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Favole tristi per adulti
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E-book228 pagine2 ore

Favole tristi per adulti

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Info su questo ebook

E’ una raccolta di racconti, alcuni brevi, altri più estesi tanto da poter essere definiti romanzi.

I racconti sono la spiegazione articolata ad un tema che viene proposto in un pensiero antecedente.

Il pensiero è un quesito di genere filosofico il cui scopo è dare un senso, una risposta tramite una narrazione, i cui personaggi sono di diversa entità, sia verosimili, sia astratti.

Durante lo svolgimento, forse atipico del libro, si cerca di scandagliare l’animo umano, di comprenderne le più grandi paure, le sue aspettative, la voglia di innamorarsi, la pazzia che aleggia in ognuno di noi…

L’obbiettivo del romanzo è l’analisi attenta, ma non impersonale della grande problematica umana che si chiama vita.

“la vita non è la prima porta aperta senza bussare”
LinguaItaliano
Data di uscita1 set 2012
ISBN9788867515738
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    Anteprima del libro

    Favole tristi per adulti - Barbara Guidetti

    Capitolo I

    PERCHE’

    Perché per essere felici, dobbiamo avere poche ambizioni, ma se queste sono in noi e pulsano, che fare ?

    Se gli obiettivi sono grandi, il mattino diventa un giorno in meno verso il traguardo e l’attesa agonia? Beato chi si accontenta, forse è l’amore la soluzione? Che dire?

    Anche se ci fosse la serenità dentro di noi, un amante segreto busserebbe alla mente di colui che per restare vivo, non può avere regole e non può dare nulla per scontato. Assecondarlo o uccidere queste esigenze di vita?

    Se i nostri brividi a fior di pelle, non volessero essere imbrigliati, e noi ne riscoprissimo il desiderio di trasgredire, sarebbe l’unica via di salvezza.

    Maledetta! Anima inquieta che cerchi tutto! Brami emozioni, successo, divori ciò che ti circonda come un cane con l’osso e alla fine … cerchi amore.

    Vorrei proprio sapere perché si risvegliano prepotentemente certe sensazioni o la voglia di riaverle! Forse dipende da noi, c’è chi sposa la serenità come compagna e chi la passione, o chissà.

    Racconto 1 - Il sogno -

    La panchina

    Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza ed in profondità, succhiare tutto il midollo della vita, per non scoprire in punto di morte che non ero vissuto.

    Un parco, una panchina e due anziani signori, apparentemente nulla di particolare, una situazione che ci capita di vedere in molte città. Il sole batte sul viso dei due anziani, è timido ma riesce a rendere i volti pieni di un rossore primaverile. Il giardino sembra risvegliarsi da un lungo inverno e accoglie queste prime giornate di primavera, proprio come queste due persone accolgono la vita. Forse consapevoli di quella saggezza data solo dall’età, sanno che le cose migliori accadono quando meno ce lo aspettiamo, ma soprattutto non smettono mai di accadere, non hanno età.

    Sono due amici di vecchia data che hanno affrontato la vita passo a passo, e ora, un po’ provati e un po’ soddisfatti, si studiano!

    Entrambi felici di aver vissuto ed essere oramai arrivati ad un punto in cui i sogni sono dolci, l’ansia del raggiungere obiettivi è affievolita, i corpi un po’ usurati dal passare del tempo sembrano adagiarsi in questa condizione di assopimento, restano lì a guardare dalla panchina, con i ricordi come compagni e le fatiche come dolce memoria di un tempo che li ha fatti sentire vivi.

    Hanno imparato che nella vita le scorciatoie per riuscire sono come dei boomerang: tornano indietro quando meno te lo aspetti e ti colpiscono ferendoti a morte. Hanno imparato sulla loro pelle che la paura rende prigionieri, e solo la speranza può renderci liberi, ma soprattutto hanno capito vivendo che: "Al mondo nulla di grande è stato fatto senza una grande passione".

    La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo occupati in altri progetti. Sono lì seduti, con quel pallido sole e con la loro vita nelle tasche. Che effetto fa ricordare i sogni, se questi non si sono realizzati? Loro sembrano comunque felici di quanto fatto, forse il loro bilancio è frutto di dolci ricordi, di voglia di serenità, oppure a volte la vita ci lascia veramente invecchiare sereni? Guardandoli sembrerebbero senza rimpianti, oppure la soddisfazione di non dover più lottare in quel modo così focoso e faticoso, tipico dei giovani li rende sazi di ciò che la vita ha offerto loro.

    Franco, è il nome del più chiacchierone, e Matteo, il taciturno. Come due facce complementari di una stessa medaglia, sono lì a rappresentare due modi di ricordare e di … lasciarsi ancora vivere.

    Franco è vedovo da un po’ di anni e ciò nonostante, grazie all’affetto dei nipoti, è riuscito a non abbattersi, a desiderare ancora un domani.

    Matteo invece ha ancora la sua compagna di vita e con lei ogni giorno il risveglio è facile, un caffè e il volto di chi ti ha amato anche quando la bellezza ti ha lasciato, perché è stata capace di vederti e amarti dentro, ci fa capire che la vita è davvero un dono se la si può percorrere in due per così tanto tempo.

    Qualsiasi cosa ci accada, dobbiamo avere la forza di credere in un domani, ma soprattutto di saperlo inventare, quando proprio, non ci piace.

    L’esistenza è fatta di strane linee, molte volte sono linee perfette, altre spezzate, a volte seguiamo figure geometriche ma tutto questo, doveva essere.

    Tutto quello che accade, accade per una ragione.

    La vecchiaia è per Leopardi un "male sommo", ma forse proprio nel suo modo così mansueto e calmo di approcciarsi, troviamo un senso di serenità e di attrazione. Per chi la vita è stato un turbinio d’ansie, gioie e problemi, avere la fortuna di invecchiare senza troppi rimpianti, forse è un bel modo di sentire il resto della vita senza la costante paura di non farcela, con la soddisfazione di ciò che si è diventati e con la serenità, patrimonio della saggezza, di ritrovarsi anziani e felici.

    Ogni stagione può offrire qualcosa, è nostro il compito di coglierne il frutto che ci dona, e proprio come Franco e Matteo potremo sorridere dei ricordi, gioire del presente e aspettarci ancora un non so che di quel domani, che a qualsiasi età può stupire.

    Capitolo II

    UN SENSO

    Tutto deve sempre avere un senso, un motivo, ogni azione deve essere scandita da un perché, e se non ci fosse? Vi siete mai svegliati nel cuore della notte pensando, e se fosse tutto uno scherzo, anche questa voglia insana di spiegazioni?

    Cercare e trovare, ma se quella che troviamo fosse una misera consolazione, un abbaglio della nostra mente per farci vivere … sopravvivere?

    Io penso di dare un senso alle cose, perché ho bisogno di credere che tutto significhi qualcosa, ma soprattutto di spiegare il più grosso dei misteri, la più grossa delle paure… "la morte".

    E’ proprio pensando a lei, che gli occhi si sbarrano invano, perché nulla la giustifica, non sappiamo come arriverà, né quando, ma soprattutto non ne comprendiamo il senso, se, la sua fine arriva inesorabile, senza aver dato a tutti pari opportunità.

    Forse riflettere è un male, perché fa un po’ pena, e allora corro, cerco impegni, mi creo obiettivi, che in realtà sono ancore per la mente, crediamo che finché ci sarà uno scopo a guidarci, saremo intoccabili, e la disgrazia sarà fallire… e dimentichiamo quel vuoto che lì sopito, si cela e che si chiama morte, paura! Sappiamo tutti in realtà non che chiede il permesso a nessuno, né per arrivare né per portarci via chi amiamo, ma soprattutto con un suo sguardo, con il suo alito sulla pelle ci fa sentire così piccoli, che l’unica cosa che ci resta è Dio per i più fortunati, la volontà per gli altri. Ora torno ai miei impegni, certe riflessioni è bene siano brevi.

    Racconto 2 – Una brutta bestia -

    L’inizio

    Due stanze in ospedale, due vite diverse, c’è chi qui è arrivato per scelta e chi per caso. In una notte buia con la sola luna come punto di riferimento, due ambulanze corrono d’urgenza verso l’ospedale di Melegnano. Due vite diverse ma con molto in comune, soprattutto con un destino che ha deciso di unirle, si troveranno lì a lottare in quelle stanze spoglie, fredde e che fanno una gran paura quando ci si entra soprattutto a vent’anni, quando nulla sembra poterci toccare. Inizieranno le loro nuove vite, nuove abitudini in quello strano luogo, due mali diversi da combattere, ma sempre di una brutta bestia si tratta, perché quando nel pieno della tua vita qualcosa che ti fiacca il corpo e la mente il suo nome è di poco conto una tragedia non basta a occupare le ore troppo lunghe: dopo ci vuole la farsa (I. Nievo)

    Due stanze - Due vite

    Eccoci davanti alla 108, una stanza singola, per chi ci viene come ultima speranza. Le pareti sono bianche, di un bianco così intenso da infastidire gli occhi quanto le si fissa troppo a lungo. Una poltrona di pelle un pò stropicciata è lì sola in un angolo per accogliere gli ospiti. Non vi sono quadri appesi ai muri, solo un crocifisso in legno sopra un letto moderno, di quelli classici da ospedale, con lo schienale rialzabile. Un armadio di colore non definito guarda la stanza dalla sua altezza. Qui venne ricoverata Francesca quella notte con i suoi genitori al seguito! Le sue cose vennero ordinate in quel grande armadio … troppo spazio! Dimenticavo, un bagno molto decoroso e povero era l’ultimo elemento di quel mini-alloggio. Nella 109 invece venne accolta Matilde, la stanza era speculare, variava solo il colore del grande armadio, quello era bianco.

    In queste due stanze, due vite iniziarono a confrontarsi, a lottare giorno dopo giorno con il male, con la vita, con loro stesse, ma soprattutto si chiedevano se

    valeva la pena combattere per vivere.

    Francesca ha 20 anni, due occhi marroni e capelli corti e rossi è cosi pallida e con uno sguardo cosi vuoto che sembra che nulla possa indurla più a vivere. E’ giunta nella 108 per anoressia. Falsi modelli? No, una crisi, un tremendo senso di vuoto, avere perso il sogno in cui credeva, lo scopo per cui svegliarsi ogni mattino e tutto fu un attimo, dal vuoto alla distruzione il passo fu breve.

    Matilde ha due occhi neri, capelli lunghi di un nero corvino che iniziano a diradarsi a causa delle chemioterapie, un volto emaciato dal dolore, ma un sorriso pronto per tutti. Matilde si è ammalata di cancro al ginocchio. Ha fatto più operazioni, ma non ha dovuto decidere se vivere e perdere la gamba o…

    Molte cose accomunano Francesca e Matilde, entrambe con il sogno di sfondare, Francesca con il dressage e Matilde con la danza.

    "Mai la vita diede nulla ai mortali se non a prezzo di grande fatica (Orazio)!"

    Queste due ragazze, le cui femminilità, spiccano nonostante le brutte bestie di cui erano in possesso avevano negli occhi la paura, l’angoscia di chi sa che non può vincere e forse in fondo, è dolce l’idea di arrendersi. Ma non faremo la conoscenza solo di queste due vite, avremmo anche il piacere di incontrare chi a queste due anime sofferenti, fa da cuscino, i loro genitori. Due coppie di genitori così unite dal dolore, da vegetare tra corridoio, la famosa poltrona per gli ospiti e la macchinetta del caffè.

    L’incontro

    Tra una riflessione e l’altra ci arriva in faccia la vita, così puttana e senza pietà, noi con animo debole e bisognoso di sicurezze cerchiamo un perché, una giustificazione al dolore; deve avere un senso tutto ciò, e se non l’avesse? Matilde e Francesca hanno bisogno di trovarne uno, per decidere di accettare di soffrire… perché così senza motivo, è qualcosa di impossibile da subire soprattutto a 20 anni.

    Non conta vivere a lungo, ma con felicità, la vita per alcuni, in mancanza di quest’ultima, preferiscono al vivere, il morire. C’è chi questa scelta la chiamò il "vizio assurdo"; il suicidio è stato argomento di grande dibattito fra intellettuali, filosofi e anche tra noi uomini semplici, vittime del dolore.

    Cosa faranno le nostre amiche? A vent’anni si può avere la forza di resistere a tale tentazione? Si può avere il coraggio di vivere con il dolore come compagno di viaggio? Si può avere la grinta di abituarsi al male? Si può vivere a vent’anni senza la speranza di un domani?

    Queste domande forse anche noi qualche volta le abbiamo sentite nostre, ma l’importante non è la risposta che abbiamo dato loro, ma l’intensità e la convinzione con cui abbiamo fatto ogni scelta, perché a volte non c’è la possibilità di avere rimpianti. La malattia è il prezzo che l’anima paga per l’occupazione del corpo, come un inquilino paga l’affitto per l’appartamento che occupa.

    I primi giorni di degenza non furono facili, perché entrambe in gravi condizioni, rimasero a letto senza potersi alzare per cercare di vivere. A Francesca fu fatta una dialisi perché aveva i reni molto malati e danneggiati e Matilde fu sottoposta ad una serie di chemioterapie e trasfusioni. I dottori lottarono disperatamente per strapparle alle morte e… così fu. Francesca si ritrovò in vita, debole, ma con la possibilità di curarsi, di lottare contro l’anoressia. Matilde poteva anche sperare di sopravvivere a quel cancro. I giorni passarono, le cure a qualcosa servirono, le analisi di entrambe dettero i primi segni di miglioramento tanto da poterle fare uscire dalla stanza. Una piccola conquista che però permise il loro incontro. Questo fu forse l’evento più importante per le loro vite. Troppo deboli entrambe per girare e muoversi sulle proprie gambe, anche se per motivi differenti, iniziarono ad affrontare la loro vita in ospedale in carrozzina, spinte dalle loro fedeli compagne di viaggio e di lotta, le mamme.

    La mamma di Francesca una signora dal viso dolce e rassicurante, ma con una grande grinta e disperazione allo stesso tempo che le muovevano ogni passo da un po’ di tempo, portò finalmente a fare un giro sua figlia, capace e in grado di staccarsi dai vari tubi. Così fece anche la mamma di Matilde e davanti alla famosa macchina del caffè le quattro donne si incontrarono. Entrambe presero un caffè, e con quella tazzina, anzi squallido bicchiere di plastica, iniziarono a guardarsi. Sembrarono attratte l’una dall’altra. Francesca cercava di carpire ogni traccia di dolore sul corpo di Matilde quasi come una consolazione. Matilde vedeva in Francesca la stessa rabbia, la stessa paura. Qualcosa di orribile le univa, e stranamente fu il miracolo.

    A volte il dolore e la sofferenza ci isolano dal mondo, poiché la nostra società considera il male come un fatto da nascondere, da evitare. Ma lì in quel luogo dove il dolore era sovrano, cercare complicità era quasi facile e la magia è proprio capire che non siamo soli. Quel giorno le due ragazze non dissero nulla, la stanchezza era tanta, anche l’animo era fiacco, e il conversare poteva essere difficile perché volevano chiudere con il mondo, e senza il loro permesso è stato rimesso tutto in gioco. Francesca avrebbe voluto morire, la sua vita, la sua seconda possibilità non era stata una sua scelta. Matilde? Era stufa di soffrire.

    Il mattino, in ospedale arriva presto, era una cruda lotta, l’unica salvezza di noi esseri umani, erano quelle piccole misere abitudini, che ovunque riusciamo a creare: lavarsi, poi un caffè, un giornale e così via un fitto elenco di nulla!

    Una pagina

    Qualche giorno dopo, Francesca prese una penna e scrisse una frase da portare

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