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Progetto 7
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E-book166 pagine2 ore

Progetto 7

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Info su questo ebook

Teresa, 19 anni e una fobia che la costringe a vivere in una stanzetta di 12 metri quadrati in un Istituto per bambini e adolescenti speciali. Non le mancano però impegno e forza di volontà che, tra sofferenze quasi violente, le fanno assaporare il mondo non più di quarantanove minuti al giorno. All'inizio di una delle tante settimane trascorse nell'Istituto, Teresa decide di dare il via al suo progetto, quello di trascorrere per sette giorni, fuori dalla cattività che si è autoinflitta, i suoi quarantanove minuti...
LinguaItaliano
Data di uscita12 ott 2015
ISBN9788867931880
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    Anteprima del libro

    Progetto 7 - Paola Sensi

    © Edizioni SENSOINVERSO

    Collana AcquaFragile

    www.edizionisensoinverso.it

    ufficiostampa@edizionisensoinverso.it

    Via Vulcano, 31 – 48124 – Ravenna (RA)

    ISBN 9788867931880

    1° edizione – Agosto 2015

    © 2015 - Copyright | Tutti i diritti riservati

    Sensoinverso - P.I. 02360700393

    Creazione e impaginazione eBook | http://creoebook.blogspot.com

    Paola Sensi

    PROGETTO 7

    A Luca, che con il suo amore,

    ispira ogni mia giornata

    Vorrei presentarmi da sola se fosse possibile

    La stanza è in una totale penombra. Gli oggetti formano lunghe ombre nel pavimento, come giganti buoni che si lasciano calpestare da piedi incuranti di loro. La polvere, sicuramente depositata su ogni cosa, vista la luce fioca, non si vede, ma se ne può sentire l’odore, odore di muffa misto a odore di vecchio, come quegli armadi che contengono ricordi, ma che si aprono di rado, o per paura del passato o per non fare scappare via nemmeno un attimo di ciò che, se lasciato andare, forse non tornerebbe. Lei è stesa sul letto, in posizione supina. Le braccia sono conserte come se stesse dicendo bugie. I suoi occhi sono aperti, fissi nell’unico punto del soffitto dove c’è una goccia di luce. Sembra aspettare con pazienza il tic di quella goccia che, se cadesse, andrebbe a bagnare esattamente la punta dell’alluce del suo piede destro. Ma quella goccia non cadrà, anche se lei sembra esserne convinta. In realtà in quella stanza tutto è statico. Anche lei sta per lo più immobile, o si limita a fare piccoli movimenti, che la spostano dal letto alla sedia girevole della scrivania, o che le permettono di sfogliare piano pagine di libri che la sua mente conosce a memoria, ma che le raccontano un mondo che lei non vive, se non attraverso cose scritte che non le fanno paura.

    Ha diciannove anni. Il suo nome è Teresa e la sua pelle profuma di rosa.

    Vorrei presentarmi da sola se fosse possibile. La sua voce leggera fa un’eco strana fra le quattro pareti della stanza tinte di un azzurro tenue. Tutto sembra, per un attimo, danzare al suono di quelle sette parole, messe in fila da una bocca crepata dal bere poco. La bottiglia dell’acqua portata dalla signorina la sera precedente è ancora sigillata, come gli scuri delle finestre, del resto, che stanno facendo una lotta all’ultimo sangue con i raggi di un sole primaverile che non vuole perdere quella battaglia.

    Vorrei presentarmi da sola se fosse possibile. Come un disco incantato Teresa ripete la frase. Il tono è lo stesso, non più incalzante o ansioso di essere ascoltato. Ma dolce. Quasi intimorito, sottile a tal punto da andarsi a insinuare nelle piccole crepe del muro o nelle orecchie di chi un giorno ascolterà quel nastro.

    Mi chiamo Teresa. Ho diciannove anni. Vivo in una stanza di dodici metri quadrati con due finestre grandi, che però non vengono sfruttate abbastanza. Ho paura di tutto. Dell’aria. Della luce. Dei suoni forti. Ho paura di tutto. Non so se la mia è una malattia, e se sì, non ne so il nome. Vivo in questa stanza da sempre. All’interno di un istituto dove ci sono bambini difficili, che poi diventano, come me, adolescenti ancora più difficili. Credo di essere nata qui. Sotto il tavolo della scrivania che sta a destra del mio letto. Lì la moquette è più consumata, come se il sedere di una donna ci avesse sfregato sopra tante e tante volte, quante possono essere le contrazioni di un parto. C’è anche una macchia che non vuole venire via, che rende la tappezzeria più scura, come se del sangue l’avesse sporcata. Come se qualcuno l’avesse lasciato seccare troppo. Forse la signorina non è passata con il secchio e lo straccio quando ancora era possibile pulire. Forse aveva le mani impegnate da una neonata strillante che stava nascendo sotto un tavolo… non è cavolo, come nelle fiabe. Ma un’iniziale ha così tanta importanza?

    Mentre il nastro gira, Teresa senza fare nessun rumore si è spostata dal letto alla sedia di quella stessa scrivania. La goccia di luce ha cambiato la sua traiettoria e ora si trova esattamente sulla sua testa, illuminandole capelli neri come la pece. Per un po’ vengono registrati silenzio e respiro. Un respiro tranquillo. Difeso da una stanza che è casa, angolo sicuro, nido di un uccello bellissimo nato senza ali.

    Quindi sono nata qui continua Teresa. O se non sono nata qui faccio finta che questa sia la realtà, visto che non ne conosco un’altra. Vivo in questo istituto da diciannove anni. Quindi da sempre. Ma non sempre chiusa in questa stanza. Solo da sette anni. Da quando mi sono venute le prime mestruazioni. Credo che la vista del sangue che fuoriusciva dal mio corpo mi abbia fatto ammalare di paura. Nessuno mi aveva detto che poteva succedere. Nessuno mi aveva preparato a questo. E io per una notte intera ho creduto di morire, perché le mani non riuscivano a fermare tutto quel sangue che sembrava rosso, troppo rosso nel bianco lenzuolo del mio letto. Ho scoperto che diventare grande era anche questo e che questo era normale. Peccato che l’abbia scoperto troppo tardi, quando tutto per me non era più normale. Quelle otto ore accompagnate dal terrore di morire dissanguata mi hanno resa piena di paura … o mi hanno irrimediabilmente lesa. Sì, forse un’iniziale ha davvero molta importanza!

    Il suo dito indice preme il tasto di stop. Non beve da ore. È arrivato il momento di aprire quella bottiglia. Parlare le secca la gola. Pensare no. Pensare, immaginare, fantasticare le riempie i polmoni di ossigeno, come se fosse in cima a una montagna dove l’aria è purissima e dove respirare le fa girare la testa. L’acqua, per la prima volta da anni, le sembra avere un sapore buono. Forse è solo l’adrenalina di iniziare il suo progetto che le rende tutto più gradevole. Non si sa rispondere e si limita a bere un lunghissimo sorso.

    Silenzi dalle ginocchia sbucciate

    Toc toc. Senza aspettare un avanti la porta si apre. La signorina entra con in mano il vassoio della colazione. Tazza di latte e cereali, come ogni mattina, domenica a parte. Quindi non è domenica. Teresa riconosce solo quel giorno della settimana. Quando vede sul vassoio sette biscotti alla cannella e una tazza di tè fumante al gelsomino sa che è domenica. Da lì conta mentalmente i giorni per rimanere incollata a una realtà che non sa vivere, ma che tanto la incuriosisce.

    Buongiorno Teresa, dormito bene? domanda la signorina con voce amorevole, mentre appoggia il vassoio sul comodino a fianco del letto, spostando un po’ la bottiglia d’acqua ora piena a metà.

    Ho sognato molto, quindi mi sento un po’ stanca, ma bene. Magari eviterò di strapazzarmi troppo oggi di modo da recuperare un po’ di forze, cosa ne dici?

    Sempre ironica tu, eh! Non so come fai stupida paurosa a ridere ancora, non so proprio come fai. E mentre lo dice la mano della signorina le accarezza il viso, pallido e bellissimo. Buon appetito, finisco il giro. Tu fai la brava e cerca di aprire un po’ quelle finestre per qualche minuto, c’è un odore di chiuso insopportabile. Vedrai che per qualche minuto non ti succederà niente.

    La porta si richiude e al tonfo Teresa è più tranquilla.

    Qualche minuto, pensa. Lei lo sa che qualche minuto non fa nulla. Qualche minuto è il suo grande risultato. Ogni anno lei è riuscita a conquistare sette minuti di vita vera, che oggi fanno un totale di quarantanove minuti al giorno. Teresa ora riesce a star fuori dalla sua stanza quarantanove lunghissimi minuti. Non sempre li sfrutta però. Spesso si perde fra i libri, spesso preferisce evitare quella libertà che ancora è violenza fisica e mentale e se ne resta lì, nella sua stanza, dove riesce a non avere paura. Quella mattina però decide di seguire il consiglio della signorina, visto che all’improvviso l’odore di muffa le attanaglia le narici. Apre le finestre, anche se non completamente. Siamo quasi alla fine di maggio e il sole è uscito da poco dal letargo invernale, ed è troppo invadente per dargli il giusto spazio. Ma gli scuri vengono schiusi abbastanza da preannunciare la fine di una battaglia alla pari. I raggi, illuminando la camera, accorciano le ombre dei giganti buoni. Teresa porta il cucchiaio alla bocca e per un po’ l’unico suono che si sente è lo scronc lento dei cereali masticati da denti che vorrebbero addentare il tepore di quella luce. Ciò che le fa paura, infatti, è ciò che più le piace, ma nonostante questo si dà un colpo coi piedi, di modo che la sedia con le ruote su cui è seduta la porti in un angolo più buio della stanza. Dopo esattamente sette minuti, bevuto l’ultimo sorso di latte, riavvicina gli scuri e respira profondamente.

    C’è un orologio a pochi metri da lei, appeso al muro, ma Teresa raramente lo guarda. È come se avesse un timer inserito dentro al corpo. È come se il battito del suo cuore scandisse i secondi, tenendone il conto. Questa cosa deve averla sviluppata con la solitudine. Si contano tante cose per farsi compagnia, si contano le pecore per addormentarsi o si contano i minuti per non sentirsi troppo soli. E il sette è da sempre il suo numero preferito. Sette minuti di luce, sette minuti all’anno di vita, sette anni in cui è stata capace di sopravvivere. Ma il sette è un numero stanco. È un piccolo gobbo con spalle ricurve di fatica. E Teresa oggi è sfinita dal suo mondo fatto di niente. La sua schiena è curva come il sette che tanto le ha fatto compagnia in tutto questo tempo. Dopo sette lunghi anni, il suo progetto può quindi avere inizio.

    Ho fatto colazione. Anche nutrirsi è importante. Devo essere in forze per tutta la prossima settimana. Oggi mi sembra venerdì, ma non ne sono sicura, potrebbe essere anche sabato. Le campane suonano in entrambi i giorni. Aspetterò la signorina col vassoio di domani per sapere che giorno è davvero, tanto non c’è fretta. Mi sento abbastanza pronta. Da lunedì posso dare inizio al mio progetto che finirà domenica. Tutto ciò che inizia deve avere una fine e io ho deciso che il giusto tempo per me sono sette giorni. Per quei sette giorni vivrò i miei quarantanove minuti fuori di qui.

    Per un attimo la voce si spezza. Ma il microfono del registratore è abbastanza vicino alla sua bocca per aver captato anche quel fuori di qui simile a un sussurro. Teresa si schiarisce la gola con un nervoso colpo di tosse e la sua voce è di nuovo ferma, sicura, indubbiamente consapevole di ciò che l’aspetta.

    Non ho ancora deciso ogni posto dove andare. Ci ho pensato tanto. I libri mi hanno messo curiosità di infinte cose, ma ho sette giorni mica una vita! Però sarà la mia vita, saranno i miei sette giorni, per cui devo scegliere bene, seguendo l’istinto. Ogni mattina sono sicura che dopo essermi lavata i denti, il mio sguardo scriverà sullo specchio il posto giusto dove andare. E io andrò lì, lasciando a casa la paura, tentando di lasciare a casa la paura, ma in ogni caso, paura o no, io ci andrò lo stesso. È troppo tempo che lo aspetto e so che adesso posso farcela. I sette anni sono scaduti due settimane fa e io ho rimandato fino a oggi. Ma ora basta. Il nastro sta registrando quindi non posso più tirarmi indietro. E poi sono riuscita a convincere la signorina che è giusto lasciarmi uscire da sola. Lei avrà più paura di me, ma sa che mi farà bene e poi le ho promesso che alla fine io sarò felice.

    Non sa se la

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