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Il cacciatore (eLit): eLit
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E-book410 pagine5 ore

Il cacciatore (eLit): eLit

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Info su questo ebook

L'unione di Kate e Richard sarebbe perfetta se soltanto riuscissero a coronare il loro sogno: avere un bambino. E quando, finalmente, stringono tra le braccia la piccola Emma, la figlia adottiva che hanno tanto desiderato e atteso, non sanno che quel momento di intensissima gioia sarà invece l'inizio di un terribile incubo. Kate e la sua bambina verranno coinvolte in una cupa spirale di follia, braccate da un killer di professione, un uomo determinato a uccidere in nome di un suo morboso ideale di fedeltà e purezza...
LinguaItaliano
Data di uscita29 dic 2017
ISBN9788858979563
Il cacciatore (eLit): eLit
Autore

Erica Spindler

Prolifica autrice di noir, ha ricevuto numerosi riconoscimenti e scala sempre la classifica dei bestseller del New York Times, aggiudicandosi i primi posti .Harlequin Mondadori ha pubblicato Gloria, Farfalle, I sogni di Red, Il cacciatore, Angelo nero, Collezionista di anime, Il grande freddo, Jane deve morire, Sette, Giochi pericolosi e Rosa Shocking.

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    Anteprima del libro

    Il cacciatore (eLit) - Erica Spindler

    Prologo

    Washington D.C., 1998

    L'elegante quartiere residenziale era addormentato. Neppure una luce brillava nell'isolato di costose villette singole. L'unica illuminazione proveniva dai lampioni stradali e dalla luna. L'aria novembrina era gelata, umida, e odorava di corruzione.

    L'inverno era arrivato.

    John Powers salì gli scalini dell'entrata principale della sua ex amante. Procedeva con decisione, ma senza rumore. I suoi movimenti erano quelli di un uomo la cui vita dipendeva dal non essere notato. Vestito completamente di nero, sapeva di sembrare più un'ombra che un essere umano, una specie di spettro nell'oscurità.

    Raggiunto il portico, si chinò per prendere la chiave di casa da sotto il grande vaso di pietra a destra della porta. In primavera e in estate il vaso era stato colmo di fiori dal profumo dolce, vivacemente colorati. Ma ora quei fiori erano morti, gli steli e le foglie rimaste erano rinsecchiti e anneriti dal freddo. Come per tutte le cose viventi, il loro tempo era venuto e passato.

    John infilò la chiave nella serratura e la girò. Il chiavistello scattò. Spinse la porta e mise piede all'interno. Troppo facile. Considerando la serie di uomini che erano passati per quella porta nel corso degli anni, usando la stessa chiave, nascosta nello stesso posto, c'era da stupirsi che Sylvia non avesse deciso di essere un po' più prudente.

    Ma già, la riflessione non era mai stata il suo forte.

    John chiuse silenziosamente la porta dietro di sé e si fermò un momento in ascolto, approfittando di quei pochi secondi per valutare quante persone c'erano in casa, e se e dove stavano dormendo. Dal soggiorno alla sua destra proveniva il ticchettio regolare dell'orologio antico sulla mensola del camino, e più oltre, dalla camera da letto, il sonoro russare di un uomo profondamente addormentato. Un uomo che probabilmente aveva bevuto troppo. Un uomo che senza dubbio era troppo vecchio e arrugginito per passare una serata con la sempre vivace e a volte scatenata Sylvia.

    Peggio per lui. Avrebbe dovuto rimanere con la sua grassa, affidabile moglie e i loro ingrati, stolidi figli. Avrebbe presto subito le conseguenze di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

    Si diresse verso la camera da letto, estraendo la pistola che portava dietro la schiena, alla cintura dei jeans neri. L'arma, una calibro 22 semiautomatica, non era molto potente, in compenso era piccola e leggera e, a breve distanza, assolutamente efficace. John l'aveva comprata, come tutte le sue armi, di seconda mano. Quella notte, avrebbe riposato in fondo al Potomac.

    Entrò in camera di Sylvia. La coppia stava dormendo. Il letto era in disordine, le lenzuola attorcigliate attorno ai loro corpi. Nel chiarore del raggio di luna che cadeva sul letto spiccava il seno sinistro di Sylvia, pieno, rotondo e candido come il latte.

    John si avvicinò al lato dove dormiva l'uomo. Appoggiò la canna della pistola sul petto, in corrispondenza del cuore. Il contatto diretto serviva a due scopi: avrebbe soffocato il rumore dello sparo e assicurato un lavoro rapido e pulito. Un professionista non correva rischi.

    Premette il grilletto. L'uomo spalancò gli occhi di colpo, il suo corpo si contorse sotto l'impatto della pallottola. Ansimò, cercando di prendere fiato, ed emise un suono gorgogliante quando il sangue e l'aria s'incontrarono.

    Sylvia si svegliò immediatamente. Balzò a sedere, e il lenzuolo cadde, lasciandola scoperta fino alla vita.

    Senza più curarsi dell'uomo, John si rivolse a lei.

    «Ciao, Sylvia.»

    Emettendo piccoli guaiti di terrore, lei indietreggiò fino ad appoggiare la schiena alla testiera del letto. Il suo sguardo colmo di panico si spostava avanti e indietro, da John al suo compagno sanguinante, che si contorceva negli spasimi dell'agonia.

    «Sai perché sono venuto» mormorò John. «Non è così, Sylvia?»

    Lei mosse le labbra, ma non ne uscì alcun suono. Sembrava a un passo da una crisi isterica. John sospirò e girò intorno al letto, fermandosi accanto a lei.

    «Avanti, tesoro, controllati. Guarda me, non lui.» Le afferrò il mento, costringendola a ubbidire. «Via, dolcezza, sai che non potrei farti del male. Dov'è Julianna?»

    Al nome di sua figlia, Sylvia scattò all'indietro. Guardò il corpo del suo compagno, ormai immobile, poi di nuovo John, facendo uno sforzo per controllarsi.

    «So... so tutto.»

    «Bene.» John si sedette sul letto accanto a lei. «Perciò capisci quanto è importante che la trovi.»

    Sylvia cominciò a tremare con violenza.

    «Quanti... quanti anni aveva, John? Quanti anni aveva quando hai cominciato a lasciare il mio letto per il suo?»

    Lui sollevò le sopracciglia, sorpreso e divertito dalla domanda.

    «Come mai tutto questo spirito materno, così all'im provviso? Hai dimenticato che eri anche troppo contenta che stessi con lei? Che il tuo amante giocasse al papà? Non ricordi com'era bello lasciare che mi occupassi di lei, in modo da essere libera?»

    «Bastardo!» Sylvia strinse i pugni sul lenzuolo. «Non intendevo che tu me la portassi via, che... che approfittassi della mia fiducia e...»

    «Sei una puttana» affermò lui semplicemente. «Non ti è mai importato d'altro che dei tuoi party, degli uomini e dei bei gingilli che potevano comprarti. Julianna non era niente più di un gattino per te. Un altro dei tuoi gingilli, un mezzo per una vecchia puttana stanca per guadagnarsi un po' di rispettabilità. Quello che c'è fra me e Julianna ha ben poco a che vedere con il sesso, Sylvia. Non è così elementare, anche se dubito che tu possa capire. Io le ho insegnato tutto sulla vita.» Si chinò su di lei. Avvertì l'odore della sua paura, mescolato a quello del sangue, sentì i suoi ansiti brevi, sommessi, i piccoli squittii del topo terrorizzato davanti al pitone. «Le ho insegnato tutto sulla lealtà e l'obbedienza. Sulla fedeltà. Sono tutto per lei... padre, amico, mentore e amante. Appartiene a me. L'ho sentito fin dal giorno in cui l'ho conosciuta. La rivoglio, Sylvia. Subito. Dov'è? Che ne hai fatto di lei?»

    «Niente» sussurrò la donna. «Se... se n'è andata... da sola. È...»

    Il suo sguardo si spostò verso l'uomo morto accanto a lei. Fissò la chiazza di sangue che si allargava sul copriletto di raso bianco e si interruppe, rabbrividendo.

    Con la mano libera, John l'afferrò per i capelli e la costrinse di nuovo a guardarlo.

    «Guarda me, Sylvia. Solo me. Dov'è andata?»

    «N... non lo s... so.»

    Lui accentuò la stretta sui suoi capelli e la scrollò.

    «Dov'è, Syl?»

    Lei scoppiò in una risata stridula. Si portò una mano alla bocca, come per frenarla, ma inutilmente.

    «È venuta da me... Tu volevi che abortisse. Le ho detto che... che sei un mostro. Un assassino a sangue freddo. Non voleva credermi, perciò ho chiamato Clark.» La sua risata si fece trionfante. Stranamente trionfante, data la situazione. «Lui le ha mostrato delle foto dei tuoi capolavori. Prove, John. Prove

    Lui rimase immobile. La sua furia era gelida. Clark Russell, un suo ex collega della CIA, uno degli amanti di Sylvia. Uno che sapeva troppo su John Powers.

    Clark Russell era un uomo morto.

    John si chinò su Sylvia e la costrinse a piegare la testa all'indietro puntandole la pistola sotto il mento.

    «Clark ha rivelato informazioni riservate? Devi essere meglio di quanto credessi, a letto.» I suoi occhi si strinsero. Non gli piaceva il modo in cui il suo cuore aveva cominciato a martellare, le sue mani a sudare. «Non avresti dovuto farlo, Syl. È stato un errore.»

    «Va' all'inferno!» gridò la donna. «Non la troverai! Le ho detto di scappare, più svelta e più lontano possibile... di salvare se stessa e il bambino. Non la troverai mai. Mai!»

    Per una frazione di secondo lui prese in considerazione l'orrore di quella possibilità, poi rise.

    «Ma certo che la troverò, Sylvia. È il mio lavoro. E quando la troverò, il problema sarà eliminato. Poi Julianna e io saremo di nuovo insieme, come deve essere.»

    «No! Mai! Tu...»

    John premette il grilletto. Sangue e cervella schizzarono contro la testiera candida e sulla graziosa tappezzeria a disegni di rose che c'era dietro.

    Lui guardò per un momento il risultato delle sue azioni, poi si alzò.

    «Addio, Sylvia» mormorò.

    Girò sui tacchi e andò in cerca di Julianna.

    1

    Mandeville, Louisiana, Capodanno 1999

    Le luci splendevano da ogni finestra della lussuosa, vecchia casa di Kate e Richard Ryan su Lakeshore Drive. La casa era stata costruita quasi un secolo prima, in un tempo in cui la crisi della famiglia americana non esisteva e lo stile di vita meridionale significava qualcosa, un tempo in cui non veniva benevolmente tollerato che gli uomini politici tradissero la moglie e molto prima che i notiziari della sera riferissero con tutta naturalezza ogni sorta di episodi di violenza.

    La casa, con la sua doppia galleria che l'avvolgeva tutta e le finestre alte fino al soffitto, richiamava alla mente un'idea di ricchezza, di posizione sociale, di solidità. Di famiglia.

    La famiglia che Kate e Richard non avrebbero mai avuto.

    Kate uscì sulla galleria superiore, chiudendo la portafinestra per attutire i rumori del party di Capodanno che era in pieno svolgimento. La notte era fredda e ventosa, per la Louisiana meridionale. Kate si avvicinò alla ringhiera e guardò le acque scure e agitate del lago. Strinse le mani attorno alla ringhiera e si sporse nel vento, senza curarsi di come le scompigliava i capelli e penetrava attraverso il velluto leggero dell'abito da sera.

    Al di là del lago Pontchatrain, collegata con un viadotto di oltre quaranta chilometri, c'era New Orleans, una città che era un gioiello decadente, la patria del Mardi Gras, del jazz e di alcune delle migliori vivande del mondo. E anche un luogo dove l'indice di criminalità raggiungeva livelli esplosivi.

    Kate immaginò la festa che impazzava da quella parte del lago, una festa che celebrava non solo il nuovo anno, ma anche l'ultimo anno del secolo. Una svolta, la fine di un'era, una porta che si chiudeva.

    Anche per lei, pensò. E per Richard.

    Poche settimane prima, lei e suo marito erano stati costretti ad accettare il fatto che non avrebbero avuto figli. I risultati degli ultimi esami erano stati decisivi: Richard era sterile. Fino a quel momento, avevano ritenuto che, se non avevano ancora concepito un bambino, era a causa degli svariati ma risolvibili problemi di Kate. Ma quando nessuna cura si era rivelata efficace, il medico aveva insistito per sottoporre a esami anche Richard.

    I risultati avevano sconvolto entrambi. Kate era stata furiosa... con il mondo, con Dio, con tutta la gente che aveva bambini con tanta facilità. Si sentiva tradita. Inutile. Emarginata.

    Ma poi si era sentita meglio. Dopotutto, anche se non avevano ottenuto la risposta che desideravano, perlomeno ne avevano una. Poteva smettere la sua sfibrante ricerca della maternità e continuare la sua vita. La loro vita.

    Le cure per la sterilità non erano state prive di conseguenze sulla sua psiche, sul suo matrimonio, sulla vita professionale di entrambi. Una parte di lei provava soltanto sollievo per essere scesa da quell'otto volante, da quello stressante alternarsi di speranza e di delusione.

    Se solo lei avesse potuto smettere di desiderare tanto un figlio! Certe notti restava sveglia per ore e ore, distesa nel letto a fissare il soffitto, perché il doloroso senso di vuoto che aveva dentro le impediva di dormire.

    Due braccia la circondarono da dietro. Le braccia di Richard.

    «Che cosa ci fai qui fuori?» le sussurrò lui all'orecchio. «Ti prenderai un malanno.»

    Kate si scrollò di dosso le sue malinconie e sorrise da sopra la spalla all'uomo che era suo marito da dieci anni.

    «Con te per tenermi caldo? Impossibile.»

    Lui sorrise. In quel momento aveva, a trentacinque anni, la stessa, attraente aria da ragazzo che aveva avuto a venti, quando Kate l'aveva conosciuto. Inarcò un sopracciglio, malizioso.

    «Potremmo spogliarci e fare l'amore. Nudi. Proprio qui. Proprio ora.»

    «È un'idea.» Kate si voltò e gli allacciò le braccia al collo. «Ci sto.»

    Lui rise, appoggiando la fronte alla sua.

    «E che cosa penserebbero i nostri ospiti?»

    «Spero che siano troppo beneducati per venire quassù senza essere invitati.»

    «E se non lo sono?»

    «Allora vedranno un lato di noi che non hanno mai visto.»

    «Che cosa farei senza di te?» Richard la baciò sulla bocca, poi la scostò leggermente. «È quasi ora che faccia il mio annuncio.»

    «Nervoso?»

    «Chi, io?» Lui rise e scosse la testa. «Mai.»

    Era vero, pensò Kate. La sicurezza di suo marito non cessava mai di stupirla. Quella sera avrebbe annunciato la sua intenzione di candidarsi alle elezioni a procuratore distrettuale di St. Tammany Parish, eppure non era nervoso, non aveva dubbi né ripensamenti.

    E perché avrebbe dovuto? Si aspettava che il suo annuncio fosse caldamente approvato da parenti e amici, dai suoi soci in affari e dai leader della comunità. E si aspettava non solo di vincere le elezioni, ma di riuscirci a mani basse.

    Era naturale. Richard aveva sempre vissuto un'esistenza privilegiata. Era sempre stato un vincente.

    «Sei certo che Larry, Mike e Chas ti sosterranno al cento per cento?» chiese Kate, alludendo ai soci del suo studio legale, Nicholson, Bedico, Chaney & Ryan.

    «Assolutamente. E tu, Kate?» Richard la guardò negli occhi. «Tu mi sosterrai al cento per cento? Se vincerò, la nostra vita cambierà. Saremo sempre esposti agli occhi del pubblico, sempre sotto una lente d'ingrandimento.»

    «Cerchi di spaventarmi?» scherzò lei. «Be', non ci riuscirai. Sono con te al cento per cento. E non dire: Se vincerò, perché vincerai di sicuro.»

    «Con te al mio fianco, come potrei non vincere?» Quando lei rise, Richard le prese il viso fra le mani. «Dico sul serio. Tu possiedi una magia, Katherine McDowell Ryan. Grazie per condividerla con me.»

    Con le lacrime agli occhi, Kate si rimproverò le malinconie di poco prima e contò silenziosamente le sue fortune. La ragazza che aveva portato scarpe con le suole bucate e uniformi scolastiche di seconda mano, la ragazza che non aveva mai conosciuto la sicurezza di una vera casa, che aveva frequentato l'università con una borsa di studio, prendendo i libri a prestito e servendo ai tavoli in un bar la sera, aveva fatto parecchia strada. E lo doveva in non piccola parte a Richard Ryan, figlio prediletto di una delle famiglie più in vista di New Orleans, che si era incredibilmente, miracolosamente innamorato di lei.

    «Ti amo, Richard.»

    «Grazie a Dio.» Lui sorrise. «E ora possiamo andare dentro, per favore?»

    Pochi minuti dopo, erano di nuovo coinvolti nella festa, circondati dai loro animatissimi ospiti. Richard fece il suo annuncio e, come Kate si era aspettata, la notizia fu accolta da coloro che ancora non la conoscevano con calorosa approvazione.

    Da quel momento in poi, il party divenne quasi caotico, come se tutti i presenti fossero stati colti da una strana euforia, dalla sensazione che la vita stava per cambiare. L'anno 1999. La fine del secolo. Quello che era stato il futuro, il dominio della fantascienza, dell'incertezza e dell'ignoto, ora stava per diventare il presente, la vita di tutti i giorni.

    Arrivò la mezzanotte. Volarono confetti e stelle filanti, furono scambiati baci e abbracci, fu versato altro champagne, servite altre tartine. Poi, finalmente, a uno a uno, gli ospiti cominciarono ad andarsene.

    Mentre Richard accompagnava alla porta gli ultimi, Kate cominciò meccanicamente a raccogliere piatti e bicchieri, anche se avevano preso accordi con un servizio di pulizie per far rimettere tutto a posto l'indomani.

    «Dio, sei bellissima.»

    Kate alzò gli occhi. Richard era sulla porta di comunicazione fra la sala da pranzo e il salotto, e la guardava. Lei sorrise.

    «E tu sei eccitato dal successo. O dall'alcol.»

    «Da entrambi. Ma è vero lo stesso. Sei splendida.»

    Non era vero, e Kate lo sapeva. Era attraente, ma non splendida, né sexy. Non era una donna appariscente. Di classe, forse. Solida, decisamente.

    «Mi fa piacere che lo pensi.» Richard sorrise, e per la seconda volta, quella notte, lei ricordò il ragazzo che aveva fatto girare la testa a lei... e a tutte le sue compagne del campus della Tulane University. «Su, vieni a darmi una mano.»

    Invece di ubbidire, Richard piegò la testa da un lato e la studiò con aria compiaciuta.

    «Kate McDowell» disse a bassa voce. «La ragazza che molti volevano, compreso il mio buon amico Luke. Ma che io ho conquistato.»

    Come sempre accadeva alla menzione del loro comune amico, Luke Dallas, lei provò un misto di rimorso e di rimpianto. Ai tempi dell'università, loro tre erano stati inseparabili. Luke era il suo confidente, la persona a cui si rivolgeva per conforto, consiglio e aiuto. In molti sensi, aveva avuto con lui, in quegli anni, un rapporto più stretto di quello con Richard.

    Poi, lei aveva distrutto la loro amicizia con un solo, incauto atto dettato dalla passione e dalla sofferenza.

    Turbata da quel ricordo, Kate concentrò la sua attenzione sul compito di raccogliere le stoviglie.

    «Sei sbronzo» commentò in tono leggero.

    «E allora? Non devo guidare.» Richard incrociò le braccia sul petto. «Non negherai che Luke era innamorato di te.»

    «Eravamo amici.»

    «E nient'altro, giusto?»

    Kate alzò gli occhi.

    «Eravamo tutti amici. Vorrei che lo fossimo ancora.»

    Per un momento, lui si limitò a guardarla in silenzio. Quando parlò, il suo tono era di nuovo gentile.

    «Sarai la moglie perfetta per un uomo politico.»

    Kate sollevò un sopracciglio.

    «Ne sei proprio sicuro, procuratore distrettuale Ryan? Non ho un pedigree come il tuo, sai.»

    «Hai classe, bellezza, intelligenza. Non hai bisogno di un pedigree. Hai sposato me.»

    Kate mise i bicchieri vuoti su un vassoio e cominciò a raccoglierne degli altri. Richard aveva ragione, probabilmente. Sposandolo era entrata a far parte della buona società di New Orleans. Non aveva bisogno di avere alle spalle una famiglia fornita di denaro e posizione sociale. Richard le aveva dato la sua.

    Per la seconda volta, quella notte, Kate pensò alle molte cose per cui doveva essere grata. Un marito che l'amava, una bellissima casa, un'attività tutta sua, una caffetteria chiamata The Uncommon Bean che le dava molte soddisfazioni, i suoi vetri artistici, una quantità di denaro. Tutte le cose che aveva sempre desiderato e di cui aveva bisogno per essere completamente felice.

    «Mi spiace se ti ho turbata con quel commento a proposito di Luke. Non so che cosa mi prende, a volte.»

    «È stata una lunga notte, ecco tutto.»

    Richard si avvicinò, tolse di mano a Kate i bicchieri e li posò nuovamente sul tavolo.

    «Lascia stare. È per questo che paghiamo l'impresa di pulizie.»

    «Lo so, ma...»

    «No.» Lui le prese le mani. «Vieni. Ho una cosa per te.»

    Kate rise.

    «Non ne dubito.»

    «Anche quello.» Richard la condusse in soggiorno. Sul tappeto, davanti al fuoco acceso, aveva preparato due grandi cuscini. Accanto, c'era ad aspettarli una bottiglia di champagne nel secchiello del ghiaccio e due calici. Si sistemarono comodamente. Richard stappò lo champagne e lo versò. Porse un calice a Kate, poi sollevò il suo. «Ho pensato che dovevamo festeggiare in privato.»

    Lei toccò il suo bicchiere con il proprio.

    «Alla tua campagna.»

    «No» la corresse Richard. «A noi.»

    «Mi piace. A noi.»

    Kate sorrise e bevve un sorso.

    Per un po' chiacchierarono degli avvenimenti della serata, riferendosi brani delle rispettive conversazioni e ridendo delle stravaganze di un paio dei meno inibiti dei loro ospiti.

    «Tu mi rendi migliore di quello che sono, Kate» mormorò Richard, improvvisamente serio. «È sempre stato così.»

    «E tu sei più sbronzo di quanto pensassi.»

    «Niente affatto.» Richard le tolse il bicchiere di mano e lo mise da parte, poi intrecciò le dita alle sue. «So quanto è stato duro per te questo anno. A causa della... della sterilità.»

    Gli occhi di Kate si colmarono di lacrime.

    «Va tutto bene, Richard. Ho così tanto! È sbagliato da parte mia volere anche...»

    «No, non è sbagliato. E se non fosse per me potresti averlo. Potresti avere un bambino.»

    «Non è vero, Richard. Anch'io sono sterile. Ho...»

    «Tu hai problemi di fertilità. Gli ormoni si possono equilibrare, l'ovulazione si può stimolare. Io sono steri le.» Il tono di Richard si fece amaro. «Come credi che mi senta, sapendo di non poterti dare ciò che desideri di più? Di essere meno di un uomo...»

    Le fece male sentirlo esprimere ad alta voce i suoi veri sentimenti come non aveva mai fatto prima. Accentuò la stretta sulle sue dita.

    «Questa è una sciocchezza, Richard» protestò a bassa voce. «Non è la capacità di procreare figli che fa un uomo. Non è questo che fa di te un uomo.»

    «No? Io non la penso così.»

    «So come ti senti, perché è anche il mio problema. Avere figli è quello che tutte le donne si suppone sappiano fare. Fa parte dell'essere femmina.»

    «Io sono venuto meno alle tue aspettative» disse lui quietamente.

    «No, Richard, non è affatto questo che intendevo.»

    «Lo so. Ma è quello che provo.»

    Kate gli afferrò le mani.

    «Chi ha detto che abbiamo diritto ad avere tutto quello che desideriamo? Guarda quanto abbiamo già. Una bella casa, una professione di successo. Il nostro amore. È quasi troppo. A volte non riesco a credere che è veramente Kate McDowell a vivere questa vita. Mi sembra che debba essere solo un bellissimo sogno che da un momento all'altro potrebbe trasformarsi in un terribile incubo.»

    «Non permetterò che accada, amore. Te lo prometto.»

    Kate si portò le mani di Richard alle labbra.

    «C'è gente che ha mentito, ingannato, perfino ucciso per ottenere quello che noi diamo per scontato. Dobbiamo tenerci stretto ciò che abbiamo e apprezzarlo. Non possiamo dimenticare quanto siamo fortunati. Nel momento in cui lo facessimo, nel momento in cui diventassimo avidi, potremmo perdere tutto.»

    Lui rise.

    «Credi ancora nei folletti e nel potere dei quadrifogli, vero?»

    «Domani potrebbe sparire tutto.» Kate gli strinse più forte le mani. «Parlo sul serio, Richard.»

    «Anch'io. Noi possiamo avere tutto, Kate. Voglio tut to, per te.» Quando lei fece per protestare, le posò un dito sulle labbra. «Ho qualcosa per te.» Prese una busta che aveva nascosto sotto un cuscino e gliela porse. «Buon anno, Kate.»

    «Che cos'è?»

    «Aprila e lo saprai.»

    Lei aprì la busta. Era una lettera della Citywide Chari ties che li informava che erano stati accettati nel pro gramma di adozioni dell'agenzia Gifts of Love.

    Il cuore di Kate cominciò a battere all'impazzata. Il programma della Citywide era il migliore della zona. Accettavano solo un numero limitato di coppie all'anno. E prima della fine di quell'anno, quelle coppie avevano un bambino.

    Kate aveva fatto uno studio sulle adozioni e sui relativi programmi disponibili nella zona. Aveva guardato con speranza alla Citywide. Ma ogni volta che aveva accen nato a un'adozione, Richard si era rifiutato anche solo di discuterne.

    Alzò gli occhi su suo marito, sopraffatta dall'emozione.

    «Che cosa è successo? Tu non pensavi che l'adozione...»

    «Ma tu sì.»

    Le lacrime minacciavano di soffocare Kate. Si schiarì la gola.

    «Ma... se davvero non vuoi adottare un bambino, non possiamo farlo. Non sarebbe giusto.»

    «Io voglio farti felice, Kate. Questa sarà una buona cosa per noi, lo sento. È tempo che diventiamo una famiglia.»

    Lei non riuscì a trovare la voce, ma anche se ci fosse riuscita non avrebbe avuto parole per esprimere la sua gioia. Perciò lo baciò con tutto l'amore e la gratitudine che le colmavano il cuore fin quasi a farlo scoppiare.

    Prima della fine dell'anno avrebbero avuto un bambino. Sarebbero diventati genitori. Una vera famiglia.

    «Grazie, grazie...» sussurrò, fra un bacio e l'altro.

    Si spogliarono a vicenda. Le ultime braci del fuoco li riscaldavano, ma non quanto le carezze, non quanto la loro passione.

    «Sarà l'anno più perfetto della nostra vita» mormorò Richard, attirandola sotto di sé. «Niente si frapporrà mai fra noi, Kate. Niente e nessuno.»

    2

    La paninoteca era situata nel punto più frequentato del quartiere degli affari. Si chiamava Buster's Big Po'boys, ed era specializzata, appunto, in po'boys, enormi panini fatti con pane francese e farciti con scampi fritti, ostriche, o entrambi, guarniti di insalata, pomodoro e abbondante maionese. Naturalmente, a coloro che non apprezzavano i frutti di mare, il locale offriva ogni genere di altre farciture, e anche alcune specialità diverse dai panini, come, il lunedì, i tradizionali fagioli rossi con il riso di New Orleans.

    Situato in un edificio vecchio di un secolo, Buster's aveva le pareti di stucco scrostate e solcate da crepe, e i soffitti alti anneriti da chissà quanti anni di chissà quali vapori. In qualunque altra città sarebbe stato chiuso dall'ufficio di igiene, ma gli abitanti di New Orleans lo consideravano un posto perfettamente accettabile dove pranzare quando erano in centro.

    Julianna Starr spinse la porta ed entrò nel locale, lasciandosi alle spalle la fredda aria di gennaio. L'odore di pesce fritto la colpì, rivoltandole lo stomaco. Quell'odore, aveva imparato durante le poche settimane in cui aveva lavorato come cameriera da Buster's, permeava ogni cosa: i capelli, i vestiti. Appena tornava a casa dal lavoro, per stanca e affamata che fosse, per prima cosa correva nella doccia a togliersi quell'odore.

    La sola cosa peggiore dell'odore, in quel locale, erano i clienti. Gli abitanti di New Orleans erano così... eccessivi. Ridevano forte, mangiavano e bevevano troppo, con una specie di frenetico abbandono. Parecchie volte, solo guardare qualcuno addentare uno degli enormi po'boys l'aveva costretta a correre ai servizi a vomitare. Ma già, lei era una di quelle sfortunate le cui nausee non si limitavano solo al mattino, né ai primi mesi di gravidanza.

    Si guardò attorno nel ristorante e si sentì cadere le braccia. Si era svegliata tardi, e l'ora di punta sembrava essere cominciata in anticipo. Erano passate da poco le undici e i tavoli erano già pieni, per non parlare della fila al banco dove si ritiravano i panini da portare via.

    «Sei in ritardo, principessa» chiamò il proprietario da dietro il bancone. «Prendi un grembiule e sbrigati, capito?»

    Lei lo guardò male. A suo parere, Buster Boudreaux era un grosso maiale con un quoziente d'intelligenza di poco superiore a quello di uno dei suoi stupidi panini. Ma era il padrone, e lei aveva bisogno di quel lavoro, per infimo che fosse.

    Senza una parola di spiegazione, gli passò accanto a testa alta, agguantò un grembiule dall'attaccapanni vicino alla porta di cucina e se lo mise. Quell'atrocità arricciata metteva in evidenza il suo addome già sporgente, facendola assomigliare a una balena rosa. Brontolò il proprio disappunto fra i denti e timbrò il cartellino.

    Buster le arrivò alle spalle, con aria corrucciata.

    «Sei hai un problema, perché non me lo dici in faccia, anziché borbottare?»

    «Non ho alcun problema.» Julianna rimise a posto il cartellino. «Quali sono i miei tavoli?»

    «Sezione uno. Comincerai a servire non appena sarà aperta. Nel frattempo, dà una mano a Jane al banco.» Julianna si limitò a rispondere con un cenno della testa, e allora lui l'afferrò per il gomito. «Ne ho abbastanza delle tue arie, sai, principessa? Se non avessi tanto bisogno di personale, ti caccerei via sul momento.»

    Julianna sapeva che voleva che lo supplicasse di non licenziarla. Ebbene, preferiva morire di fame. Guardò con intenzione la mano dell'uomo che le stringeva il braccio, poi alzò gli occhi.

    «C'è altro?»

    «Sì» rispose lui, arrossendo e lasciando ricadere la mano. «Arriva in ritardo un'altra volta, e sei fuori. Capito?»

    «Capito.»

    Julianna uscì dalla cucina. Passando, incrociò Maybel, un'altra cameriera, che la guardò male e borbottò qualcosa di incomprensibile.

    Lei la ignorò. Sapeva che le colleghe non avevano simpatia per lei, senza dubbio perché non faceva mistero del fatto che odiava lavorare in quel locale.

    Proprio non capivano, quelle donne prive di classe, che lei non era fatta per lavorare così, per stare in piedi per ore, per servire gli altri. Lei era nata per essere accudita, coccolata e adorata. Per tutta la sua vita era stato così. Non aveva dovuto fare altro che sorridere, o anche fare graziosamente il broncio, per ottenere qualunque cosa volesse. In effetti, se il denaro che sua madre le aveva dato quando aveva lasciato Washington non avesse cominciato a scarseggiare, non si sarebbe mai abbassata al loro livello.

    Era in fuga da un po' più di tre mesi, e in quel tempo aveva vissuto per brevi periodi a Louisville, Memphis e Atlanta. Fino al suo arrivo a New Orleans aveva alloggiato in buoni alberghi, mangiato al ristorante e passato il tempo andando al cinema o gironzolando per i centri commerciali. Non aveva notato la rapidità con cui il denaro spariva, non aveva pensato a che cosa avrebbe fatto quando fosse rimasta senza un

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