Un futuro radioso
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Anteprima del libro
Un futuro radioso - Antonello Marchitelli
bimbe
Bari, 8 aprile 2003
«Ora ti aspetta un futuro radioso.»
La voce di zio Cosimo mi risvegliò dallo stato catatonico nel quale ero sprofondato.
«Ti rendi conto: la laurea in Giurisprudenza con centodieci e loden presa a ventitré anni, cosa vuoi di più?»
Già, cosa volevo di più?
Da dieci minuti ero dottore, alle condizioni descritte dal fratello di mia madre, fatta eccezione per il cappotto.
Tutti erano estremamente felici e soddisfatti: i miei genitori, i parenti, gli amici e Beatrice, la mia fidanzata.
«Ricorda Roberto, questo è un punto di partenza, non di arrivo» gracchiò zia Rina, moglie di zio Cosimo.
«La laurea in Giurisprudenza apre tutte le porte» commentò zio Ettore.
«Beato te che ti sei tolto questo peso» bofonchiò il mio amico Franco, che aveva ancora tanti esami da sostenere.
«Che bella soddisfazione hai dato ai tuoi genitori» urlò nonno Gigi, che, a causa dei suoi problemi di udito, parlava sempre come se si trovasse a un concerto rock o volesse farsi ascoltare da una persona dieci metri più in là.
«Adesso puoi trovare lavoro e al massimo tra un anno potremo sposarci» sussurrò, in maniera che potessi sentirla solo io, Beatrice.
La temperatura corporea scese immediatamente, la testa cominciò a ronzare e così pronunciai la mia prima frase da laureato: «Torno subito.»
La tentazione di scappare via fu molto forte ma non mi portò lontano.
Mi rifugiai nella toilette.
Un uomo era già all’interno, fermo davanti a uno dei lavabi.
Era piuttosto alto, con i radi capelli scompigliati, gli occhiali spessi e le spalle leggermente curve.
Non sembrò accorgersi della mia presenza perché non distolse lo sguardo dallo specchio.
Mi sistemai davanti al lavandino alla sua sinistra.
Non dissi nulla per non turbare la concentrazione di quell’uomo e da bravo figlio seguii le orme paterne e iniziai, come lui, a fissare lo specchio di fronte a me.
Ero consapevole di ciò da cui mi stavo nascondendo; mi chiesi se lo fosse anche lui e se si trattasse di qualcosa di simile.
Sospirai.
Sospirò anche mio padre.
«Ora devi decidere se cercare l’uovo oggi o la gallina domani» declamò, scandendo bene le parole prima di uscire dalla toilette lasciandomi a bocca spalancata.
Sebbene avessi superato da un po’ la maggiore età, facevo ancora fatica a comprendere le parole di quell’uomo che sembrava quasi dilettarsi a parlare attraverso proverbi e detti, convinto che la saggezza popolare in essi rinvenibile fosse una maestra molto più persuasiva di qualsiasi discorso grondante parole colte e spesso masticate con inutile snobismo.
Ero ancora immobilizzato davanti allo specchio quando la porta si aprì nuovamente.
Mi voltai.
Il ragazzo che stava entrando sembrava muoversi al rallentatore.
A ogni passo un ciuffo di capelli biondi si spostava dall’alto verso il basso per poi ritornare ordinatamente al suo posto.
«Ehilà, come va? Hai un colorito verde Hulk.»
Lo fissai senza rispondere: i suoi occhi azzurri erano ipnotici.
«Walter Moretti. Mi sono laureato dieci minuti prima di te.»
Sorrisi e ci stringemmo la mano.
«È un po’ di tempo che ci incrociamo agli esami, mi pare.»
Annuii. Lo avevo riconosciuto. Prendeva sistematicamente un voto più alto del mio.
Il mio libretto era un’esposizione di merito, ma nel suo campeggiavano, fiere e senza possibilità di equivoci, lunghe sfilze di trenta e trenta e lode.
Inoltre, prima di ogni esame, si vantava di aver impiegato non più di venti giorni per prepararsi, anche nelle discipline più complesse che impegnavano i comuni mortali come me in mesi di studio e sacrifici.
«E stasera che fai di bello, come festeggi questo traguardo?»
«Niente di che, una pizza con alcuni parenti e gli amici più stretti. E tu?» risposi comprendendo con un attimo di ritardo che mi aveva chiesto come intendessi festeggiare solo per trovare il pretesto con cui raccontarmi i suoi programmi.
«Mio padre ha preso in affitto una villa tutta per me: naturalmente solo amici e tante, tante ragazze. Peccato coincida con la tua festa, ti avrei invitato con piacere.»
«Già, peccato davvero.»
Ci salutammo con una diplomatica stretta di mano.
Uscendo dal bagno maturai una convinzione: se l’amore è irrazionale e imprevedibile, l’odio lo è altrettanto.
Walter Moretti lo conoscevo a malapena, come tanti altri studenti con i quali mi era capitato di scambiare due chiacchiere prima di un esame o di una lezione.
La cosa certa era che non mi aveva mai fatto nulla di male. La cosa altrettanto certa era che io lo odiavo a morte.
Quella notte faticai a prendere sonno e non solo per l’adrenalina scaturita dalle tante emozioni della giornata.
La frase pronunciata da mio padre qualche ora