E.T. rispondi al telefono. Siamo soli nell’Universo?
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Anteprima del libro
E.T. rispondi al telefono. Siamo soli nell’Universo? - Alex Saragosa
© goWare 2015, Firenze, prima edizione digitale italiana
ISBN 978-88-6797-402-3
Con la collaborazione di Enrico Lanfranchi e Paola Guazzotti
Redazione: Paola Guazzotti
Copertina: Lorenzo Puliti
Sviluppo ePub: Elisa Baglioni
goWare è una startup fiorentina specializzata in digital publishing
Fateci avere i vostri commenti a: info@goware-apps.it
Blogger e giornalisti possono richiedere una copia saggio a Maria Ranieri:
mari@goware-apps.com
L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti dei brani riprodotti nel presente volume.
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Presentazione
Ci siamo! Il 22 luglio 2015 la Nasa ha annunciato la scoperta di un pianeta molto simile alla Terra che potrebbe ospitare la vita. È Kepler 452-b.
Già nel 1961 l’astrofisico Frank Drake elaborò una equazione che, prendendo in considerazione molti fattori come il numero di pianeti nel Cosmo o le possibilità di apparizione della vita, provava a rispondere in modo scientifico all’eterna domanda: Siamo soli nell’Universo?
.
Usando lo stesso approccio, ma con dati migliori di quelli a disposizione di Drake 50 anni fa, il giornalista scientifico Alex Saragosa tenta di fare in questo libro una stima di quante altre civiltà galattiche siano intorno a noi.
Il risultato finale può sorprendere, soddisfare o deludere, a seconda si sia più o meno scettici sulla possibilità dell’esistenza di E.T., ma forse, più del numero, è importante il semplice metodo di calcolo utilizzato che, oltre a permettere ai lettori di ottenere le proprie stime cambiando i valori usati nel testo, offre anche una affascinante panoramica sullo stato di avanzamento di molte discipline scientifiche.
* * *
Alex Saragosa è un giornalista scientifico indipendente. Ha lavorato con decine di testate italiane e straniere. Attualmente collabora con «Il Venerdì di Repubblica», «Le Scienze» e «QualEnergia.it». Ha inventato diversi giochi da tavolo, una coppia di questi (Indiana Jones-Konig Salomon Schatzkammer per Clementoni e Justinian per Phalanx), sono stati pubblicati in Germania. Traduce articoli scientifici e tecnici dall’inglese e dal francese.
Tante domande poche risposte
Uno degli aspetti più divertenti della serie di film Star Wars, è la vasta varietà di specie viventi intelligenti che popolano l’Universo immaginato da George Lucas. Quando l’eroe entra in un mercato o in un bar in un qualche pianeta della galassia, passa fra ogni genere di creature, umanoidi o meno, che comunicano fra loro con migliaia di diversi linguaggi.
È un mondo affascinante, ricco di infinite possibilità di incontro, scambio e scontro, fra innumerevoli civilizzazioni, ognuna delle quali, si presume, avrà raggiunto vette tecnologiche, artistiche o di pura speculazione filosofica proprie ed originali.
Ma lo scenario Star Wars è possibile nel mondo reale? Davvero i 200 miliardi o più di stelle che costituiscono la Via Lattea, pullulano di civiltà che aspettano di incontrarci e con le quali potremo scambiare finalmente punti di vista sulle grandi questioni dell’esistenza?
Enrico Fermi, rispose nel 1943 a questa ipotesi con una domanda nel suo stile tipico, pragmatico e profondo al tempo stesso: Alieni? Se ci sono perché non sono ancora qui?
.
La domanda di Fermi non è superficiale come potrebbe sembrare. Per capirlo occorre ragionare sui tempi di sviluppo di una civiltà, partendo dal presupposto (arbitrario), che ogni possibile civilizzazione nel cosmo si sviluppi con tempi simili a quelle nate sulla Terra.
L’Universo esiste da circa 14 miliardi di anni, il pianeta Terra da 4.5 miliardi di anni. La specie umana è apparsa però solo da 100 000 anni circa, sa scrivere da 7000 anni e solo da 400 ha inventato e codificato il metodo scientifico, il motore principale dello sviluppo tecnologico.
Grazie a questo sviluppo accelerato, in 200 anni siamo passati dai carretti a cavalli alle sonde interplanetarie, e si può benissimo immaginare che fra 500, 1000 o 2000 anni, potremo veramente intraprendere spedizioni verso i pianeti di stelle vicine. E se anche l’espansione umana si muovesse ad appena un decimo di anno luce l’anno in ogni direzione, i nostri lontani discendenti, in 500 000 anni, raggiungerebbero ogni angolo della Via Lattea.
Il problema sollevato da Fermi è quindi questo: il percorso della specie umana, lo potrebbe aver seguito ogni altra civiltà tecnologica extraterrestre apparsa prima di noi, e nel tempo di esistenza della Terra di periodi sufficienti a colonizzare l’intera galassia da parte di una di queste civiltà, ce ne sono stati un paio di migliaia.
Perché, allora, nessuno di questi possibili colonizzatori galattici, è mai passato da queste parti, attratto dal nostro confortevole sistema di pianeti? Siamo così poco interessanti e marginali? O, più semplicemente, l’Universo è terribilmente scarso di civiltà tecnologiche?
E se fossero già qui?
Certo, c’è un’altra possibilità, che gli alieni siano già fra noi e che, per qualche loro ragione, non si vogliano far vedere. Oppure che siano venuti nel lontano passato lasciando segni che noi non riusciamo ad interpretare.
Ma sia gli UFO che i presunti indizi archeologici di contatti con civiltà aliene, sono ipotesi che, dopo decenni di discussione, si basano ancora solo su aneddoti e interpretazioni fantasiose, senza aver portato all’attenzione degli scienziati uno straccio di prova concreta.
Nessuno ha ancora mostrato un pezzo di disco volante fatto di una lega non terrestre, una foto o un filmato che non fosse spiegabile con ipotesi meno complesse della presenza di extraterrestri o un’incontrovertibile prova archeologica di un passato incontro con alieni, anche solo un pezzo di acciaio inossidabile estratto da una tomba di 4000 anni fa.
E neanche si vede perché gli alieni, dopo essersi presi la briga di arrivare qui spendendo tempo e risorse non indifferenti, dovrebbero limitarsi a giocare a nascondino con noi: se si manifestassero, saremmo lieti di soddisfare ogni loro curiosità e certo non saremmo una minaccia per esseri così tecnologicamente superiori.
L’ipotesi che gli alieni siano o siano stati qui, non sembra quindi avere molto fondamento. E questo ci riporta al dubbio di Fermi sul perché nessun coinquilino galattico si sia ancora manifestato.
Potrebbe essere allora che i voli interstellari siano tecnicamente impossibili, una cosa che capiremo solo quando tenteremo di farli. Quindi, potrebbe essere che tutti siano confinati sui propri, piccoli pianeti.
Ma, anche se fosse così, perché tutti restano così silenziosi?
I ricercatori del progetto SETI Search for Extra Terrestrial Intellicence
, un centro di ricerca privato californiano, cercano da ormai una ventina di anni trasmissioni radio o laser di origine artificiale, fra le stelle della galassia.
Queste trasmissioni potrebbero essere involontarie, come quelle che, da circa 100 anni portano i suoni e le immagini dei programmi radio e tv terrestri nella galassia, oppure create specificamente per contattare altre civiltà nel Cosmo.
Il progetto SETI spera soprattutto di intercettare questo secondo tipo di onde radio, che sarebbero molto più forti e riconoscibili dei deboli segnali emessi dai ripetitori radio, telefonici e tv. Un segnale del genere noi lo abbiamo già inviato nel 1976, usando il radiotelescopio gigante di Arecibo, contenente dati scientifici fra cui la posizione della Terra nella galassia, la forma dell’elica del DNA e persino una rappresentazione dell’aspetto degli esseri umani, e poi di nuovo nel 2008 con il A message from Earth, verso una stella vicina.
Se altre civiltà cosmiche hanno fatto lo stesso, però, i loro messaggi per ora ci sono sfuggiti. Nonostante ogni sforzo, nuove antenne, nuove tecnologie computerizzate in grado di analizzare migliaia di frequenza alla volta e persino l’aiuto di tre milioni di volontari del programma SETI-At-Home, che elaborano sui loro computer di casa i dati provenienti dalle antenne, nessun segnale di origine sicuramente artificiale è stato finora captato.
L’Universo resta terribilmente muto
Questo non vuol dire che siamo soli: forse con apparecchiature ancora più sofisticate, o con un po’ di fortuna già domani, riusciremo a captare dei segnali alieni. O forse le civiltà più avanzate usano mezzi di comunicazione diversi dalle onde elettromagnetiche, che noi scopriremo solo in futuro. O, al contrario, intorno a noi ci sono solo civiltà che non sono ancora giunte a scoprire la radio. O, infine, può darsi, che le altre civiltà non abbiano tutta questa nostra voglia di comunicare e farsi così scoprire, magari da altre specie che le tratterebbero come i conquistadores spagnoli hanno trattato gli indios sudamericani.
Certamente, però, il fallimento di SETI, fino a questo punto, indica che le civiltà con cui potremmo scambiare delle idee non sono certo molte, e probabilmente, se esistono, sono molto distanti da noi.
Oppure, ipotesi estrema e inquietante: e se fossimo del tutto soli, in questa nostra immensa galassia?
Impossibile, penseranno tanti, che la Terra sia l’unico pianeta abitato da una specie intelligente in tutto il Cosmo. L’Universo ha centinaia di miliardi di galassie, ognuna delle quali è composta, in media, da un centinaio di miliardi di stelle, quasi tutte, probabilmente, con pianeti.
Possibile che in questa immensa moltitudine, solo il minuscolo, insignificante pianeta in orbita intorno a una comunissima stella gialla posta alla periferia di una galassia come tante altre, abbia avuto la ventura di ospitare vita intelligente?
Proviamo a vedere allora quante altre civiltà come la nostra potrebbero essere presenti adesso, nella nostra galassia, la Via Lattea [Figura 1 – La Via Lattea].
Per farlo useremo una versione aggiornata dell’equazione dell’astrofisico Frank Drake, che tentò nel 1961 di calcolare quante civiltà tecnologiche ci fossero nella nostra galassia, partendo dal totale delle stelle e via via moltiplicandolo per fattori come la frazione di stelle con pianeti, la possibilità che si formasse la vita e così via.
Oggi possiamo tentare una stima simile, utilizzando dati migliori, grazie ai progressi occorsi in astrofisica negli ultimi 50 anni e aggiungendo anche considerazioni storiche e sociali su cosa permetta la comparsa e sopravvivenza di società tecnologiche.
Naturalmente le stime che otterremo sono altamente opinabili, perché molti dei fattori utilizzati nell’equazione sono ancora estremamente incerti.
Il lettore prenda quindi i valori usati nei vari passaggi e i risultati finali per quello che sono, numeri discutibili, e magari si diverta a vedere quale divenga invece il risultato finale cambiando quei valori con quelli che ritiene più validi.
In questo un po’ incosciente tentativo di quantificare l’ignoto, ci