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Deliri Psichici
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E-book214 pagine2 ore

Deliri Psichici

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Info su questo ebook

Johan Marvin è a capo della polizia investigativa della città di Tampa, Florida. Per risolvere un caso intricato si affiderà al brillante intuito del suo agente Daniel Cooper e all' acuta analisi psicologica della sua carissima amica Liz Williams. Tra i due giovani collaboratori non sarà di certo amore a prima vista. Ma, proprio quando la vita della stessa Liz verrà messa in pericolo dalle ombre del proprio passato, il poliziotto non esiterà nemmeno un istante a giocarsi il tutto e per tutto per riuscire a salvarla. Riuscirà ad arrivare in tempo?
LinguaItaliano
Data di uscita22 giu 2012
ISBN9788867511181
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    Anteprima del libro

    Deliri Psichici - Elisa Avesani

    Elisa Avesani

    DELIRI PSICHICI

    Youcanprint Self - Publishing

    Copyright © 2012

    Youcanprint Self-Publishing

    Via roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    Tel. 0833.772652

    Fax. 0832.1836533

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Titolo : Deliri Psichici

    Autore : Elisa Avesani

    Immagine di copertina | © lassedesignen - Fotolia.com

    ISBN: 9788867511181

    Prima edizione digitale 2012

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941

    Dedicato a tutte le persone

    che amo e che

    mi sostengono sempre,

    in ogni momento.

    A voi, un sentito grazie.

    Topino sarai

    sempre con me.

    I’ll love you always.

    INDICE

    PREFAZIONE

    CAPITOLO I

    CAPITOLO II

    CAPITOLO III

    CAPITOLO IV

    CAPITOLO V

    CAPITOLO VI

    CAPITOLO VII

    CAPITOLO VIII

    CAPITOLO IX

    CAPITOLO X

    CAPITOLO XI

    CAPITOLO XII

    CAPITOLO XIII

    CAPITOLO XIV

    CAPITOLO XV

    CAPITOLO XVI

    CAPITOLO XVII

    CAPITOLO XVIII

    CAPITOLO XIX

    CAPITOLO XX

    CAPITOLO XXI

    CAPITOLO XXII

    CAPITOLO XXIII

    CAPITOLO XXIV

    CAPITOLO XXV

    CAPITOLO XXVI

    CAPITOLO XXVII

    CAPITOLO XXVIII

    CAPITOLO XXIX

    CAPITOLO XXX

    CAPITOLO XXXI

    CAPITOLO XXXII

    CAPITOLO XXXIII

    CAPITOLO XXXIV

    CAPITOLO XXXV

    CAPITOLO XXXVI

    EPILOGO

    RINGRAZIAMENTI

    PREFAZIONE

    Era lei. Ne era sicuro. Aveva attraversato un’ infinità di città diverse per trovarla, ed ora eccola lì. Forse non si sarebbe mai ricordata di lui, ma di certo tra non molto i loro destini si sarebbero incontrati. Di nuovo. In passato aveva mandato dei sicari a cercarla eppure, uno ad uno, tutti avevano fallito ed era mancato poco che si fossero anche fatti scoprire. Sempre meglio lavorare per conto proprio. Oh, merda. Non ci voleva. Ancora quell’ uomo. Chissà, forse potrebbe rappresentare un intralcio per lui. Pazienza. Verrà eliminato molto presto. Come gli altri, del resto. Dovrà solo aspettare il momento opportuno. Dopodiché il suo piano verrà portato a termine. Finalmente.

    CAPITOLO I

    Quella sera il locale era gremito di gente. L’agente Johan Marvin cominciò a fissare pensieroso il bicchiere semivuoto di whisky che stringeva tra le mani. Al suo fianco era posata una cartelletta nera con la scritta Caso n.684. La aprì e dalla medesima ne estrasse un blocco di fotografie che erano state scattate dalla scientifica alcune ore prima. Una donna con la gola sgozzata e gli occhi fuori dalle orbite. Schizzi di sangue ricoprivano il pavimento della stanza. Odio questo lavoro, pensò. La vittima si chiamava Petra Linder. Ventiquattro anni, capelli biondi, occhi color nocciola. Era una studentessa modello o, perlomeno, così sembrava apparentemente. Dopo aver indagato tra le sue amicizie, Johan aveva scoperto che la ragazza di notte si esibiva in un night club per cercare di guadagnare quel poco che bastava per riuscire a pagarsi l’appartamento dove alloggiava e le corrispettive tasse universitarie. Venne ritrovata quella stessa mattina da un’inserviente in una delle stanze adibite a privè, dove aveva trascorso la notte con un certo Mill Steiner, trentotto anni, avvocato, che si trovava in viaggio per lavoro. Lui stesso ha ammesso di aver goduto della sua compagnia durante la notte, ma ha anche affermato di aver lasciato il locale prima che la giovane si svegliasse. Avrebbe avuto appuntamento con un cliente. Il suo alibi non è ancora stato confermato. Johan pensò che la somiglianza tra il caso odierno e quello di Penny Creek fosse notevole. Una donna di trentacinque, disoccupata, madre di due bambini di tre e sei anni, ritrovata morta nella stanza di un appartamento semivuoto nelle vicinanze di Twiggs Street. Il suo cadavere era stato riscoperto con il ventre aperto in due e gli occhi fuori dalle orbite. Le uniche tracce rinvenute sulla scena del delitto ricondussero a Jeff Rogers, diciotto anni appena compiuti. Dopo che lei gli offrì un servizietto, lui abbandonò l’ appartamento e, di fronte agli inquirenti, spergiurò che questa fosse stata ancora in vita quando rinchiuse la porta alle proprie spalle. Nessuno poté confermare l’alibi del ragazzo per quel giorno, in quanto lo stesso aveva dichiarato di essersi fermato quell’ intero pomeriggio a sniffare coca dietro il cespuglio di un parco. Venne sbattuto direttamente in galera. Entrambi i sospettati hanno un alibi indubbio. Nessuna delle parti è collegata tra loro da rapporti familiari, di amicizia o lavorativi. Le vittime, per mantenersi da vivere, praticavano la prostituzione. Nessuna traccia di persone estranee nei luoghi dell’avvenuto decesso. Un coltello comune da cucina potrebbe essere l’arma utilizzata dall’assassino in entrambi gli omicidi. No, non può essere una coincidenza, rifletté, tra se, Johan. In quel medesimo istante, il suo telefono squillò.

    «Agente Marvin.»

    «Ciao, Johan. Sono Liz. Come stai?»

    «Capiti al momento giusto. Avevo proprio bisogno di te.»

    Dopo aver chiuso la telefonata, Johan pagò il conto al cameriere di turno ed uscì. Passò dinanzi a una vetrina e si soffermò ad osservare la propria immagine riflessa allo specchio. Beh, non sono poi così vecchio, pensò. Aveva quarantacinque anni, i capelli brizzolati, un divorzio alle spalle, un figlio di quattordici anni che non lo sopportava e una soddisfacente carriera in polizia che lo aveva portato, qualche anno prima, a prendere le redini della Squadra Omicidi della città di Tampa, Florida. Pensò a Liz. Ogni volta che le parlava si sentiva ringiovanire. Era una bella sensazione. Provava nei suoi confronti un inesprimibile affetto. Era la sua migliore amica, certo, ma con lei aveva adottato un atteggiamento quasi paterno. Ricordò il loro primo incontro qualche mese prima, quando quel giorno si ritrovò a sorseggiare in un bar quello che avrebbe potuto considerare come l’ ultimo whisky della sua vita. Guardandosi attorno, notò che dietro uno dei tavoli una coppia di fidanzati era in procinto di litigare animatamente. Ad un certo punto il ragazzo si alzò in piedi ed inflisse un sonoro schiaffo sul viso della propria fidanzata, che subito scoppiò in un pianto sommesso. Tutti i presenti si voltarono ad osservarli, ma prevalse l’ ignara indifferenza e nessuno di loro decise di intervenire a difesa della giovane. Nessuno, a parte Liz. In un lasso di tempo il giovane venne riempito di botte prima di essere scaraventato contro il bancone del bar. Quando l’ambulanza arrivò, si constatò che lo stesso si ritrovava ad avere due costole rotte, un ematoma all’occhio destro e un naso plurisanguinante. Johan si limitò ad abbandonare, con disinteresse, il locale. Si indirizzò a passi lenti verso il ponte del Beneficial Boulevard, stringendo tra le tasche la propria pistola. Una volta giunto sul posto, si soffermò a rimirare un piccolo battello che stava cercando di attraccare all’ interno del porto. Una lieve brezza marina lo fece rabbrividire. Pensò che fosse giunto il momento di lasciarsi andare.

    «Ehilà!»

    Una voce alle sue spalle lo fece voltare di getto. Era la ragazza del bar.

    «Cosa vuole?» - le chiese.

    «Niente, mi chiedevo solamente se avesse bisogno di una mano.»

    «Io non ho bisogno di niente, in questo momento. La prego, se ne vada!»

    «Posso offrirle un bicchierino di whisky?» - replicò lei, a un certo punto.

    Quel quesito aveva, improvvisamente, avuto l’effetto di ridestare l’ attenzione di Johan. «Ehi, come fa a sapere che…»

    «…Capire la gente fa parte del mio lavoro.» - lo interruppe Liz - «Sono una psicologa. Beh, a parte questo, in realtà, ho avuto modo di osservarla a lungo in quel bar. Giornata triste, vero? Se le va possiamo parlarne. Deve sapere che il suicidio non è mai l’unica via d’uscita.»

    Johan si chiese come quella donna fosse riuscita ad afferrare così bene le proprie intenzioni. In effetti, quel giorno, lui era uscito di casa con un intento preciso. Era da un po’ di tempo che quel pensiero gli balenava la mente. Voleva farla finita. Niente più immagini di persone uccise, niente più delusioni matrimoniali. Un unico colpo, e tutto sarebbe finito. Dopo solo poche ore dal loro incontro, però, Liz gli aveva fatto tornare la voglia di vivere. Gli aveva fatto credere che la vita meritava di essere vissuta fino in fondo. A nessuno importava mai dei suoi problemi. Lei, al contrario, in poche ore era riuscita a rimarginare le ferite della sua anima. Quel giorno, dinanzi a un bicchierino di whisky, continuarono a parlare, a parlare, e parlare. Le ore lasciarono spazio ai giorni, e i giorni divennero mesi. Sorrise, ripensando a quei ricordi, e si incamminò a passo spedito verso casa, conscio che il mattino seguente l’avrebbe rincontrata.

    CAPITOLO II

    All’imbrunire dell’alba Johan si alzò, indossò i primi abiti che gli capitarono tra le mani e, dopo aver trangugiato rapidamente un biscotto e bevuto un sorso d’acqua, mise in moto l’auto e si diresse verso il proprio ufficio. L’ intero edificio, un immenso grattacielo di dieci piani, sovrastava l’intera Tampa e la vista, da lassù, era tutt’altro che spettacolare. Una volta varcata la soglia d’ingresso del quinto piano, un forte aroma di caffè gli pervase le narici.

    «Giorno Johan.»

    «Giorno Eric.»

    Eric Fring era un giovane sulla trentina, capelli biondi, occhi azzurri, fisico scolpito. Il sogno proibito di ogni donna se non fosse per il fatto che Eric, le donne, le amava tutte, indistintamente. La sua storia più lunga non era durata altro che qualche misera settimana.

    «Novità sul caso?» - chiese Johan.

    «Sì, qualche novità c’è.» – rispose Eric, stringendo tra le mani una tazza fumante di caffè - «Il cliente che Mill Steiner avrebbe dovuto incontrare ieri mattina aveva disdetto l’appuntamento la sera precedente quindi il nostro uomo, ora, si trova in guai molto seri. In aggiunta, è appena arrivato il resoconto dell’autopsia da parte del medico legale…»

    «…E l’arma del delitto…indovina un po’…è proprio un coltello da cucina.» – rispose Tea Peterson, da dietro le sue spalle.

    Quella mattina indossava un top color rubino che, abbinato ad una succinta minigonna nera, la rendeva maledettamente sexy. Il prossimo mese avrebbe compiuto trentacinque anni, ma aveva il fisico di una ragazzina di venti. Tea aveva un figlio di quattro anni, Bob. Il padre non si era più fatto vivo con lei da quando gli aveva comunicato di essere rimasta incinta.

    «Me l’aspettavo.» – rispose Johan - «Il caso presenta una similitudine con l’omicidio di Penny Creek. Interrogate ancora una volta l’indagato. Usate anche metodi forti, se necessario. Voglio sapere esattamente quali sono stati i suoi spostamenti. Inoltre, riesaminate il fascicolo del primo omicidio e trovatemi delle analogie con l’ultimo caso. A proposito, dov’è finito Daniel?»

    «E’ tornato a riesaminare la scena del delitto, capo.» – rispose Eric.

    «Bene, almeno uno di voi che si dà da fare di prima mattina. Sappiate che mi assenterò per qualche ora. Chiamatemi, in caso vi fossero aggiornamenti sul caso. Forza, al lavoro!»

    Johan uscì a passo spedito dall’edificio, individuò la propria auto e un attimo dopo si ritrovò dalle parti di Herman Massey Park. Aveva appuntamento da Tiffany’s, un elegante e grazioso snackbar all’angolo tra Tyler e Marion Street.

    «Buongiorno.» – lo accolse Liz, dopo avergli offerto un caloroso bacio sulla guancia.

    «Buongiorno a te. Purtroppo oggi avrai del lavoro extra da sbrigare.»

    «Non importa, Johan. Mi fa sempre piacere aiutarti. Sai che le consulenze sono sempre state il mio forte.» – rispose lei, sorridendo.

    Johan ricambiò il sorriso, dopodiché estrasse da una valigetta di pelle marrone un plico di fogli riguardanti i rapporti sul caso e glieli porse. Liz iniziò minuziosamente ad esaminarli. Nel frattempo, il telefono dell’agente cominciò ripetutamente a squillare: era Daniel.

    CAPITOLO III

    Daniel Cooper si era svegliato molto presto quella mattina. Aveva afferrato la sveglia posta sul comodino e, osservando l’ora, aveva sbuffato: solo le tre e diciotto del mattino. Si era ritrovato per l’ennesima volta a sognare Stacey, così ora non sarebbe più riuscito a chiudere occhio, ne era sicuro. Quel ricordo passato lo fece imbestialire, perciò decise di scaricare la tensione che in quel momento provava in corpo concedendosi una corsa liberatoria nel bel mezzo della notte. Stacey Orton era la sua ex ragazza. Dopo tre anni di fidanzamento, lui le aveva chiesto di sposarla e lei aveva accettato. Ma poi la stessa aveva deciso di abbandonarlo all’altare il giorno stesso del loro matrimonio, dietro lo stupore generale di amici e parenti. Non provava più amore nei suoi confronti, ma solo semplice affetto. Così gli disse, dopo che lui le aveva chiesto spiegazioni a riguardo. Era trascorso un anno, ormai, eppure Daniel non riusciva a rassegnarsi. Aveva solamente ventisette anni, sapeva di essere piacente e non aveva mai avuto troppa difficoltà a conoscere donne. Ma queste parevano non interessargli più. Eric, che per lui era più un amico che un collega di lavoro, si era sforzato per un periodo di organizzargli delle uscite, ma aveva ben presto gettato la spugna. Daniel aveva sempre avuto un animo sensibile e romantico, ma dopo quell’ avvenimento decise di cambiare drasticamente il proprio atteggiamento nei confronti dell’altro sesso. Diventò sarcastico, pungente e cinico con ogni donna che aveva avuto modo di incontrare. Nessuna, per il momento, sembrava interessarlo. Erano tutte così superficiali, ordinarie e banali. Lui cercava una donna, sì, ma con la D maiuscola. E, per il momento, si accontentava di relegare la sua frustrazione svolgendo il proprio lavoro con dedizione, diligenza e caparbietà. Sapeva di essere bravo. Era stimato dai colleghi e, soprattutto, elogiato dal proprio capo. Si prospettava per lui una brillante carriera. Mentre correva, si trovò a ripensare al caso di Petra Linder. C’era qualcosa che non quadrava in quella stanza d’albergo, ne era certo. D’improvviso, si bloccò di colpo. Aveva capito il nesso e, per provarlo, doveva solamente volgere un’ ultimo sguardo alla scena del delitto.

    L’auto sfrecciava a velocità moderata lungo la strada. A bordo, una famigliola felice. Il guidatore era un uomo sui venticinque anni, castano, con il pizzetto. Indossava una divisa dell’esercito. Al suo fianco, una donna della medesima età, con i capelli neri e un vestitino blu, era intenta a ricercare una stazione radio di suo gradimento. Dopo qualche breve istante, le note di Heaven di Brian Adams pervasero l’abitacolo ed entrambi cominciarono a cantare. Nel frattempo, sui sedili posteriori, una bambina di circa quattro anni era intenta a giocare con la sua bambola preferita. D’improvviso, l’auto cominciò a sbandare, perdendo contatto con l’asfalto, ed intraprese la sua libera discesa verso il precipizio sottostante. Urla, grida, morte. La bambola si chiamava Kitty.

    Liz si svegliò di soprassalto. Aveva il battito cardiaco accelerato e alcune gocce di sudore le permeavano la fronte. Si incamminò in direzione della cucina, prese un bicchiere dal lavabo e si versò un goccio d’acqua, che bevve tutto d’un fiato. Per rilassarsi decise di spostarsi in salotto per saggiare quel nuovo libro di psicologia, preso in prestito dalla biblioteca qualche giorno prima. Ma la sua mente era altrove. Così, fece quello che le era

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