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Le stirpi dei non morti
Le stirpi dei non morti
Le stirpi dei non morti
E-book409 pagine6 ore

Le stirpi dei non morti

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Info su questo ebook

Credeva di averla persa per sempre e non sapeva se il suo cuore immobile avrebbe potuto resistere a un dolore così tremendo.

Un incidente drammatico gliel’aveva portata via. O almeno, così Alex pensava che fosse andata. In realtà, tutto era stato organizzato con precisione da una frangia reazionaria della stirpe Voordalack, e Amelia è prigioniera nel Castello di Radu, loro più elevato rappresentante.

Perché egli vuole che la causa Voordalack vinca sull’evoluzionismo della stirpe dei Vis, da lui considerata reietta.

Perché il nutrimento deve essere dato dal sangue che scorre veloce nelle vene degli esseri umani.

Perché per Radu l’essenza vitale del Vij non è la soluzione vincente, e la convivenza paritaria con la società umana non potrà mai rappresentare l’evoluzione della loro razza.

Di certo, però, il segreto dell’esposizione al sole su cui i Vis continuano a lavorare da tempo è una delle conoscenze di cui appropriarsi.

Amelia è una pedina che Radu riesce a muovere alla perfezione: il farle rinnegare la sua esistenza, il piegare la sua volontà, altro non sono, a suo vedere, che una dimostrazione dell’inferiorità insita nella stirpe dei Vis. Prendere ciò che gli serve, per dare vita a una nuova stirpe di cui lui diverrà il Supremo, è il suo unico interesse.

Tutto è sacrificabile e utilizzabile per la sua causa.

Ma l’amore tra Alex e Amelia è sconfinato: neppure la convinzione della morte sembra scalfire il sentimento che provano l’uno per l’altra. I loro cuori immobili si compenetrano nell’eternità delle loro esistenze. Erano destinati a possedersi sin dal primo incontro, e nessuno poteva immaginare che dietro quell’unione si celasse qualcosa di ancora più forte: il simbiotismovampiro.

Molteplici personaggi si muovono accanto ai protagonisti, occupando di volta in volta ruoli predominanti e creando vie alternative nelle quali la storia si addentra e si svela. Amore, amicizia, odio, ambizione e desiderio sono le correnti che attraversano il romanzo e ne muovono le fila fino all’epilogo.
LinguaItaliano
Data di uscita19 mag 2013
ISBN9788867820870
Le stirpi dei non morti

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    Anteprima del libro

    Le stirpi dei non morti - MARA CASSARDO

    Mara Cassardo

    Le stirpi dei non morti

    LE STIRPI DEI NON MORTI

    Autore: Mara Cassardo

    Copyright © 2012 Editrice GDS

    Via Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda - Milano

    Tel 02 9094203

    E-Mail edizionigds@hotmail.it

    Impostazione grafica e progetto copertina:

    © 2012 Editrice GDS

    Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale.

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

            La pubblicazione di questo libro digitale è di proprietà della casa editrice GDS. E' vietato copiare e diffondere il seguente libro elettronico. Chiunque distribuisce il seguente volume in modo illegale sia gratuitamente che a pagamento, senza l'autorizzazione dei legittimi proprietari dell'opera costituisce illecito penalmente perseguibile. 

    La supremazia scorre attraverso il sangue che li può rendere simili all’uomo senza che il mondo venga mai a sapere di loro. Ma c’è chi intralcia la commistione tra razze e predica la superiorità vampira. Una storia d’amore si muove tra le fitte ragnatele del complotto. Un amore eterno e immutabile che ha inchiodato i cuori di due immortali.

    LE STIRPI DEI NON MORTI 

    MARA CASSARDO

    1.

    Dove sei…

    Febbraio 2009

    Era una fredda e pungente aurora invernale e lui, con lo sguardo perso, guardava lontano verso le montagne che incorniciavano il lago. Il cielo, prossimo a schiarirsi, era cosparso di nubi tinte di rosa che mutavano le loro sfumature verso il giallo e l’arancione tanto che, con l’avvicinarsi del sole, sembravano risplendere di fuoco.

    Una brezza gelida increspava le limpide acque del lago al riflesso dell’alba. La natura si stava svegliando, uno spettacolo che lo toccava nel profondo nonostante non potesse ancora ammirarlo per molto. Dalle nubi filtravano i primi raggi del sole, tiepidi e delicati, ma da lì a poco sarebbero arrivati bagliori più forti.

    Lo avrebbero raggiunto e attraversato.

    Certo, all’inizio non sarebbe stato un problema sopportare il pizzicore dei raggi sulla pelle, ma la sensazione piacevole non sarebbe durata molto. Meglio non trovarsi in giro per quell’ora.

    Ma lui restava lì, seduto sull’erba resa verde dalle piogge dell’ultimo periodo. Le mani poggiavano sulla terra bagnata e affondavano decise nell’humus quasi per strapparne l’essenza.

    Doveva tornare indietro: oggi sarebbe stata una bella giornata di sole.

    Eppure non se la sentiva, non ancora. Il dolore, che avrebbe provato rimanendo lì oltre a quello che gli suggeriva la prudenza non sarebbe stato intenso quanto quello che provava dentro in quel momento.

    Una lacrima scivolò sul suo viso, poi una seconda e una terza ancora: non riusciva a fermarsi. Da quando aveva imparato a

    piangere, poteva dare sfogo alla sua sofferenza. Uno dopo l’altro, riemersero gli stati d’animo di quel dannato incidente: il dolore, la rabbia, la morte dell’anima… o di quel che ne restava. Era come se gli avessero portato via una parte di sé. La sensazione della distruzione che da allora aleggiava pesante sul suo cuore di ghiaccio non lo aveva più abbandonato. Il mondo che conosceva era sprofondato per sempre. Perché continuare? Non lo sapeva. Ma ogni mattina, prima del sorgere dell’astro diurno, si sedeva lì, sulla punta del promontorio. Ne godeva il tepore… e poi fuggiva via.

    «Vivere un momento dopo l’altro… devo resistere. Prima o poi passerà la sensazione di vuoto che mi sta portando alla follia» si ripeteva quando i pensieri cupi non smettevano di tormentarlo, rimbombando nei meandri più profondi della sua mente.

    «Dobbiamo andare avanti, Alex. Abbiamo sopportato tante difficoltà in questi anni, perché arrenderci adesso?» gli aveva ripetuto Amelia nei periodi di sconforto più profondo.

    Ma che senso aveva ora che non c’era più? Ora che una parte della sua anima si era dissolta?

    Ora che non percepiva più i sensi di lei, si sentiva mutilato.

    Sentiva ancora il suo dolce profumo di gelsomino mischiato a talco: lo aveva inebriato ogni notte negli ultimi ottant’anni e lo aveva sempre lasciato stordito. Ce n’era ancora traccia in casa, nell’armadio di Amelia. Non aveva liberato quella stanza. Il suo angolo di bellezza, così lo definiva lei. Perché avrebbe significato darle un addio definitivo, persino più del funerale stesso, che di per sé rappresentava per loro il saluto finale. Ma in fondo lui non lo voleva; ogni fibra del suo essere rifiutava quell’addio che nulla più lasciava alla speranza, addirittura più della morte che allora li aveva fatti incontrare.

    E quindi rimandava. Settimana dopo settimana, mese dopo mese.

    Era passato molto tempo, ma ad Alex sembrava ieri quando un anno prima era uscita dal suo bagno profumato, eccitata al pensiero del compleanno che dovevano festeggiare. Era davvero bella: alta, con lunghi capelli morbidi oltre le spalle. Un neo grazioso le adornava il viso al di sotto delle rosse labbra carnose che incorniciavano la sua dentatura perlacea. Aveva una carnagione diafana, dono della sua nuova esistenza e su quel pallore spiccavano grandi occhi color nocciola dalle ciglia scure. Quel giorno non era ancora truccata, ma nella sua genuinità, con addosso soltanto l’accappatoio chiaro, per lui rappresentava lo stesso la creatura più bella del mondo.

    L’aveva fissata a lungo con gli occhi che solo l’amore poteva avere per poi stringerla forte contro il suo corpo. Quanto era stato bello sentirne la morbidezza sulla pelle, scoprirle la schiena dai lunghi capelli neri e dilungarsi un po’ prima di festeggiare fuori quella giornata speciale. E poi avevano vissuto una notte indimenticabile. Nella cabrio aperta, incuranti dell’aria gelida di febbraio che anzi rendeva più elettrizzante l’atmosfera, erano sfrecciati sul lungolago mentre un cielo stellato rischiarava il mantello nero della notte. Non era una luce che faceva male: rendeva tutto magico. Si erano diretti verso il loro locale, frutto di una mente vampiresca talmente integrata nella società umana da esistere senza problemi. Quella sera, Alex aveva prenotato la sala neoclassica appena completata. Era perfetta per l’occasione. Un omaggio ad Amelia, al suo trecentoventitreesimo compleanno dall’apparenza di ventinovenne, l’età che l’avrebbe accompagnata nel suo percorso immortale. Dopo un inizio burrascoso nel Québec, aveva seguito il suo creatore in Francia al tramonto del Settecento, dove aveva vissuto felice per un considerevole numero di anni.

    «È tutto fantastico, Alex. Mi sembra di essere tornata nella mia Parigi di tanti anni fa!» aveva esclamato esterrefatta guardandosi attorno, mentre con la mano sfiorava l’arredamento. «Come ha fatto Roberto a ricreare tutto in modo così perfetto?» E con uno sguardo divertito aveva aggiunto: «Non so perché, ma credo ci sia come sempre il tuo zampino».

    «Siamo una grande famiglia, lo sai. Io gli ho dato soltanto qualche suggerimento, nulla di più.»

    In effetti era vero: c’era molto di più dietro a tutto quello. C’erano state ricerche e acquisti ben precisi, tutti tramite l’attività grazie alla quale Alex riusciva a reperire ben più del normale.

    «Questa sala è quella che mi è piace di più, ancora più di quella egiziana; oh, e tu sai bene quanto io adori quella egiziana. Alex, sei stato un tesoro» gli sussurrò in un orecchio mentre accarezzava il suo collo e i capelli rosso rame di lui scivolavano morbidi tra le sua dita.

    Alex inspirò il profumo della sua pelle e socchiuse gli occhi in un’espressione di estasi.

    «Amelia, lo sai: per me la tua felicità è come una droga. Come potrei vivere senza? Ma se non la smetti di mordicchiarmi potrei non trattenermi.»

    Ricordi lontani, eppure… limpidi. Ogni mattina ne ripercorreva uno diverso senza stancarsi; senza trovare note stonate; senza quasi percepire il tempo passato.

    Si alzò lentamente, lasciandosi accarezzare dal vento che si infilava tra le fronde degli alberi in un fruscio rumoroso.

    Pian piano si incamminò verso il lago: era ora di tornare. La barca, con la quale avrebbe fatto ritorno alla Villa, era ormeggiata a un pontile nascosto poco distante. Il sole, ormai sorto, stava abbandonando del tutto le nuvole sopra le montagne. I raggi iniziavano a essere più caldi e a scalfire il gelido corpo di Alex. Per fortuna quella mattina aveva indossato un giaccone per non farsi notare: non sarebbe stato normale vedere qualcuno con la sola camicia in pieno febbraio. Inforcò gli occhiali, si calò un cappellino da pescatore sugli occhi per limitare le zone più esposte e accese il motore. Sentiva un leggero tepore sul volto e poi sulla schiena mentre aggirava il promontorio per tornare a casa. Ma il percorso era davvero breve, anche per quella piccola barchetta a motore; così raggiunse in poco tempo il suo posto sicuro.

    Attraccata la barca, Alex salì la ripida scalinata che conduceva alla Villa. Era maestosa: non si stancava mai di guardarla. L’ultima ristrutturazione risaliva alla fine del diciottesimo secolo. Suddivisa in quattro corpi a sé stanti, era rivestita quasi del tutto dal Ficus repens, che anno dopo anno cercava di rubare ancora qualche centimetro alle facciate. Fortunatamente le mani esperte dei giardinieri erano in grado di domarne la crescita, lasciandone inalterato l’aspetto magico.

    Alex spalancò il portone dell’edificio principale in cui viveva da anni. Era stato il loro covo, suo e di Amelia. Adesso, però, stava meditando di spostarsi in una delle case secondarie, più modesta. Ma anche quella era una decisione difficile, che avrebbe attuato soltanto con l’addio definitivo alla sua amata.

    Un profumo di rose lo avvolse non appena varcata la soglia. Si stiracchiò un istante, poi si diresse verso la zona ‘notte’. Voleva dormire qualche ora: era stanco. Nel pomeriggio avrebbe dovuto sbrigare un po’ di faccende. Aveva trascurato a lungo gli affari ed era pienamente consapevole di avere dei doveri da rispettare, cosa che non aveva più fatto. Non poteva lasciare che gli altri continuassero a coprirlo sostituendosi a lui, doveva riprendere in mano la sua esistenza.

    Non era ancora pronto a sdraiarsi, però. Aveva sete. Quella notte, per l’ennesima volta, non si era nutrito e adesso iniziava a sentirne gli effetti. Si mosse fulmineo verso la cucina: aveva bisogno di qualcosa di veloce da inghiottire. Aprì il frigorifero, ma non c’era molta scelta, un altro effetto della trascuratezza di quei mesi. Dunque, vediamo un po’… rimane del fresco dalla Francia e dalla Spagna, una scatola di gelatina dalle Cayman e del plasma congelato dalla Russia. Menomale che oggi arriva il carico dalla Giordania. Optò per il fresco della Francia, forse perché era in tema con i pensieri di poco prima.

    Senza riuscire a gustare sul serio quella delizia, si spostò nella stanza da letto in penombra. Era ampia, arredata in stile coloniale. Tutto bianco e legno. Serrò gli scuri, abbassò le tende e chiuse la porta affinché nessuno potesse penetrare dall’esterno; dopodiché si liberò dei vestiti sulla poltrona nell’angolo della stanza e si coricò finalmente per un breve ma meritato riposo.

    Scivolò nel sonno in un attimo. Un sonno senza sogni come ormai accadeva da mesi. Lei non compariva più nei suoi viaggi onirici, le visioni erano sparite.

    Tutto da quel giorno. Quel maledetto giorno.

    2.

    Essere Vis per continuare a esistere

    Febbraio 2009

    Quando Alex si svegliò, dopo qualche ora, si sentiva indolenzito: il sonno non era stato ristoratore. Forti dolori alle gambe lo avevano disturbato durante il riposo. Era evidente che la sua alimentazione non era adeguata. Si allungò pigramente nel letto: proprio non aveva voglia di iniziare quella giornata. Si massaggiò i muscoli ma non ottenne grossi risultati; allora accese lo stereo e fece partire un sottofondo di musica New Age.

    Spero che un po’ di yoga mi rimetta in sesto: le prossime ore saranno impegnative. Mi auguro che almeno gli arabi siano in ritardo, pensò mentre iniziava i suoi primi esercizi. Spostò il peso su una gamba mentre, reggendosi con le mani, allungava l’altra. I muscoli delle braccia si contraevano per facilitare i movimenti e sopportare il peso del suo corpo; si vedevano in modo distinto sotto la pelle pallida, così flessuosi e scolpiti. Il viso non tradiva alcuna fatica: quando si era trasformato era in ottimo stato fisico e adesso poteva goderne i benefici.

    Non avrebbe potuto chiedere di più, con un fisico del genere per l’eternità…

    Alex si era reso conto che il sangue bevuto prima di coricarsi non lo aveva rinvigorito a sufficienza come si aspettava. Si stava ancora interrogando sul fatto quando la risposta gli si presentò chiara.

    Certo, se prima di scegliere i miei pasti riflettessi un po’ di più… se non mi fossi fatto guidare dalla gola non mi sentirei uno straccio come adesso. Devo smetterla. Come faccio a pretendere di bere il fresco dopo non essermi nutrito per giorni e ottenere qualche risultato? borbottò tra sé aprendo il rubinetto dell’acqua fredda. Era scombussolato e non riusciva a riprendersi. Ma non era solo questione di quella sera, erano mesi che la situazione continuava ad andare avanti così.

    Sembrava non riuscisse più a ritrovare la concentrazione di sempre, come se l’incidente che l’aveva portata via avesse annullato anche un pezzo di lui. Si rendeva perfettamente conto di come fosse e apparisse diverso anche ai suoi, e tuttavia loro continuavano a stare al suo fianco. Nonostante non fosse più il capo clan di prima, speravano che il momento sarebbe passato come anche lui in fondo si augurava.

    Un pensiero corse alla sua vita con Amelia. Come gli mancava anche nei piccoli gesti quotidiani. Sulla mensola c’era il suo olio di Argan, là dove lo aveva lasciato. D’istinto stappò il flaconcino e ne annusò l’aroma per farsi pervadere dai ricordi che quella mattina lo stavano devastando.

    Ci teneva a mantenersi bella, come sempre aveva fatto da viva, e non aveva cancellato certi gesti nella sua esistenza quotidiana, forse una garanzia della sua femminilità più che una reale necessità.

    Alex si infilò nella doccia, appoggiò i gomiti sul muro sotto l’erogatore e lasciò che l’acqua scivolasse dalla testa lungo il suo corpo liscio. Con gli occhi chiusi si rilassò sotto il getto: lo percepiva tiepido sulla pelle fredda. I lunghi capelli ramati, grondanti d’acqua, sembravano quasi castani. Rimase così per un po’, come se quel getto potesse portare via con sé la tristezza che non lo abbandonava. Alcuni momenti andava meglio, grazie alle sue attività da Vis sentiva di riuscire a sopravvivere, ma non sempre era così fortunato. Si sporse dalla cabina, osservò la sua immagine allo specchio e sorrise scoprendo la dentatura bianchissima. Forse quella giornata sarebbe stata diversa: vedere gli arabi lo avrebbe distratto un po’. Afferrò un asciugamano e, mentre si strofinava, fece vagare la mente ancora per qualche minuto; sapeva che poi non se lo sarebbe più potuto concedere. Non era giusto per gli altri. Aveva già deluso le aspettative di molti, ma tutti erano rimasti con lui comunque.

    Si vestì, lasciando che i capelli umidi bagnassero la camicia bianca, e indossò un paio di pantaloni verde militare con le tasche laterali. Un comodo paio di anfibi neri completavano il suo look quotidiano. Ormai pronto, scese le scale per dirigersi in cucina.

    Devo reintegrare le energie, fu il pensiero che si fissò nella sua mente.

    Aprì l’ampio frigo americano e prese la scatola di gelatina. Tagliò qualche sottile fetta che dispose su un piatto, con forchetta e coltello sbocconcellò il Vij per riprendere energia. Apprezzava molto questo loro modo di preparare il sangue, conservava il gusto ma forniva maggiore potere nutritivo, quasi come un condensato.

    Il necessario per affrontare gli impegni della nottata lo aveva fatto; si spostò quindi nello studio in attesa degli ospiti che arrivavano da lontano.

    Si trattava di un’ampia stanza, resa luminosa da un’alta porta-finestra orientata a nord. Aveva scelto apposta quel locale per dedicarlo alla zona di lavoro, luminoso ma mai con raggi diretti del sole. Poteva dedicarsi serenamente a tutte le sue attività andando avanti anche durante la mattina se ne aveva bisogno, senza rischiare che la disattenzione di una finestra lasciata aperta o di una tenda socchiusa facesse filtrare il sole provocandogli le ustioni che quelli come lui ben conoscevano.

    Nello studio tutta la parete ovest era occupata da una libreria fatta arrivare appositamente dall’Inghilterra, zeppa di libri, pubblicazioni, riviste, mappe. Nonostante quello che poteva sembrare a un primo impatto visivo, tutto era meticolosamente suddiviso. Lungo le altre pareti l’arredamento si componeva di pezzi provenienti da molteplici zone del mondo che convivevano armoniosamente grazie alle sapienti mani di chi li aveva accostati. Ma i pezzi antichi lasciavano spazio a moderni elementi tecnologici: un televisore a led e un impianto stereo di tendenza.

    Al centro della stanza, posizionata su un tappeto orientale, troneggiava una scrivania moderna, con il piano in vetro temprato sorretto da gambe di acciaio satinato, e una capiente cassettiera. Due sedie erano collocate di fronte a essa per accogliere e far accomodare gli ospiti.

    Moderno e antico convivevano senza sovrastarsi l’uno con l’atro, un bilanciamento perfetto attuato appositamente da Alex con la consulenza di Amelia. Ci avevano messo dei mesi a scegliere uno a uno i pezzi e a definirne una perfetta collocazione, ma il risultato li aveva sicuramente ripagati dello sforzo.

    Quando Alex entrò, respirò a pieni polmoni la fragranza emanata da quella stanza, profumo di legno e di carta antica. Anche se non ne aveva una reale necessità, gli piaceva respirare in quel luogo; se lo sentiva sotto la pelle: quello era il suo rifugio dai ricordi. Cercò di lasciare il pensiero di Amelia fuori dalla stanza e chiuse dietro di sé le alte porte.

    Prima che arrivi Qasim ci sono un po’ di e-mail a cui rispondere, e soprattutto devo verificare la consegna in Danimarca.

    In un secondo si sedette alla sua scrivania e attivò il portatile, che come sempre non era stato spento. Entrò nella casella di posta elettronica e attese un istante. Vedendo che non gli era ar-rivata alcuna e-mail, emise un grugnito lento e profondo.

    L’Hertug Ebherliniub sta attendendo alcuni pezzi per completare l’arredamento della nuova casa della figlia… e prima ancora sta aspettando il Vij. Se neppure oggi è stato consegnato il carico, non si può proseguire oltre e rischiamo di perdere la commessa.

    Era complesso gestire un’impresa internazionale di import-

    export di antichità, soprattutto quando non tutto il carico era così ‘antico’ e non si potevano avere troppi collaboratori per motivi di riservatezza.

    Niels avrebbe dovuto avvisarmi in tempo del ritardo che si stava accumulando.

    Sfilò il telefono dalla tasca e compose il numero del corriere. «Pronto, Niels!» Non attese la risposta prima di proseguire. «Non è possibile capire che c’è un ritardo in una consegna perché non arriva la mail di completamento ordine. Accidenti, cosa hai fatto finora? Dove siete? Qual è il problema?»

    Niels, spaventato dal tono, iniziò a balbettare: «Ma… Ma… Manca poco. Al massimo domani sera saremo lì. Il tir… be’, ha avuto un po’ di problemi.»

    «Strano… con te arriva sempre tutto puntuale, vero?» esclamò ironico nei confronti di quella creatura che mai aveva particolarmente sopportato e che negli affari dimostrava in pieno la sua inadeguatezza. «Ti rendi conto che il carico doveva arrivare nel tardo pomeriggio?! I mobili possono ritardare, ok. Ma il resto decisamente no!»

    «Be’, fo… fo... forse una mezza giornata di ritardo non… non... creerà grossi problemi ai danesi» cercò di minimizzare.

    Alex digrignò i denti e con un tono cupo aggiunse: «Entro questa notte il carico deve arrivare a destinazione. Fa’ quello che serve, non mi interessa. Aspetto una chiamata di conferma. I corrieri devono fare qualcosa di più dei cani da guardia al carico!»

    Non dovette aggiungere altro prima di riattaccare bruscamente: Niels sapeva bene cosa succedeva a chi trascurava i comandi del Capo.

    «Non è mai riuscito a fare bene nulla, è più di un anno che è con noi e ancora si comporta come se non capisse l’importanza del suo compito! A volte mi sembra che la sua essenza Voordalack non sia stata annullata. Accidenti, è come se non capisse che il Vij va rispettato e la conservazione non è garantita dalla presenza dell’involucro!» sbottò collerico Alex. Raramente parlare con Niels lo metteva di buon umore.

    Voordalack e Vis, quale divergente binomio. Ormai era passato più di un secolo dalla creazione del Vij, un secolo di contrapposizione per accettare l’evoluzione. E invece avevano deciso di rimanere fermi nella tradizione della caccia.

    I Voordalack vedevano negli esseri umani la fonte del proprio nutrimento e non credevano che quegli esseri così inferiori potessero rappresentare altro. Per questo motivo il loro livello di integrazione nella società umana era sostanzialmente nullo: vivevano separati in zone appartate e non gradivano nessun contatto, come sempre era accaduto nei secoli passati.

    Alex invece apparteneva al gruppo chiamato Vis, il quale aveva modificato il modo di alimentarsi nutrendosi sì di sangue e dei suoi derivati, ma in un formato già pronto e soprattutto opportunamente manipolato per renderlo più ricco e nutriente. Si trattava di vampiri evoluti, quasi sempre facoltosi, che, per cercare di mantenere il più possibile un equilibrio con la società umana, evitavano la caccia. Le evoluzioni dell’alimentazione, inoltre, avevano ideato cibi - così come avevano iniziato a chiamarli - che a seconda del formato esaltavano gusti, elementi nutritivi e finalità che si volevano raggiungere. Influiva molto il territorio da cui proveniva la materia prima. I cibi venivano prodotti e confezionati in fabbriche dedicate che lavoravano il sangue raccolto nei vari paesi. In ogni macroarea geografica esistevano posti per la trasformazione dalla materia prima al prodotto finito. Erano collocate in zone remote, non controllate dagli esseri umani e, laddove non fosse possibile per condizioni climatiche o presenza estesa di umani, direttamente sotto terra.

    Questo differente modo di nutrirsi permetteva ad Alex e a chi aveva scelto di essere come lui di vivere in maggiore armonia con la razza umana, riuscendo a distinguerne i componenti dal ‘pranzo’ e gestendo relazioni proficue.

    All’inizio la stirpe dei Vis non era stata altro che un piccolo movimento scissionista rispetto alla grande tradizione Voordalack. Questa nuova stirpe riteneva di poter sfruttare le potenzialità della progenie umana e della relativa società, andando oltre il concetto del pasto. Compreso che quello del nutrimento fosse il vincolo principale alla collaborazione con gli esseri umani, aveva portato avanti lo studio dei gruppi sanguigni e della trasfusione trasmettendone il sapere alla razza umana a partire da fine Ottocento. Infiltrandosi nei gruppi medici di ricerca, erano riusciti a far attecchire tra gli umani il concetto di trasfusione, soprattutto in concomitanza delle guerre mondiali, stimolando anche il fenomeno della donazione. Da quel momento in poi il piccolo movimento dei Vis si era espanso dotandosi di una struttura organizzativa e acquisendo potere economico. Era diventato una vera e propria stirpe in contrasto con quella Voordalack e riuscendo a esistere con uno stile di vita molto meno ritirato.

    L’inserimento dei Vis nel commercio con i mezzi e le aziende riconosciute dagli esseri umani aveva permesso loro di mantenere il segreto della loro natura ma di condurre un’esistenza quasi equivalente.

    I Voordalack e i Vis convivevano nel sostanziale rispetto reciproco, ma non condividevano il vicendevole modo di nutrirsi, per cui difficilmente vi erano comunità miste. Quindi, anche se vivevano in un clima di apparente rispetto, le due fazioni non si fidavano l’una dell’altra.

    Un’unica cosa li accomunava, un principio saldo a cui avevano deciso di attenersi: la segretezza. Era stata e continuava a essere la loro forza, la forza di ogni vampiro che volesse continuare a esistere. Ma proprio per questo la commistione che i Vis avevano con gli esseri umani veniva ritenuta pericolosa dai Voordalack, e quindi le due stirpi rimanevano lontane e in disaccordo.

    «Non è la prima volta che pecca di disattenzione. A questo punto non ricordo nemmeno perché l’ho preso nel clan e gli ho affidato un incarico così importante. Forse non se ne rende conto o non vuole farlo. Peggio per lui. Devo riuscire a liberarmene in qualche modo. Amelia e la sua insistenza... quell’essere non mi era piaciuto fin dall’inizio, dovevo seguire il mio istinto.»

    Interruppe per un attimo il suo ombroso monologo per rivolgersi a lei, che non c’era più. «Con te qui era un’altra cosa. Adesso che non ci sei più, non ho davvero voglia di continuare a inseguire vane chimere.» Stringeva i pugni a tal punto che la pelle delle nocche sembrava quasi trasparente sui tendini della mano.

    Muovendosi nella stanza, recuperò la documentazione mandatagli dall’amico Yussef, che nei giorni precedenti aveva iniziato a leggere senza troppa convinzione.

    Si trattava di analisi approfondite su una nuova fabbrica sorta in Arabia Saudita al posto di un’altra chiusa anni addietro. I proprietari, Farida e il suo clan, erano Vis. Stanchi dei commerci locali, avevano deciso di entrare nel circuito internazionale. La fabbrica era stata collocata nella zona montuosa situata nel centro del Paese, qualche centinaio di chilometri a sud-ovest di Riad. Era una posizione strategica, non troppo distante dalla rete stradale, collegata da sentieri in terra battuta e soprattutto abbastanza lontana dagli esseri umani.

    La fabbrica veniva rifornita da spillatori, ciascuno dei quali batteva il territorio di sua competenza e raccoglieva il sangue che avrebbe dovuto essere lavorato prima di procedere con l’immagazzinamento e la distribuzione.

    Di solito gli spillatori rispondevano al proprietario della singola fabbrica tramite la società di raccolta alla quale erano affiliati. Quest’ultima si occupava di assegnare loro territorio e obiettivi mensili di raccolta. Esistevano anche spillatori indipendenti: servivano più fabbriche e non obbedivano alla società di raccolta. Malgrado i prezzi più bassi, non erano molto diffusi, però. In passato c’erano stati casi di raccolta illecita del sangue: avevano portato all’esclusione dal circuito internazionale le fabbriche che ne avevano fatto uso. Questo aveva portato alla crisi di clan interi che, nel migliore dei casi avevano dovuto ridurre drasticamente la produzione, e nel peggiore si erano visti costretti a chiudere le loro fabbriche. Dopo tali eventi erano poche le fabbriche che si servivano ancora di spillatori indipendenti.

    Nel caso della fabbrica controllata da Farida, il territorio di riferimento copriva Arabia Saudita, Emirati Arabi e Oman.

    «Un territorio interessante, ricco di sapori particolari ed eterogenei» commentò ad alta voce Alex mentre leggeva la relazione. «Gli Emirati Arabi, soprattutto: sono un crocevia di popoli… e con gusti alimentari diversi. Ne potrebbe risultare un ottimo Vij.»

    I documenti facevano una lunga dissertazione sul processo produttivo, sulle modalità di approvvigionamento della materia prima, sulle logiche di trasporto e sui corrieri di riferimento per le consegne al magazzino centrale. Si trattava del punto di riferimento per la produzione fatta in Africa e in Asia gestito da Yussef; dava indicazione sia delle società di raccolta di cui si serviva sia degli spillatori utilizzati e dei clan a cui appartenevano.

    «Bene, mi piace l’accuratezza di questa valutazione e la trasparenza che Farida ha utilizzato per dare visibilità alla sua produzione. Credo sia un ottimo punto di partenza per instaurare una collaborazione.»

    Mentre completava la valutazione della documentazione, sentì una barca avvicinarsi rallentando la propria andatura.

    Dalla finestra, notò che il tardo pomeriggio si era rannuvolato, minacciava pioggia.

    Meglio, potranno utilizzare l’ingresso esterno senza problemi. Uscì dalla Villa nell’attimo stesso in cui Qasim metteva piede sui primi gradini per raggiungere il porticato.

    «Alex, amico mio! Che gioia vederti!» esclamò Qasim con un sorriso che si faceva strada tra la folta e ispida barba nera. Era alto poco più di un metro e settanta, corpulento, sì, ma non grasso. Non era facile dargli un’età; tuttavia era senz’altro più vecchio di Alex.

    «Qasim, che piacere averti qui!» sorrise quest’ultimo nell’abbracciarlo. I due uomini avevano imparato a conoscersi negli anni: non sempre erano andati d’accordo. La raffinatezza di Alex era decisamente in contrasto con la natura brutale di Qasim. Entrambi, però, sapevano essere feroci a loro modo ed era stato quello il loro punto di incontro.

    Una notte lontana si erano trovati a lottare uniti per il loro amico comune e non avevano esitato a eliminare un gruppo di Voordalack quando aveva cercato di finire Yussef perché aveva difeso un umano dal loro attacco. Per motivi diversi entrambi si erano schierati contro i loro simili e nessuno ne era uscito particolarmente bene. Le cicatrici si erano rimarginate in fretta grazie alla loro natura, non altrettanto si poteva dire della relazione con i Voordalack di Costantinopoli.

    «Allora, come sta il nostro buon amico Yussef?» proseguì Alex.

    «Così così. Le ustioni sono guarite, certo, ma non si è ancora ripreso del tutto. Ha azzardato nel rimanere esposto così a lungo e le sue carni sono state divorate dal sole. È la terza volta che accade in questi ultimi dieci anni e sai bene anche tu, purtroppo, che i tempi di recupero si allungano di volta in volta. Almeno, però, il suo buon umore è intatto. In questo periodo poi è super coccolato da tutto l’harem. La sua preferita non si stacca mai dal suo capezzale. Forse sta persino meglio di quel che dice» aggiunse strizzando l’occhio.

    Entrambi scoppiarono in una fragorosa risata. Salirono insieme la scalinata e si attardarono a contemplare il panorama.

    «E tu come stai?» chiese Qasim. Non si erano più visti dal funerale e al telefono avevano cercato di non entrare nell’argomento.

    Alex lanciò uno sguardo all’orizzonte: il lago si fondeva con le montagne, che si stagliavano in un cielo tendente al plumbeo. Il suo sguardo era carico di rabbia.

    «Mi manca.» Furono le uniche parole che riuscì a pronunciare prima che la tristezza si impossessasse di lui. Dovette cambiare discorso, non voleva che il loro incontro iniziasse così; si era ripromesso che quella giornata sarebbe stata diversa. Doveva ritornare a essere come un tempo. L’affare di cui dovevano parlare doveva essere trattato dal vecchio Alex, non da quello che di lui era rimasto.

    «Andiamo, amico mio. Entriamo, così ti offro qualcosa da bere prima di iniziare gli affari.»

    «Un momento ancora» sussurrò l’altro con il suo ghigno storto, bloccandolo prima che procedesse verso la cucina. Rivolgendosi poi a uno dei suoi uomini, Qasim esclamò: «Akram, portami su il pacco per il signor Alex.»

    Akram tornò alla barca e prese il termos che era riposto in una piccola stiva ricavata a prua. Percorse fulmineo i gradini e, rivolgendosi ai due uomini che lo attendevano, disse: «Se non avete niente in contrario vado in cucina e procedo.»

    «Buongiorno, Akram. Sono contento di rivederti. Vedo che il tuo padrone non ti lascia mai.» Un commento che Alex sapeva avrebbe fatto piacere all’arabo. «Sai già dov’è la cucina. Vai pure e fa’ quel che devi, anche se è vergognoso che con te, Qasim, io non possa fare il padrone di casa.» Ma in fondo era contento che andasse così, ciò che avrebbe potuto offrire sarebbe stato davvero misero visto il livello delle sue scorte.

    Si accomodò con Qasim nello studio, mentre il suo servo si dileguò in cucina e cominciò a trafficare tra i bicchieri dopo aver messo in un decanter di cristallo il contenuto di una delle bottiglie che aveva trasportato.

    «Davvero molto interessante il documento che mi avete spedito» andrò dritto al punto Alex. «Gli ho dato un’occhiata, illustra in modo completo tutto il processo produttivo e l’organizzazione della fabbrica.»

    «Grazie, Alex. Ho provveduto io stesso ad approfondirne gli aspetti. Dopo quanto successo in quella zona ho preferito evitare qualsiasi delega. Ho verificato che il clan di Farida non ha niente a che spartire con il vecchio clan di Diya Ed Din, e finora, anche se le attività erano dedicate alla sola produzione per smercio locale, non è stata rilevata alcuna infrazione del codice Vis. Il sangue ha sempre avuto provenienza lecita e certificata. La lavorazione segue le regole definite, non è contaminata da altre sostanze.»

    I Vis, dopo aver intrapreso un percorso di non violenza nei confronti degli esseri umani, raccoglievano il sangue tramite campagne di donazione volontaria, in alcuni casi retribuita. Ovviamente non dichiaravano la destinazione reale di quel sangue e le società di raccolta inventavano destinazioni fittizie con esperte campagne di marketing. Avere alle spalle una società di raccolta conosciuta, ma soprattutto riconosciuta dagli esseri umani, permetteva agli spillatori di muoversi con maggiore libertà e senza grandi preoccupazioni. Al contrario, gli Indipendenti dovevano fare tutto da soli, e spesso si verificavano casi di raccolta non consenziente che sfociavano in uccisioni più o meno volontarie. I Vis non accettavano questa prassi, quindi per evitare qualsiasi tipo di incidente l’avevano esclusa dal loro codice.

    «Sono contento del risultato ottenuto, e mi sto convincendo che reintegrare nel nostro circuito la zona Arabia Saudita - Emirati Arabi - Oman possa far incrementare le vendite. Avete già definito una pianificazione del trasporto verso la Giordania?» chiese Alex.

    «Assolutamente. Yussef e io abbiamo studiato le mappe e individuato il percorso migliore. In sostanza, si tratta di quello che

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