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Il pericolo di uno sguardo (eLit): eLit
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E-book175 pagine2 ore

Il pericolo di uno sguardo (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Le apparenze ingannano, Melissa Bentley lo sa bene. Quando viene rapita da un uomo fuggito da una clinica psichiatrica, non sa più da che parte stia il bene e da che parte il male. Agli occhi di tutti Brett Samson è un pericoloso criminale, mentre agli occhi di Melissa è semplicemente un uomo impaurito alla ricerca della verità. Il suo sguardo dolce, la sua voce calda non possono essere quelli di un assassino. Melissa si vuole fidare del proprio istinto, ma troppo spesso... le apparenze ingannano.
LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2017
ISBN9788858972083
Il pericolo di uno sguardo (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Il pericolo di uno sguardo (eLit) - Joanna Wayne

    successivo.

    Prologo

    Brett Samson fu svegliato da un urlo, un urlo forte e disperato emesso da una donna. Aprì gli occhi e li strofinò vigorosamente per raggiungere il più presto possibile uno stato di lucidità.

    Per un breve momento si ritrovò nel Wyoming, il cielo stellato a fargli da coperta e l'urlo era solo il verso di qualche animale selvaggio che si muoveva nella notte.

    Lentamente, però, mise a fuoco le imposte della finestra che si trovava accanto al suo letto stretto e l'immagine del Wyoming sfumò come quella dei sogni. Brett si grattò il mento con le dita tremanti. Si impose di concentrarsi, doveva riuscire a vincere l'effetto delle droghe che gli appannavano il pensiero, che gli offuscavano la mente confondendo i ricordi.

    Quando era stato portato in quel luogo dove il tempo sembrava non trascorrere? Doveva essere successo alcune settimane prima, dato che lui era arrivato a Baton Rouge in ottobre. Esattamente il dodici ottobre, il giorno del trentesimo compleanno di suo fratello Jason, un compleanno che il poveretto non aveva potuto festeggiare perché era morto prima.

    Brett colpì il cuscino con un pugno e ingoiò le lacrime amare che lo assalirono così violente da farlo quasi soffocare. Prima non piangeva mai, doveva essere un effetto collaterale dell'uso di droghe, come il tremore e le allucinazioni.

    All'inizio era riuscito a ingannare tutti: i dottori che annuivano con il capo e fingevano di ascoltarlo mentre lui si sforzava di rispondere al loro interrogatorio, gli infermieri in camice bianco. Aveva preso le pillole che gli davano, ma non le aveva ingerite. Le aveva fatte scivolare nell'altra mano mentre beveva un sorso d'acqua. Poi aveva imitato gli spasimi e le reazioni degli altri pazienti che erano sotto l'effetto di quelle medicine, aveva assunto il loro stesso sguardo fisso ed ebete.

    Quei trucchi, però, erano ormai diventati vani perché i medici non gli chiedevano più di inghiottire delle pillole, ma lo sottoponevano a regolari iniezioni, più volte al giorno.

    Le ore del primo mattino erano la salvezza di Brett. Erano l'unico momento in tutta la giornata in cui il suo cervello poteva funzionare con una parvenza di lucidità, erano gli unici istanti in cui poteva utilizzare la sua mente per organizzare un piano di fuga.

    L'unica soluzione era rappresentata dalle chiavi che dondolavano allacciate alle anche degli impiegati e tintinnavano nelle tasche delle infermiere che non sorridevano mai. Con quelle chiavi si aprivano gli armadietti dei medicinali, le porte delle celle dai muri imbottiti e perfino gli stanzini con gli apparecchi telefonici che stabilivano un contatto con il mondo esterno.

    La chiave che voleva Brett era quella che apriva il pesante portone di legno che dava sul cortile cintato. Lui sapeva che chiave era, l'aveva scoperto quando i suoi trucchi erano ancora efficaci e gli permettevano di ragionare con lucidità e scaltrezza. Aveva osservato il personale in divisa accogliere i visitatori e mostrare loro il modernissimo istituto in cui le vittime di disturbi emozionali vengono civilmente curate.

    Brett aveva visto l'assassina di suo fratello entrare dal portone di legno, con il viso disegnato dal trucco pesante. Sorrideva in modo falso e impostato, camminava ancheggiando sui tacchi a spillo che colpivano rumorosamente il pavimento, accompagnati dal fruscio della seta dei suoi abiti. Se quella donna avesse seguito la sua vera vocazione e fosse diventata un'attrice, avrebbe certamente ricevuto un Oscar, tanto era brava a fingere. Aveva recitato la parte della vedova inconsolabile e della brava cognata in modo superbo. Ci erano cascati tutti o, meglio, quasi tutti.

    Ma non l'avrebbe passata liscia, Brett non l'avrebbe permesso. Per prima cosa, però, doveva impossessarsi delle chiavi.

    Emise un gemito studiato accuratamente. Doveva essere abbastanza forte da venire udito dall'infermiera del turno di notte, ma abbastanza debole da non intimorirla e non farle ritenere necessario l'intervento dei colleghi maschi.

    La porta della cella di Brett scricchiolò ed entrò una lama di luce nella stanza, insieme alla voce della donna. «Cosa ti succede, Brett? Hai bisogno di aiuto per addormentarti?» gli chiese.

    «No, è solo un crampo... alla gamba» rispose lui con voce lenta e lamentosa. Poi, notando che l'infermiera si avvicinava al suo letto, tese i muscoli della coscia.

    Mentre la ragazza camminava, le chiavi le tintinnavano nella tasca e quel suono acuì i sensi di Brett. L'infermiera Sands lo esaminò con mano professionale e osservò che era molto contratto. Si voltò per andare a prendere qualcosa che lo aiutasse a rilassarsi.

    «No, per favore, aspetta, non andare subito. Resta solo un minuto e dimmi qualcosa. Mi sento tanto solo e ho bisogno del suono di una voce amica» mentì lui.

    La ragazza tornò sui suoi passi e si avvicinò di nuovo al letto. Le chiavi nella sua tasca tintinnavano. Era giunta l'ora di agire.

    1

    Melissa Bentley Si Portò La Tazzina Di Caffè Alle Lab

    Bra E Gustò Un Sorso Del Liquido Nero E Forte. Era Molto stanca, si sentiva dolorante dalla testa ai piedi. Le ultime due settimane erano state una frenetica girandola di momenti alterni di euforia e spossatezza.

    Un rumore metallico risuonò nella piccola tavola calda quando un camionista corpulento prese con uno strattone una copia di una rivista dal distributore automatico. Da dove si trovava, la ragazza poté leggere il titolo in prima pagina: Sceriffo coinvolto in una catena di sanguinosi delitti alla vigilia delle elezioni.

    Stranamente quelle parole non le fecero alcun effetto, era come se non fossero state prodotte dalla sua stessa mente alcune ore prima. Bevve l'ultimo sorso di caffè con noncuranza.

    Distacco, ecco cosa provava.

    Pensò con desiderio a una vasca da bagno colma di acqua calda e completa di bollicine di schiuma profumata e a un letto morbido dalle lenzuola fresche. Vi avrebbe trascorso delle lunghe piacevoli ore, magari dei giorni interi, senza nient'altro che il servizio in camera a interrompere la sua pace. E il tutto doveva avvenire abbastanza lontano da New Orleans perché nessuno potesse riconoscerla e tormentarla ulteriormente con domande sulla storia di Rocky Matherne.

    Lei aveva fatto la sua parte, ora toccava agli altri giornalisti seguire i rapporti che la polizia rendeva pubblici e speculare sull'andamento del processo. Aveva detto al suo editore che si prendeva due settimane di vacanza. Poi era scomparsa, senza lasciare un recapito o un numero di telefono.

    «Cosa ti porto, cara?»

    «Servite ancora la colazione?» chiese Melissa notando che erano già le dieci e trenta.

    «Certo, cara, finché ce n'è.»

    «Vorrei dei toast e dell'altro caffè» ordinò semplicemente, dato che non riusciva a mettere a fuoco le parole sul menù.

    «Non sono affari miei, cara, ma direi che hai passato una nottataccia. Lascia che Butch ti prepari una colazione come si deve: uova, bacon, un paio di biscotti fatti in casa e così via. Anche il tipo laggiù l'ha presa e sta resuscitando» propose la cameriera spigliata indicando con un cenno del capo un uomo che sedeva un paio di tavoli più in là. «Quando è entrato era messo male quasi quanto te, o forse anche peggio» riprese in tono convincente.

    «D'accordo, allora la prendo anch'io.»

    «La colazione numero uno, quindi.»

    «Quella con i biscotti fatti in casa» replicò Melissa che non aveva la forza di discutere. La pregò solo di portarle del caffè forte non appena le fosse possibile.

    «Arriva subito, cara» reagì lei pronta e si allontanò immediatamente.

    Melissa si appoggiò allo schienale della sedia e osservò l'uomo che le era stato indicato. Sperò di non avere un aspetto altrettanto spaventoso. Lo sconosciuto aveva uno sguardo terrificato e le mani gli tremavano così violentemente da rendergli difficile un'operazione tanto normale come portarsi la forchetta alle labbra.

    Considerò che si trattava probabilmente di un'altra vittima della droga o di un alcolista. Su quel pensiero le si chiusero gli occhi, ma la sua pace non durò a lungo.

    «Ti senti bene?» chiese prontamente la cameriera svegliandola di soprassalto.

    Melissa vide la targhetta sul grembiule della ragazza, poi alzò lo sguardo verso il suo viso e la rassicurò. «Sì, grazie, Nina, devo essermi appisolata un istante.»

    «Altro che un istante! Il cibo è quasi pronto e hai fatto diventare freddo il caffè. Vado a prenderne dell'altro.»

    Lottando per tenere gli occhi aperti, Melissa tornò a guardare l'uomo di prima. Tremava molto meno e mangiava come se fosse la prima volta da giorni. Sembrava avere più o meno la sua età, attorno alla trentina. Il suo corpo abbronzato e muscoloso faceva uno stranissimo contrasto con le sue patetiche condizioni.

    Melissa si rimproverò per i suoi giudizi impietosi ricordandosi che lei non doveva avere un aspetto migliore, dopo trentasei ore senza sonno e con una tuta di una misura più grande addosso. A sua volta, infatti, aveva destato la curiosità dell'altro che ora la guardava interessato. Sotto quegli occhi indagatori, Melissa rabbrividì.

    Ripreso subito il controllo di sé, ricambiò lo sguardo, ma l'uomo non abbassò il suo, non finché la sua mano tremò così forte da far cadere la forchetta.

    «Non vorrei davvero essere nei suoi panni» commentò Nina ponendo la colazione di fronte a Melissa. «Buon appetito, cara» le augurò poi.

    «Grazie, questa colazione ha un aspetto delizioso e, a giudicare da come mangiava l'altro cliente che l'ha ordinata, deve esserlo davvero.»

    «O, semplicemente, non sa come si sta a tavola.»

    «È un cliente abituale?»

    «Non l'ho mai visto prima. Non è abbastanza socievole da scambiarci due parole, non mi meraviglia che Carl l'abbia mollato qui.»

    «Come?»

    «Carl è il camionista seduto là in fondo, quello dietro il giornale. Gli ha dato un passaggio appena fuori New Orleans perché a guidare da solo si annoia a morte.»

    «E allora perché non si fanno compagnia a tavola?»

    «Te l'ho detto, l'autostoppista è un asociale. Non solo non parla, non ascolta nemmeno. Carl mi ha raccontato che per tutto il viaggio non ha fatto altro che guardare fisso davanti a sé e strofinarsi la fronte come se volesse togliersi qualcosa di mente. Dev'essere in guai grossi.»

    «È una tua intuizione o te l'ha raccontato Carl?»

    «L'ha detto Carl, ma io l'avrei capito anche da sola. Sai quanta gente vedo ogni giorno? Gente di tutti i tipi. Ma adesso mangia, cara, se no si raffredda, e non pensare più a quel tipo. Tieniti alla larga da quelli come lui.»

    «È quello che intendo fare» ribatté Melissa convinta. Almeno per le prossime due settimane, pensò e si accinse a far colazione.

    Mentre Melissa si rifocillava, lo sconosciuto lasciò del denaro sul tavolo e abbandonò il locale. Probabilmente Nina aveva ragione sostenendo che si trovasse nei guai. Lei non poté far a meno di chiedersi di cosa si trattasse.

    Qualunque cosa fosse, l'aveva costretto ad allontanarsi da New Orleans.

    Poco dopo pagò anche lei e uscì. Fu assalita dal vento sferzante che radunava nuvoloni neri e minacciosi. Quando il boato del primo tuono seguì il lampo sinistro che l'aveva preceduto, Melissa si strinse l'impermeabile addosso e si avviò con passo svelto verso la sua macchina. Il suo programma era di guidare per alcuni chilometri, finché fosse giunta in Texas, dove si sarebbe fermata al primo albergo dall'aspetto decente.

    Non appena si fu seduta al volante, cominciarono a cadere le prime gocce di una pioggia fitta e violenta. Non ebbe il tempo di sospirare di sollievo per essere all'asciutto perché una mano le coprì la bocca per impedirle di chiamare aiuto. Sentì l'acciaio freddo di una pistola premerle contro le costole e una voce altrettanto fredda intimarle di partire.

    2

    Melissa Respirò Affannosamente Dal Terrore, Tentò Di

    Urlare, Ma Non Le Uscì Alcun Suono Dalla Gola, Il Cuore le batteva come impazzito. Si impose di calmarsi, di vincere il panico che la paralizzava, ma non vi riuscì e non poté che rimanere immobile e in silenzio a fissare la persona che le sedeva accanto.

    Era lui, l'uomo della tavola calda. Tremava ancora, ma la teneva sotto controllo. «Metti in moto» le intimò una seconda volta, con una voce bassa ma autoritaria. «Non costringermi a fare qualcosa di cui potrei pentirmi» aggiunse per spronarla.

    Melissa girò la chiavetta d'accensione e inserì la retromarcia. Ansimando affannosamente si costrinse a parlare. «Dove devo andare?» chiese.

    «Dirigiti a ovest. Prendi l'autostrada e continua a guidare finché non ti darò altre indicazioni. Che non ti salti in mente di giocarmi qualche tiro» la istruì l'uomo.

    Melissa ubbidì alle sue parole e alla pistola che continuava a tenerle premuta contro le costole. Si intimò di calmarsi in modo da poter pensare. Doveva innanzitutto capire la situazione e che cosa volesse lo sconosciuto.

    Rocky! Doveva esserci lui dietro le azioni di quell'uomo. Lei lo aveva rovinato e ora lui si vendicava. La sceneggiata alla tavola calda faceva parte del piano. I testimoni avrebbero descritto lo sconosciuto come un povero malato tremebondo, un drogato autostoppista in preda a una crisi. Avrebbero creduto

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