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Un ereditiera da sposare
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E-book237 pagine4 ore

Un ereditiera da sposare

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1820.
Lord Lucas Stainton ha urgente bisogno di una governante, ma il suo atteggiamento brusco non lo aiuta a trovare la persona giusta. Finché l'americana Eve Brody, in attesa di entrare in possesso di un ricco lascito, non accetta il posto per amore delle due figliolette del fascinoso gentiluomo. Vivendo sotto lo stesso tetto, Eve ha modo di scoprire perché Lucas si comporta con tanta arroganza e, desiderosa di aiutarlo, gli propone un accordo alquanto eccentrico: la sua eredità in cambio del matrimonio. Ma Lord Stainton è un uomo il cui orgoglio è già stato ferito una volta e prima di accettare pone una condizione...
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2018
ISBN9788858984482
Un ereditiera da sposare
Autore

Helen Dickson

Helen Dickson lives in South Yorkshire with her retired farm manager husband. On leaving school she entered the nursing profession, which she left to bring up a young family. Having moved out of the chaotic farmhouse, she has more time to indulge in her favourite pastimes. She enjoys being outdoors, travelling, reading and music. An incurable romantic, she writes for pleasure. It was a love of history that drove her to writing historical romantic fiction.

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    Anteprima del libro

    Un ereditiera da sposare - Helen Dickson

    Immagine di copertina:

    Gian Luigi Coppola

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    From Governess to Society Bride

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2008 Helen Dickson

    Traduzione di Elena Rossi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-448-2

    1

    Londra, 1820

    Era mattino presto e non si udiva un suono nel grande parco londinese, avvolto nella spessa foschia per cui la città andava famosa. La giovane donna si fermò a guardarsi intorno. Era come se fosse sola al mondo. Quello era il momento della giornata che amava di più.

    Ma a un tratto, in lontananza, udì un rumore di zoccoli. Poteva quasi sentire il suolo tremare sotto i piedi. Quel suono la disturbò; nessuno aveva il diritto di infrangere la sua solitudine. Girò su se stessa e aguzzò la vista mentre il calpestio si faceva sempre più vicino; all’improvviso un grido risuonò nell’aria e la sagoma imponente di un uomo a cavallo si avventò su di lei.

    Gridò al cavaliere di fermarsi e si gettò di lato, atterrando nell’erba umida. L’uomo tirò le redini e l’animale si impennò, facendo scintillare gli zoccoli come argento vivo; i muscoli si contrassero e si fletterono sotto il manto lucido di sudore. Le narici dilatate e gli occhi di fuoco lo facevano sembrare un drago infuriato. La mancò di poco.

    La donna vide l’uomo come attraverso un lungo tunnel e un piccolo grido le sfuggì di gola quando il fantasma nero scivolò dalla sella con un unico, agile balzo. Con il mantello che gli svolazzava alle spalle, sembrava un enorme pipistrello in picchiata. In preda al terrore, si rimise in piedi e si ripulì le gonne mentre lo fissava, il cuore che sembrava sul punto di scoppiarle nel petto.

    «Che cosa diavolo ci facevate in mezzo alla strada?» tuonò l’uomo. «Avrei potuto uccidervi.»

    «Scusate?» replicò, asciutta, aggiustandosi il cappellino che le cadeva di traverso sul capo e cercando di superare il misto di collera e terrore che l’aveva assalita. L’uomo era così alto da costringerla a piegare il collo all’indietro per guardarlo in viso. Si trovò a fissare un paio di penetranti occhi azzurro chiaro. I capelli neri accentuavano gli zigomi alti e la mascella decisa, le labbra erano tirate in una linea sottile e arrogante.

    «C’è mancato poco che non vi calpestassi a morte. Non avete un minimo di buon senso in quella testolina senza cervello?»

    «Come osate?» proruppe, rossa in viso per l’indignazione. «E volete smetterla di agitare la frusta in quel modo, come se voleste percuotermi?»

    Con un colpo secco lo sconosciuto riportò il frustino lungo il fianco senza staccare gli occhi da lei. «Ne sarei tentato. Non sapete che non si deve camminare sulla pista? È per i cavalli, non per le signore a passeggio.»

    «Lo so benissimo» rispose, sollevando il mento con aria bellicosa. «Ma non pensavo che ci fosse qualcuno tanto folle da uscire a cavallo con una nebbia simile. E stavo seguendo la pista solo per non perdermi.»

    «Il che è già pericoloso anche con il bel tempo.» Come assalito da una punta di preoccupazione, l’uomo cambiò improvvisamente tono mentre le chiedeva: «Siete ferita?».

    Lei lo guardò con aria accusatoria. «No, non certo per merito vostro, però. Se cavalcaste con più attenzione, questo non sarebbe mai successo. O forse è il vostro cavallo a prendervi la mano e non gli avete ancora insegnato chi comanda?»

    «Vi assicuro che sa benissimo chi comanda.» La guardò attentamente e quello che vide fu una giovane donna di grande bellezza, i cui modi dicevano che non aveva paura di nessuno e tanto meno di lui. Anche se non si fosse gettata a terra, non l’avrebbe travolta. Era un cavallerizzo troppo abile per questo, ma ci era andato vicino. Le rivolse un languido sorriso. «Che carattere focoso. Siete sicura di essere caduta e di non essere svenuta vedendomi apparire a cavallo?»

    La sua risata sommessa aveva una punta di sarcasmo. Un’ondata di collera fece arrossire la donna fino alla punta delle orecchie delicate mentre un gelido fuoco ardeva nei profondi occhi blu. «Voi... villano presuntuoso. Siete arrogante se pensate che potrei svenire ai vostri piedi. Grazie al cielo non soffro di queste debolezze.» Si allontanò da lui, leggermente intimidita dalla sua vicinanza e dalla sua figura imponente.

    Non pronto a farsi liquidare in quel modo, l’uomo le sfiorò il braccio per fermarla. «Lasciate almeno che vi accompagni a casa.»

    Gli rivolse uno sguardo di disprezzo e allontanò la sua mano. «Non mi toccate. Sono in grado di andare da sola. Andatevene e portate con voi quella bestia pericolosa» sbottò, lanciando un’occhiata infuriata allo stallone nero che sbuffava dalle narici e scalpitava impaziente, con un carattere focoso che ricordava molto quello del suo padrone.

    «Non pensate ai rischi? Potreste essere assalita dai briganti o peggio. Potrebbe accadere qualsiasi cosa a una giovane donna che va in giro da sola a quest’ora.»

    «Sono convinta che corro meno pericolo di essere assalita dai briganti che da voi. Se non altro hanno modi più gentili.» Voltandogli le spalle, si allontanò a testa alta.

    Lui fece un sospiro di finta delusione, scuotendo lentamente il capo. «Quale ingratitudine.»

    «Ingratitudine?» La donna si voltò di scatto. «Voi parlate di ingratitudine? Mi avete quasi calpestata a morte e ancora dovrei esservene grata?»

    «Come volete» rispose con un sorriso divertito negli occhi. Sistemò in capo il cilindro e risalì in sella al fiero stallone. «Buona giornata a voi» disse, spronando la cavalcatura.

    La sua risata ironica la raggiunse, facendola infuriare ancora di più. Battendo il piede per terra, lo fissò mormorando a bassa voce una serie di ingiurie. Non aveva mai incontrato un uomo che l’avesse irritata tanto e la sua evidente soddisfazione le bruciava ancora di più.

    Era una meravigliosa giornata primaverile. Il sole era uscito da una coltre di nebbia opalina e qualche nube fluttuava nel cielo, leggera come un velo di garza. Frassini e sicomori, ciliegi e lillà erano in piena fioritura e i capolini gialli delle giunchiglie e delle primule riempivano le aiuole. L’aria era rinfrescata dalla brezza che soffiava su Hyde Park dal fiume in lontananza. Il parco era deserto fatta eccezione per poche persone che facevano una passeggiata salutare di primo mattino. Tra queste c’era una giovane donna che vagava senza meta tra i sentieri, seguita da due bambine.

    Seduta su una panchina mentre guardava la figlia di cinque anni, Estelle, che correva felice tra le aiuole seguita da Jasper, un cucciolo di Labrador che era entrato da poco a far parte della famiglia Seagrove, Eve sospirò e si contemplò le mani abbandonate in grembo. Perché si sentiva così depressa? Che cosa le stava succedendo? Perché la vita le sembrava così limitata? Godeva di buona salute e aveva una cara amica in Beth Seagrove. Era graziosa e, in seguito alla morte dell’amato padre, avrebbe ereditato tanto denaro da non sapere che cosa farsene. Era intelligente e aveva un gran numero di interessi. Tutti non facevano che dirle quanto fosse fortunata ad avere Estelle, che lei adorava. Tutto questo sarebbe dovuto bastare a chiunque, ma non era così. Ci doveva essere qualcosa di più nella vita, qualcosa cui dedicare tempo ed energie.

    Quella sera si sarebbe recata a una festa nella dimora di Lady Ellesmere in Curzon Street. Eve preferiva quelle serate tra volti familiari alle riunioni mondane più formali ed era sinceramente felice di andarvi con Beth e suo marito. Tuttavia era determinata a trovare qualcosa da fare per guadagnarsi il proprio sostentamento finché il denaro del padre non fosse stato disponibile e le avesse consentito di guardarsi intorno in cerca di un altro posto in cui vivere.

    Voltando il capo, guardò la giovane donna con le due bambine. Poteva avere diciotto o diciannove anni. I suoi abiti erano di buona qualità ma grigi e disadorni; erano gli abiti che avrebbe indossato una bambinaia. Era pallida in volto e aveva due cerchi scuri sotto gli occhi; non sembrava affatto in buona salute. Vide che sedeva sulla panchina accanto alla sua e chinava la testa sul petto. Il tremito che le scuoteva le spalle indicava un pianto sommesso. Le due bambine che aveva in custodia si fermarono di fronte a lei e la fissarono. I loro volti esprimevano confusione, ansia e paura. La più piccola incominciò a piangere, cercando rifugio accanto alla sorella maggiore.

    «Non piangete, Sarah» disse questa, rivolta alla donna seduta sulla panchina. «Andrà tutto bene.»

    Le sue parole parvero calmare la giovane donna, non tanto perché potesse credervi quanto per la tenerezza della piccola che le aveva pronunciate. Rialzando il capo, sorrise alla bambina ma non cambiò il suo portamento abbattuto.

    Tirando fuori un fazzoletto dalla tasca, Eve si avvicinò al terzetto. «Posso esservi d’aiuto?» chiese alla donna. «Su, lascia che ti asciughi gli occhi» disse, chinandosi a sorridere alla bimba in lacrime. La piccola la guardò con solenni occhi azzurri che le ricordarono quelli di un cucciolo ferito. «Come vi chiamate?»

    «Io sono Sophie» rispose educatamente la maggiore. «E questa è mia sorella Abigail. Abigail ha tre anni, quasi quattro, e io ne ho cinque.»

    «Bene, piacere di conoscervi» disse Eve, pensando che erano due bambine graziose e educate. Entrambe avevano il viso a forma di cuore incorniciato da lucenti riccioli scuri e indossavano due abitini blu identici. Guardando verso Estelle che stava giocando, le fece un cenno con la mano. «Estelle, mentre io siedo a parlare con...?» Rivolse uno sguardo interrogativo alla giovane donna.

    «Sarah. Sarah Lacy» mormorò questa.

    «Mentre io parlo con Miss Lacy, perché non inviti Sophie e Abigail a giocare con Jasper? Vi piacerebbe?» chiese alle due bambine, che annuirono, guardando timidamente Estelle, ma non si mossero finché Sarah non diede loro il permesso.

    «Potete andare, bambine. Vi posso vedere da qui.»

    Estelle, che era abituata a giocare con i due figli esuberanti di Beth, tese la mano ad Abigail e tutte e tre presero a saltellare tra l’erba inseguendo il cucciolo che si fermò all’improvviso rotolando con loro in un groviglio di gambe.

    Sorridendo, Eve prese posto accanto alla giovane donna. La povera ragazza stava chiaramente poco bene. Il viso era pallido e i dolci occhi grigi avevano un’espressione quasi disperata.

    «Spero che non vi disturbi se ho suggerito che le bambine giochino con mia figlia. Il cucciolo è innocuo. A proposito, mi chiamo Eve Brody.»

    La giovane donna scosse il capo. «No, certo. Sono la loro bambinaia. È bene che giochino con altri bambini, succede così raramente, povere care.» Chinando il capo, soffocò un singhiozzo. «Scusate...» mormorò prima di scoppiare in lacrime.

    «Sarah...» Eve si fece più vicina. «Vi sentite poco bene?»

    Incapace di guardare negli occhi la gentile sconosciuta, Sarah fissò lo sguardo sul fazzoletto che tormentava fra le dita. «Ho solo una leggera emicrania» rispose timidamente.

    «Avete visto un dottore? Forse può darvi qualcosa che vi aiuterà a stare meglio.»

    Sarah scosse il capo, tirando su col naso. «Non occorre. Sto già meglio.»

    «Allora perché piangete? Avete un’aria sconvolta.»

    «A dire la verità, in queste ultime settimane sono arrivata a non sapere dove sbattere la testa. Non so proprio che cosa fare.»

    «Come mai?»

    «Mark, il mio fidanzato, vive nel Surrey, dove lavora come capo stalliere in una grande tenuta. Mi ha chiesto di sposarlo, ma ciò significherebbe lasciare il mio lavoro e le bambine.»

    «Che cosa c’è di così terribile? Di certo ci sarà qualcun altro che può badare a loro. La madre?»

    «Non hanno madre. Il signore per cui lavoro, Lord Stainton, il padre delle bambine, sta chiudendo casa. È per questa ragione che sono uscita così presto, per portarle via dalla confusione. Ci sono uomini dappertutto e Sua Signoria non è dell’umore migliore. La maggior parte della servitù è stata liquidata e tra poco ci trasferiremo nella tenuta estiva di Lord Stainton, nell’Oxfordshire. Non l’ho ancora detto a Mark e temo di farlo. Vedete, lui non capisce il legame che ho con le bambine.»

    «Se la vostra posizione significa tanto per voi, perché non chiedete al vostro fidanzato di venire con voi?»

    «Lord Stainton non può permettersi di assumere altro personale. Gli affari di Sua Signoria non vanno affatto bene ed è per questo che deve vendere la casa di Londra.»

    «Comunque sia, il problema non è vostro, Sarah. Lord Stainton può trovare qualcun altro che si prenda cura delle piccole. Non dovrebbe essere difficile trovare una giovane donna con le giuste credenziali per questo compito.»

    «Lo so, ma hanno già sofferto tanto nella loro giovane vita che mi si stringe il cuore al pensiero di abbandonarle. Mi occupo di loro da quando Abigail aveva un anno. Non sopporto l’idea di lasciarle. Spezzerà il mio cuore e anche il loro, ma so che devo farlo.»

    La risata di Estelle le raggiunse dal prato. Eve guardò in quella direzione e vide la figlia che rotolava sull’erba mentre Jasper, sopra di lei, le leccava il viso. Sophie e Abigail, per quanto intimidite a unirsi a loro, li guardavano sorridendo. Eve riportò lo sguardo sulla giovane donna al suo fianco, preoccupata.

    «Non avete una bella cera. Forse dovreste tornare a casa e riposarvi un po’» suggerì.

    Sarah scosse il capo. «È impossibile, anche se ne avrei davvero bisogno.» Si rialzò, portandosi una mano alla testa e aggrappandosi con l’altra alla panchina. «Oh, Dio, ho le vertigini!»

    Eve si alzò e le afferrò il braccio. «Venite, vi accompagnerò a casa. Non posso lasciarvi andare da sola.»

    «Oh, no. Siete molto gentile, ma ho già approfittato fin troppo del vostro tempo.»

    «Insisto. Tra l’altro non ho alcun impegno. Dove abitate?»

    «Non molto lontano. In Upper Brook Street, proprio al di là del parco.»

    «Allora non è lontano da Berkeley Street, che è dove abito io. Venite, bambine. Estelle, tu devi portare Jasper.» Eve sorrise guardando la figlia che si chinava a prendere in braccio il cucciolo.

    Stainton House era davvero in subbuglio. Gli uomini di fatica si aggiravano per tutta la casa, coprendo i mobili con lenzuola o caricandoli sui carri in attesa sulla strada. Tenendo per mano le bambine, Eve e Sarah entrarono. Le dimensioni della casa sorpresero e impressionarono Eve. Con i suoi stucchi bianchi e dorati, non era difficile immaginare come l’ambiente fosse elegante prima dell’arrivo degli operai.

    Eve stava per salutare Sarah e le bambine, quando Jasper si liberò dalla presa di Estelle e si lanciò attraverso il vestibolo. Eccitato dal nuovo ambiente e dai rumori, il cucciolo trotterellò con guaiti festosi verso la grande scalinata ricurva al centro della sala.

    «Non preoccupatevi» disse Sarah, che si era leggermente ripresa. «Vado io a prenderlo.»

    Le tre bambine sedettero sugli scalini, osservando con sguardi rapiti i lavoratori all’opera. Eve si fece da parte per lasciar passare due uomini che trasportavano un pesante sofà a strisce verdi e oro in direzione della strada, quando una voce tonante la fece voltare.

    «Diavolo, fate attenzione! Quel ritratto vale una piccola fortuna. Il minimo segno e il compratore si rifiuterà di acquistarlo.»

    Eve si avvicinò all’uomo che aveva parlato, una figura scura e imponente, con pantaloni grigi attillati che mettevano in risalto le gambe muscolose, una camicia bianca aperta sul collo abbronzato e capelli neri come il manto di un pantera. Il suo viso era una maschera di indignazione.

    «Dovete proprio imprecare in presenza delle bambine?» osservò con aria altezzosa. Lo vide irrigidire le spalle al suono della sua voce e, quando si voltò a guardarla, poté quasi sentire lo sforzo che esercitava per tenere a freno la collera. Il viso era duro e inflessibile come una statua di granito e la stava guardando come se fosse una pazza che aveva invaso il suo dominio. Eve si sentì quasi mancare riconoscendo in lui l’uomo che l’aveva rischiato di travolgerla il giorno prima.

    «Impreco fin che voglio a casa mia...» L’uomo si interruppe improvvisamente, sgranando gli occhi. «Buon Dio, siete voi...»

    «Sfortunatamente è proprio così. Dovete proprio gridare? Il mio udito è perfetto e così spaventate solo le bambine.»

    «Non siate ridicola. Sono le mie figlie.»

    «Precisamente, e basterebbe questo motivo per controllare il vostro temperamento» ribatté Eve, che si era ormai riavuta dalla sorpresa di trovarsi di fronte per la seconda volta quell’odioso gentiluomo.

    Lord Stainton inchiodò con lo sguardo i servitori terrorizzati, che avevano interrotto quello che stavano facendo ed erano rimasti congelati sul posto a bocca aperta. «Chi diavolo ha fatto entrare questa donna in casa mia senza consultarmi?»

    «Come vi ho già detto, non sono sorda, per cui vi prego di abbassare il tono di voce.» Girando sui tacchi, Eve si diresse verso le scale per riprendere Estelle.

    «E questo che cosa dovrebbe significare?» tuonò Lord Stainton, seguendola con il passo felpato e sicuro di un lupo e fermandosi solo quando vide tre visini ansiosi fissarlo dalla balaustra anziché i soliti due. «Miss Lacy» chiamò a gran voce. Dato che Miss Lacy non compariva, imprecò tra sé e trafisse Eve con lo sguardo. «Da dove viene questa bambina?» chiese, puntando un dito accusatore verso la piccola. «E che cosa diavolo ci fa in casa mia proprio oggi?»

    «La bambina di cui state parlando è mia figlia.»

    «Allora vi spiace rimuovere la sua presenza e la vostra dalla mia casa? Come potete vedere...»

    «State traslocando» concluse bruscamente Eve.

    «Avete sempre l’abitudine di affermare l’evidenza, Miss...?»

    «Mrs. Brody. Proprio così» disse con voce gelida, guardandolo con occhi lampeggianti di collera.

    Lui sostenne il suo sguardo, studiandola come se fosse una strana creatura che avesse appena scoperto in casa sua. Aveva già notato il suo leggero accento americano e il suo nome di origine scozzese era un’altra cosa che lo incuriosiva. Ci fu un

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