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Provenza in doppio
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E-book157 pagine2 ore

Provenza in doppio

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Info su questo ebook

Lili e Antoine vivono una storia di doppia solitudine. Lei, affascinata dagli angeli, si inventa un passatempo spirituale che può essere pericoloso; lui, giornalista freelance, si isola per scrivere articoli. Ma ciò che accade a Vauvenargues in prossimità del Castello di Picasso porta la storia su un diverso piano narrativo e temporale, a tratti visionario e metafisico, che conduce i due protagonisti verso nuove prospettive interiori e di vita.
LinguaItaliano
Data di uscita3 mag 2021
ISBN9791220336789
Provenza in doppio

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    Anteprima del libro

    Provenza in doppio - Paola Farah Giorgi

    Hanh

    Prologo

    Quando accostai e spensi il motore, non sapevo ancora che i personaggi odorano di carta. Sui romanzi ero inesperta. Sapevo invece che ero lì, a Vauvenargues, indirizzata in quel posto da chissà cosa o da chissà chi. A volte lo chiamo segugio interiore, a volte istinto, e sempre mi lascio convincere. È un qualcosa che si collega a ogni ipotesi di romanzo. Devo partire e trovare il posto giusto per scrivere.

    Dunque, ero lì: Vauvenargues, Provenza, il Castello di Picasso, dove il maestro è sepolto in giardino. Ma la sua tomba è marginale in questa storia, un semplice elemento del paesaggio, una piccola nota storica e geografica, niente di più. Potrebbe definirsi una coincidenza interessante, questo sì, almeno all’apparenza.

    Ed ecco, avevo da un attimo posteggiato nel cortile che la signora dell’alloggio mi apparve di fianco: i capelli raccolti con una molletta da biancheria, un grembiule sporco addosso e un bel canestro di uova al braccio. Un’immagine perfetta.

    «Bonjour. Je suis Madeleine.»

    «Bonjour, Madeleine» risposi mettendo i piedi a terra e il naso fuori dalla macchina, «c’est très beau ici.» Lei allargò di più il sorriso, chinandosi a prendere un fiorellino giallo che mi appuntò in un’asola della camicetta.

    «Benvenuta.»

    «Grazie!»

    Madeleine era una forma semplice di ospitalità, tonalizzata in modo naturale all’ambiente che mi vedevo intorno: il posto giusto per me. Presi dal bagagliaio il borsone e lei mi accompagnò all’alloggio sul retro di casa sua, a pochi metri dal cortile.

    «Si troverà bene, vedrà. Si trovano bene tutti, qui a La Jonquière.»

    «Sicuramente, Madeleine. Si capisce subito che è il posto ideale per chi cerca tranquillità.»

    Un breve sentiero fra vasi di ortensie e alberelli di corbezzolo portava a una graziosa veranda con tettoia in legno e un divanetto coperto da una pelliccetta sintetica e da tre cuscini di Natale con fodera rossa, renne e fiocchi di neve. Il forno esterno, occupato al momento da una gallina di fieno compresso, era contornato da bottiglie vuote di Club, pas du cerf, forse un vino, forse un liquore, non avevo idea. Ma andiamo avanti con la descrizione perché è importante. Guardatevi intorno insieme a me.

    Al centro della verandina c’è un piccolo tavolo a forma di mantice e, sulla sinistra, un mobiletto bianco con un vaso ricolmo di spighe ammosciate e una cassetta piena di rami secchi, nidi ormai vuoti e un uovo di plastica grande come quelli di struzzo. Nell’angolo opposto, meraviglia delle meraviglie, una ribaltina già aperta. Quest’ultimo particolare, inutile dirlo, lo presi come un segno del destino. Sì, ero nel posto giusto per iniziare il nuovo romanzo.

    Sul rettangolo di pelle verde erano visibili macchie d’inchiostro e, nel primo ripiano, stavano appilate ben sette scatole di sigari cubani, alcune più grandi, altre meno: Partagas – Habana, Cuba. Sì, un ottimo segno del destino. Aprendole, mi accorsi che erano vuote e la curiosità aumentò: immaginai che ogni estate, in quella verandina, si rintanasse a scrivere un tipo alla Hemingway o alla Simenon, forse da sette anni, ma forse anche da prima, all’epoca delle stilografiche e della carta assorbente. Ogni estate una scatola di sigari, poteva essere, affinati da bicchierini di Club, pas du cerf da sorseggiare lentamente, roteando la punta della lingua sul palato per consentire all’alcool di solleticare meglio l’ispirazione.

    Mi gettai sul divanetto lanciando le scarpe di fronte a me. Troppo stress negli ultimi tempi, troppa ansia, mai più. Pur sapendo che il mai più era un’illusione, provai a crederci ancora una volta.

    Madeleine mi salutò lasciandomi il canestro con le uova. «Sono freschissime. Per qualsiasi cosa, sa dove trovarmi.»

    La ringraziai, accorgendomi solo in quel momento che avevo ispezionato la veranda, scatole di sigari comprese, come se lei non fosse stata lì. Che strano, però. Vedendomi incuriosita, avrebbe dovuto darmi almeno qualche spiegazione sugli habana, invece era rimasta in silenzio. Ho capito solo in seguito quanto Madeleine fosse riservata, molto attenta a non interferire nella vita dei suoi inquilini.

    Ma torniamo alle note ambientali.

    A La Jonquière il profumo di buona campagna era intenso, soprattutto erbe aromatiche e, credetemi, non esagero: annusare l’aria era un qualcosa di divino.

    Mi sistemai quasi subito a occhi chiusi a fantasticare, a pensare al possibile inizio del nuovo romanzo riadattando un incipit che avevo in testa da anni.

    Dopo circa venti minuti arrivarono Lili e Antoine, preceduti da un odore di carta che mi penetrò forte nelle narici. Ad essere precisi, l’odore di carta allontanò del tutto il profumo di lavanda e rosmarino che stavo annusando sino a un attimo prima. Ne prese il posto. Spalancai gli occhi. Ma cos’era quell’odore? Ed ecco, li vidi di fronte a me. Lei più vicina, lui dietro. Iniziai quel giorno a capire qualcosa di più sui romanzi e sui personaggi.

    «È questo il posto dove scriverai la nostra storia?» Lili aveva una voce delicata, una sonorità gentile.

    «La vostra storia?» Finsi di essere sorpresa.

    «Non stai pensando a noi?»

    «Sì, Lili» risposi, cercando di essere spontanea, «hai ragione. Sì, penso che questo sia il posto giusto.»

    «Perché?» Mi sembrò intimorita.

    «Come perché, non vedi? Questa ribaltina è un mobile da scrittori, è sporca di inchiostro.» La indicai con una sorta di batticuore. «Ti piace?»

    «Non intendevo qui, intendevo qui a Vauvenargues.» Era perplessa e non capivo il perché.

    «Ascolta, Lili, qui c’è il Castello di Picasso, c’è la montagna Sainte Victoire di Cézanne e ci sono passeggiate tranquille da fare a piedi fra un capitolo e l’altro. Non è un posto qualsiasi. Ti basta?»

    Fu in quell’attimo che mi accorsi di vederla per la prima volta: minuscole rughe intorno agli occhi, la pelle bianchissima e morbida, i capelli cotonati, enormi orecchini di plastica rosa. Indossava jeans a zampa di elefante con ricami colorati.

    Lui, Antoine, era un tipo alto, secco, con un foulard vistoso al collo, sulla sessantina, un po’ curvo. Stava in disparte silenzioso, ispezionando il boschetto intorno alla casa, le tegole, la grondaia, il camino. Anche lui lo vedevo per la prima volta.

    «Inizierà da , la nostra storia?» Lili si mise seduta vicino a me sul divanetto. L’odore di carta emanava fortissimo dal suo cuore.

    «Sì, preparati» risposi, ormai convinta che fosse la scelta giusta, «inizierà da . Tu e Antoine che guardate il lago. Vi cade lo sguardo sulla barca. Da distante non riuscite a capire cosa ci sia dentro, ma c’è qualcosa, sembra una cassetta. L’unica certezza è che nessuno la guida, va lentamente alla deriva.»

    «E cosa succederà dopo?» chiese Lili tremando, «ho un po’di paura.» Continuava a sorprendermi con le sue domande. Non avrei mai immaginato in un personaggio una tale preoccupazione, anzi, ad essere sinceri, ho sempre creduto che i personaggi accettassero le situazioni in una sorta di inconsapevolezza letteraria.

    «Non ho idea» sussurrai piano, vergognandomi di quella risposta, «la scena del lago e della barca ce l’ho in testa da anni, ma il resto no.»

    Lei rimase in silenzio qualche minuto, quindi fece un profondo sospiro. «È giunto il momento?» La vidi impallidire. Mi fece pena, ma non potevo tornare indietro.

    «Sì, Lili. È giunto il momento. Che il romanzo abbia inizio e sia quel che sia.»

    «Qui a Vauvenargues. Sei sicura?»

    «Sì, qui a Vauvenargues. L’aria è buona, c’è silenzio e c’è una buona energia.»

    «E c’è il Castello di Picasso e la montagna di Cézanne, l’hai già detto. Augurami almeno buona fortuna.»

    Mi sentivo testarda, avremmo potuto parlarne, avrei dovuto capire il perché dei suoi dubbi, invece no, mi limitai a dire: «Che il destino sia con noi, Lili.»

    L’abbracciai e lei ricambiò l’abbraccio stringendomi forte, quindi si alzò e raggiunse Antoine, sempre silenzioso a osservare il boschetto, le tegole, la grondaia e il camino. Lo prese a braccetto e si allontanarono insieme verso il primo capitolo.

    Io portai all’interno il borsone e iniziai a sistemare le mie cose nell’armadio. Sentivo in me uno stato d’animo d’euforia triste, come se Lili mi avesse messo di fronte a qualcosa che lei già percepiva a mia insaputa.

    Capitolo 1

    Nella casa sul lago

    La balaustra di marmo si affaccia sul lago. Da lontano è un segno bianco fra tonalità più scure; da vicino è un particolare stonato del paesaggio, troppo elegante. Un forte odore d’incenso impregna l’aria e penetra nell’assenza di altri profumi, non ce ne sono, perché il lago non è come il mare, non è salmastro: è solo umido e non ha un buon odore tutto suo. Da quando Lili abita lì ne consuma più di un sacchetto al giorno, di incenso. Accende, annusa, e si inchina al Buddha di pietra che, in un angolo della terrazza, accoglie nelle sue mani un povero ensō sbiadito. Forse anche lui annusa, forse no, sicuramente no. La realtà è che è una scultura di pietra che sorride e che sa sorridere molto bene, così bene da indurre a credere che possa egli stesso annusare e apprezzare l’incenso.

    Le 17:30 di un giorno come i precedenti.

    Il peggio era già successo.

    Lili si chinò a mettere nuovi grani sui carboncini roventi aspirando per qualche minuto il filo di fumo, quindi si appoggiò coi gomiti alla balaustra e socchiuse gli occhi. Non avrebbe mai pensato di raggiungere quello stato di leggerezza e di pace così in fretta. Antoine continuava a tenerla d’occhio cercando di non darlo a vedere, ma lei lo sapeva, così preoccupato da apparire ridicolo, povero Antoine.

    Al di là della vetrata era affaccendato a riordinare le ultime annate di Rolling Stone con gli occhi che viaggiavano dalle copertine a lei in un balzo ormai abituale, avanti e indietro. A volte, alcuni numeri già appilati gli crollavano scivolosi a terra, un disastro. Allora iniziava da capo: otto, nove, dieci, undici. Un lavoro senza fine, ma le giornate sono così lunghe che se non fai qualcosa, anche di inutile, e se non tieni sotto controllo tua moglie, ti senti un essere adatto solo a sonnecchiare. Ma quei giorni, per lui così faticosi, sarebbero passati in fretta, e avrebbe ripreso la vita di sempre.

    La terrazza e il villino occupano un anfratto nella roccia e la ripida scalinata che scende sino alla piccola baia assomiglia alla colonna vertebrale di un fossile.

    Sistemate le riviste nel giusto ordine, dalla più vecchia all’ultima, Antoine diede ancora un’occhiata fuori, quindi aprì la vetrata ponendo la massima attenzione a non fare rumore. Si avvicinò a lei a piedi scalzi, gli piaceva così, poggiandosi a sua volta con i gomiti alla

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