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Il Trattato della Discordia
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E-book466 pagine7 ore

Il Trattato della Discordia

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Info su questo ebook

Samuel, un giovane giornalista da poco trasferitosi a Berna come corrispondente di politica interna per un rinomato settimanale, viene coinvolto in una vicenda incredibile che lo segnerà profondamente, oltre a stravolgere in pochi mesi la storia del Paese.
Un referendum popolare, che a priori sembra non avere alcuna concreta possibilità di successo, ottiene la maggioranza di popolo e cantoni e porta alla scissione del Paese in due regioni autonome e contraddistinte da ideologie antitetiche: conservatrice e progressista. Libere di vivere i loro estremismi e prive del loro contrappeso naturale, le due regioni incontrano inevitabili difficoltà, che le costringono, insieme ai loro protagonisti, a riconoscere l’assurdità della loro condizione e a piegarsi alla necessità di chiedere e concedere sostegno ai rispettivi antagonisti. Un anziano magnate dell’orologio, al quale resta poco tempo da vivere, prende in mano le redini della vicenda e, da dietro le quinte, getta le basi per una possibile riappacificazione, la cui realizzazione o fallimento sono appese a un filo.
Un romanzo che si svolge nella Svizzera dei nostri tempi, ma che potrebbe realizzarsi ovunque e in ogni momento.
LinguaItaliano
Data di uscita13 gen 2014
ISBN9788865379370
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    Anteprima del libro

    Il Trattato della Discordia - Alessandro P. Lanciafiamme

    universo.

    Prima Parte

    Capitolo 1

    Il continuo tintinnio provocato dal termosifone non lo aiutava certamente a conciliare il sonno, anche se sapeva benissimo che questa non era la ragione per cui si era svegliato ansimante e fradicio di sudore. Samuel aveva cominciato ad abituarsi a queste improvvise interruzioni, sempre alla stessa ora, verso le tre, dopo quattro o cinque ore di riposo, sufficienti a non riaddormentarsi immediatamente per stanchezza, ma insufficienti per sentirsi veramente rigenerato il giorno seguente. Dopo tante notti passate a fissare il soffitto aveva ormai imparato quanto fosse inutile restare a letto immobile nella speranza di riaddormentarsi rapidamente. Cercare di distrarsi, ingannare i propri pensieri e uscire dai vicoli ciechi nei quali la mente lo portava in notti come queste, erano gli unici rimedi efficaci. Samuel valutò la possibilità di mettersi a leggere e diede un rapido sguardo alla copertina del libro sul comodino. Purtroppo si trattava di un mattone di seicento pagine sulla storia della Cina che poco si addiceva a rilassare la mente. Inoltre, questa notte il risveglio era stato particolarmente brusco e le sue preoccupazioni troppo razionali per essere ingannate così facilmente. Non gli restava che alzarsi dal letto, accendere il computer e navigare in rete alla ricerca di qualsiasi cosa, il più possibile lontana dai pensieri che lo avevano costretto a interrompere il sonno.

    Si avviò verso la scrivania posta sotto l’ampia finestra del suo monolocale, tastando con i piedi i dintorni del letto alla ricerca delle pantofole. Non trovandole, camminò scalzo, nonostante la poco piacevole sensazione provocata dal contatto con il pavimento gelido. Come sua consuetudine, non accese la luce e si mosse quindi cautamente al buio attraverso la stanza. Gli occhi si adeguarono lentamente alla poca luce diffusa che proveniva dalla finestra. Era sua abitudine non abbassare le tapparelle prima di andare a letto, permettendo al lieve chiarore dei lampioni stradali di filtrare nella stanza e permettergli di intravedere la posizione dei mobili. Samuel era convinto che l’atto di accendere la luce avrebbe posto irrimediabilmente fine a quella notte di riposo, portandolo inevitabilmente a vestirsi e andare in ufficio ancora in piena notte. Non sarebbe stata la prima volta. Sapeva però che così facendo si sarebbe esposto, l’indomani, a una giornata terribile. Nel pomeriggio avrebbe dovuto combattere con la stanchezza, e con ogni probabilità il mal di testa sarebbe sopraggiunto prima di sera.

    Dal suo appartamento aveva una magnifica vista sulla città di Berna e di giorno poteva vedere distintamente all’orizzonte tutta la catena alpina dell’Oberland bernese. Il piccolo condominio di tre piani nel quale viveva si trovava sulle pendici di una ripida collina, in periferia. Aveva scelto d’affittare un monolocale mansardato all’ultimo piano, non solo perché questo lo avrebbe tutelato da eventuali vicini rumorosi, ma soprattutto perché il colpo d’occhio offerto dall’appartamento era ideale per riflettere e portare ispirazione al suo lavoro di giornalista.

    Samuel, trentatré anni, si era trasferito da pochi mesi da Zurigo a Berna, per motivi di lavoro. Dopo gli studi di giornalismo all’Università di Zurigo, e dopo aver sofferto quasi un intero anno per la ricerca di un primo impiego, era riuscito a ottenere un posto di lavoro fisso, al sessanta percento, presso un quotidiano gratuito molto popolare in tutta la Svizzera, e con sede a Zurigo. Nonostante il giornale fosse indirizzato a una clientela estremamente eterogenea e potenzialmente disinteressata come quella dei pendolari, e malgrado i mezzi a disposizione della redazione fossero limitati, Samuel non aveva esitato nemmeno un istante a cogliere l’occasione, impegnandosi fin dall’inizio molto seriamente nel proprio lavoro. L’abnegazione al lavoro e la sua indole calma e riflessiva lo avevano messo rapidamente in evidenza agli occhi del redattore capo che, suscitando molta sorpresa e una certa dose di invidia da parte dei suoi colleghi, gli aveva assegnato dopo soli sei mesi la responsabilità di seguire i temi legati alla politica nazionale. Siccome lo standard del giornale richiedeva degli articoli molto corti ed escludeva così la possibilità di investire tempo e risorse nello sviluppo di articoli più complessi, era loro consuetudine limitarsi a riassumere le notizie diffuse dalle agenzie d’informazione o già divulgate dai giornali più rinomati del paese. Samuel aveva la capacità di essere molto conciso e preciso nei suoi articoli. In particolare, sapeva eliminare ogni commento o presa di posizione personale che avrebbe minato la neutralità dei suoi articoli. Qualità particolarmente apprezzate in un giornalista che si occupa di politica interna. Inoltre, era riuscito a sviluppare uno stile che attirava il lettore. Metteva sempre l’accento sulle sfaccettature di un avvenimento politico che erano state marginalizzate da altri giornalisti, spesso dando il via ad accese discussioni tra i pendolari, pigiati uno contro l’altro sui mezzi pubblici, o in ufficio tra colleghi durante la pausa caffè. Questa sua capacità, di intuire quali fossero gli elementi di un evento politico che avrebbero influenzato più di altri il futuro del suo paese, era innata e rappresentava il suo unico patrimonio. Figlio unico, rimasto senza genitori all’età di diciannove anni in seguito a uno sfortunato incidente nautico sul lago di Zurigo, aveva usufruito della copertura finanziaria offertagli dall’assicurazione sulla vita del padre per completare gli studi universitari. Finiti quei soldi, non gli erano rimaste altre risorse a disposizione se non quelle generate dal frutto del suo lavoro.

    Conscio che il talento può non essere sufficiente a emergere dalla massa, si era anche creato una rete di contatti sulla piazza di Zurigo. Qualche politico locale, ma soprattutto altri giornalisti che gli permisero in più occasioni di accedere a informazioni riservate. Uno di questi contatti era un amico d’infanzia, in seguito compagno di studi, che lavorava presso il giornale domenicale più rinomato del paese. Il suo amico era stato assunto da quest’ambita testata giornalistica subito dopo gli studi, ma non perché fosse particolarmente brillante. Anzi, dopo due anni passati in redazione economica fu relegato a temi di poco conto. Ottenne il lavoro semplicemente perché di buona famiglia e con gli agganci necessari per permettergli un’assunzione rapida e senza sforzo. Raramente Samuel otteneva dall’amico notizie di valore, considerato il ruolo di secondo piano che questi ricopriva al giornale. Eppure, talvolta, l’amico gli comunicava chi si era presentato al giornale per un’intervista o dove si erano recati i giornalisti più esperti alla ricerca di notizie, e ciò gli era sufficiente per intuire che cosa stava bollendo in pentola.

    Fu la notizia più ordinaria, tra quelle ottenute da questo suo amico, la più importante e in grado di dare una spallata alla linea finora tracciata dal fato, facendolo deviare dal binario monotono e anonimo che stava seguendo, e indirizzandolo verso quella che sarebbe diventata l’esperienza più influente della sua vita. Lo chiamò in ufficio, una sera come tante, mentre era intento a redigere la bozza di uno dei suo articoli condensati fino all’osso, trecento parole, cinquecento solo se candidato alle prime cinque pagine. Immerso com`era nella rilettura non si accorse nemmeno della chiamata. Si è liberato un posto alla redazione di politica interna, probabilmente irraggiungibile, ma visto che l’annuncio verrà pubblicato non prima di domani, ho pensato di avvertirti comunque. Forse se sei tra i primi a presentarti guadagni qualche punto. Buona fortuna. Fu il messaggio lasciato dall’amico sulla sua casella vocale.

    Anche se erano trascorsi già sei mesi da quel giorno, lo ricordava come fosse ieri. Aveva riascoltato il messaggio ben tre volte, senza preoccuparsi di richiamarlo per ottenere più informazioni. Gli bastava ascoltare attentamente il suono del destino, l’intonazione della voce e immaginare il viso inconsapevole dell’innocente messaggero. Capì immediatamente quanto quella notizia fosse preziosa per lui. Qualcosa dentro di sé, nascosto tra le pieghe più profonde dell’anima, sapeva già tutto e gli permetteva quasi di visualizzare e di proiettare quell’informazione nel futuro, di darle dei volti, di attribuirle dei luoghi e di sentirne i suoni. Avrebbe ottenuto quel lavoro. E infatti lo ottenne.

    Così, dopo cinque anni di gavetta, venne promosso nella categoria dei professionisti come corrispondente da Berna. Si trattava naturalmente di una nuova dimensione. Il domenicale metteva mezzi quasi illimitati a disposizione dei propri giornalisti di spicco e soprattutto disponeva del bene più prezioso, il tempo. Il periodo di una settimana tra un’edizione e la precedente creava di per sé basi sufficienti allo sviluppo di articoli complessi o di interviste approfondite. Inoltre, gli articoli di successo nascevano dal giornalismo investigativo, che spesso richiedeva di seguire una traccia per settimane, se non per mesi. Lavorare a tali inchieste gli ricordava tanto i romanzi sugli agenti segreti che aveva letto a tonnellate da adolescente, con gli informatori anonimi, la ricerca di prove e testimonianze, e persino le pressioni alle quali erano sottoposti i giornalisti quando rivangavano nel passato di certi personaggi influenti, mettendo a rischio i delicati equilibri di potere tra politica ed economia. Gli scoop del domenicale erano in grado di cambiare le sorti di una votazione, di glorificare oppure affossare all’istante l’operato di un politico, e talvolta anche di mettere in moto la macchina giudiziaria. Tutto questo era chiaramente affascinante e stimolante, ma la costante tensione suscitata dalla segretezza delle inchieste e dalla valutazione dei rischi legati alla pubblicazione delle notizie era anche estenuante e senza tregua. Un grave passo falso avrebbe potuto segnare la fine della sua carriera e metterlo sulla strada. L’ambizione e la fretta avevano già spinto molti colleghi a credere ciecamente nella pista che stavano seguendo, pubblicando una storia prima di averne verificato le fonti in modo adeguato. Fonti che poi si erano rivelate fasulle. Samuel doveva ancora imparare a convivere con queste forti emozioni, ma per il momento ne accettava gli effetti collaterali. Infatti, dormiva bene una notte su due.

    L’accensione del suo computer portatile richiedeva sempre una lunga attesa prima di poter lanciare la navigazione in rete. Samuel approfittò di questo tempo morto per prepararsi una tazza di tè alla menta e sorseggiarla guardando fuori dalla finestra.

    Solitamente in piena notte la vista dal suo appartamento gli permetteva di osservare unicamente le luci della città e delle poche vetture in movimento. In rare occasioni poteva essere testimone a distanza di qualche lite tra giovani appena usciti dai locali notturni e condizionati dall’effetto disinibente dell’alcool. Questa notte invece la luna era alta nel cielo e mancavano solo due giorni affinché fosse completamente illuminata dal sole. Il cielo sgombro da nubi gli permetteva di intuire la posizione delle montagne più alte, ricoperte di neve ormai già da settimane. Forse si trattava solo di un’illusione provocata della sua mente, ma avrebbe giurato di poter distinguere chiaramente la sagoma delle tre vette più famose della regione, Eiger, Mönch e Jungfrau.

    Finalmente il computer fu pronto per iniziare la navigazione in rete, alla ricerca di una qualsiasi isola il più possibile distante dalle sue preoccupazioni. Purtroppo, la pagina iniziale del suo esploratore era impostata sul sito del giornale per il quale lavorava e questo lo riportò immediatamente al punto di partenza e a quei pensieri che lo avevano catapultato fuori dal sonno e dal letto. La prima notizia riportata sul sito riguardava infatti la votazione federale che si sarebbe tenuta l’indomani.

    La vicenda ebbe inizio due anni prima, quando il partito conservatore, sostenuto da esponenti della borghesia, promosse un referendum popolare con lo scopo di ottenere una legge che limitasse la presenza di stranieri non oltre la soglia del 25%. L’iniziativa popolare venne respinta con il 53% dei voti, ma il fatto che i proponenti avessero sfiorato la vittoria suscitò grande scalpore internazionale e condizionò fortemente la cronaca locale e i dibattiti televisivi per un intero anno. Le critiche all’ala intransigente del partito conservatore, da dove partivano questo tipo di iniziative, erano spesso più di carattere emotivo e morale che non razionale. In particolare, alcuni esponenti dell’amministrazione federale responsabili dell’integrazione degli stranieri nel paese, si espressero in critiche feroci, a volte anche personali e stonate rispetto ai costumi della politica svizzera, tacciando gli esponenti del partito conservatore di essere pronti a tutto pur di cavalcare temi populisti come quello degli stranieri e dell’immigrazione. Non solo l’amministrazione, ma anche la miriade di associazioni di volontariato per l’integrazione degli immigrati, disseminate in tutto il paese e preposte a combattere l’emarginazione delle comunità straniere, si sentirono minacciate dai tanti voti favorevoli all’iniziativa, vissuti come un’amara bocciatura al loro impegno e un segno di sfiducia nei confronti dei risultati da loro ottenuti.

    In rari casi, l’analisi dell’esito della votazione si spostò dall’area emotiva a quella tecnica, volta ad analizzare l’impatto che il successo di tale decisione popolare avrebbe potuto avere sull’economia svizzera. Il partito progressista aveva accusato i conservatori di essere degli irresponsabili, in quanto tale misura avrebbe fatto saltare buona parte degli accordi bilaterali firmati con i paesi Europei con i quali vigeva da tempo un trattato di libera circolazione delle persone. Inoltre, ai referendisti veniva rinfacciato che, in tempi di grande competizione globale, limitare la forza lavoro necessaria al paese avrebbe minato la capacità di crescita. Insomma, in modo alquanto anomalo, gli oppositori non si limitarono a prendere atto del risultato, che nei numeri risultava essere una vittoria, ma si comportarono come se avessero perso, ribadendo a ogni occasione i rischi che il successo di tale iniziativa avrebbe comportato per la Svizzera.

    I quadri del partito conservatore, consci del vero valore del risultato della votazione, che non considerarono una sconfitta, sentirono il vento in poppa in prospettiva delle votazioni federali che si sarebbero tenute l’anno seguente e che li avrebbe portati probabilmente a ottenere il maggior numero di consensi da sempre. Molto diversa fu invece la percezione del risultato alla base del partito. Il malumore salì letteralmente alle stelle. La vittoria era stata nuovamente solo sfiorata, e come se non bastasse, i progressisti insistevano nel condannare pubblicamente l’operato dei membri del partito conservatore, presumendo che fossero i progressisti ad avere il monopolio sulla definizione di integrità ed etica civile. L’elettore medio del partito conservatore era decisamente stanco di appartenere alla frazione politica maggioritaria, che però, data la formula di governo adottata da decenni, si ritrovava numericamente incapace di imporre la propria volontà e il proprio programma al resto della nazione. La formula della concordanza, prevede infatti che tutti i maggiori partiti politici siano rappresentati in governo, che poi collegialmente guida il paese. Questa formula assicura da anni prosperità e stabilità alla Svizzera, in quanto filtro naturale a ogni posizione estrema o decisione affrettata. Il rovescio della medaglia è che coloro che si prefiggono di introdurre misure radicali, da una parte all’altra dello spettro politico, cioè il partito conservatore e quello progressista, vengono spesso relegati a ruoli di secondo piano in governo, e talvolta i loro esponenti, se cronicamente limitati da posizioni ideologiche intransigenti, non vengono neppure eletti dal Parlamento in Consiglio Federale.

    Il paese si trovò quindi in una situazione ambigua, di grande discordia e malcontento per entrambe le parti politiche. Con quest’ultima votazione si era incrinato qualche ingranaggio essenziale per l’equilibrio politico, e purtroppo non si trattava di un male passeggero. Questa situazione portò all’ immobilismo totale, in cui i due partiti maggiori non riuscivano più a negoziare nessun tipo di compromesso, qualsiasi fosse l’argomento in discussione. Il Parlamento si trovò per mesi completamente bloccato e incapace di trovare soluzioni a problemi politici importanti e urgenti.

    Il perché tutto questo avvenne proprio in quel momento, fu e rimase senza spiegazione. Difatti una netta divisione delle preferenze politiche all’interno del paese, che si manifestavano talvolta anche a livello geografico, non era per niente una novità e si era già presentata in passato. Eppure, analogamente all’insurrezione sociale che avvenne nel 2011 in molti paesi Nord Africani e del Medio Oriente, dopo decenni di costante sottomissione ai regimi totalitari e brutali dei loro paesi, improvvisamente venne superata una sorta di soglia invisibile di tolleranza, senza che questa fosse percettibile o prevedibile.

    I vertici dei due partiti, anche se fortemente divisi ideologicamente, si trovarono per assurdo a dover risolvere un problema comune, e cioè quello di riuscire a convincere nuovamente le basi dei rispettivi schieramenti che l’impegno politico avrebbe portato all’attuazione dei programmi di partito, e che era sbagliato considerare ogni sforzo vano. Entrambi si impegnarono a evitare l’imminente rischio di una dissociazione totale tra popolazione e politica. Scenario che avrebbe, a breve termine, portato a un rinnovo radicale del sistema di governo e dei suoi attori principali. Molti politici non sarebbero sopravvissuti al cambiamento, e questo era chiaramente inviso agli interessati. I vertici dei due partiti s’incontrarono dunque per discutere la situazione, e, sei mesi orsono, diedero vita a una delle iniziative più incredibili della storia moderna. In seguito si discusse per anni per ricostruire in modo preciso gli avvenimenti e ricordare da quali menti nacque l’iniziativa, ma inutilmente dato che non furono trovate prove inconfutabili per stabilirlo.

    La strategia comune dei due partiti era semplice: provocare la nazione con un’iniziativa popolare talmente assurda, che non avrebbe mai raggiunto la maggioranza, ma in grado di mitigare i toni della discussione e riportare la scena politica alla ragione.

    La votazione sull’iniziativa per la scissione della Svizzera in due regioni autonome era prevista per l’indomani. La cosiddetta soluzione alla situazione di stallo in cui si trovava il paese era quella di dare la possibilità a entrambe le ideologie politiche di realizzarsi immediatamente, dividendo la nazione in due.

    I commenti che Samuel stava leggendo in rete, rilasciati da politici appartenenti ai due schieramenti, erano tutti molto simili e ridondanti: votazione sostanzialmente assurda, risultato scontato, perdita di tempo e di denaro pubblico. Per di più, dato che nessun politologo aveva accreditato all’iniziativa la benché minima probabilità di riuscita, la televisione di stato aveva addirittura rinunciato a commissionare gli abituali sondaggi, ritenuti in questo caso assolutamente inutili.

    Alle quattro del mattino Samuel cominciò a dubitare seriamente di riuscire a dormire almeno altre due ore prima di recarsi in ufficio. Si trattava della prima consultazione popolare importante alla quale assisteva da quando si era trasferito a Berna. Avrebbero letto in molti i suoi articoli ed era consapevole di quanto fosse importante fare centro alla sua prima prova. Domani avrebbe avuto un sacco di lavoro e la giornata sarebbe volata senza permettergli un attimo di tregua. Decise così di rimettersi a letto e ascoltare musica classica, selezionata con cura per questi momenti. Forse non sarebbe riuscito a prendere sonno, ma senz’altro la musica lo avrebbe aiutato a distendere i nervi.

    Tornato a letto, mentre si rimboccava le coperte, ebbe per una frazione di secondo il presentimento di ciò che sarebbe accaduto il giorno seguente. Non fu in grado di stabilire quale fosse la causa di quella sensazione: forse la grande facilità con cui vennero raccolte le firme utili per la convalida dell’iniziativa o, forse, i numerosi appelli a questa favorevoli pubblicati sui social network.

    Non vi diede comunque molto peso. Si sentiva stanco e desiderò una cosa soltanto. Quasi per miracolo, si riaddormentò nell’arco di pochi minuti.

    Capitolo 2

    La chiesa cattolica del quartiere era molto vicina alla palazzina nella quale viveva Samuel e il campanile era distante non più di una ventina di metri in linea d’aria dalla finestra del suo appartamento. Il suono martellante e prolungato delle campane, che ricordava ai fedeli l’imminente inizio della messa domenicale, lo svegliò di soprassalto.

    La sveglia, che probabilmente aveva compiuto il suo dovere suonando la carica ogni quindici minuti dalle sette di mattina, si era arresa al sesto tentativo e indicava ora le 10:15. Balzò immediatamente in piedi e constatò come il battito del cuore fosse passato dal torpore del sonno al ritmo tambureggiante scatenato dall’improvvisa iniezione d’adrenalina. Scartò l’opzione di vestirsi in tutta fretta e correre subito in ufficio. Oggi avrebbe incontrato molte persone importanti e molte delle quali per la prima volta. Samuel aveva imparato quanto la prima impressione fosse decisiva per il futuro di ogni tipo di relazione, e lui in particolare non poteva certo permettersi di arrivare in redazione trasandato come se avesse appena terminato una lunga notte di festeggiamenti con gli amici. Radersi, rinfrescarsi rapidamente sotto la doccia e indossare il completo e la cravatta che aveva selezionato la sera precedente, erano gli inevitabili minimi termini del rituale mattutino al quale non poté sottrarsi. Avrebbe pensato a mangiare e bere qualcosa per strada o in ufficio.

    Mezzora più tardi era lanciato a tutta velocità lungo la rampa delle scale. All’uscita dal condominio per poco non scaraventò a terra l’anziana coinquilina del primo piano, che aveva varcato la porta d’entrata proprio in quel momento. La signora Schwarzenbach, che viveva ormai sola da molti anni, era molto cordiale e non si faceva scappare nessuna occasione per scambiare due parole. Ciononostante Samuel ebbe spesso l’impressione che tale cordialità, quantomeno nei suoi confronti, fosse alquanto forzata e percepiva in alcune espressioni e intonazioni della voce come l’anziana signora celasse pensieri non sempre in sintonia con il suo gracile apparire.

    Buongiorno Samuel, come mai tutta questa fretta?

    Buongiorno signora Schwarzenbach, purtroppo questa mattina non ho sentito la sveglia e adesso sono terribilmente in ritardo. Samuel avrebbe preferito troncare subito il discorso e non perdere altro tempo prezioso, ma non volle essere sgarbato e quindi aggiunse: È andata a fare la spesa al mercato questa mattina?

    Samuel, oggi è domenica. Probabilmente non sei ancora del tutto sveglio. Sono andata a votare. Ti sei forse dimenticato? Il referendum per separare il paese tra conservatori e progressisti. Mentre lo diceva Samuel notò il quasi impercettibile movimento delle sopracciglia e degli angoli della bocca, tipici di chi reprimere un sorriso.

    Tu sei svizzero, vero? Non vai a votare? Il comune chiude i seggi a mezzogiorno, se ti sbrighi dovresti fare ancora in tempo.

    Sì, ho il passaporto svizzero, e chiaramente sarei dovuto andare a votare, ma mi aspettano in redazione e quindi oggi eccezionalmente non voto.

    Mentre rispondeva Samuel poté leggerle chiaramente i pensieri, come se fossero apparsi a caratteri cubitali sulla fronte dell’anziana coinquilina. La signora Schwarzenbach, come molti suoi coetanei, pensava che tutti coloro che avevano ottenuto la cittadinanza in generazioni recenti, in seguito all’immigrazione dei loro genitori o dei nonni, non fossero in grado di percepire fino in fondo valori e doveri che ogni confederato è chiamato a rispettare. D’altronde, anche suo padre, se fosse stato ancora in vita, lo avrebbe redarguito severamente. Spesso, infatti, egli amava ricordargli come in molti paesi la democrazia era stata ottenuta con il sacrificio d’innumerevoli vite, o fatto ancora più grave, come altro sangue sarebbe stato ancora versato per porre fine alle dittature che ancora oggi opprimono tanti popoli.

    La signora Schwarzenbach rinunciò a una replica e si avviò verso i pochi gradini che la separavano dal suo appartamento. Beh, allora muoviti e non perdere altro tempo con me. Sono curiosa di scoprire cosa scriverai nei tuoi articoli, la settimana prossima.

    Dopo essersi liberato della signora Schwarzenbach, Samuel si rimise a correre in direzione della linea del tram che lo avrebbe portato in centro. Era quasi arrivato alla fermata più vicina, purtroppo deserta, segno probabile di come il tram numero tre doveva essere passato da pochi minuti, quando vide dall’altra parte della strada la sagoma inconfondibile di un taxi in sosta, con due ruote sul marciapiede. Il conducente stava aiutando un cliente a togliere due grosse borse da viaggio dal baule per poi trasportarle faticosamente fino all’entrata di casa ed evitando che si sporcassero al contatto con il terreno. Incassata la corsa, il conducente si appoggiò al cofano della sua berlina, sfilò dal taschino della giacca una sigaretta che cercò di accendere proprio nell’istante in cui Samuel gli piombò addosso.

    Devo andare alla sede del Giornale Domenicale in Schauplatzgasse 10, e sono terribilmente in ritardo gridò Samuel attraversando la strada di corsa.

    Il conducente, quasi spaventato, lasciò cadere l’accendino e si preparò a spiattellare una qualsiasi scusa, pur di evitare un cliente stressato, la domenica mattina, e che soprattutto gli avrebbe fatto saltare la meritata pausa. L’uomo, di costituzione piuttosto robusta, probabilmente abituato a muoversi sempre e solo in macchina, non lo guardò nemmeno, intento com’era a rianimare l’accendino, e gli rispose in tedesco con un forte accento portoghese. Mi dispiace, ma ho finito ora il turno di lavoro. Posso però passare la chiamata a un collega, se non le dispiace attendere qualche minuto.

    La prego, sono seriamente nei guai. Mi devo presentare in ufficio al più presto. Inoltre di domenica mattina a Berna potrebbe volerci un’eternità prima di trovare un altro taxi libero.

    A questo punto il conducente, che era finalmente riuscito ad accendere la sigaretta, alzò lo sguardo in direzione di Samuel, evidentemente seccato da tale insistenza. Forse un po’ divertito dall’aspetto ansioso e scompigliato del giovane, l’uomo rilassò subito i muscoli del volto, abbozzando un sorriso.

    D’accordo, ma a due condizioni: non faccio nessuna corsa oltre i limiti di velocità e finisco di fumare la sigaretta in macchina, intesi?

    Senza attendere risposta il conducente si mise alla guida e Samuel prese posto al suo fianco. In dieci minuti al massimo sarebbero arrivati alla sede del giornale. Nonostante tutti i pensieri di Samuel fossero rivolti all’inevitabile sfuriata che avrebbe subito dal redattore capo al suo arrivo in ufficio, non riuscì a impedirsi di scambiare due parole con l’improvvisato benefattore. Ricordò un politico navigato che alla fine di un’intervista gli aveva spiegato quanto fosse importante non farsi scappare nessuna occasione per saggiare gli umori e le preoccupazioni della gente comune, unica autentica fonte d’ispirazione per una politica al passo con i tempi. Politici, giornalisti, imprenditori, o forse più in generale tutti coloro che sognano di ottenere l’apprezzamento delle masse, dovrebbero saper far tesoro di tale insegnamento.

    La ringrazio di cuore, con il tram avrei senza dubbio perso almeno mezzora di tempo prezioso. E aggiunse: Mi è parso di sentire un accento portoghese, o sbaglio? Vive da molto tempo in Svizzera?

    Il tassista, abituato a clienti spesso taciturni, che si limitavano a descrivere la destinazione della corsa per poi concedere uno sfuggevole saluto appena giunti a destinazione, fu ben lieto di poter rompere la monotonia e conversare un po’ con Samuel.

    Sì, sono portoghese e sono immigrato in Svizzera con mia moglie venticinque anni fa. Dapprima abbiamo vissuto a Zurigo, poi, dopo dieci anni, ci siamo trasferiti a Berna.

    Samuel era spesso diretto e indiscreto nelle sue domande, particolarmente con gli sconosciuti, anche se questo suo agire normalmente non indispettiva i suoi interlocutori. Essi riconoscevano la sua innata capacità di porre qualsiasi domanda in modo così naturale e conciliante, e in un certo senso ne venivano come sedati. Salvo rare eccezioni, questo metteva chiunque a proprio agio in pochi minuti.

    Se ci ripensa oggi, cosa le passava per la mente, venticinque anni fa, lasciando il Portogallo per la Svizzera? Immaginava di restare tanti anni lontano dalla sua terra d’origine? gli chiese Samuel.

    Il tassista tolse per pochi secondi lo sguardo dalla strada e scrutò divertito il viso dell’insolito cliente.

    Avevamo poco più di vent’anni, non pensavamo a un bel niente, né sapevamo che cosa ci aspettava in Svizzera o per quanto tempo saremmo rimasti. Tutto quello che volevamo sentirci dire dai nostri compaesani che tornavano per le feste Natalizie era che avremmo sicuramente trovato un lavoro in quella nazione. A quei tempi, questo era sufficiente per fare le valigie e prendere il primo treno diretto verso il centro dell’Europa.

    Accortosi che Samuel era ancora in attesa, aggiunse:

    Erano altri tempi, mia moglie e io trovammo lavoro a Zurigo, entrambi, e casa, tutto nell’arco di due giorni. Incredibile no? Oggi solo per trovare l’appartamento ci vorrebbero mesi.

    Insomma, era un po’ come partire per l’America, ma ci si poteva arrivare in treno commentò Samuel.

    Sì e no, fu molto facile trovare un impiego e ottenere i documenti necessari a regolarizzare la residenza, ma non tutto era poi così idilliaco. Innanzitutto la lingua rappresentava una barriera molto difficile da sormontare. Io avevo appena ottenuto una licenza in letteratura portoghese all’Università di Lisbona e pensai di dovermi solo adeguare temporaneamente alla professione del tassista.

    Mi ci vollero all’incirca dieci anni per capire che non si trattava di una soluzione temporanea concluse con un po’ di amarezza dipinta sul volto.

    Samuel esitò un istante prima di continuare il discorso, in fondo non voleva esagerare nell’essere indiscreto. Eppure la sua naturale curiosità lo induceva a scavare oltre nel copione di questo tipo di storie, così aggiunse:

    Quindi ci sono stati dei periodi in cui avete valutato la possibilità di rientrare in Portogallo?

    Certo, quasi ogni anno ne abbiamo discusso fu la pronta risposta. Anche se poi abbiamo avuto dei figli, che sono nati e cresciuti in Svizzera. Per loro andare in Portogallo in vacanza significa andare all’estero. Questo cambia tutte le prospettive. Chissà, forse da pensionati torneremo in Portogallo, anche se ci credo poco. Mia moglie non riuscirebbe a staccarsi dai figli per più di un mese. Con l’arrivo imminente di qualche nipote poi, lo escludo.

    Me la immagino come una situazione strana, una sorta di compromesso che condiziona tutta la vita fu la riflessione di Samuel ad alta voce. Insomma, dopo tanti anni si sente infine completamente parte del mondo che la circonda, oppure il fatto di non essere svizzero la condiziona ancora?

    Bella domanda, sì e no. Abbiamo acquistato un bel appartamento, abbiamo le nostre abitudini e il nostro giro di amici abituali. I figli hanno potuto godere del sistema scolastico svizzero al pari degli altri, e ora hanno successo nelle professioni che si sono scelti. Insomma, straniero o no, lo rifarei senza ombra di dubbio.

    Poi dopo qualche esitazione aggiunse: Ma questo non è quello che voleva sapere, vero? Diciamo che spesso dimentico di non avere la cittadinanza svizzera, finché non mi viene implicitamente o esplicitamente fatto presente. Le faccio un esempio. La radio questa mattina non fa altro che parlare di questa iniziativa per separare il paese tra progressisti e conservatori. Ebbene il nodo della questione è chiaro. C’è chi è disposto a condividere il paese con uno come me, e chi no. Naturalmente, in queste occasioni mi piacerebbe stare dalla parte di chi non deve vivere tali dibattiti come un affronto. Oltretutto da spettatore, dato che non posso votare.

    La berlina passò in quel momento a fianco di Piazza Federale dove Samuel poté osservare il formicolio provocato dai colleghi di diverse testate giornalistiche, intenti ad accaparrarsi per un’intervista lampo qualche politico diretto a Palazzo Federale.

    Arrivati alla sede del giornale, Samuel lasciò una generosa mancia al tassista e corse in direzione dell’ascensore che lo avrebbe portato in ufficio. Vide che c’erano troppe persone in attesa, per cui scelse di salire al terzo piano a piedi. Questo gli avrebbe permesso di entrare in ufficio da un’entrata secondaria e forse, con un po’ di fortuna, nessuno si sarebbe accorto del suo ritardo.

    Con molta cautela aprì la porta d’emergenza che lo avrebbe immesso in ufficio e per qualche istante rimase a osservare l’andirivieni dei suoi colleghi. Avevano tutti un’espressione strana, a metà strada tra l’angosciato e il divertito.

    Non pensarci nemmeno Samuel, non è questo il momento di andare a comprare un panino tuonò la voce del redattore capo alle sue spalle, evidentemente convinto che Samuel avesse indossato il mantello per uscire e andare a comprare qualcosa da mangiare per pranzo. Ci troviamo tutti alle 12:30 in sala riunioni per guardare in diretta televisiva l’annuncio dei dati sulla partecipazione alla votazione aggiunse prima di scomparire dietro la porta del suo ufficio tallonato dai soliti due leccapiedi.

    Tutto questo era piuttosto strano e Samuel si chiese quale fosse la ragione di tanta agitazione. Perché organizzare una riunione straordinaria semplicemente per commentare i dati sull’affluenza?

    Decise di andare a parlare con Peter, un collega prossimo alla pensione con cui aveva instaurato un ottimo rapporto sin dai primi giorni di lavoro.

    Ciao Peter, sono terribilmente in ritardo e sono appena arrivato sussurrò Samuel per non farsi sentire da nessun altro.

    Ah, hai fatto bene, questa mattina sarei rimasto a letto pure io rispose Peter, mentre si stiracchiava sulla poltrona posta a fianco della macchina del caffè.

    Cos’è successo, perché tanta agitazione? gli chiese Samuel.

    Non ti preoccupare, non ti sei perso niente di importante spiegò Peter intuendo la nota di apprensione che affliggeva il giovane collega. È per via di quest’assurda votazione popolare per separare il paese in due. Questa mattina degli attivisti di sinistra hanno pubblicato in rete un sondaggio ufficioso che indicherebbe una maggioranza di voti a favore dell’iniziativa.

    Vedendo l’effetto negativo che la notizia ebbe su Samuel, ancora prigioniero del senso di colpa per non avere sentito la sveglia, Peter aggiunse: Non mi fraintendere, quest’iniziativa non passerà mai. Un sondaggio di questo tipo non è solo illegale, in quanto reso pubblico con i seggi ancora aperti, ma soprattutto non corrisponde di sicuro alle reali intenzioni di voto. Immaginati un po’ di essere intervistato all’uscita dal seggio elettorale da una banda di alternativi dall’aspetto poco rassicurante, cosa faresti? Probabilmente diresti loro di aver votato così come speravano, no? Non è un segreto che la sinistra estrema è a favorevole all’iniziativa, ma questo non significa niente.

    Sarà, io comunque fin da ieri sera ho una strana sensazione replicò Samuel.

    Bevi questo, mi sembra che tu ne abbia bisogno disse Peter porgendogli una tazza fumante di caffè nero. Beh, andiamo, la riunione sta per iniziare. Comunque, secondo me, ti preoccupi per niente aggiunse Peter divertito dall’agitazione generale per quella che secondo lui era una notizia da relegare in ultima pagina.

    Il televisore a schermo piatto, appeso alla parete in fondo alla sala riunioni, stava già diffondendo la sigla della trasmissione elettorale. La sala era stracolma e non c’erano più sedie libere. Mentre il redattore capo era intento ad alzare il volume, in modo da zittire tutti i presenti e attirare la loro attenzione, Samuel e Peter presero posto in piedi vicino a una delle finestre.

    Dopo una rapida introduzione, la commentatrice passò subito all’annuncio dell’affluenza: Signore e signori, l’iniziativa – per la scissione della Svizzera in due regioni autonome – ha ottenuto un’affluenza storica, la più alta mai registrata. Questa mattina, il 90% degli aventi diritto di voto è andato a votare.

    Tutti senza eccezione fissarono il redattore capo, in attesa di un commento. Questi abbassò il volume del televisore, ignorando le domande che la commentatrice stava ponendo agli ospiti della trasmissione, e si mosse lentamente verso il centro della stanza. L’uomo stava visibilmente ponderando il significato di tale storica partecipazione al voto e le parole che avrebbe scelto per il suo commento.

    Colleghi, il minimo che si possa dire è che vi ricorderete per sempre questa giornata, quantomeno per il dato sull’affluenza. Ricordo ai colleghi più giovani che in genere l’affluenza non supera nemmeno il 50%. Questo indica che i referendaristi hanno toccato sul vivo l’anima di tutti gli svizzeri, tanto che, probabilmente, solo indisposti o ammalati hanno mancato il voto.

    O gli idioti che non si sono svegliati pensò Samuel amaramente.

    Il redattore capo aggiunse dopo una lunga pausa: È difficile intuire che impatto possa avere una tale affluenza sull’esito della votazione. Vi invito quindi a non affrettare conclusioni. È però indiscusso che il ritorno mediatico di tale votazione sarà in ogni caso ben più ampio di quello che avevamo previsto. A questo punto lanciò uno sguardo fulminante a uno dei suoi due fedeli leccapiedi, quello responsabile di sviluppare la strategia del giornale.

    Questa sera ne parleranno i telegiornali di mezzo mondo e probabilmente avremo materiale per scrivere interviste e approfondimenti per almeno due o tre edizioni del giornale. Insomma, vi voglio tutti al più presto in campo a raccogliere informazioni. Andate a Palazzo Federale, presso le sedi dei partiti, sotto casa di qualche personaggio di spicco, insomma ovunque possiate captare le prime reazioni che seguiranno all’annuncio dei risultati del voto e cercate di assicurare al giornale qualche intervista in esclusiva. Adesso andate, all’uscita troverete una lista con i vostri nomi e la destinazione che vi è stata assegnata. Tra cinque minuti voglio vedere la redazione vuota.

    Samuel che aveva finito di sorseggiare il caffè durante la breve riunione, si stava accingendo a lasciare la stanza con gli altri, quando si trovò davanti il redattore capo a sbarrargli la strada. Vieni con me, ti devo parlare.

    Accidenti, si è accorto della mia assenza questa mattina fu il primo pensiero di Samuel, mentre seguiva il capo lungo

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