La scala a chiocciola
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Anteprima del libro
La scala a chiocciola - Annarosa Maria Tonin
Flora
PROLOGO
Alle sei del mattino l’incendio era domato. Gli alberi alti e fitti avevano protetto ancora una volta i vandali senza nome che da tempo vedevano in Villa Fontechiara e nei suoi indegni proprietari un bersaglio da colpire, uno sfogo ideale per una malvagia educazione.
In città nessuno era mai riuscito a chiamarli con il loro nome e cognome. Luigi pensava che non avessero mai voluto identificarli perché così faceva comodo. Specialmente da quando Riccardo, l’ultimo proprietario, era tornato per poi vendere tutto a Eugenia e non al Ragioniere e sua moglie.
Luigi amava Eugenia da un tempo precedente la vendita di Villa Fontechiara, un tempo che non gli piaceva quantificare, perché nelle questioni sentimentali non gli piacevano i contorni troppo definiti.
Lei gli aveva chiesto di ristrutturare l’antica dimora e trasformarla come un mago in una casa famiglia per bambini. Sarebbe stata l’occasione per tradurre in pratica le sue teorie, specialmente quella secondo cui un luogo, molto più delle persone, conteneva ogni possibile variante. Per questo Luigi riteneva che ogni spazio, abitato o no da essere umano, permettesse di immaginare infinite possibilità, un mondo riconoscibile ovunque, dove non fosse più latente la sensazione di camminare a vuoto, magari proprio nel posto dove sei nato
, né di pronunciare ogni giorno la medesima serie di parole come fossero bottiglie di plastica ordinate e imballate, pronte per qualunque centro commerciale.
Erano tutti e tre coetanei. Riccardo, Eugenia e Luigi avevano più o meno quarant’anni.
È ancora possibile a questa età sentirsi forti, nella convinzione che nessuna sventura oserà abbattersi sulla personale strada per l’immortalità?
A quarant’anni se ne sentivano a malapena venti, come se l’utopia di togliere da mani avide e voraci Villa Fontechiara non potesse che realizzarsi, semplicemente perché rappresentava il Bene.
Si erano convinti tutti e tre di godere della protezione di Villa Fontechiara, come se nelle sue stanze e nel parco intorno avesse posto le sue fondamenta-radici un’entità più forte dell’utopia di tre persone solo in apparenza legate da un umano meccanismo di compravendita. Riccardo, Eugenia e Luigi sentivano quella casa tanto forte da riuscire a guidare i loro sogni, donando loro il cibo di cui nutrirsi: la certezza che il futuro va costruito senza guardarsi ogni volta indietro. Allo stesso tempo, però, Villa Fontechiara sembrava suggerire loro la necessità che qualcuno custodisse il suo passato.
Chi tra loro avrebbe interpretato il ruolo del costruttore e chi quello del custode?
Nella messa in scena l’incendio non era previsto.
Mentre annotava le macerie e il salvabile, Luigi si chiedeva se era umanamente possibile, e accettabile, considerare l’incendio un’opportunità e non una sventura. Continuava a pensare che Riccardo si era posto più di lui la stessa domanda.
A Luigi era balenata l’idea di annotare il nome di Riccardo e accanto aggiungere presunto autore dell’incendio
, come fosse il personaggio di un dramma faustiano. Non voleva scriverlo sul suo taccuino per denunciarlo, ma per tenerlo sempre con sé come una specie di monito, come se l’ultimo discendente di una casata nobiliare li avesse avvertiti che era meglio distruggere tutto per poi ricostruire.
Aveva parlato spesso, Riccardo, mentre discuteva con Eugenia e Luigi, della necessità che di Villa Fontechiara non restassero tracce passate. Di esse parlava all’interno di una narrazione sempre ricca di dettagli e riflessioni esistenziali che Luigi, appassionato ricercatore, aveva annotato nello stesso taccuino che, come i suoi vestiti, si stava impregnando dell’odore acre delle macerie.
Aveva diviso in brevi capitoli-guardiani le pagine degli ultimi sei mesi, riempite di appunti pronti ad ammonire, come se la casa famiglia per bambini non dovesse avere nelle sue fondamenta lo stesso codice genetico che Riccardo aveva ereditato.
Mentre lui raccontava e Luigi prendeva appunti mentali, che trascriveva prima di addormentarsi, Eugenia si allarmava, come se nessuno di loro avesse un pezzo di terra sotto i piedi. Una reazione emotiva, istintiva, quasi protettiva, tanto che aveva manifestato a Luigi il desiderio di anticipare il trasferimento della sua residenza a Villa Fontechiara e allontanare Riccardo. Per sempre.
Luigi non riusciva a catalogare la situazione. Riteneva comunque che nell’eventuale distruzione Riccardo avrebbe coinvolto anche sé stesso.
Le macerie, però, non stavano restituendo tracce umane; quindi, poteva darsi benissimo che le fiamme fossero state davvero opera dei vandali senza nome.
Poteva anche darsi che Riccardo se ne fosse andato prima dell’incendio, lasciando le trentotto stanze per la seconda volta nel giro di vent’ anni.
Luigi, come del resto Eugenia, non vivevano in città al tempo del primo allontanamento ma, in maniera diversa e per ragioni diverse, ne avevano cercato il senso e immaginato le conseguenze, senza parlarne più di tanto fra loro.
Da quasi due ore Luigi stava inalando l’odore acre di macerie di cui non vedeva la necessità. Tutto sommato, gli veniva istintivo attribuirle più all’ultimo proprietario che ai vandali senza nome.
Si sentiva profondamente irritato. Se Riccardo gli si fosse presentato davanti improvvisamente, lo avrebbe di sicuro aggredito.
Luigi si sentiva seguito da un’idea come un’ombra segue la creatura a cui è destinata. Il passato si nutre del proprio silenzio e guarda con benevolenza la vita che continua, seguendo il suo corso naturale.
Le sue chiose ai capitoli-guardiani erano piene di considerazioni simili.
Si allontanò dalle macerie, colto da una nausea potente.
Perché distruggere? Perché cancellare?
Accanto a queste domande il nome