Chalet Mosquito
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Tra numerose e ricche portate, il signor supervisore si dedica a quella che è la sua attività preferita: parlare, imponendo ai suoi ospiti tutti i suoi ragionamenti e le sue ferree convinzioni, nella certezza che, come sempre gli è accaduto, sarà non solo ascoltato con estrema attenzione ma anche appoggiato in ogni sua esposizione. A casa della famiglia Coppola, però, si troverà di fronte delle persone dotate di una spiccata intelligenza e non inclini ad abbassare il capo, e persino i bambini gli daranno del filo da torcere. Tanto che il signor supervisore tornerà a casa con qualche sicurezza in meno e qualche dubbio in più.
Danilo Martucci nasce il 25 maggio 1990 a Napoli, dove trascorre la sua infanzia e adolescenza. Dopo il diploma di liceo scientifico, inizia a studiare biologia per poi interrompere gli studi dopo un anno.
Nel 2010 si trasferisce a Valencia, in Spagna, per studiare odontoiatria e in quegli anni, parallelamente al percorso universitario, si avvicina al mondo dell’arte, appassionandosi a musica, cinema e letteratura.
Terminati gli studi nel 2015, è dunque ritornato a Napoli dove tutt’oggi risiede e dove esercita la professione di odontoiatra.
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Anteprima del libro
Chalet Mosquito - Danilo Martucci
Danilo Martucci
Chalet Mosquito
© 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-8611-3
I edizione novembre 2023
Finito di stampare nel mese di novembre 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
Chalet Mosquito
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di Lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
INTRODUZIONE
Erano le 19:26 di una sera d’inizio estate, quando, a casa della famiglia Coppola, stava per giungere una persona non esattamente invitata.
Percorreva ormai gli ultimi passi che lo separavano da quell’abitazione indipendente, situata nella contea di Bedfordshire, nell’Inghilterra orientale, designata come punto d’arrivo.
Nel definire questa persona, per semplicità, si useranno parole come ospite
o invitato
(nella loro accezione più libera), nonché signor supervisore
, in virtù della funzione lavorativa che questi svolgeva.
La circostanza era stata predisposta dall’azienda nota col nome di Comfyhome
, che operava da leader nel settore della biancheria domestica. Il signor Coppola vi lavorava da appena sei anni. L’ospite, da più di trenta.
Il signor supervisore, chiamato quindi quella sera a rappresentare la Comfyhome, si recava in casa di un suo sottoposto in ottemperanza al motto sia il lavoro la tua famiglia
, ideato per promuovere il concetto di sinergia all’interno dell’azienda stessa.
Ed accadeva che, se da una parte gli ospitanti non accoglievano di buon grado l’iniziativa, considerata un’evidente pantomima, dall’altra il signor supervisore era ben lieto di uscire una volta tanto dai confini di casa, per motivi che non riguardassero il lavoro.
Dire che era lieto era anzi riduttivo, giacché questi mostrava, nel procedere verso la meta, addirittura un certo entusiasmo. Provava infatti sempre un certo interesse nell’interfacciarsi con persone che non conosceva, o che conosceva poco.
A onor del vero tuttavia, il lettore imparerà (probabilmente anche a sue spese), che più che conoscere, al nostro ospite piaceva essere conosciuto.
Il signor supervisore era un uomo di cinquantasette anni, alto e di discreta corporatura.
Il suo tratto distintivo era il folto baffo alla Chevron, portato da sempre, che scuoteva ogni qual volta, nel sentirsi in diritto di