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Spiritus Templi
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E-book362 pagine5 ore

Spiritus Templi

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Info su questo ebook

Francia, 1313. Il processo ai Templari langue nel braccio di ferro tra re e papato. Mentre ci si interroga sul destino dell’Ordine, i cavalieri scampati all’arresto, tra i quali circola un’antica profezia, cercano disperatamente di salvare non solo il proprio onore ma anche i loro tesori più preziosi: i tre portolani che indicano la rotta per la Costa di Dio. Custodi di questo sapere rivoluzionario sono le cattedrali gotiche – e tra esse Notre-Dame – che stanno sorgendo in tutta la Francia inghiottendo fiumi di denaro la cui origine è misteriosa. Quando Goffredo De Lor, prete trentacinquenne della Normandia, arriva a Parigi per dimenticare un passato burrascoso e mettersi in salvo da un pericolo che lo sovrasta, ancora non sa che diventerà una pedina importante sulla scacchiera di un gioco senza esclusione di colpi. Inizierà un lungo viaggio costellato di peripezie e avventure, lotte di potere tra opposte fazioni, omicidi e complotti. Sullo sfondo di un XIV secolo vivido e ricco di contrasti, Goffredo affronterà uno dopo l’altro tutti coloro che tenteranno di impedirgli di giungere alla verità. Una verità sottile e maledetta, dai contorni sfumati, al limite dell’eresia. Capace, con la sua forza dirompente, di cambiare per sempre il corso della storia.
LinguaItaliano
Data di uscita29 apr 2014
ISBN9788868510374
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    Spiritus Templi - Paolo Negro

    Paolo Negro

    Spiritus Templi

    arkadia

    © 2014 arkadia editore

    Trattandosi di opera di fantasia, qualsiasi riferimento a cose o persone

    realmente esistenti e da considerarsi puramente casuale

    Collana Narratori Eclypse 36

    Prima edizione gennaio 2014

    isbn 9788868510121

    arkadia editore

    09125 Cagliari – Viale Bonaria 98

    tel. 0706848663 – fax 0705436280

    www.arkadiaeditore.it

    info@arkadiaeditore.it

    1

    Parigi, novembre 1313

    Restò immobile sulla riva della Senna fissando con un sorriso gonfio di rabbia il profilo del vecchio.

    A quell’ora avrebbe già dovuto essere morto, invece il Traditore era così vivo da sembrargli quasi euforico. Avvolto in un mantello di lana nera su cui riusciva a distinguere anche i legacci scarlatti serrati appena sotto il collo, parlava e sorrideva soddisfatto, accompagnando ogni parola con quel gesticolare insopportabile che neppure il sole a picco del deserto della Giudea o le tempeste al largo di San Giovanni d’Acri erano mai riuscite a far rallentare.

    Se ne stava in piedi a trenta passi da lui, di fronte al giovane Lodovico che annuiva e si muoveva come un saltimbanco invece di piantargli subito la spada nel petto come gli era stato ordinato. A vederli così avrebbero potuto essere scambiati per due amici in vena di confidenze, oppure per padre e figlio. In ogni caso, anche se la mano destra di Lodovico continuava a muoversi sfiorando l’elsa della spada sotto il mantello agitato dal vento, nulla in lui indicava che era pronto a colpire. Gli ricordavano i due cavalieri di pietra sistemati vicino alla porta di Maupas, poco lontano dal quartiere dei Templari, nella zona nord di Acri: uno di fronte all’altro, guardiani minacciosi ma inutili. Potevano incutere rispetto, forse anche paura, ma non servivano, né sarebbero mai serviti, a nulla. Soprattutto a lui e soprattutto in quel momento.

    Giovanni da Monford trattenne a stento un gesto di stizza e si voltò lentamente dall’altra parte, attento a non farsi vedere. Il cielo di Parigi aveva il colore della pioggia e incominciava oramai a confondersi con l’acqua scura della Senna increspata dal vento che si era alzato sin dall’alba. Sull’isola nel fiume i rami spogli dei carpini si flettevano sino quasi a sfiorare terra, avvolti dalle nuvole di sabbia rossastra che si sollevava dall’argine per poi ricadere colpendo tutto ciò che incontrava. Poco più avanti, vicino al canneto che si allungava sino all’acquitrino al di là del letto del fiume, anche le due albanelle che si erano alzate in volo per migrare non erano un buon auspicio: al contrario di ciò che sarebbe dovuto avvenire, stavano puntando ostinatamente a nord invece che dirigersi, come sempre in quella stagione, verso sud. Socchiuse per un istante gli occhi e poi tornò a seguirle con lo sguardo: qualcosa stava sovvertendo anche l’ordine naturale di quel migrare. Ne era certo. Le vide scomparire nella macchia scura delle nuvole nello stesso momento in cui la risata di Lodovico precedette quella del Traditore sovrastando per un attimo il rumore dell’acqua.

    «Ogni cosa ed essere, in cielo e in terra, sa e si prepara…», mormorò continuando a fissare l’orizzonte senza voltarsi in direzione dei due uomini. Tutto ciò che stava avvenendo ricordava quelle parole con cui si apriva e si chiudeva la profezia maledetta contenuta negli strani numeri che nulla avevano a che vedere con quelli usati sino ad allora dai cristiani.

    La profezia l’aveva letta e riletta mille volte nella pergamena che molti anni prima il cavaliere mamelucco aveva cercato di nascondere appena si era accorto di essere in trappola dopo il naufragio della sua nave sulla costa di Cipro, ma altre mille volte l’aveva ripetuta dopo averla gettata nel fuoco osservandola ridursi in cenere. Di quello che i suoi occhi avevano visto ricordava ogni dettaglio, anche lo strano disegno della costellazione di Venere che si sovrapponeva a un simbolo che non era riuscito a comprendere. Perché il 1313 scritto alla maniera degli infedeli non indicava solo l’anno dei cristiani che ora stava scivolando via, un giorno dopo l’altro. Quelle righe scritte e addossate le une alle altre erano molto di più. Svelavano quando i Cavalieri del Tempio, i Diavoli rossi, gli Shayatin Homor, come li avevano sempre chiamati i senza Dio, sarebbero stati spazzati via.

    In quella pergamena c’era scritto il suo e il loro destino. Il cuore di quel 1313 ne era la prova.

    Due volte 13, uno di seguito all’altro, come due Shayatin Homor in sella allo stesso cavallo.

    Due volte 13, uno accanto all’altro, per raddoppiare la forza indivisibile di ciò che è fine del vecchio e inizio del nuovo.

    Due volte 13, uno alle spalle dell’altro, perché è il fratello a tradire e a uccidere il fratello.

    Due volte 13, uno sommato all’altro, perché il sangue chiama ancora il sangue e non sarà sufficiente quello versato in un solo 13 quando i servi e i soldati degli Shayatin Homor saranno arrestati e uccisi per ordine del loro re. Perché ogni cosa si compia il sangue dovrà scorrere di nuovo, esattamente 712 anni dopo l’arrivo del Profeta nella città di Yathrib. Quello è l’anno che porta nel suo cuore il dieci, il numero perfetto di Allah e contiene l’inizio e la fine dei Shayatin Homor.

    Ogni cosa ed essere, in cielo e in terra, sa e si prepara

    Non mosse un muscolo, sempre più inquieto. Tutto ciò che era successo dava ragione a quelle parole.

    Il 13 ottobre di sei anni prima il Gran Maestro Jacques de Molay e i Templari erano stati infatti arrestati per ordine del re di Francia. In una sola notte sporca di sangue e tradimento, gli amici erano diventati nemici e il cacciatore si era risvegliato preda. Da uccidere. Senza pietà e senza lasciare speranze. E tutto era stato cancellato con un colpo di spugna. Ogni cosa. Il nuovo e il vecchio, il presente e il passato. Anche il giorno precedente, quando lui stesso aveva scortato il Gran Maestro ai funerali dell’imperatrice di Costantinopoli Caterina di Courtenay e lo aveva visto sedersi, tra inchini e onori, nella navata di Notre-Dame, proprio a fianco di Filippo IV. All’alba del giorno dopo, quando era tornato al quartiere templare, non c’era più nulla di ciò che aveva lasciato la sera prima partendo per Nantes su ordine del Gran Maestro e del Capitolo che aveva appena concluso la sua riunione. Tra il fumo delle case incendiate, aveva visto solo i corpi dei cavalieri che avevano cercato di opporsi agli uomini del re; di fronte a lui, lungo la strada costruita sul bordo di quella che un tempo era una palude, la lunga fila di carri dai drappi neri su cui erano stati ammassati quelli ancora vivi era il marchio indelebile di un tradimento che nessuno aveva saputo prevedere. Sì, quel 13 ottobre era stato solo l’inizio, esattamente come aveva indicato la profezia a cui in molti, troppi, non avevano dato peso.

    «Perché il sangue chiama ancora sangue e non sarà sufficiente quello versato in un solo 13…», sussurrò ancora una volta prima di portare la mano sotto il mantello. Sfiorò nervosamente, uno dopo l’altro, i piccoli nodi lungo la cintura che gli servivano a tenere il conto delle settimane e delle feste di Dio e solo quando le dita toccarono il minuscolo anello legato al nodo che indicava la Pasqua, si fermò facendo il rapido calcolo: mancavano sei mesi al 15 aprile, il giorno della Resurrezione che avrebbe messo finalmente fine a quell’anno spalancando le porte al 1314. Strinse rabbiosamente le mani: c’era ancora tempo. Troppe cose dovevano compiersi per poter già stabilire quale sarebbe stato il futuro. Né le parole di una pergamena, né ripensare a ciò che già era accaduto, avrebbero potuto aiutarlo. Doveva dimenticarle. Nonostante tutto. E doveva farlo subito. Anche se la profezia avesse detto il vero fino in fondo, il destino poteva e doveva essere cambiato.

    Spostò con un gesto deciso, senza far rumore, un altro ramo dell’albero dietro a cui era nascosto. Controllò ancora una volta Lodovico e poi, scuotendo il capo con disgusto, si girò in direzione della cattedrale di Notre-Dame che si stagliava al di là del fiume. I muri esterni all’abside sino all’altezza del transetto erano avvolti da ponteggi e funi in un brulicare di uomini e guardie. Le urla che ripetevano, di volta in volta, gli ordini del capomastro si alzavano quasi a cadenza regolare a sovrastare il rumore dell’acqua e rimbalzavano da una parte all’altra del cantiere seguendo i capricci del vento. I bagliori che si intravvedevano dietro la palizzata di legno che delimitava l’intera area alle spalle della cattedrale indicavano che le prime torce dovevano già essere state accese. Guardò meglio, per esserne sicuro: erano il segnale che tra poco la giornata di lavoro sarebbe terminata e l’esercito vociante di operai, carpentieri, concia tetti, fabbri, spaccapietre, pittori, scultori e muratori si sarebbe riversato nella piazza, nelle vie circostanti e lungo le sponde del fiume, insieme con i soldati del re che presidiavano il cantiere.

    Solo allora notò i falò che qualche mendicante aveva acceso al riparo delle macerie ammassate lungo il sentiero che dalla piazza di fronte alla cattedrale portava alla Senna. Sulla sponda distinse una decina di persone che stavano lentamente scendendo verso il fiume raccogliendo legna, mentre due donne vicine al fuoco gesticolavano indicando qualcosa appoggiato a terra e un uomo urlava parole incomprensibili trascinando il tronco di un albero. Osservò con una smorfia ogni particolare, cercando di individuare qualunque segno che potesse essere utile a far prevedere che cosa avrebbe fatto ciascuno di quegli uomini e soprattutto in che direzione si sarebbe poi mosso.

    Trattenne il fiato, sbirciando subito in direzione di Lodovico. Solo la mano sinistra strinse con forza un lembo del mantello prima di asciugare una goccia di sudore che si dondolava aggrappata al sopracciglio. Era certo che nessuno degli operai, sino a quando fosse stato all’interno del cantiere, avrebbe mai potuto sporgersi oltre il terrapieno per guardare in direzione di Lodovico e del Traditore. E dal ponte a trecento passi da loro, era impossibile per chiunque osservare bene quell’angolo di sponda chiuso tra i due depositi in cui venivano scaricate le pietre di Caen destinate alla cattedrale. Ma ora era diverso: qualcuno di quei disperati avrebbe potuto accorgersi di cosa stava avvenendo. Rabbrividì al pensiero di ciò che sarebbe potuto accadere se qualcosa fosse andato storto e Lodovico avesse ancora atteso a colpire. Chiunque fosse restato vivo e ancora libero avrebbe solo contato i cadaveri da seppellire cercando di prevedere il numero di quelli che presto avrebbero fatto la stessa fine. Tutto sarebbe andato perso senza possibilità di recriminare: la Costa di Dio non sarebbe più stata un segreto. Nessuno dei Templari tra quelli che erano riusciti sino ad allora a sfuggire all’arresto avrebbe a quel punto potuto impedirlo. Anche se avesse ucciso il Papa. Anche se la profezia degli infedeli non si fosse mai avverata.

    Lodovico doveva agire. Subito. Non c’era più tempo. Vicino al porto di Ravenna, venti anni prima, lui stesso aveva commesso l’errore di attendere troppo e lo aveva pagato a caro prezzo: il Traditore, approfittando della confusione, era riuscito a pugnalarlo improvvisamente e solo il sopraggiungere di due soldati aveva evitato che avesse la possibilità di sferrargli il colpo di grazia prima di scomparire nel nulla come solo lui sapeva fare.

    Un colpo solo…, ripeté mentalmente come in preghiera. «Lodovico…», biascicò subito dopo, lanciando ancora un’occhiata a cosa stava accadendo sull’altra sponda. «Colpiscilo!», disse alla fine, con rabbia, il pugnale in mano, scostandosi all’improvviso dalla macchia d’alberi e camminando verso di loro.

    «Uccidi!»

    Il Traditore, sorpreso, si voltò nella sua direzione. Ma non fece in tempo a spostare il mantello per afferrare il coltello dalla lama ricurva che portava al fianco. Lodovico era già scattato in avanti, con la spada sguainata. La lama si conficcò nel petto del vecchio ma Lodovico non si fermò. Giovanni lo vide spingere ancora, di più, fino in fondo, portando la mano aperta sul pomo dell’elsa, bloccandosi solo quando la lama non incontrò più alcuna resistenza. Il Traditore prima rimase immobile in una smorfia di dolore, poi si piegò lentamente sulle gambe sino a inginocchiarsi, ma non un lamento uscì dalla bocca impastata di sangue. Solo gli occhi fissarono per un istante la mano del giovane che stava già estraendo la lama portando via ogni respiro, ogni parola, anche l’ultima maledizione.

    Da Monford, senza mai staccare lo sguardo dall’uomo, avanzò sino a giungere al suo fianco, quindi gli accarezzò il viso con la punta del pugnale.

    «Et in Arcadia ego», sussurrò inginocchiandosi con un ghigno e voltandogli con forza la testa nello stesso momento in cui il corpo aveva un ultimo sussulto. «Che stavi aspettando?», fulminò quindi Lodovico indicandogli con un gesto della mano di ripararsi meglio dietro agli alberi sbattuti dal vento. «Ti avevo detto di ucciderlo subito!»

    «Ho solo atteso il momento giusto Maestro…»

    «Hai atteso?», ripeté da Monford scuotendo la testa. «Tu hai esitato! È stato un miracolo tu non lo abbia mancato.»

    «Ma si è mosso poco prima che lo colpissi.»

    «Davvero? Pensavi rimanesse immobile?», sussurrò con un sorriso di scherno riponendo nella custodia di cuoio il pugnale. «Haud aequom facit qui quod didicit id dediscit», disse lanciando di nuovo uno sguardo all’altra sponda: nessuno sembrava essersi accorto di nulla, avrebbero avuto il tempo necessario per disfarsi del cadavere e allontanarsi senza correre altri rischi. «Ammettilo», aggiunse rialzandosi e piantandogli l’indice in mezzo al petto: «Tu hai solo avuto paura.»

    Lodovico fece un passo indietro. Gli occhi erano due fessure.

    «No Maestro, paura no! Non poteva essere quel vecchio a farmi paura», sibilò. «Ho solo pensato di non correre rischi inutili. Dovevo essere certo avesse con sé le mappe che domani avrebbe dovuto consegnare al messo papale a palazzo reale.»

    Giovanni da Monford lo incenerì con un’occhiata e strinse i pugni sino a farsi male. Lo avrebbe colpito. Senza pietà. Ma si trattenne: non era né il momento, né il posto giusto. Meglio attendere, meglio aspettare di essere al sicuro. Non poteva correre altri azzardi.

    «Ed eri anche cieco mentre attendevi?», si limitò a dire con voce stridula spostando i rami per indicare il gruppo di uomini che si stavano lentamente allontanando dirigendosi verso i fuochi. «Non hai visto cosa stava succedendo sull’altra sponda?»

    Lodovico guardò in direzione del punto indicato da Giovanni.

    «Tra poco gli operai del cantiere della cattedrale saranno ovunque», sibilò facendo quindi un ampio gesto con le braccia. «Se il Traditore avesse fatto ancora un passo lo avresti colpito soltanto al fianco! Avrebbe potuto reagire… urlare. E tu non avresti avuto scampo», concluse guardando la borsa legata al fianco del Traditore. «Tu non hai idea di chi avevi di fronte», sospirò.

    «Di fronte ho solo un cadavere.»

    Da Monford fece una smorfia ma non rispose.

    Si chinò di nuovo e guardò per un attimo il pugnale del Traditore. Pensò di prenderlo, ma lasciò perdere: aprì la borsa di cuoio legata alla vita dell’uomo e gettò lontano la scarsella con le monete. Con gesti rapidi e decisi rovistò sino a quando sentì sotto le dita l’astuccio ottagonale di legno di acero che stava cercando. Lo aprì, spezzò il sigillo che chiudeva un involucro di lino e sfilò delicatamente i fogli: su una pergamena, su cui erano scritte poche righe, riconobbe subito la grafia del Traditore. Avvolte al suo interno c’erano due mappe che iniziò a srotolare con un leggero tremore nelle mani. Nella penombra intravvide i colori sbiaditi del primo portolano su cui erano indicate la profondità dei fondali, il flusso delle maree e osservò con ammirazione la precisione con cui era stata sovrapposta la rete di linee della rosa dei venti in modo da poter calcolare la rotta. Sul secondo c’era invece il profilo inconfondibile della Costa di Dio: promontori, scogliere e secche erano minuziosamente contrassegnate con lettere dell’alfabeto greco a cui erano state accostate miniature color oro e amaranto raffiguranti animali fantastici in grado di far impallidire anche quelli del bestiario di Philippe de Thaon che aveva visto molti anni prima nella biblioteca del Palazzo dell’Ordine. Il profilo della Baia del Signore, con indicato l’unico punto in cui anche le navi più grandi dell’Ordine avrebbero potuto attraccare senza rischi, era stato invece incastonato in una ruota dorata a sei raggi su cui spiccava il Chi-Rho, il monogramma di Cristo, il chrismon, e due parole: Sol Invictus.

    Tirò un sospiro di sollievo stringendo con forza l’astuccio di acero prima di rialzarsi: i portolani erano stati finalmente recuperati.

    Lodovico, appoggiato all’albero, rimase immobile anche quando sentì da Monford di nuovo al suo fianco. Assorto nei propri pensieri continuò a fissare il cadavere che aveva spostato di qualche passo, lasciandolo dietro a un groviglio di arbusti. In fondo, non era stato complicato ingannare quel vecchio che, vendendo l’anima dei suoi compagni agli infedeli, era sopravvissuto all’assedio e all’ultima battaglia per difendere la fortezza di Safed in Terrasanta.

    Lo aveva visto per la prima volta solo nel pomeriggio e lo aveva seguito senza difficoltà per le strade di Parigi sino a quando non era entrato all’interno del palazzo della Gilda dei mercanti. Lo aveva osservato salire la scala che dal cortile portava al primo piano e aveva atteso il momento giusto per uccidere e prendere il posto della guardia della corporazione che stava attendendo annoiata vicino all’ingresso e avrebbe poi dovuto scortarlo. Per questo era stato semplice condurlo sin lì, a un centinaio di passi dal palazzo della Gilda: era stato sufficiente inventare una scusa banale e lasciarlo parlare senza mai contraddirlo. Il difficile, molto più di quanto avesse mai potuto immaginare, era venuto dopo, allorché aveva dovuto decidere quando colpirlo senza che quelle mani, che non stavano ferme un attimo, avessero il tempo di afferrare lo strano pugnale che l’anziano teneva al fianco e continuava a sfiorare. Non c’era stato momento in cui fosse riuscito a prevedere con precisione che cosa avrebbero fatto o dove si sarebbero posate. Si muovevano, si muovevano e basta. E nel caso avessero impugnato una lama, sarebbe stato peggio, molto peggio. Se ne era immediatamente reso conto.

    «Maestro», disse quindi voltandosi di scatto con una strana espressione. «I portolani?»

    Da Monford per un attimo abbassò lo sguardo, poi sollevò il mantello indicandogli con un’occhiata l’astuccio di acero.

    «La prossima volta», sussurrò, «non perdere tempo a fissare i morti. Eviterai di fare domande inutili.»

    «Intendevo solo sapere quando potrò vederli», replicò con voce stizzita Lodovico.

    «Vederli?», ripeté da Monford stupito.

    «Sì, Maestro. Vorrei vedere i due portolani che aveva rubato il Traditore.»

    «È stato deciso che tu avresti aiutato a recuperarli, ma nessuno ha mai detto che li avresti visti.»

    «Quindi?››

    «Quindi… quindi chi è troppo curioso rischia di non diventare vecchio.»

    In quell’istante un tonfo sordo nel cantiere precedette le urla degli uomini e una nuvola di polvere si alzò al di là del terrapieno costringendoli a voltarsi. Istintivamente da Monford si girò in direzione della facciata della cattedrale, là dove sapeva erano state poste le statue che aveva visto trent’anni prima appena erano state scolpite. Il giovane, invece, non mosse un muscolo osservando cosa stava accadendo con aria preoccupata.

    «Lasciamo che il lavoro riprenda e quindi ci muoveremo», mormorò il Maestro con un filo di voce senza degnarlo di uno sguardo prima di spostarsi dietro al tronco di un carpino che stendeva i suoi rami sino a lambire l’acqua del fiume.

    Lodovico si avvicinò a lui sino quasi a toccarlo. Il viso era una maschera di tensione e delusione.

    «C’è poco tempo e molte cose ancora da fare Maestro. Domani il messo papale si porrà delle domande non vedendo il Traditore», disse con un filo di voce.

    «Troverò una soluzione. Hai dubbi?»

    «No Maestro, questo no.»

    Da Monford si girò lentamente a fissarlo cercando inutilmente di intuirne i pensieri.

    «Allora», aggiunse parandosi di fronte a lui, «dimmi qualcosa che non so ancora.»

    Lodovico si passò nervosamente una mano tra i capelli umidi, quindi alzò gli occhi con aria di sfida.

    «Avrei dovuto…»

    «Avresti dovuto?», ripeté con studiata lentezza.

    «Avrei dovuto seguire il mio istinto e non ciò che mi era stato detto. Non avrei dovuto uccidere Lion de Caselier con la spada.»

    «Non pronunciare mai quel nome!», lo interruppe da Monford alzando il braccio minacciosamente.

    «Avrei dovuto colpire il Traditore», si corresse subito Lodovico indietreggiando di un passo, «con un colpo di balestra! Tutto sarebbe stato maledettamente più semplice e non sarei stato costretto a perdere tempo prezioso.»

    «Tutto sarebbe stato più semplice se tu avessi agito come ti avevo detto di fare!», replicò il Maestro senza smettere di guardarsi intorno. «Se una spada ti viene data, è con quella che devi uccidere», aggiunse. «È scritto dai Santi padri che la balestra di un uomo di Dio non dovrà mai colpire un cristiano. Non dimenticarlo mai se tieni alla tua anima.»

    «Certo! Facendomi così correre rischi inutili e perdendo tempo prezioso», insistette.

    Il Maestro portò le mani ai fianchi maledicendo ancora una volta che non una voce, neppure tra quelle dei vecchi amici, si fosse levata in suo favore nella sala del Capitolo del Tempio a La Rochelle quando aveva spiegato che Lodovico non era ancora pronto, né avrebbe già potuto esserlo per quell’incarico. Nonostante lo avesse seguito per due anni, vincendo a fatica la tentazione di ucciderlo ogni qualvolta aveva messo in discussione un ordine, e nonostante solo lui ne conoscesse ogni limite e l’indisciplina, tutti avevano infatti preferito essere ciechi e sordi pur di non ammettere che aveva ragione: Lodovico possedeva la forza e l’arroganza dei diciott’anni, ma non aveva altro. Soprattutto per affrontare quella missione.

    «Impara a eseguire gli ordini!», ringhiò quindi spazientito. Poi, stringendo improvvisamente con forza il volto di Lodovico tra le mani, disse scandendo le parole: «Volevi-essere-dannato-per-l’eternità?»

    «No…»

    «Volevi-perdere-così-la-salvezza-eterna?», ripeté con forza. «Dimmi, volevi davvero che la tua anima salisse nel cielo di vetro del falso Dio e lì rimanesse prima di essere fatta sprofondare negli inferi per l’eternità?»

    Lodovico non riuscì più ad aprire bocca, mosse solo impercettibilmente il capo mentre la stretta di da Monford si faceva sempre più forte.

    «Allora fa ciò che ti viene ordinato e, soprattutto, impara a farlo tacendo! Il nome di Dio che è inciso sulla lama che porti al fianco», mormorò quindi avvicinandosi ancor di più al suo viso, «non è solo l’ultimo monito per chiunque versi il proprio sangue su di essa. È anche benedizione e salvezza per chi la impugna. Sei un idiota a non averlo ancora capito! Solo con quella spada potevi uccidere il Traditore! Nessuno del Capitolo ha mai parlato di balestra, pugnale o freccia, né lo avrebbe potuto fare. Avrebbe condannato anche te.»

    Rimasero uno di fronte all’altro in silenzio, quindi il giovane si liberò con un gesto improvviso dalla stretta. Segnandosi rapidamente s’inginocchiò di fronte a lui: «Perdonatemi.» Poi, alzando lo sguardo, aggiunse con un filo di voce: «Dobbiamo andarcene Maestro, tra poco dovrebbe passare la ronda. I soldati vedranno il corpo.»

    «Non qui», rispose da Monford chinandosi sul cadavere. Presa da sotto il mantello una corda druida dai dodici nodi, con movimenti rapidi e precisi legò i polsi del Traditore stando bene attento che la corda passasse anche tra le dita in modo che i palmi delle mani rimanessero uniti come in preghiera. Quindi, per tre volte cinse i fianchi dell’uomo con quel che restava della corda utilizzata da tutti i capimastri per realizzare ogni figura geometrica, e alla fine gelò con lo sguardo Lodovico che gli stava porgendo il coltello per tagliare il pezzo in eccesso.

    «Nessuna lama dovrà mai tagliarla», disse con voce rotta per lo sforzo prima di rialzarsi e spingere con il piede il corpo nella Senna.

    Lo videro scivolare nelle acque buie del fiume mentre le ombre delle palizzate costruite sul lato di Notre-Dame la facevano apparire ancora più alta. Sull’altra sponda non c’era più nessuno, solo i bagliori dei fuochi. Il Maestro fissò il cadavere del Traditore trascinato dalla corrente e si accarezzò la cicatrice che gli segnava il volto. Acri era stata rasa al suolo perché Safed era caduta molti anni prima. Anche il sultano mamelucco al-Ashraf Kalil aveva confermato quel tradimento che molti avevano subito sospettato. Non avrebbe mai potuto dimenticare le parole che quell’uomo dalla pelle avvizzita dal sole aveva pronunciato nel momento in cui rifiutava la proposta di armistizio che lui e Guillaume de Villers gli avevano consegnato su ordine del re. Mentre un colpo di catapulta cadeva poco lontano li aveva fissati con disprezzo sussurrando: «Nessuna tregua e nessuna pace ora che so chi pagare tra di voi.»

    Sì, finalmente, dopo tanti anni, almeno quel vecchio debito era stato saldato e i portolani ripresi. Anche gli ultimi ordini del Gran Maestro morto ad Acri pochi giorni dopo non erano forse stati vani.

    «Nessun testimone deve rimanere, così è stato ordinato», disse incamminandosi.

    «Nessun testimone rimarrà.»

    Da Monford si voltò, scuro in volto: «Ma la prossima volta non esitare.»

    «Mai è accaduto», rispose Lodovico con un sorriso compiaciuto che si spense subito nel dolore al braccio che da Monford gli aveva appena stretto costringendolo a fermarsi.

    «La tua presunzione ha ingannato il Capitolo, ma non me. Ricorda sempre che io so qual è la verità.»

    «La verità?», ripeté qualche istante dopo Lodovico riprendendosi dalla sorpresa e osservandolo allontanarsi. «La verità è un sola», sussurrò accarezzandosi vigorosamente il braccio. «Il Traditore è finalmente morto.»

    «Due volte 13, uno alle spalle dell’altro, perché è il fratello a tradire e a uccidere il fratello…», ringhiò il Maestro senza voltarsi.

    2

    L’ombra del vecchio ospedale comparve all’improvviso.

    Costruito sulla riva opposta a poca distanza da Notre-Dame, emerse tra i rami di un olmo che era cresciuto così vicino al sentiero lungo la Senna da ricoprirne parte con le radici. Da Monford ne guardò l’inconfondibile tettoia sotto cui da sempre si riparavano i disperati e poi, rallentando il passo, spostò la visuale seguendo preoccupato il profilo scuro della città.

    C’era poco della Parigi da cui se ne era andato qualche tempo prima.

    Distesa lungo il fiume gli appariva come uno sconosciuto groviglio di nuovi palazzi, catapecchie e fortificazioni che si erano contese in pochi anni ogni spazio di terreno libero senza seguire nessuna regola. Anche quell’angolo dimenticato e insignificante in cui si trovava aveva mantenuto alcunché di familiare. Fino a qualche tempo

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