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Cacciatori di Demoni
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Cacciatori di Demoni
E-book726 pagine10 ore

Cacciatori di Demoni

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Info su questo ebook

I re delle montagne, fieri e valorosi, da sempre difendono gli uomini dalle insidie dei demoni.Protettori della Terra, legati ad antichi codici d'onore, possiedono poteri formidabili, concessi loro da ignote entità.La loro forza va oltre l'immaginazione, la loro capacità supera i limiti della logica, la loro volontà è solida come roccia irremovibile....Essi sono cacciatori di demoni, eroi fra gli uomini.
LinguaItaliano
Data di uscita2 lug 2014
ISBN9788891147684
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    Anteprima del libro

    Cacciatori di Demoni - Aurelio La Scala Marchesàn

    RE AURO

    Errabondo da giorni sotto una pioggia incessante, attraverso sentieri irti e tortuosi nel cuore delle montagne affilate del suo stesso regno, il re Auro avanzava incespicando fra le pietre ed il fango, cercando la morte. Il destino però non gli aveva permesso di morire, ma gli aveva dato il potere di uccidere; un potere così vasto da aver sterminato la sua stessa famiglia e le persone che lo avevano servito in battaglia.

    -Padre Celeste!- Seguitava a urlare al cielo della sera, mentre turbini temporaleschi gli ruggivano contro, soffocando le sue grida.

    -Perché hai lasciato che tutto ciò accadesse?-

    La pioggia martellava il corpo coperto da logore pelli fradice, ma tutta quell’acqua non poteva ancora spegnere il suo ardore, gli occhi azzurri erano avvolti da un bagliore febbrile. Liberò il capo rasato dalla protezione del cappuccio sperando che tutta quell’acqua lo liberasse dalla maledizione che lo aveva colpito. La barba rossiccia sembrava una fiamma sul viso candido.

    A tratti, immagini della guerra contro i demoni che avevano invaso il suo regno aprivano squarci d’angoscia nella sua anima. Sua moglie Eriana era stata con lui sul campo di battaglia, poiché le donne dei re di montagna seguono sempre i loro mariti in guerra.

    I ricordi lo tormentavano come fredde lame nella carne. Il re Auro cadde sulle ginocchia, affondando nella poltiglia fangosa e ricordando le parole del vecchio sciamano guerriero Ivo Sponchiado, l’ultimo essere umano che aveva incontrato dopo la tragedia.

    -Sei un cacciatore di demoni ed era inevitabile che ciò accadesse!-

    Immerse un pugno nel fango e sentì la mano bruciare. L’acqua intorno al suo corpo cominciò ad evaporare e presto i vestiti furono asciutti e la pozza nella quale aveva immerso la mano divenne una crosta di argilla secca, nonostante l’infuriare della tempesta. A quella vista, estrasse la mano dalla placca rigida e polverosa cercando di dominare la rabbia. Sentì il suo corpo raffreddarsi e la pioggia, in un attimo, ribagnò le vesti ed impregnò il suolo che il prodigioso potere del re Auro aveva reso arido per un istante.

    Egli si risollevò e cominciò a correre risalendo l’irto sentiero della montagna che presto la pioggia si tramutò in neve. Superò una forcella fiancheggiata da due rupi vertiginose e si ritrovò di fronte ai vasti Piani Eterni, altipiani coperti da una spessa coltre bianca e battuti dalla tormenta. Ciò che stava cercando era oltre quella distesa glaciale.

    Avanzò per lungo tempo, affondando nella neve sino alle ginocchia, fino a quando si lasciò cadere addormentandosi, ma i suoi incubi continuavano a tormentarlo più dell’angoscia che provava da sveglio.

    Eriana lo aveva baciato, con il viso inondato dalla luce del sole serale, la spessa treccia bionda ondeggiante sulle spalle. L’armatura argentea che rivestiva il suo esile corpo era luccicante come la lama della sua spada. Sulla fronte portava il diadema d’oro bianco con zaffiri blu, simbolo della nobile stirpe della tribù del vento. Era incinta da pochi mesi, eppure si era messa a cavallo e lo fiancheggiava alla testa di dodicimila guerrieri. Dopo quel bacio, il re Auro le aveva sfiorato il viso con una carezza e le aveva detto:

    -Oggi sconfiggeremo i demoni che hanno osato entrare nel nostro regno!-

    Era sicuro della forza dei suoi soldati e gli stregoni delle montagne gli avevano predetto che i demoni non sarebbero riusciti a conquistare le sue terre. La dinastia del re Auro discendeva dai guerrieri del sole ed i demoni avevano stipulato una tregua con i suoi antenati. Gli antichi padri dei re delle montagne avevano incontrato i generali delle legioni demoniache in tempi ormai dimenticati. In seguito ad una pesante sconfitta, i demoni si erano impegnati a non invadere i regni montani per lunghi secoli, ma qualcosa aveva rotto gli equilibri che avevano mantenuto la pace fra le due stirpi. Nei regni delle pianure era tutto diverso. I loro re erano avidi ed invischiati in trame politiche. Intere città erano governate da signori demoniaci. Gli eroi di un tempo non esistevano più e le genti sognavano nel sentire le storie dei leggendari cacciatori di demoni, esseri misteriosi, al di sopra delle regole.

    Così, in quel mattino di fine autunno, appena dopo il ritiro delle tenebre notturne, apparvero le schiere di demoni a cavallo delle loro fiere mostruose ai piè della piana dei mulini, una distesa di prati solcati da numerosi ruscelli, che alimentavano le pale dei mulini ad acqua, i quali sorgevano sui dolci pendii ai piedi di una foresta di faggi e abeti. Dietro le verdi chiome si ergeva uno spuntone roccioso, sul quale sorgeva il castello del re Auro dai tetti azzurri e i doccioni dorati.

    Il generale di quei demoni furiosi suonò il suo corno da guerra. A quel richiamo, streghe delle brughiere avanzarono davanti all’esercito, in prima linea. Erano donne selvagge, che cavalcavano nude sopra le groppe di cinghiali demoniaci, con lunghi archi tesi e armati con frecce velenose.

    Il re Auro gridò a gran voce, ordinando ai suoi cavalieri di aprire i grandi scudi a ventaglio che portavano sulle braccia. Le streghe scoccarono le loro frecce maledette, oscurando il cielo.

    Egli non aveva nessuna paura, ma il suo odio per quei demoni fece divampare in lui una furia ardente che non aveva mai provato prima. L’ultima cosa che ricordava era la voce di Eriana che gli diceva. -Cosa stai facendo, marito mio? Cosa ti sta succedendo?-

    Le parole della sua sposa si dissolsero come fumo nel vento, mentre il suo corpo ardeva e tutto svaniva alla sua vista. Le frecce delle streghe non toccarono mai il suolo, poiché si incenerirono prima di raggiungere i nemici. I demoni videro un bagliore accecante avvolgere il corpo del re Auro, poi, l’aria si incendiò e tutto quello che si trovava in quella piana divenne cenere.

    Quando quell’ardore si spense, il re era immerso nel fumo. Era come se fosse stato privato per un certo tempo dei suoi sensi e della ragione. Quel potere misterioso gli aveva tolto ogni controllo e, quando quella pesante nebbia grigia scomparve, egli realizzò che aveva sterminato tutti i demoni sulla piana e, pervaso dal dolore, vide che anche tutto il suo esercito era svanito. Della sua sposa erano rimasti solo i resti anneriti dell’armatura al suolo ed il diadema che portava sulla fronte scintillava fra le ceneri.

    Egli si guardò alle spalle e vide che anche la lussureggiante foresta e il suo castello erano arsi; crollò sulle ginocchia e gridò.

    -Cosa mi è successo?… Cosa mi è successooo?-

    Eriana!- Con quel nome si risvegliò dall’incubo urlando, ritrovandosi disteso e semisepolto dalla neve. Le sue lacrime erano gocce di cristallo e la sua barba rossiccia era intrisa di perle ghiacciate.

    -Perché non sono morto anch’io?- Si disse, cercando di alleviare il dolore che gli stava divorando l’anima.

    "Perché non era destino che morissi!" Gli aveva risposto Ivo Sponchiado giorni addietro, quando lo aveva trovato fra le rovine annerite del suo castello, mentre si disperava piangendo e battendo i pugni sui poggioli di pietra del suo vecchio trono.

    Ivo era un grande sciamano guerriero delle terre settentrionali. Un uomo alto e grosso, con un viso tondo, occhi azzurri, corti capelli bianchi e un’ispida barba argentata. Era un veggente e un famoso cacciatore di demoni. Si dice che riusciva a parlare con gli orsi e che poteva addomesticare le grandi alci della tundra. Egli sapeva che il potere di Auro si sarebbe risvegliato presto, lo aveva letto fra le stelle, ma non aveva immaginato che avrebbe portato una tale tragedia al suo regno. Era arrivato troppo tardi e istruirlo sarebbe stato più difficile del previsto.

    La disperazione aveva tolto al re la forza di accettare il suo dono e di cercare il dominio del suo potere. Così, Ivo Sponchiado, dopo numerosi tentativi, lo aveva convinto a superare i passi montani del regno per cercare colui che lo avrebbe aiutato a cancellare le sue paure, a tollerare il suo dolore e a dominare il suo potere.

    Con la speranza che Ivo gli aveva conferito, il re Auro avanzava sprofondando nella neve. Il candore della luna piena si spandeva sui pendii imbiancati, l’aria fredda penetrava nei polmoni e la brezza agitava le fronde degli abeti oltre le brulle distese.

    Camminò a lungo, fino a quando si trovò al limitare della piana, dove una barriera di pareti rocciose gli sbarrava la strada. Scrutò bene quelle anguste pareti fin quando notò una fenditura fra le rocce che si inoltrava all’interno di una profonda gola. Quelle montagne facevano parte del suo regno e le conosceva piuttosto bene. La luna gli illuminava il cammino ed egli s’inoltrò nella stretta fenditura.

    Subito la luce che avvolgeva la piana lo abbandonò, ma il riverbero del lume lunare fece sì che la sua vista si abituasse alle ombre dell’abisso.

    Fitti fiocchi di neve turbinavano nell’orrido, impigliandosi nella barba e sui suoi vestiti. Il sentiero era stretto e scivoloso, nessun rumore o voce proferiva da quell’antro scuro, avvolto da antichi sortilegi che gli uomini comuni temevano. Gli spiriti della terra ivi riposavano, ma in fondo a quella gola era esiliato un mezzo demone che aveva rinnegato il suo popolo per vivere libero e lontano dal controllo dei demoni. Il suo nome era Tiberius, ma veniva chiamato l’Incatenato e si dice che, nelle notti in cui la tormenta non soffiava, le sue grida si udivano sin nei villaggi delle pianure. I demoni delle montagne lo avevano catturato e legato con spesse catene di ferro stregato al limitare della gola.

    "Tiberius è un essere antico, per metà uomo e per metà licantropo. Crebbe fra gli stregoni del nord e conosce i segreti del dominio delle siddhi, i poteri dei cacciatori di demoni." Gli aveva detto Ivo Sponchiado.

    Il re Auro voleva incontrare l’Incatenato e voleva delle risposte.

    Superò le strette pareti rocciose fino a quando giunse dove la gola si serrava. Era una via senza uscita. La roccia si chiudeva su un muro di pietra verticale che si innalzava per centinaia di metri verso il cielo. La luna apparve sopra la stretta striscia di cielo e rischiarò il fondo di quell’abisso. La sagoma dell’Incatenato apparve alla vista del re.

    Tiberius sembrava morto, stretto fra le catene saldamente inchiodate alla roccia.

    Auro lo osservò in silenzio sino a quando il mezzo demone sollevò debolmente il capo, mettendo in luce il viso che sembrò divincolarsi dalle lunghe ombre che lo avevano celato. Aveva occhi grigi ed un naso prominente. I suoi capelli arruffati erano anch’essi grigi, come i folti basettoni e la riga di barba che gli tagliava in due il mento. Le vesti logore e puzzolenti erano tessute con pelli di cervo e di lupo.

    -Il re Auro è venuto a farmi visita, eh, eh..- Ghignò il vecchio guerriero semidemoniaco.

    Il giovane re delle montagne fu sorpreso da quelle parole.

    -Mi conosci? Come fai a sapere che sarei venuto da te?-

    Tiberius lo guardò con espressione divertita. -Gli avvoltoi me lo hanno detto, i lupi me lo hanno sussurrato!-

    -Allora sai perché sono qui!- Disse Auro con voce sicura.

    -Perché io sono l’unico che ti può addestrare all’uso dei tuoi poteri.

    L’unico che può dare risposte ai tuoi quesiti.- Tiberius sogghignò.

    -O forse perché sono l’unico che ti può liberare da queste catene.- Rispose il re Auro con freddezza, e continuò.

    -Un mezzo demone non favorisce nessuno senza volere qualcosa in cambio, quindi, vedi di essere sincero con me ed io lo sarò a sua volta!-

    L’Incatenato mostrò i denti in un misto di simpatia e di sinistro sorriso.

    -Sei perspicace mio giovane signore e ciò che dici è vero. Lo stesso Ivo Sponchiado è venuto per liberarmi, ma le sue arti non riescono a spezzare queste catene maledette. Solo un cacciatore tutelato dal deva del sole può farlo e quello sei tu! Tuttavia, non ti serve un addestramento particolare, ti basterà appoggiare le mani sulle catene e sprigionare il tuo calore ardente.-

    Il re Auro si sentiva confuso, forse Ivo e Tiberius lo stavano solo usando per i loro inesplicabili scopi e non per aiutarlo, ma qualcosa nello sguardo dell’Incatenato gli diceva che stava per fare la cosa giusta.

    -Sprigionando il mio fuoco potrei anche ucciderti.-

    -Non mi ucciderai!- Tiberius era sicuro.

    -Come fai a dirlo?-

    Il mezzo demone non temeva il potere del re. -Ci sono cose che tu non conosci ancora, mentre io sono in vita da centinaia di anni in questo mondo e conosco la fonte del tuo potere. Anch’io e Ivo possediamo dei doni, solo che i nostri sono diversi dai tuoi. Io ti aiuterò perché poi tu aiuterai noi. I cacciatori di demoni sono tutti fratelli!-

    A quelle parole, Auro si avvicinò all’Incatenato ed appoggiò le mani alle solide catene.

    Lasciò che il suo ardore esplodesse ed il suo corpo cominciò a bruciare. Il canyon fu illuminato da una calda luce arancione. Le strette pareti della gola cominciarono a fumare e le spesse coltri di ghiaccio si sciolsero, mentre nubi di vapore si sollevavano al cielo. Dai villaggi delle montagne gli uomini videro che la fenditura fra le rocce, oltre i Piani Eterni, sembrava una lama incandescente con lo stesso colore del ferro fuso. Le catene maledette divennero rosse e si sciolsero. Quando Auro ritirò il suo potere ardente, vide che il fondo dell’abisso era asciutto e che le pareti della gola si erano annerite. La neve si era sciolta e quella che cadeva in fiocchi si era tramutata in pioggia. Stranamente, Tiberius non era bruciato e neppure i loro abiti si erano inceneriti. L’Incatenato abbracciò il re ed ululò alla luna. -Grazie mio giovane cacciatore! Ora dobbiamo andare nelle terre settentrionali. Lì imparerai i segreti del tuo potere.

    -Perché i nostri vestiti sono intatti?- Domandò con stupore il re.

    Tiberius non rivelò molto. -I nostri poteri si chiamano siddhi e provengono dagli spiriti della natura. Quando produciamo i nostri prodigi si sprigiona anche un altro potere che ci preserva dalla distruzione e tutto ciò che è a contatto con il nostro corpo si salva. I vestiti non sono bruciati perché sono a contatto con la nostra pelle. Questo potere si chiama energia mantenitiva ed è la forza che dovrai governare per prima. Tua moglie, tuo figlio ed il tuo popolo sono morti perché le tue siddhi si sono risvegliate prima che imparassi a dominarle.-

    Il re Auro si fece triste in un istante e sembrò sprofondare nella più totale malinconia.

    Il mezzo demone gli appoggiò una mano sulla spalla e disse.

    -Se i demoni non mi avessero legato e se Ivo ti avesse raggiunto prima, avremo potuto evitare questa tragedia, ma ricorda che se il destino ti ha privato degli affetti, significa che il disegno divino lo prevedeva.-

    -Quale disegno, eh?-Strillò il re. -Se veramente esistesse un dio così misericordioso, non mi avrebbe mai privato della sposa e del figlio che portava in grembo. Tutti i miei sudditi erano amici e i miei guerrieri come fratelli.-

    -Parli da egoista, sire!- Lo rimproverò Tiberius. -Non lasciare che le nostre aspirazioni e i nostri desideri ci allontanino dalla verità.-

    -Quale verità? Volere la pace, desiderare l’amore e proteggere i propri cari lo chiami egoismo? Perdere tutto la chiami verità, soffrire lo chiami dono?-

    Tiberius lo guardò severamente e lo scosse afferrandolo per le vesti.

    -Sì, è puro egoismo! Anche quando amiamo e quando desideriamo il meglio è sempre egoismo, per quanto difficile ti sia accettarlo. Il vero amore, la vera pace, la vera protezione, vengono dall’energia che pervade tutto, da ciò che gli uomini adorano come dio e non dai desideri di ogni singolo individuo che crede di essere migliore del suo prossimo. L’amore vero si vede nell’insieme di tutto il disegno e non solo dal singolo schizzo. La fonte di ogni male è il desiderio egoistico del singolo.

    Ricorda questo, re: tua moglie e tutto il tuo popolo non sono veramente morti, hanno solo perduto il loro corpo materiale. La loro energia vitale è trasmigrata altrove e noi combattiamo per dare alle loro anime un regno migliore dove prendere nuovi corpi.-

    Dopo la scossa di Tiberius, il re Auro se ne stette in silenzio e insieme ripercorsero la gola per raggiungere i piani innevati. Avrebbero preso la via dei passi montani per la tundra settentrionale, il regno dei lupi, delle alci e dei misteriosi grigianti.

    RE VIADA

    La tragedia che aveva colpito il regno del re Auro aveva profondamente rattristato il re Viada, uno dei quattro sovrani delle montagne. I regni delle montagne erano sempre stati alleati e soprattutto quello di Auro e Viada, che avevano trascorso l’intera gioventù nelle campagne di guerra per aiutare i popoli della tundra contro l’invasione dei demoni del mare del nord.

    Il re Viada aveva deciso di recarsi presso i Picchi del Sole, il regno del suo amico Auro, che considerava come un fratello, e quando giunse alla piana dei mulini, vide ciò che le genti dicevano di villaggio in villaggio. La piana verdissima e ricca di mulini ad acqua era ridotta ad una distesa di cenere, persino la foresta lussureggiante che cresceva ai piedi della Zanna Raggiante, il vecchio castello di Auro, era ridotta ad una spettrale processione di tronchi anneriti e la fortezza dalle torri slanciate veniva chiamata da tutti, oramai, Rocca di Fuliggine.

    Viada era venuto solo, avvolto nella sua armatura nera, con il capo rasato coperto da un alto elmo conico. Si passò una mano sulla corta barba nera mentre i suoi occhi castani scrutavano nella grigia desolazione. Tutto il suo popolo aveva cercato di dissuaderlo dalla ricerca. "Re Auro è morto e con lui anche tutte le sue genti" dicevano, ma il re Viada non ci credeva, qualcosa gli suggeriva che egli era ancora vivo. Le sue sentinelle avevano detto che era stato avvistato lo stregone Ivo Sponchiado mentre si dirigeva nel luogo dell’esplosione ardente. Se Ivo si era recato lì ,dopo la tragedia, voleva dire che Auro era ancora vivo e su ciò Viada non aveva dubbi. Nessuno, a parte i veggenti come Sponchiado e Tiberius, conosceva ciò che era successo alla vigilia della guerra fra il regno di Auro e le armate demoniache. Nei villaggi e nelle città si mormorava che i demoni avessero prodotto un’arma esplosiva letale che aveva ridotto in cenere il regno di Auro e che i demoni si fossero nascosti nelle montagne per organizzare un attacco agli altri regni, ma i re delle montagne non credevano a quelle voci. Insieme all’esercito di Auro erano scomparse anche le legioni di demoni che lo avevano attaccato. Nessuna sentinella delle montagne aveva avvistato demoni lungo i passi o le piane dopo la catastrofe. Re Auro dominava sul regno dei Picchi del Sole, re Viada sul regno delle Creste dei Fabbri, re Gwido sul regno degli altipiani dei Giganti di Fosses e re Artiglio sul regno delle Rupi dei Rapaci.

    Nessuno dei quattro regni di montagna era stato minacciato dopo l’esplosione sulla piana dei mulini.

    Viada dovette lasciare il suo cavallo nero alla base dello spuntone roccioso sul quale sorgeva il castello del re Auro. Il sentiero che lo risaliva era coperto di cenere e di detriti sbriciolabili. Viada, allora, sollevò le mani, concentrandosi, e al suo gesto i detriti polverulenti si staccarono dalla via, galleggiando nell’aria. Viada padroneggiava le siddhi da tempo ma non aveva mai mostrato le sue capacità ai sudditi. Le superstizioni popolari dicevano che i cacciatori di demoni erano pericolosi e che i loro poteri venissero dai demoni stessi. Re Viada gridò e spostò le sue mani verso destra come se avesse una pala in mano. I cumuli di cenere furono spazzati via, verso il bordo esterno del sentiero, ed egli poté camminare senza intralcio.

    Quando arrivò sotto gli spalti della prima cinta muraria notò delle sentinelle carbonizzate, con le mani pietrificate nel gesto di ripararsi gli occhi. Quale terribile cosa era accaduta?

    Viada superò il primo portale e risalì i tornanti, osservando scrupolosamente le pareti di roccia del castello. Superò gli archi dei ponti sospesi che si appoggiavano al corpo centrale della fortezza e notò che ogni singola facciata della costruzione era nera, come se l’aria stessa si fosse incendiata ed una tormenta di cenere si fosse abbattuta sulle superfici delle torri. Solo l’azzurro dei tetti e l’oro dei doccioni a forma di teste di drago emergeva, qua e là, dal grigiore della fuliggine.

    -Cosa ti è capitato fratello mio?- Si chiedeva continuamente il re Viada, mentre risaliva guardingo. Nemmeno i corvi sorvolavano quella desolazione. I corpi carbonizzati non attiravano neppure i famelici avvoltoi, eppure, il re delle Creste dei Fabbri fiutava il pericolo e decise di sfoderare la sua spada. Era un’arma fatta con il ferro delle sue fucine, senza particolari fregi, ma adatta ad affrontare qualsiasi nemico. La sua lama gli aveva procurato gloriose vittorie anche se ormai era consumata e a forza di affilarla aveva dimezzato la larghezza della lucida superficie dell’acciaio.

    "Solo nelle leggende dei cantastorie esistono spade che non si usurano e che procurano la vittoria. Pensò sogghignando. Ma io ho vinto le battaglie con il sudore e con le lame che si spezzano. Un vero guerriero combatte anche con le sole mani e Auro è sempre sopravvissuto, anche di fronte ai demoni del mare, alle ingiurie della tempesta, e non posso accettare che un piccolo fuoco lo abbia leso."

    Nonostante quella desolata terra martoriata dalle fiamme egli non poteva ammettere che il suo amico fedele fosse perito.

    Immerso nei suoi pensieri, il re Viada raggiunse il portale della torre principale. Gli affreschi con guerrieri alati della stirpe solare, che facevano a pezzi i demoni della terra, erano quasi del tutto coperti dalla polvere nera. Il portale di legno decorato non esisteva più e la sala del trono era un cumulo di cenere. Lo scranno di pietra del re Auro era assiso in fondo al salone, illuminato da un raggio di sole che penetrava da una finestra dell’alta torre, i cui vetri erano esplosi in seguito all’ondata infuocata. Viada osservò il pavimento e notò che delle impronte erano impresse nella cenere. Si chinò e le guardò meglio. Erano impronte di due persone, probabilmente quelle più piccole appartenevano ad Auro e quelle più grandi erano di Ivo Sponchiado.

    Una brezza alitò nella stanza e profumava di fiori di kethi dai petali arancioni, i fiori del deva del sole.

    "Auro è ancora vivo, lo sapevo!" Viada ne era convinto, quell’odore era un segno.

    -Almeno avessi della birra per festeggiare.- Si disse.

    In quell’istante svanì l’odore dei fiori divini e un’ombra oscurò la luce che illuminava lo scranno del re Auro.

    All'improvviso, un ruggito frantumò le poche vetrate che avevano resistito durante l’esplosione ed il soffitto della torre crollò, facendo cadere pesanti travi, mattoni e tegole smaltate di azzurro. Viada sollevò la mano sinistra ed i detriti, che erano crollati su di lui, si arrestarono a pochi metri dalla sua testa. Scostò la mano e le macerie furono sbalzate lontano dal suo corpo, cadendo molti metri più in là.

    Lo squarcio sul tetto della torre inondò la sala di luce e, quando la polvere calò, apparve la sagoma di un drago appollaiato sul trono. La gigantesca serpe alata apparteneva alla razza dei draghi delle montagne. Aveva squame nere, con il muso cosparso di cuspidi ossee e la testa coronata da numerose corna.

    -Vattene!- Sibilò la bestia contro il re Viada.

    Per nulla intimorito, il re delle Creste dei Fabbri ribatté.

    -Vattene tu!-

    Il drago balzò giù dal trono, facendo tremare il pavimento e sollevando la fuliggine. Allungò il collo, portando il suo enorme muso a pochi centimetri dal viso di Viada.

    La voce del drago era così profonda che il re la sentì vibrare fin dentro al suo essere.

    -Un tempo gli uomini ci rispettavano e ci temevano. Potrei anche incenerirti all’istante per la tua impudenza.-

    -Ah, ah, ah…, incenerirmi? Io sono il re delle montagne dei forgiatori di spade e non mi fai paura. Sei stato tu a bruciare il castello del mio amico?-Il drago ritirò la testa, distanziandosi dal re.

    -Non sono stato io, ma ora che il re Auro è morto ho deciso di fare di questa rocca la mia dimora.-

    -La tua dimora?-Il re Viada si adirò sollevando la vecchia spada con la destra. -Tu non dissacrerai la casa di mio fratello!-

    I due si osservarono per pochi istanti, poi, la bestia si scagliò contro il re, cercando di azzannarlo. La lotta fu furibonda. Le ganasce del mostro non riuscivano a ghermire il valoroso guerriero, seppur così minuscolo contro la mole del drago. Combattendo, Viada riuscì a colpire il mostro all’addome, facendogli vomitare fiamme.

    La spada si spezzò lasciando la punta all’interno delle squame addominali ed il drago rise. -Ah, ah, un’altra lama da conservare fra le mie vecchie ferite. Ora per te è la fine!-

    Il re Viada si erse fiero di fronte alla creatura e gli disse. -La fine? No! Questo è solo l’inizio!-

    Portò le mani in avanti, nel gesto di allontanare la creatura.

    Il drago sentì una forza misteriosa afferrarlo e spingerlo via. Affondò gli artigli nel pavimento di roccia. Le grinfie staccarono le lastre dal suolo, mentre quella potenza lo stava scaraventando verso le pareti della torre maestra.

    Ad un certo punto gli artigli si spezzarono e la bestia si schiantò sul muro, facendo crollare grosse pietre.

    -Sei un cacciatore di demoni!- Sibilò.

    Re Viada, pervaso da quel misterioso potere, aveva un espressione inquietante. Il drago, che era un’antica creatura di quella terra , gli disse.

    -Ti avverto giovane sovrano. I draghi sono esseri legati al potere della natura e porta male servirsi del dono di cacciatore per ucciderli.-

    Viada allora ritrasse indietro le mani, liberando il drago dalla forza che lo schiacciava contro il muro. La bestia crollò al suolo esausta.

    Il re sembrava contenuto. -La mia stirpe e quella del mio amico Auro non sono mai state nemiche della famiglia dei draghi, ma c’è un limite a tutto. Questa rocca appartiene alla stirpe dei guerrieri del sole e non èsicuramente occupabile. Io non ti voglio uccidere!- Il re gridò. -Voglio solo che te ne vada da qui.-

    Viada spinse la mano destra in avanti, spalancando bene le dita e mostrando il palmo candido. La forza misteriosa spinse nuovamente la bestia contro la parete del castello. Il drago provò a contrastarlo spalancando le grandi ali, ma una di esse si spezzò e la parete crollò, facendo precipitare il drago fra i dirupi oltre le spesse mura.

    Viada guardò il cielo attraverso lo squarcio sulla sommità della torre, mentre fiocchi di cenere, come neve nera, turbinavano in contro al suo viso.

    "Ti troverò fratello mio!"

    In quello stesso momento, il re Auro e Tiberius stavano attraversando le foreste vergini sulle pianure a nord dei regni montani. Presto avrebbero raggiunto le verdi praterie e le brughiere delle streghe Chandra, le donne della luna, regno delle tribù dei nomadi e dei bisonti.

    RE GWIDO

    Il re Gwido era un anziano guerriero, vestito sempre con brache e giubbe di cuoio marrone ed un manto di lana verde. I suoi capelli grigi erano ribelli e i suoi occhi verdi erano intensi come le foglie della foresta bagnate dal sole. I suoi lunghi baffi grigi, spioventi oltre il mento, erano acconciati in due trecce trattenute da lacci di cuoio rosso, simbolo della sua casta. Egli dominava gli altipiani del territorio montuoso più settentrionale dei quattro regni di montagna. Il suo castello, chiamato Bastiroccia, era un semplice maniero fatto di muraglie tozze e pesanti, costruite sopra un promontorio brullo. Aveva un'unica torre eretta sul lato orientale e a ridosso delle scarpate del monte Muro. Dominava il vasto altipiano de Fosses, un tavoliere fatto di depressioni e colli battuti dal vento, privi di vegetazione, ricchi di pietre chiare e di verdi prati muschiosi. Tutto quel tavoliere era isolato dal mondo da pericolosi dirupi, da boschi incantati e da alte montagne rocciose, che lo corollavano come silenti e giganteschi guardiani.

    Ivo Sponchiado era giunto nel suo regno sette giorni dopo la visita al castello di re Auro.

    Gli armigeri di Gwido lo accompagnarono attraverso il lungo corridoio, sostenuto da archi in legno, che chiamavano il Cammino del Guerriero. Il lungo salone era dipinto con colorate scene di battaglie ancestrali e di miti antichi. Sculture lignee ed incisioni rappresentavano le leggende delle montagne e le storie legate ai grandi sciamani e agli alchimisti della scienza mistica.

    La moglie del re, Cocodhain, accolse Ivo con tutti gli onori e congedò gli armigeri. La sala del re, oltre il Cammino del Guerriero, era un salone circolare con una grande tavola quadrangolare di legno massiccio nel centro. Numerosi seggi di legno, tutti uguali, la contornavano e non vi era nessun trono, poiché Gwido era un sovrano che non amava la magnificenza. Il soffitto era sostenuto da travi scolpiti con donne alate a sorreggere alti tetti spioventi, rivestiti con placche di acciaio per far scivolare la neve durante i rigidi inverni.

    A parte Cocodhain, nessuno era nella sala e la tavola era apparecchiata solo per l’ospite, con una porzione di coscia d’alce, formaggi, pane scuro e un corno di birra rossa.

    -Vedo che l’ospitalità è sempre grande prerogativa nella vostra dimora.-

    Disse Ivo allegramente e prese a sedersi dove era stato preparato per lui.

    Cocodhain si erse stringendo gli occhi scuri dal taglio allungato e facendo ondeggiare la spessa treccia nera sulla schiena. Il suo vestito verde, dai bordi dorati, seguiva le linee morbide del corpo ben modellato.

    -Devi scusarmi se non ti ho accolto nel migliore dei modi, ma la tua venuta era del tutto inaspettata. Gwido è andato a cacciare cervi a valle e non sarà a casa prima di sera.

    -Fa niente!- Disse Ivo, strappando un lembo di carne arrostita. -Aspetterò!-Cocodhain prese posto su un seggio lontano, dall’altra parte della tavola e si versò del vino caldo su una coppa di vetro proveniente dalle isole dei vetrai del mare del sud.

    -Lei non mangia, mia signora?- Chiese con tono calmo lo sciamano guerriero.

    La beltà deglutì il vino lentamente e ripose la coppa con grazia.

    -Ho già pranzato! Cosa ti porta nel nostro regno?- Lo chiese come conoscesse già la risposta.

    Ivo addentò un pezzo di formaggio vecchio. -Sono qui in seguito a ciò che ha rotto l’armonia fra le tribù delle montagne.-

    -Ti riferisci ovviamente all’esplosione luminosa che ha spazzato via la piana dei mulini e bruciato il castello del nostro amico.- La regina si strinse nelle spalle.

    -Mia signora, la tragedia che ha colpito il regno dei Picchi del Sole avrà delle conseguenze. Ora, quel territorio è privo di protezione e presto draghi e demoni cercheranno di impossessarsene.-

    La moglie del re sembrò raggelare all’idea di un invasione da parte dei demoni e disse.

    -C’è un patto di non belligeranza fra regni montani e stirpi demoniache che dura da centinaia d’anni.-

    -Quel patto è già stato infranto!- Disse senza esitazione Ivo Sponchiado.

    La regina si versò dell’altro vino e abbassò lo sguardo sul fluido rosso che ondeggiava all’interno della coppa, come se il suo viso si stesse specchiando su una pozza di sangue scuro.

    -Mio marito ha messo vedette ad ogni angolo del nostro regno dopo ciò che è successo alla piana dei mulini, ma egli continua a vivere come niente fosse per tranquillizzare i suoi sudditi. Continua a cacciare bestie nelle selve, ma sono convinta che egli visiti i boschi e le valli solo per assicurarsi che non ci siano minacce nei paraggi. Sei venuto a chiedere aiuto a mio marito perché anche lui, come te, è un cacciatore di demoni?

    Ivo bevve la birra, mentre raggi dorati cominciavano a penetrare sulla sala dalle piccole finestre della tozza costruzione. -Il sole si sta abbassando e presto tuo marito sarà qui, lo sento!-

    -Non hai risposto alla mia domanda.- Disse Cocodhain innervosita.

    Ivo la guardò senza velo di menzogna.

    -Sì, mia regina! Sono qui perché necessito delle siddhi di Gwido. Tutti i sovrani di montagna sono cacciatori di demoni per diritto divino. Gli spiriti della natura accordarono ai nostri padri i loro favori agli albori del tempo. La paura che i demoni provavano nei confronti degli antichi cacciatori li ha obbligati a rispettare i patti di pace. Oggi, però, qualcosa è cambiato. La pace è stata infranta e si dice che un condottiero demoniaco stia radunando legioni di demoni per uccidere i cacciatori.-

    Cocodhain capiva la gravità della situazione.

    -Tutti i cacciatori di demoni sono fratelli. Il loro potere si fa più forte quando combattono insieme e forse uccidere il giovane re Auro, ancora inconsapevole delle sue capacità, ha creato una falla nel potere pervadente che unisce tutti i cacciatori di demoni. I demoni cercheranno di uccidere i cacciatori, uno alla volta.-

    Ivo ascoltò con interesse le sagge parole della regina Cocodhain e disse.

    -Per questa ragione devo riunire i re delle montagne. Gwido è uno fra i più forti e anziani cacciatori di demoni. Sono sicuro che egli mi ascolterà.-

    La bella sovrana guardò oltre le piccole finestre, fra le spesse pareti di roccia, mentre il sole stava per inabissarsi dietro le vette imbiancate. -La scomparsa del re Auro ha portato le tenebre nel cuore di mio marito. Gwido lo ha sempre considerato come un figlio. Hanno cacciato insieme per numerosi anni fra le selve del nostro regno.-

    -Tuttavia, il re Auro non è morto!- Disse sorridendo Ivo Sponchiado.

    -Non è morto?- La regina sgranò gli occhi incredula. -Ma tutto è bruciato!

    Nessun uomo di quella terra si è salvato. Dopo l’esplosione, i messaggeri dei villaggi di confine ci hanno bene informati.-

    -Vi hanno informati male! Io possiedo il dono della veggenza e ho visto ciò che è realmente successo. Purtroppo gli altri cacciatori non possiedono la mia fortuna e non possono vedere cose che avvengono in luoghi lontani o fuori dal tempo. Nemmeno i demoni possono scrutare sul destino dei cacciatori e questo è il mio vantaggio su di loro.-

    In quell’istante suonarono i corni argentati delle sentinelle del castello. -Mio marito è tornato!- Disse Cocodhain, rallegrandosi.

    Ivo si alzò dalla sedia lignea e seguì la regina oltre il Cammino del Guerriero e, una volta usciti dal portale della costruzione, si affacciarono ad una terrazza merlata che dava sui brulli altipiani di Fosses, un territorio lunare e incontaminato. Di lì si vedeva il sentiero di terra battuta che superava i prati d’altura.

    Delle grida raggiunsero la regina e lo sciamano guerriero che osservavano dall’alto dei parapetti, sul terrazzo sopra la muraglia.

    -Re Gwido è ferito! Aprite i cancelli, presto!-

    Dall’alto delle mura, Cocodhain spalancò gli occhi scuri spaventata. -Mio marito ferito? Andiamogli incontro!- La donna prese a correre sulla via lastricata che scendeva verso le costruzioni inferiori della fortezza e Ivo la seguì senza indugio.

    "I demoni stanno anticipando i tempi!" Pensò.

    Gwido venne portato su una barella di cuoio conciato all’interno del tempio dedicato agli spiriti del vento. Era una costruzione circolare fatta di tozze colonne che sorreggevano un tetto conico ed aguzzo. Sorgeva al centro di una piazza lastricata con pietre levigate, circondata dalle case dei suoi sudditi, su di una rampa costruita sopra uno spuntone roccioso naturale a metà dell’intera estensione del castello.

    Il tempio era spoglio all’interno, come tutti quelli eretti in onore degli spiriti dell’aria. Solo un braciere circolare ardeva nel centro ed un monaco guaritore agitava dei rami d’abete sacro sopra la salma del re, che era stato deposto al suolo, nei pressi del fuoco. Gwido era un uomo molto forte ma la ferita all’addome era grave e grondante di sangue. Subito, Cocodhain si accasciò al suo fianco, piangendo.

    Il monaco guaritore cantava un’antica canzone che i superstiziosi consideravano miracolosa ed aspergeva il corpo del re con acqua benedetta da un’ampolla che portava appesa alla cinta. Una processione di popolani veniva per pregare nei pressi del tempio, senza entrarvi, ma affollando tutto il perimetro esterno del colonnato, osservando i gesti rituali del monaco devoto degli spiriti del vento. A quella vista, Ivo Sponchiado, che stava ai bordi esterni del tempio, esplose in uno sfogo di rabbia e batté il suo bastone al suolo.

    -Allontanatevi, bigotti superstiziosi! Il re non ha bisogno delle vostre false credenze!-

    Ivo avanzò, penetrando nel tempio e gridò. -Vattene, ciarlatano schifoso!-Dicendo questo, prese ad allontanare il monaco a bastonate.

    La regina cercò di riprenderlo. -Cosa ti prende venerabile Ivo? Perché vai contro le nostre usanze?-

    -Perché sono usanze nate dall’ignoranza, mia regina! Lasciate che sia io a curare vostro marito. La ferita è grave, ma non letale. Io padroneggio la siddhi della guarigione e lo salverò!-

    A quelle parole, Cocodhain si scansò e lasciò che lo sciamano si avvicinasse al corpo di Gwido.

    Ivo Sponchiado si chinò sul re, lasciando al suolo il suo bastone da guerra, e appoggiò le mani sul busto trafitto. Le sue mani si illuminarono come se una luce dorata si sprigionasse dai pori della sua pelle. Gwido aprì debolmente gli occhi ed esclamò.

    -Ivo, sei tu?-

    Ivo era concentrato. -Sono io, amico mio!-

    Il monaco non ci mise molto a tornare con i rinforzi e cercò di penetrare all’interno del colonnato armato di spada. Ivo lo avvertì mentre gli volgeva ancora le spalle.

    -Stammi lontano e tieni a bada i tuoi scagnozzi.-

    Il prete non aveva orecchie e avanzò minaccioso. La regina gli vietò di intervenire, ma il monaco non la ascoltò come anche gli uomini che lo seguivano.

    Allora, Ivo, seppur concentrato nel curare il re, montò su tutte le furie e girò la testa verso loro dicendo. -State lontano, vermi schifosi!-

    Una forza misteriosa li trascinò via, scaraventandoli a notevole distanza dal tempio.

    Quando il monaco si risollevò, cominciò ad incitare la folla. -Quell’uomo è un demone! Chi opera prodigi è invaso da poteri occulti.-

    Ivo si alzò dalla sagoma del re non sopportando più la stupidità di quell’uomo e si voltò brandendo il bastone.

    -Cosa credi di fare con quel palo di legno, eh? Vuoi fare un sortilegio col bastone stregato?- Grugnì il prete.

    La gente era terrorizzata dallo sciamano dall’espressione feroce e Ivo non fu affatto comprensivo con quel prete pervaso dall’ignoranza.

    -Ti consideri messaggero di dio? Tu? Vile mascalzone senza conoscenza! Il male proviene da religiosi come voi, invidiosi del potere altrui e totalmente privi di ragione. Insegnate agli uomini l’arte dell’ipocrisia e niente di più. Voi siete la fortuna degli astuti e la ricchezza dei veri demoni.

    Ivo sollevò il bastone e le genti tremarono. Il prete si parò gli occhi e proferì frasi magiche, come fosse un esorcista. Sponchiado si sbracò dal ridere.

    -Poveri stolti! Il mio bastone non ha niente di magico. Stupidi creduloni, seguaci delle assurde credenze popolari. Lasciatemi curare il re o vi manderò tutti nel regno degli inferi!-

    Evidentemente spaventati, i sudditi di quel reame si allontanarono e così fece anche il monaco.

    Ivo Sponchiado si chinò nuovamente sul re e riprese a sprigionare la sua energia rigenerativa.

    Quando il re riprese a respirare senza affanno era già notte. La regina prese una lanterna ad olio e li accompagnò nella grande sala dove Ivo aveva consumato il pranzo poche ore prima. Gwido fu fatto sedere sulla sua sedia e, seppur guarito dalla brutta ferita, era evidentemente debole.

    La sua sposa lo servì subito con vino caldo e gli coprì le spalle con una morbida pelliccia di camoscio. Gwido prese la coppa dalle sue mani e bevve avidamente, poi disse.

    -Non c’è niente di meglio che una buona dose di vino caldo e speziato per alleviare le pene in notti fredde come questa. Ti devo la vita, vecchio mio! Il destino ha voluto che venissi da me proprio oggi, quasi gli spiriti avessero guidato i tuoi passi per guarirmi dalle ferite che mi avrebbero sicuramente ucciso.-

    -Il destino?- Ivo sorrise. -Caro Gwido, ti ho salvato perché dobbiamo riunire il potere dei regni montani. Dal tempo in cui combattemmo insieme contro i demoni del mare non ti ho mai più chiesto aiuto, ma oggi, nuove terribili minacce stanno oscurando l’avvenire di queste terre. I demoni hanno attaccato il regno di re Auro rompendo il trattato di pace e oggi hanno tentato di ucciderti. Probabilmente credono che tu sia già morto.-

    Gwido era perplesso. -I demoni si sono insinuati nei regni delle montagne, ma cosa li ha spinti? Questa mattina sono andato a caccia di cervi con due dei miei uomini e ne ho inseguito uno dalle dimensioni gigantesche. Era una preda meravigliosa! Ho dovuto inseguirla attraverso fitti boschi, allontanandomi dai i due amici che erano venuti con me. La bestia mi ha portato fin sull’orlo di un dirupo e, quando l’avevo finalmente sotto tiro, il mio arco si è spezzato. In quel momento il cervo ha attaccato ed è riuscito a colpirmi all’addome con i suoi grandi palchi. Sono stato colto alla sprovvista, vittima di un illusione, e non ho generato siddhi per difendermi. Una punta delle sue corna mi ha trafitto il ventre. Nessun cervo prima di allora era mai riuscito a ferirmi, infatti, quella creatura non era affatto un cervo, ma un demone. Quando il corno si è fatto strada nella mia carne, la bestia si è deformata e ha preso le sembianze di un raksa, un demone dei boschi. Dopo che è svanito il frutto dell’illusione, ho visto che il corno nel mio ventre era la sua spada. Il demone, allora, ha sfilato la lama e si è avventato per staccarmi la testa, ma io sono indietreggiato e sono caduto nel baratro di un burrone. Senza l'inganno, il demone non si sarebbe mai avvicinato a me e lo avrei incenerito con i miei poteri. Il raksa, credendomi morto, se ne è andato. Dopo qualche tempo, i miei compagni di caccia sono venuti a prendermi sul fondo del burrone guidati dal fiuto dei loro formidabili cani lupo.-

    Ivo già lo sapeva, poiché aveva visto ciò che era successo a Gwido in sogno due notti prima, e disse.

    -Quel raksa avrà già informato i suoi superiori ed essi ti crederanno morto. I demoni non hanno potere di veggenza e si fidano solo dei loro risultati apparenti. Il destino dei cacciatori non è visibile con le loro arti, fortunatamente per noi, ma io sono l’unico cacciatore di demoni che può vedere fra le trame del futuro di tutte le creature.-

    Cocodhain ascoltava nervosamente.

    -La tua visita porta sventura, seppur io ti stimi molto. Tu dici di essere l’unico veggente che può sondare gli avvenimenti relativi ai cacciatori, ma anche Tiberius, l’Incatenato, ha il potere della veggenza su tutte le creature e aiuterà i demoni a cacciarci.-

    -Non è esattamente così, mia signora!- Rispose Ivo Sponchiado.

    -Cosa vuoi dire?- Intervenne il re, facendo agitare i lunghi baffoni intrecciati.

    Lo sciamano guerriero li guardò con occhi sorridenti.

    -Tiberius è nostro alleato! I demoni lo veneravano per il suo potere di veggente, ma lo privavano di ogni libertà, pretendendo che egli vivesse nei regni infernali come loro schiavo. Tiberius è per metà demone, come tutti gli uominilupo delle terre settentrionali e, come ogni essere contaminato dalla licantropia, egli non può vivere senza girovagare libero. Così si è ribellato ed i demoni lo hanno incatenato alla fine di una tetra gola, fra i canyon rocciosi del regno dei Picchi del Sole, aspettando che la fame e la sete lo domassero. Lo avevano legato con catene demoniache che solo un membro della stirpe solare, dotato di siddhi, poteva sciogliere. Molti anni prima di essere incatenato, Tiberius aveva profetizzato che il re Auro avrebbe ereditato delle siddhi come cacciatore di demoni della stirpe tutelata dal deva solare.-

    Gwido si carezzò le trecce che pendevano dal mento.

    -Per questo hanno ucciso il re Auro? Lo hanno bruciato per evitare che liberasse il mezzo demone Tiberius e hanno rotto il patto di pace in anticipo, per evitare che il giovane Auro risvegliasse le sue siddhi e fosse ancora vulnerabile al loro attacco. Ora, solo i demoni potranno liberare l’Incatenato e potranno avere il suo supporto di veggente per conoscere le nostre mosse e vincerci.-

    Ivo provava una certa tranquillità nel vedere che Gwido credeva Auro morto. Se il re non sapeva nulla, nemmeno i demoni sospettavano che Tiberius fosse già stato liberato.

    Cocodhain, che aveva saputo la verità da Ivo prima dell’arrivo del re, sorrise al marito in modo rassicurante.

    Gwido, invece, la guardò con malcelata preoccupazione. In quel momento, Ivo parlò.

    -Quello che i demoni non sanno, caro fratello, è che il re Auro è ancora vivo e ha liberato l’Incatenato. Tiberius ed Auro saranno già molto lontani e noi guadagneremo tempo affinché il mezzo demone addestri il re dei Picchi del Sole a controllare le sue siddhi.-

    Gwido non credeva alle sue orecchie mentre la moglie lo stringeva alle spalle con affetto e speranza, ma il re aveva ancora dei dubbi e li espresse.

    -Venerabile Ivo, credi davvero che un mezzo demone possa addestrare il nostro amico? Come può un cacciatore di demoni fidarsi di un uomo contaminato da sangue demoniaco?-

    Ivo rise e rispose con un'altra domanda.

    -Come fanno i preti a dire di essere messaggeri della gloria divina ed insegnare agli uomini come essere perfetti schiavi delle illusioni demoniache?-

    Gwido non aveva risposte, ma Cocodhain ne aveva una.

    -Se fosse stato per la forza della fede dei tuoi sudditi, marito mio, a quest’ora saresti pasto per i corvi!-

    -Ben detto!- Sorrise Ivo. -Non sempre ciò che sembra è! Non sempre i maestri sono quelli che ci immaginiamo noi!

    RE ARTIGLIO

    Il re Artiglio era un uomo dal fisico asciutto e muscoloso, dalle spalle larghe ed il viso ben rasato, fiero, con capelli castani e occhi grigioverdi. Il naso stretto, con larghe narici, era tipico della sua famiglia. Era visto con ammirazione dai sudditi, onorato dai maghi e ben visto dalle donne. Molti lo chiamavano anche il re solitario, poiché amava vagare per le sue montagne da solo, osservando le lande dirupate e i boschi silenziosi. Si dice che il re Artiglio avesse il dono di parlare con tutti i rapaci e che essi fossero suoi fedelissimi sudditi.

    Quando l’esplosione incandescente illuminò il cielo sopra il regno del re Auro, il re Artiglio la vide dalle creste rocciose che si ergevano alle spalle del suo castello. Da quelle alte vette, sopra i boschi verdeggianti, egli sentì la brezza calda portata dal boato infuocato e vide i suoi falchi e le sue aquile agitarsi impaurite nell’aria.

    Artiglio era rimasto fermo come una roccia e non sembrò scosso da quell’immagine terribile anche se, dentro di lui, quell’evento lo aveva impensierito.

    "Cosa ti è successo, fratello Auro?"

    Il castello di Artiglio era il più elaborato e slanciato di tutti i regni montani. Era edificato su diversi picchi rocciosi, con torri altissime a filo di rupi vertiginose, collegate fra loro da ponti sospesi e coperte con ripidi tetti rossi. Sul solitario picco più elevato sorgeva la torre maestra, sul cui pennone sommitale era issato un falco d’argento che guardava verso il mare e le pianure. Nei giorni limpidi, si dice che i marinai delle lontane coste riuscissero a vedere il riflesso abbagliante che produceva il pennone, come fosse una stella fra le montagne. I picchi solitari, dove si ergevano le torri del Re Artiglio, sembravano denti pietrificati di un mostro gigante del mito, riparati verso nord e ovest da un alta catena montuosa dirupata, chiamata la Grande Cordigliera, che sembrava abbracciare quelle cuspidi baciate dal sole e tormentate dalle tempeste. Verso sud e sud est, invece, il regno delle Rupi dei Rapaci si apriva a montagne boscose, che collassavano in una processione di colli sempre più bassi, come onde verdi che andavano ad appiattirsi verso la florida pianura che si apriva al mare.

    Quando re Artiglio scese dalle alte creste rocciose e raggiunse i camminamenti sospesi, che conducevano ai vari piani terrazzati del castello, ai giardini pensili e alle guglie fortificate, le sue sentinelle avevano già avuto notizia della terribile tragedia. I falchi pellegrini erano arrivati con messaggi legati alle zampe dalle torri di vedetta dei confini occidentali del regno. I messaggi dicevano che legioni di demoni avevano invaso la piana dei mulini e che le creature demoniache avessero usato armi catastrofiche così potenti da uccidere tutto l’esercito di Picchi del Sole. Dopo l’esplosione i demoni si erano dileguati e re Auro era scomparso per sempre. Re Artiglio li lesse e ne fu turbato. Radunò tutto il suo esercito e ordinò di prepararsi alla guerra.

    Gli alchimisti e i mastri costruttori del suo regno avevano costruito macchine volanti, dotate di articolati comandi e ali meccaniche. La tribù di re Artiglio si dice fosse tutelata dai deva dell’aria e i suoi guerrieri erano combattenti formidabili, esperti nell’uso della lancia. Nei tempi antichi, i suoi padri avevano fatto uso di superbi eserciti volanti contro i demoni del vento.

    La sera stessa, dopo l’esplosione luminescente, tutti i veterani di guerra del regno di Rupi dei Rapaci si erano ritrovati nella sala della torre maestra a cospetto del loro re. La moglie di Artiglio, Luasilla, vestiva d’azzurro e sedeva accanto a lui nella grande tavola ovale di legno, intarsiata e decorata con falchi d’argento. Stendardi azzurri rivestivano le alte pareti di roccia bianca, che salivano sino all’altissimo soffitto di legno nobile.

    -Miei prodi guerrieri!- Disse con tono deciso il re Artiglio.

    -La catastrofe si è abbattuta sul regno di nostro fratello, il re Auro. Un esercito di demoni ha rotto il patto di pace con i regni montani e ha attaccato alla piana dei mulini, devastandola. Ancora non so quale tipo di arma demoniaca abbiano usato contro di lui, ma il suo intero esercito è stato incenerito.-

    -Cosa ne è stato dei demoni? Alcuni sostengono che anch’essi sono stati inceneriti dalla stessa stregoneria che ha ucciso il re Auro e i suoi congiunti.- Disse il generale del suo esercito, il prode Osgar Trinkar, conosciuto come il signore della lancia.

    Il re guardò Osgar, che se ne stava rigido nella sua corporatura tarchiata, rivestito dall’armatura blu tipica degli eroi di Rupi dei Rapaci.

    -Ci sono varie teorie!- Disse il re. -Alcuni sostengono che i demoni erano frutto di un illusione per attirare l’esercito di Auro verso la bomba incendiaria. Altri dicono che i demoni sono scomparsi dopo l’incendio, nascondendosi agli occhi dei mortali con arti magiche. Altri ancora sostengono che il potere distruttivo era estraneo ad entrambi gli schieramenti e che li ha annientati senza discriminazione.-

    Osgar Trinkar strinse gli occhi neri sotto la fronte bassa e i folti capelli neri, che tagliava molto corti per non avere impedimenti in battaglia. -A me sembra più veritiera la terza ipotesi, prode Artiglio. Se fosse stato un potere divino ad abbattersi su quella terra, contro quale nemico ci apprestiamo a combattere?-

    Il re non aveva risposta. -Chissà? Tutta questa storia è misteriosa!

    Metà delle nostre forze resteranno qui a difesa del regno sotto la guida di mia moglie Luasilla, mentre le altre si dirigeranno nel vicino regno delle Creste dei Fabbri, con me in testa. Io terrò concilio con il re Viada sul da farsi. Potrebbe non esserci motivo di combattere, comunque sia, andremo ben armati e pronti. Qualcosa mi dice che questi regni non sono più al sicuro.-

    In quel momento la figlia di Artiglio, Angelia, che si era nascosta in fondo al salone, corse verso il padre e lo abbracciò. -Non andare via, ti prego! I demoni ti prenderanno!-

    Si dice che la giovane quindicenne dai lunghi capelli bruni e gli occhi castani avesse ereditato doti di visionaria da parte di madre, poiché la nonna materna era stata una sacerdotessa dell’oracolo del vento. Ivo Sponchiado aveva predetto che la piccola avrebbe sviluppato doti di veggenza con l’età e, per questo motivo, i guerrieri lì riuniti furono stupiti dalle sue parole. Il generale Osgar Trinkar considerò ciò che aveva detto la ragazzina come presagio di sventura.

    -Forse sarebbe meglio che lei restasse al castello, mio sire! Lasci che sia io a guidare il nostro esercito a Creste dei Fabbri.-

    Re Artiglio non diede peso alle parole del suo generale e si rivolse alla piccola, stringendogli le spalle. Angelia abbassò gli occhi tristi sul suo abito blu, ascoltando le parole del padre.

    -Non ti preoccupare per me, figliola cara. Sono il sovrano di Rupi dei Rapaci e da troppo tempo me ne sto qua a guardare queste montagne senza fiutare alcun pericolo. Un guerriero come me ha bisogno di prepararsi ad affrontare dei nemici di tanto in tanto, altrimenti che guerriero sarei? Credi davvero che i demoni siano così potenti da poter contrastare il tuo papà? Torna nelle tue stanze a suonare l’arpa con Airene. Non vorrai lasciare sola la tua inseparabile amica, eh?-

    Angelia se ne andò accompagnata dalla madre Luasilla verso le scale che portavano ai

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