto avevo girato il cartello posto dietro la porta a vetri dell’entrata, con l’indicazione dell’orario giornaliero e la scritta: «CHIUSO. Questo negozio riapre lunedì alle ore 9:30».
Finalmente si concludeva la settimana di lavoro e io già pregustavo i piaceri di un magnifico week-end che avevo meticolosamente preparato da vari giorni. Anche se la situazione meteorologica non lasciava sperare nulla di buono avrei certamente trascorso un favoloso fine settimana.
Questo era quello che, avendolo programmato fin nei minimi particolari, mi sentivo in diritto di aspettarmi dalle prossime ore.
In effetti, Christine, la giovane commessa svedese che avevo assunto da un paio di settimane, mostrava finalmente degli incoraggianti segni di simpatia nei miei riguardi, compiacendosi della mia palese attrazione per lei, e aveva accettato di trascorrere insieme a me quel pomeriggio e tutta la domenica sulla costiera amalfitana. Guardai ancora l’orologio e il cielo.
Una macchina color avana, di piccola cilindrata (non avrei saputo riferire di che marca fosse: solo i giornali dei giorni seguenti aiutarono la mia memoria a chiarire che si trattava di una piccola Renault), si fermò accanto al marciapiedi, alcuni metri prima del mio negozio. Ne uscì un uomo sui trentacinque anni, di media statura, con dei baffetti appena pronunciati. Portava sottobraccio un pacco avvolto in carta di giornali.
Quell’individuo, sotto la pioggia che continuava a venir giù senza un momento di tregua, dette un rapido sguardo alle insegne degli esercizi di quella parte della strada, come in cerca di una conferma, poi si diresse con decisione verso l’entrata del mio negozio.
Prima che spingesse il battente abbozzai un gesto e un’espressione di dispiacere indicando il cartello che avevo appena girato, con l’inequivocabile segnalazione che fino al lunedì mattina avevamo cessato l’attività.
L’uomo rimase titubante per qualche attimo, ignorando quello che avevo cercato di fargli capire, e senza più esitazioni spinse la porta a vetri. Riuscii a bloccare l’entrata parzialmente, anche con l’aiuto di un piede.
«Mi dispiace, siamo ormai chiusi. Riapriamo lunedì». Lo dissi lentamente, aiutandomi con i gesti, pensando che nonostante l’aspetto, potesse trattarsi di uno straniero.
«Le devo proporre un affare», mormorò con un certo affanno. Continuava a guardarmi negli occhi con un misto di preghiera e di disperazione.
«La prego», insisté.
La pioggia continuava a martellare la strada, senza risparmiarlo.
Ero piuttosto contrariato, ma devo ammettere che quello strano personaggio era riuscito a trasmettermi un profondo senso di pena e di curiosità allo stesso tempo.
«Va bene», dissi, «ma posso dedicarle solo pochi minuti. Oltretutto abbiamo già superato abbondantemente l’orario di chiusura e rischiamo una pesante multa».
Mollai la presa del piede contro la porta consentendogli così di entrare.
Avanzò di qualche passo all’interno e appoggiò il pacco su un tavolo del Settecento con ripiano di marmo. Tolse i fogli intrisi d’acqua, li appallottolò e li gettò in un cestino per la spazzatura lì accanto.
«Mi dica onestamente quanto mi può dare», disse sollevando l’oggetto che voleva propormi, e che fino a quel momento non ero riuscito a capire bene cosa fosse, capovolgendolo dalla parte frontale.
Si trattava di un dipinto su tavola, contornato da una curiosa ma notevole cornice a forma di edicola, che non mi era mai capitato di vedere prima d’allora. Il tema del dipinto era un San Gerolamo in preghiera con un leone ai suoi piedi.
«Opera del XV secolo. Scuola di Antonello da Messina», mormorò sottovoce quasi per non urtare le mie capacità di giudicare.
Portai il dipinto verso una fonte di luce. In realtà non avevo una gran competenza di quel periodo artistico né di quella scuola. L’esecuzione comunque sembrava di buona mano. Calcolai che nella peggiore delle ipotesi avrei potuto ricavarci almeno cinque o seimila euro.
«Eh, si fa presto a dire Antonello da Messina…», abbozzai rigirando la tavola.
Da una tasca interna della giacca tirò fuori il portafogli e mi porse un biglietto da visita. «Vincenzo Lepiscopo Avvocato» c’era scritto insieme all’indirizzo di uno studio di Palermo.
«Le posso lasciare il quadro per un esame approfondito fino a lunedì. Ma ho bisogno di un anticipo… diciamo duemila euro in contanti».
Continuai, indeciso, a osservare il dipinto. Potevo portarlo per uno studio accurato e una valutazione più precisa