Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Storia di un ragazzo
Storia di un ragazzo
Storia di un ragazzo
E-book199 pagine2 ore

Storia di un ragazzo

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Jonathan era l'Americano, un ragazzo appena arrivato dall'estero, catapultato in prima superiore, in una piccola città della provincia Italiana, con le sue difficoltà, le amicizie, le nuove esperienze. Un mondo a cavallo tra il rock pesante e la discoteca, la droga e l'amore, le problematiche proprie dell'adolescenza e la lotta quotidiana per l'autoaffermazione in un mondo altamente competitivo, fin dagli anni della giovinezza.

La Storia di un Ragazzo è la storia di tutti noi che siamo stati adolescenti, un periodo per molti difficile da affrontare, ma che rimarrà per sempre marchiato nei nostri ricordi come uno dei momenti più intensi della nostra vita, nel bene e nel male.

E' anche una storia per ragazzi, se non facciamo troppo caso alle parolacce...

Romanzo

Ispirato ad una storia vera, circa 200 Pag. (varia in base al carattere che avete impostato sul tablet.)
LinguaItaliano
Data di uscita19 ago 2013
ISBN9788868553234
Storia di un ragazzo

Correlato a Storia di un ragazzo

Ebook correlati

Umorismo e satira per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Storia di un ragazzo

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Storia di un ragazzo - Andrea Gherardi

    Dedicato ai cuori puri ed ai giovani dentro. 

    Inseguite i vostri sogni e vivete una vita piena.

    Sempre.

    Andrea Gherardi

    STORIA DI UN RAGAZZO

    (Mai più come [in] prima)

    CAPITOLO 1

    Le scuole medie si conclusero in fretta.

    Dire che era stata una passeggiata, sarebbe una bugia.

    I professori non vedevano di buon occhio quel ragazzino ribelle venuto dalle Americhe, con il suo fare spocchioso ed il suo stile troppo alternativo.

    La provincia medio borghese italiana, non era molto tollerante con le stranezze e poco incline alle novità.

    In realtà la spocchia, non era propriamente un suo tratto dominante, era una mera facciata, una maschera, costruita in anni di soprusi subiti da parte dei compagni, degli insegnanti e del sistema in generale.

    Il suo modo per resistere alla pressione del mondo circostante.

    Era arrivato a metà anno, l'ultimo e per concluderlo, aveva dovuto sostenere un esame che si era rivelato piuttosto complicato, almeno per lui che aveva studiato all'estero fino a quel momento.

    Ogni nuova scuola frequentata, assumeva le fattezze di una specie di carcere, dove lui era il novellino, quello da picchiare, maltrattare, schernire ed umiliare.

    Ogni volta che entrava in un nuovo edificio, camminava lungo i corridoi come un condannato a morte, a testa bassa, sguardo spento, mani in tasca e la certezza che tutti lo fissassero, progettando chissà quali angherie nei suoi confronti.

    Questa nuova scuola non era un' eccezione.

    Il suo essere diverso, lo aveva fregato fin dal primo istante.

    Era immediatamente stato individuato dai ragazzi normali, come quello da prendere in giro, da odiare, da torturare, ma nonostante tutto, nonostante il disprezzo e l'ostruzionismo, qualche amico era comunque riuscito a trovarlo.

    Alcuni li avrebbe ritrovati dopo l'estate, in quell'orribile istituto industriale, dove i suoi professori lungimiranti lo avevano indirizzato al termine dell'esame orale di terza media.

    Avrebbe preferito frequentare il liceo artistico, il conservatorio, addirittura il classico, ma loro erano stati categorici, non possedeva il talento, non aveva le basi necessarie, non aveva niente di speciale, una scuola tecnica gli avrebbe garantito un lavoro sicuro dopo il diploma, inutile perdere tempo inseguendo chimere.

    Per fortuna, due dei suoi migliori amici avevano ricevuto lo stesso responso, li aveva conosciuti da poco è vero, ma li sentiva già come fratelli ed era certo che con loro tutto sarebbe andato per il meglio.

    Si chiamavano Alex e Matto.

    Alex era come lui, schivo, riservato, ma dal cuore grande, sensibile.

    Aveva dei capelli color paglia, che gli ricadevano a formare un abbozzo di scodella, ma che cercava invano di dominare con l' abuso del gel.

    Aveva anche un paio di baffetti biondi appena accennati, radi e poco convincenti, tipici dell'adolescenza.

    Il Matto, non era davvero matto, lo chiamavano così per via del suo cognome: Mattei.

    Era un tipo popolare, piaceva già alle ragazze, fin dai primi anni delle medie e frequentava una compagnia di ragazzi più grandi, con cui andava in discoteca a ballare la domenica pomeriggio.

    Anche lui avrebbe voluto essere più spigliato, più o meno come il Matto insomma, ma il suo aspetto particolare ed il carattere timido ed impacciato, gli impedivano di relazionarsi coi suoi coetanei nel migliore dei modi.

    La piccola cittadina dove si era trasferito, non era ancora pronta ad accogliere un mezzo skater, metallaro, nerd, con la lunga cresta morbida che gli cadeva a coprire parte del lato sinistro della testa e del volto.

    Oltretutto indossava solo magliette con teschi e soggetti macabri, cosa mai vista prima da quelle parti.

    A certi, poteva sembrare l'incarnazione del diavolo stesso.

    Il Matto invece, lo aveva preso in simpatia, nonostante fossero molto diversi tra loro, era intrigato dal ragazzo che tutti chiamavano America o l'Americano, ma che lui preferiva chiamare con il suo vero nome: Jonathan.

    CAPITOLO 2

    Ma vai, bella storia, siamo in classe insieme anche qui!

    Disse Simone mentre batteva un cinque scoordinato contro la mano alzata di Jonathan.

    Ogni loro atteggiamento era come una danza coreografata, che spesso però rivelava delle falle nell'esecuzione e risultava artefatta, negandone ogni utilità.

    Matto! Ma che culo abbiamo avuto? Stessa classe!

    Per davvero, però hai visto che schifo sto posto? Zero figa! Io non credo resisterò cinque anni così...

    Jonathan non ci aveva nemmeno fatto caso.

    In effetti da quando era arrivato all'istituto industriale, di ragazze non ne aveva proprio incontrate, né in cortile, né nei corridoi.

    Merda, hai ragione, siamo rovinati! Cinque anni di inferno.

    Il Matto rise, con i suoi denti perfetti e candidi, che risaltavano sulla carnagione olivastra.

    Per lui tutto era sempre sereno ed affrontava la vita con grande entusiasmo.

    Ma no, stai tranqui, se vieni la domenica pomeriggio a ballare con me e la mia compagnia, vedi che una zana te la trovi.

    Jonathan rimase disorientato.

    Alzò entrambe le sopracciglia con fare inquisitorio.

    Una zana?

    Ma si, una porca, una facile. Vedrai che è una passeggiata, io me ne faccio una diversa ogni settimana.

    Jonathan sorrise e pensò a tutte le zane che si sarebbe fatto di li a poco.

    Da come la metteva il Matto, trovare una ragazza sarebbe stata una cosa facile facile.

    Forse gli anni a venire non sarebbero stati un completo inferno, dopotutto.

    La scuola era terrificante.

    Un vecchio edificio fatiscente dai muri scrostati, con banchi che sicuramente avevano fatto la seconda guerra mondiale, se non addirittura la prima.

    Avrebbe potuto rivestire il ruolo di manicomio criminale o istituto correzionale per minori in un film dell'orrore.

    Ricordava il posto dove lavorava la madre di Freddy Krueger in Nightmare III, ma senza le suore ed i tizi nudi sbavanti ricoperti dei propri escrementi.

    L'aria era perennemente umida e malsana, con un retrogusto di muffa che si appiccicava al fondo del palato e lo faceva pizzicare.

    Insomma, niente di strano in fondo, più o meno come la stragrande maggioranza delle vecchie scuole italiane, anche se questa in particolare, eccelleva nell'essere orrenda.

    Il primo impatto con i professori delle superiori, era stato poco piacevole, quasi quanto quello con l'edificio stesso.

    Nessuno tra loro sembrava conoscere la pazienza, la pietà o la solidarietà.

    Si passava dagli insegnanti quasi materni delle medie a dei professionisti che per arrotondare lo stipendio, sopportavano di stare in un aula con dei ragazzetti fastidiosi.

    Il loro atteggiamento era impostato sull'aggressività, il controllo totale, la dittatura.

    Fin dal primo giorno, avevano eretto un muro che mai sarebbe stato abbattuto: la barriera che innalza chi si sente superiore.

    La peggiore tra tutte, era l'insegnante di fisica.

    Jonathan non la sopportava proprio.

    La signora Pilazzo, detta la Taccona.

    Era una donna dal carattere molto forte, con una propensione a considerare la fisica l'unica materia utile nella vita.

    Inoltre era radicalmente brutta, perfetta per insegnare in quell'istituto, certo, ma difficile da fissare per lunghi periodi.

    Era di quel tipo di bruttezza che ti indispone a priori, con un grosso neo rigonfio appena sopra l'angolo sinistro della bocca, una decina di peli neri, spessi, sotto al mento ed una predilezione incomprensibile per i mocassini di cuoio nero dal tacco largo e squadrato.

    Quando arrivava, la si sentiva fino in fondo al corridoio, un passo marziale e rimbombante, come un tamburo che scandisce il ritmo di un plotone d'esecuzione.

    Portava i capelli tagliati corti, che davano alla testa una forma cubica dal colore nero screziato di bianco.

    La stanza dove facevano lezione era a metà tra una classe normale ed un laboratorio di ricerca medica degli anni venti.

    Il Dottor Mengele avrebbe trovato il locale di suo gradimento.

    Non avevano un'aula fissa, come invece era stato alle medie, qui ogni ora si cambiava stanza in base alle materie svolte.

    I ragazzi appena finiva una lezione, dovevano correre da tutt'altra parte lungo i corridoi illuminati dai neon, o attraverso lo spoglio cortile interno, per iniziare quella seguente, nonostante fosse una prassi priva di logica alcuna, che produceva solo ritardi e malcontento.

    Dicono che la Signora Pilazzo sia una vera iena commentò a mezza voce il Matto mentre aspettavano seduti in uno degli ultimi banchi della grande stanza dai muri scrostati e pieni di crepe.

    Pare che bocci un sacco di gente ogni anno, anche se ti impegni davvero, non è detto che ti faccia passare.

    Jonathan lo guardava ammirato.

    Lui non aveva praticamente parlato con nessuno dei nuovi compagni, gli unici con cui aveva legato un minimo erano gli altri ragazzi provenienti dalla sua stessa scuola media, ma i nuovi non li aveva nemmeno avvicinati.

    Matto invece aveva già conosciuto più di mezza classe.

    Chi te l'ha detto?

    Il Gnammo, quel tipo con la giacca elegante e la cravatta, sai, lui è ripetente...

    Jonathan si girò a guardare nella direzione del Gnammo, che gli restituì lo sguardo sorridendo e strizzando l'occhio sinistro.

    Era un tipo diverso dal solito, a quindici anni con la riga ben pettinata, i capelli castani lisci e corti, la giacca con lo stemma da college inglese ed una cravatta stile regimental, gialla e blu a completare il quadretto.

    Sembrava un fighetto impostato, ma una scintilla nei suoi occhi, raccontava una storia diversa.

    Come mai uno così è ripetente? Sembra un figlio di papà. Anzi, sembra un papà...

    Il Matto annuì con aria seria.

    Dicono sia un drogato, anzi, uno spaccino drogato.

    Ah.

    Jonathan simulò freddezza, ma era rimasto shockato, non aveva mai conosciuto un vero drogato, tanto meno uno che spacciava.

    Le poche cose che sapeva della droga erano quelle che gli avevano inculcato durante i corsi di prevenzione, che organizzavano regolarmente le scuole americane.

    Ti facevano vedere dei filmati in bianco e nero risalenti al primo dopoguerra, dove il piccolo Timmy veniva trascinato nel vortice degli stupefacenti, riducendosi a rubare pur di farsi una dose, entrando in una gang di motociclisti con la giacca di pelle ed i capelli gonfi stile Grease.

    Per quel che ne sapeva Jonathan, l'unica cosa che bisognava dire alla droga era No!, come recitavano parecchi slogan di quel periodo.

    CAPITOLO 3

    La signora Pilazzo entrò in aula frettolosamente, facendo un casino d'inferno, un po' a causa dei suoi tacchi enormi, un po' sbattendo la porta e rovesciando una pila di registri sulla cattedra.

    Indossava un vecchio camice bianco consunto e macchiato in più punti, che nascondeva dei vestiti dozzinali dai colori smorti e tristi, di flanella o lana pesante.

    Portava anche degli occhiali dalla montatura nera e sgraziata, con spesse lenti a fondo di bottiglia, che deformavano i suoi occhi scuri e diabolici.

    Buongiorno! Esordì con un fortissimo accento meridionale.

    Sono la professoressa Pilazzo e sarò la vostra insegnante di fisica durante l'intero biennio, è mia intenzione impararvi tutto ciò che conosco e prepararvi ai prossimi anni di istituto industriale.

    Jonathan e il Matto tenevano la testa bassa e ridevano sotto voce, singhiozzando e cercando di non dare nell'occhio.

    Ha davvero detto impararvi?

    Jonathan non riusciva a trattenersi, sussultava vistosamente, mentre il respiro gli usciva frammentario e dei grugniti riempivano il silenzio.

    C'è qualcosa di divertente di cui vorreste rendermi partecipe?

    Disse ad alta voce la professoressa guardando i due ragazzi in cagnesco.

    No no. rispose il Matto, mentre il suo mento tremava visibilmente e teneva le labbra strette per controllare le risate Niente di niente signora.

    E tu, tu con i capelli lunghi cosa mi dici?

    Jonathan non riusciva nemmeno ad alzare la testa, era paonazzo e conteneva a stento un esplosione di risate.

    Scosse la testa senza sollevare lo sguardo.

    La Pilazzo li fissava torva, ben conscia di essere il motivo principale delle loro fastidiose sghignazzate adolescenziali.

    Non erano certo i primi ragazzini immaturi che incontrava nella sua lunga carriera, le risate e le prese in giro erano all'ordine del giorno per lei.

    Certo il fatto che ci fosse abituata, non mitigava la rabbia che ciò le provocava.

    Come ti chiami ragazzo?

    Garretti, Jonathan Garretti.

    Bene Garretti, esci pure alla lavagna e vediamo che ci sai di fisica.

    Jonathan bestemmiò tra i denti, le risate strozzate si interruppero di colpo e la sua faccia si trasformò in

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1