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La storia del drago: L'armatura
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La storia del drago: L'armatura
E-book232 pagine3 ore

La storia del drago: L'armatura

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Info su questo ebook

Marduk, mago malvagio, dopo essere stato sconfitto venne relegato nell'Oscura Dimensione, luogo punitivo per tutti coloro che praticano la magia nera. Ma ora è tornato e la tranquillità del regno di Creantor è minacciata dalla sua sete di vendetta. Saranno il re Leon, il predestinato Marco e la bella Ariel a mettersi in prima linea per fronteggiare le terribili forze oscure di Marduk.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mar 2014
ISBN9788867930739
La storia del drago: L'armatura

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    Anteprima del libro

    La storia del drago - Marco Drago

    © Edizioni SENSOINVERSO

    Collana SenzaTregua

    www.edizionisensoinverso.it

    ufficiostampa@edizionisensoinverso.it

    Via Vulcano, 31 – 48124 – Ravenna (RA)

    ISBN 9788867930739

    1° edizione – Febbraio 2012

    © 2012 - Copyright | Tutti i diritti riservati

    Sensoinverso - P.I. 02360700393

    Creazione e impaginazione eBook | http://creoebook.blogspot.com

    Marco Drago

    LA STORIA DEL

    DRAGO

    L’armatura

    romanzo

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.

    IL REGNO DI CREANTOR

    Una pallina che rotola in discesa

    non torna mai indietro.

    Essa cambia direzione di continuo

    per via dei numerosi ostacoli.

    La pallina è la vita.

    Il suo percorso è il destino.

    Prologo

    Il sole splendeva alto nel cielo e la giornata era calda, ma non eccessivamente. Nella foresta regnavano la pace e la calma. Il calpestio dei rami secchi, il cinguettio degli uccelli e il frusciare delle foglie creavano un’atmosfera di serenità e tranquillità che ben s’intonava con la giornata che si stava prospettando.

    Là, nella loro casetta, marito e moglie si stavano godendo il fresco di una leggera brezza, e non solo quello. La lucentezza dei loro occhi rispecchiava una felicità da poco sbocciata e non comprensibile a chi non viva la stessa esperienza. In braccio alla donna un bambino di appena cinque giorni dormiva tranquillo, circondato dal senso di sicurezza che pervade qualsiasi figlio che giace in seno alla propria madre. Lei lo osservava compiaciuta e sorridente, seduta su una sedia di legno, all’ombra del tetto sporgente. Poco lontano, il marito li guardava mentre era intento ad affilare le frecce del suo arco e preparare le trappole per la caccia. Difficile credere che quell’uomo desiderasse veramente allontanarsi dalla sua famiglia, anche se solo per poco tempo e per procurarsi il cibo.

    Niente sembrava poter turbare quella felice atmosfera, e anche gli animali che passavano di lì per caso si fermavano a rimirare la scena, senza disturbare la felice famigliola. La casa era isolata dal resto del regno: pochi umani passavano da quelle parti, forse per timore o forse per rispetto verso quella famiglia. In verità non avevano nulla di speciale, ma nella loro casa regnava un’atmosfera diversa. Chiunque vi si avvicinasse lo sentiva. Lo percepiva. Non era certo un’atmosfera d’orrore o di morte: al contrario tutto era pieno di pace e serenità.

    Gli uomini, però, pur desiderando ardentemente e disperatamente la felicità, tremano quando questa viene loro incontro. È un po’ come la regola secondo cui qualsiasi cosa fa male se assunta in modo esagerato. Così quel luogo era frequentato da pochi e la felice coppia, e ancor meno il bambino, non si aspettava mai visite. Il destino, però, è spesso imprevedibile e a volte porta con sé anche una certa dose d’ironia. Così può accadere che a giungere in un posto dove non passa (quasi) mai nessuno sia chi non si fa mai vedere in nessun luogo.

    L’arrivo del vecchio passò inosservato fino a quando l’uomo non sbucò dall’ultimo albero della radura. La sua ombra si proiettò limpida e definita verso la piccola casa. Il mantello color marrone strisciava sul terreno nascondendo chiunque ci fosse sotto. Il cappuccio celava gli occhi e il naso del vecchio, mostrando solo una bocca e un mento coperti da una folta barba bianca. La sua figura incuteva terrore e rassicurazione, pace e lotta, disciplina e disponibilità. Si avvicinò con lentezza, ma con decisione, e si fermò davanti alla donna e al bambino. Si rivolse a lei, parlandole con dolcezza e allo stesso tempo con determinazione:

    Tu sei Mesis, vero? Sei la madre di questo bambino?.

    La donna non rispose alla domanda se non con un breve accenno del capo. Il vecchio, dalla lunga barba e dalle imperfezioni minuscole che gli solcavano il viso, continuò:

    Sei consapevole della portata del suo potere? Sei consapevole che lui non appartiene a se stesso, ma al suo destino? Sei consapevole che non ubbidirà ad altri che al fato?.

    Questa volta la donna riuscì a farsi coraggio, forse preoccupata, anzi atterrita, dalle parole del suo interlocutore:

    Chi sei tu? Perché ti sei avvicinato a me pronunciando parole ambigue e incomprensibili? Che cosa vuoi da nostro figlio? Che cosa vuoi da me?.

    Questa volta fu il padre a rispondere, con velo di tristezza nelle sue parole:

    Tu sei l’eremita che abita nel bosco… Sei venuto qui per prendere nostro figlio, per fare di lui ciò che hai in mente. Vuoi portarcelo via.

    La madre si strinse ancora di più al petto il suo bambino e questi iniziò a singhiozzare continuando a tenere gli occhi chiusi, come se stesse dormendo nel pianto. Lei se ne accorse e allentò la stretta come per non soffocarlo, ma usando in ogni modo le braccia e tutto il corpo a mo’ di scudo per difendere il suo piccolo.

    No, non preoccupatevi, non sono qui per portarvelo via. Vostro figlio ha un destino più grande e più potente di me. Sono giunto qui per avvertirvi che lui non avrà una vita normale: il suo sguardo sarà sempre imperscrutabile, il suo contegno vigile e pensieroso. Il suo futuro non è quello di un uomo qualsiasi, ma è impossibile da definire ora. Un giorno se ne andrà di qui per compiere la sua missione e voi non potrete fermarlo. E nemmeno dovrete. Lui non obbedirà a voi, ma al suo destino. Finché sarà qui, potrete godere della sua compagnia e delle soddisfazioni che lui vi darà, come ogni buon figlio. Ma quando se ne andrà da casa, voi non potrete pretendere più nulla da lui, né lo dovrete cercare disperati. Sarà sempre lui a tornare da voi quando lo riterrà necessario. Così è stato deciso. Lui è protetto dall’alito del drago e dovrà seguire solo la sua voce.

    Ma… Che cosa dobbiamo fare? Come potremo vivere con questa profezia? Quanto tempo ci resta prima che lui se ne vada?.

    Abbastanza da godervi tutti i momenti della sua infanzia e fanciullezza. Abbastanza da apprenderne i segreti. Abbastanza da poter godere di un figlio. Non preoccupatevi per questo, la sua vita in questo regno sarà lunga e felice.

    Detto ciò estrasse dal suo mantello una spada. Era protetta da una custodia di pelle attraverso cui si poteva scorgere solo l’elsa. L’impugnatura era di colore arancione, con un disegno inciso sopra: da essa si dipartivano due bracci curvi di colore verde terminanti con punte bianche. L’estremità era a forma circolare e di colore rosso. Il vecchio la porse al padre del bambino:

    Tieni, Grifen, questa spada è stata donata dal drago a vostro figlio. È sua di diritto e nessuno altro è autorizzato a estrarla dal fodero. Un giorno io verrò a chiamare vostro figlio e lui verrà con me. Quel giorno tu gli darai la sua spada. Questa spada racchiude il suo destino.

    L’uomo prese con una mano l’elsa e con l’altra la custodia. Desiderava ardentemente impugnarla, ma lo tratteneva un timore reverenziale. Voleva solamente osservarne l’acciaio della lama e verificare quanto fosse affilata, ma non lo fece. Al solo contatto con la superficie dell’arma percepiva che un grande potere vi era racchiuso e temeva di sfidarlo.

    Il vecchio si avvicinò al bimbo e lo accarezzò con la mano destra. Il piccolo rispose con un vagito che sembrava esprimere gioia e soddisfazione. L’eremita sorrise alla madre e lei rispose facendo trasparire altrettanta gioia. Non era più preoccupata che il suo tenero figlio le fosse portato via. Non sembrava nemmeno sconvolta dal fatto che un giorno lui li avrebbe abbandonati per seguire il suo destino. Sapeva che ci sarebbe stato abbastanza tempo prima di quel fatidico momento e che se lo sarebbero goduto, insieme a suo figlio e a suo marito.

    L’eremita si allontanò, ma prima di sparire dietro gli alberi si girò un’ultima volta:

    A proposito, come lo chiamerete?.

    Fu la donna a rispondere per prima, ormai rassicurata dalla figura del vecchio.

    Noi non abbiamo ancora…, ma il marito la interruppe: Marco, lo chiameremo Marco.

    Un bel nome, disse il vecchio prima di scomparire.

    Sì, è vero, commentò la donna, è proprio un bel nome. Mi piace, come ti è venuto in mente?.

    Grifen non rispose. Continuava osservare l’elsa di quella meravigliosa spada. Sul cerchio rosso era incisa un’iniziale, una M, probabilmente la firma del suo artefice, mentre sull’impugnatura arancione era disegnato un oggetto. Era un disegno molto semplice, ma assai preciso e suggestivo. Un’impugnatura gialla e blu, dalla quale partivano due bracci ricurvi verdi. Un filo sottile nero collegava le due estremità. Il filo era l’elemento più importante di quell’oggetto e ne caratterizzava il potere distruttivo. Il disegno raffigurava un’arma, simbolo di morte, di precisione e abilità. Un’arma che avrebbe segnato il futuro di suo figlio e che lo avrebbe distinto dagli altri, Grifen ne era sicuro: era un arco.

    Parte prima

    L’addestramento

    I

    Leon osservava il cortile dalla finestra della sua camera. Erano ormai cinque anni che si ritrovava ogni mattina a guardare i suoi sudditi da quella finestra. Nella sua mente il ricordo della sua incoronazione e dei fatti che l’avevano preceduta era ancora vivo, come se fosse passato solo qualche giorno. Invece erano già passati cinque anni e molte cose erano cambiate.

    In fondo era riuscito a cavarsela abbastanza bene nel governare. I sudditi erano contenti, poiché le tasse non erano troppo onerose e i raccolti abbondanti, anche se questo non era certo merito suo. I suoi soldati si addestravano ogni giorno con tenacia e volontà, anche se fortunatamente non c’era un grande bisogno del loro intervento. Le scuole funzionavano a dovere. Oltre a quella già esistente all’interno del castello, ne aveva istituite delle nuove: una in città e due nella parte alta del regno, la prima al confine tra la prateria e la regione delle foreste, la seconda vicino al lago di Cristallo. Grazie a questi nuovi istituti era riuscito a portare l’istruzione a tutti i bambini che abitavano il regno di Creantor, non solo a quelli che vivevano all’interno del castello. Era una novità importante nella storia del regno, che ben si integrava nell’insieme di tradizioni consolidate e rimaste immutate.

    Il primo giorno della settimana era ancora destinato al mercato e Leon riteneva giusto che dovesse continuare sempre così. Tutti gli abitanti del regno accorrevano in città per vendere o comprare merci destinate al loro sostentamento. Così cacciatori, pescatori, allevatori e artigiani si incontravano, e si scontravano, assieme per organizzare le necessità della settimana ventura. Era un giorno di festa per tutti, nessuno escluso, e anche l’occasione d’incontro tra vecchi amici che non avevano possibilità di vedersi altrove.

    Non mancavano inoltre le feste al castello, per celebrare diversi avvenimenti, oppure solo per fare una piccola abbuffata insieme, anche se Leon aveva cambiato leggermente il protocollo. Fino al regno del fratello maggiore, morto cinque anni addietro, le feste si svolgevano nel grande salone principale all’interno del castello. Una grande tavola ospitava i cavalieri e consiglieri più importanti del regno, mentre il popolo comune poteva partecipare al piano superiore, dal cui loggione le persone accorse potevano osservare i commensali seduti dabbasso. Leon, invece, aveva decretato che le feste si svolgessero all’aperto, nel cortile del castello, ove i partecipanti tutti potevano accedere, trattati in egual misura, senza distinzione di classi o d’età. Tutti alla pari, tutti uguali, eccetto i servitori del castello, gli unici costretti a lavorare. Alla fine, però, anche loro erano invitati a godere del loro momento di svago e rilassamento.

    In quei pochi anni di regno Leon aveva operato piccoli cambiamenti che avevano avvicinato il re al suo popolo e avevano contribuito a creare una convivenza felice. Di una sola cosa Leon si rammaricava: l’annullamento del torneo annuale. Si trattava di alcuni giorni di pausa e festa in cui tutti coloro che lo desideravano potevano affrontarsi in una delle quattro gare organizzate: corsa, lotta, tiro con l’arco e spada. Ai vincitori di ciascuna disciplina erano affidate le corone con lo stemma del Magnifico, il più grande mago che fosse mai esistito nel regno di Creantor. Costui aveva progettato il castello e tutte le sue armi di difesa e offesa, organizzato la società e la burocrazia, redatto la storia del regno, nonché opere di cultura su tutti campi del sapere e della manualità. Era stato il Consigliere del primo regnante della dinastia dei Creitus, l’unica che avesse mai governato a Creantor e di cui Leon era discendente. Poi era sparito senza lasciare traccia e nessuno sapeva dire se, dove e quando fosse morto. In tanti si chiedevano se fosse sepolto in qualche luogo sconosciuto o se vagasse ancora per il mondo a diffondere la sua magia; anche se erano passati moltissimi anni dalla sua scomparsa, molti più di quanti compongono la vita media dell’uomo comune, nel campo della magia non era data certezza alcuna.

    La decisione di sospendere il torneo annuale era dovuta a vari fattori. Il principale era che una delle quattro corone destinate in premio era stata spezzata cinque anni prima nella lotta contro il Mago di Fideus, il fratello maggiore di Leon. Questo Mago era un essere infido e spietato, che aveva operato un sortilegio contro Fideus quando questi era ancora bambino per assoggettarlo al suo potere. Poi lo aveva obbligato a uccidere il proprio padre in una notte di follia, per usurparne il trono. Dopo dieci anni di governo maligno e deleterio, il secondogenito Leon, con l’aiuto di Marco, un ragazzo della regione delle foreste, aveva sottratto il trono al fratello e scacciato il Mago da quel regno. Avevano scoperto che il loro nemico in realtà non era un essere umano, ma un demone antico, intrufolatosi nel regno per trovare il potente libro di magia che il Magnifico aveva lasciato in eredità. Fortunatamente non era riuscito a procurarselo. Erano stati Leon e Marco, invece, a scovarlo, imbattendosi in esso nelle segrete del castello, dopo aver risolto l’intricato rompicapo escogitato dal Magnifico a protezione del suo tesoro. Avevano scoperto che la chiave d’accesso era nascosta nelle corone premio del torneo. Così si era deciso di impedire che altre persone accidentalmente potessero scoprire quelle stanze. Chiunque fosse entrato in contatto con il libro di magia avrebbe potuto usarlo per buone intenzioni, ma anche per i propri egoistici interessi. Persino Marco, che aveva una vaga conoscenza delle arti magiche, evitava accuratamente quel libro per paura delle conseguenze che poteva arrecare. Così il torneo era stato abolito, anche se Leon pensava di ripristinarlo un giorno, magari scegliendo degli altri premi per i vincitori.

    Il re continuava a osservare i movimenti nel cortile del castello. Fra non molto sarebbe dovuto scendere per adempiere ai suoi doveri di sovrano ma tentennava poiché gli piaceva molto restare a contemplare il tutto da quella posizione. Il suo sguardo cadde su sua sorella minore Ariel e sua moglie Sofia. Aveva incontrato sua moglie per la prima volta mentre viaggiava a cavallo nella regione dei laghi con Marco. Si erano fermati al lago di Cristallo per dissetarsi dopo una lunga cavalcata. Lì avevano trovato la ragazza, seduta in riva al lago, intenta a rinfrescarsi i piedi nell’acqua. Quando l’aveva vista, Leon ne era rimasto incantato. Aveva lunghi capelli biondi, che le coprivano le spalle, e un viso veramente grazioso. Le proporzioni del suo corpo erano perfette e si muoveva con una leggiadria straordinaria. Avvicinandosi Leon si era accorto inoltre che aveva bellissimi occhi azzurri e un sorriso splendente. Non si sarebbe mai stancato di osservarla e rimirarla se Marco non lo avesse distolto dai suoi pensieri, esortandolo:

    Credi che resterà lì tutto il giorno? Che cosa aspetti ad andare da lei?. Leon si era avvicinato e l’aveva conosciuta. Aveva scoperto che quella ragazza non era solo molto bella, ma anche intelligente, e la sua compagnia era veramente piacevole. Ogni giorno ritornava al lago per incontrarla e scambiare con lei parole da innamorati. Dopo qualche settimana si erano sposati.

    Quel mattino la regina e la principessa stavano parlando tra loro mentre osservavano i cavalli nella stalla. Leon sapeva bene quanto a sua sorella piacevano gli animali e che aveva un rapporto particolare con loro, specialmente con i cavalli. Sofia, invece, non era particolarmente interessata agli animali, ma voleva bene ad Ariel e le piaceva parlare con lei. Le voleva bene come la sorella che non aveva mai avuto, mentre Ariel non aveva mai conosciuto sua madre, che era morta nel darla alla luce, e quindi vedeva in Sofia la figura femminile di riferimento che le era sempre mancata.

    Tra loro si era stretto da subito un rapporto d’amicizia, anzi, di vera complicità, soprattutto nei confronti dei rispettivi mariti. Ariel e Marco si erano sposati da poco, ma il loro amore era sbocciato subito la prima volta che si erano visti, quel lontano giorno in cui Marco aveva cavalcato Neromanto. Da quel momento i tre ragazzi, Ariel, Marco e Leon, erano diventati inseparabili e avevano affrontato insieme molte

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