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Dizionario degli artisti abruzzesi
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E-book328 pagine5 ore

Dizionario degli artisti abruzzesi

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Info su questo ebook

Vincenzo Bindi, studioso abruzzese autore del monumentale volume Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi, nel 1883 pubblicò questo affascinante Dizionario degli Artisti Abruzzesi, in cui riportò in ordine alfabetico tutti i pittori, scultori, architetti, maestri di musica, fonditori, cesellatori e figuli più importanti dell'Abruzzo e, grazie ad una minuziosa e documentata ricerca, ne trascrisse per ognuno le opere e le notizie biografiche conosciute a quel tempo. Il presente volume è una ristampa della pubblicazione originale.
LinguaItaliano
Data di uscita22 ago 2010
ISBN9788874170555
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    Anteprima del libro

    Dizionario degli artisti abruzzesi - Vincenzo Bindi

    Dizionario degli artisti abruzzesi

    Vincenzo Bindi

    In copertina: Maestro di Loreto Aprutino, Giudizio finale – Ponte del capello,

    Loreto Aprutino (PE), Chiesa di Santa Maria in Piano

    © 2010 REA Edizioni

    Via S.Agostino 15

    67100 L’Aquila

    Tel diretto 348 6510033

    www.reamultimedia.it

    redazione@reamultimedia.it

    La Casa Editrice esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi alla presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito.

    ACUTO maestro, scultore ed architetto Abruzzese, ignoto nella storia delle Belle Arti. Fiorì nel XII secolo, e fu autore delle sculture che si ammirano nella bella facciata e nell’ambone della Chiesa di S. Angiolo di Pianella.

    La facciata di questo vetusto tempio è semplicissima: in essa si alternano vaghi ornamenti di pietra e di mattoni. Il campanile, che le sorge a fianco, ha forma quadrangolare ed é munito di grossa campana. Lo stile di tutto l’assieme é semplicissimo: le piccole e bizzarre figure delle cornici hanno qualche somiglianza con gli ornati della Basilica di S. Clemente. La porta si compone di un arco a sesto acuto, sorretto da due colonne con capitelli vagamente lavorati a fogliame: nel campo della medesima si vede effigiata l’immagine della Vergine nell’atto di porgere le mammelle al Bambino Gesù, due angeli, con le mani giunte, prestano adorazione: è una pittura del XV secolo, poco importante: sopra della medesima fa di sé bella mostra una finestra rotonda, a guisa di rosone, formata da otto colonnine a spirale, finemente e con grande magistero intagliate, che sostengono otto piccoli archi, chiusi da semplice, ma elegante cornice. Belle ed importanti sono le sculture simboliche della porta medesima e del suo architrave, condotte a basso rilievo. Nel mezzo, su faldistorio, siede la Vergine, senza Bambino, con un libro in mano; di lato le parole: Ave maria gratia plena. Curvo dinanzi a lei in atto d’ossequio sta S. Giovanni, con la scritta: S. Joan. Baptista, con in mano un foglio su cui si legge: Ecce Agnus Dei: alla destra Giovanni Evangelista: hic est Ioh. Evangelista, e nel suo Vangelo: In principio erat verbum. Due belle rosette quadrate, che ricordano quelle scolpite sul davanzale del pulpito di S. Clemente a Casauria, separano i descritti personaggi da un S. Pietro sedente mitra e pastorale, che porta le parole: Petrus Apostolus, Princeps Apostolorum; ed un S. Paolo in piedi: Paulus doctor gentium. A dritta dell’Apostolo un uomo, e queste enigmatiche parole: STEXI-MINTIORIA VIDIT TET ALTOS. Tra lui ed il seguente S. Nicola; Sanctus Nicolaus, un giuoco di parole: Episcopus mire equitatis, col doppio significato della parola Mira; giacché Myra fu l’ultima residenza del Vescovo. Segue sedente in trono con uno scettro in mano, terminato da gigli, il Re Davide, e la scritta: Rex David filius Isai B. Betlem te fuit (sic). Questo importante bassorilievo, non illustrato da nessuno dei patrii scrittori, é opera del maestro Acuto. Lo stesso artista fu autore dell’ambone, appoggiato alla parete laterale della Chiesa, a sinistra. E’ sostenuto davanti da due corte colonne senza base, con semplici capitelli, i quali ricordano quelli di S. Clemente e di S. Pelino. La disposizione è la stessa, e si vede l’artista che ha studiato nello stile di quelli, e vi si è ispirato.

    Nelle pareti del pulpito, con egregia e classica scultura a larghi tratti eseguita, si ammirano i quattro animali simbolici degli Evangelisti: l’Aquila, il Leone, l’Angiolo, molto simile a quello della porta laterale di S. Clemente, ed il Toro alato. Ciascheduna di queste rappresentazioni, su tavola di marmo, porta scolpito uno dei seguenti quattro versetti di Sedulio:

    Hoc Matthaeus agens, hominem generaliter implet.

    Marcus ut alta fremit vox per deserta leonis.

    Iura sacerdotii Lucas tenet ore iuvenci.

    More volans aquilae verbo petit astra Joannes.

    Bella opera, commendevole per uno stile largo ed accurato, avuto riguardo ai tempi in cui venne eseguita, per le grandiose forme delle simboliche figure, e per i ricordi della classica scuola, che tanto potentemente contribuirono al risorgimento delle arti nostre. E’ simile all’altro ambone di S. Maria del Lago di Moscufo , della stessa epoca. Il nome dell’artista, e quello del prelato che ordinò il lavoro, si vedono scolpiti in una mensola su di una tavola di marmo, cui un’aquila, dalla forma artisticamente bizzarra, tiene stretta fra gli artigli. L’iscrizione è del tenore seguente:

    Hoc opus insigne fecit componere digne

    Abbas Ecclesiae Robertus honore Mariae.

    Magister Acutus fecit hoc opus.

    ALESSANDRO maestro, scultore egregio, che eseguì lodati lavori nella famosa Chiesa Abbaziale di S. Giovanni in Venere. Visse nel XIII secolo, e fu autore del bellissimo loggiato e d’altre opere di scultura, i di cui gloriosi avanzi si vedono tuttodì. Nel basso dello stipite della porta, che conduceva all’antico chiostro, é posta una epigrafe che ricorda il nome di questo artefice è del tenore seguente:

    Anno Domini MCCIII

    Magister Alexander hoc opus fecit.

    AMORELLI GUGLIELMO di S. Eusanio, fiorito nel secolo XII. Dipinse nel 1151 l’Abside e le pareti della Chiesa di Fossa, S. Maria ad Cryptas, pregevoli opere per concetto, e di sommo interesse per la storia dell’arte. Il soggetto di queste pitture, che rappresentano la Creazione ed il Giudizio Universale, è tolto dall’antico e dal nuovo Testamento.

    Vasta composizione, nella quale si vedono gli eletti col volto composto a sacro giubilo, ed i reprobi atterriti dalla sfolgorante luce divina; angioli che dà il fiato alle trombe, sepolcri che vengono scoverchiati; dannati che piombano nell’inferno, e l’Eterno Giudice in alto che premia e condanna a seconda dei meriti e dei demeriti di ciascheduno. Non possiamo certamente affermare che, quanto ad arte, queste opere siano perfette; ma senza dubbio nell’aggruppare le figure, nella conoscenza non comune dei meccanismi dell’arte, nella poesia vera e sentita che emana dall’espressione dei volti, nei vari atteggiamenti di gioia e di dolore, e nel ritrarre il vasto argomento, non come lo dipinge la fantasia di Dante, ma secondo la leggenda cristiana, l’artista dette prova di gran sapere e di non minore ardimento, molto prima che il Bufalmacchi, il Signorelli, Margaritone, Orcagna e tutti gli altri che in appresso, ispirati al divino Poema, posero mano a rappresentare il finale Giudizio. E’ ben a ragione l’Ab. di Costanzo nel Discorso che precede il commento del Lombardi alla divina Commedia asserì, che queste pitture, di un pennello anteriore di assai a Dante, mostrano aver l’autore seguite le idee esposte nella celebre visione di Alberico. Nella medesima chiesa di S. Maria si ammirano altre rappresentazioni appartenenti allo stesso pennello: due cavalieri vestiti alla foggia dei primi Crociati; alcuni agricoltori con i costumi del tempo; tre grandi personaggi che, fatto grembiale delle loro tuniche, accolgono nel seno una turma di fanciulli; i Profeti, l’ultima Cena, Cristo preso da’ Giudei e la Crocefissione: la seguente iscrizione, che si legge nel coro, ci dà notizia di questo ignoto Artista Abruzzese, che tanto illustrava la nostra Regione nel Medio Evo:

    Soror (sic) Guilielmi Amorelli

    e S. Eusanio... MCLI

    AMABILE PIETRO, scultore abruzzese? vissuto verso il 1197, scolpì l’ambone, che oggi più non esiste, della Chiesa di S. Vittorino. Vi si leggeva questa iscrizione:

    Anno Domini MCXCVII Magister Petrus Amabile hoc opus fecit temp. (ore) Ray (naldi) Nicol (ai) hujus Ecclesiae Archipresbiter (i).

    Abbiamo collocato qui maestro Pietro, perché del suo nome si fa spesso ricordo nei nostri monumenti: giova però avvertire che C. Promis lo crede di origine romano.

    ANTONELLO di Nicola da Teramo. Fiorì circa il 1456, nel quale anno, come lasciò notato il Muzii, «scrisse in un volume in prosa la vita della Beatissima Vergine, cominciando dal suo nascimento e di G. C. nostro signore sino alla ascensione al Cielo » E’ ricor­data anche dal Toppi, dal Tafuri, e dal Tulli. Ma dallo stesso Muzii noi sappiamo che egli fu altresì pittore valentissimo: « Fu anche costui, così scrive l’autorevole storico Teramano, eccellente pittore; ed io ho viste molte delle sue pitture, meritevoli veramente di lode, che ora per la maggior parte sono o ricoperte o ignorate o guaste, e tra le altre segnalato, il GIUDIZIO UNIVERSALE, dipinto sul muro del capo-altare della Chiesa di S. Giovanni, che, poi non sono molti anni, essendo biancheggiata detta Chiesa, fu a bella pittura ricoperta».

    ANDRIOLO maestro, di Penne, vissuto nel XIV secolo, orefice e cesellatore. Di esso troviamo notizia in uno scritto dei Giustizieri della Città di Penne del dì 25 maggio 1323, nel quale Re Roberto d’Angiò emana provvedimenti a favore di questo artista « aurifex Civitatis Pennae » contro gl’impiegati della provincia di Apruzzo.

    ANDREA maestro, di Lanciano, artefice marmoraio. L’oratorio edificato nel 1203 in onore della Vergine del Ponte fu opera del nostro Maestro Andrea di Lanciano. Ne fa testimonianza la seguente iscrizione in caratteri longobardi riportata anche dal Romanelli:

    Sacellum hoc Beate (sic) Virginis

    Puritatis Matris Dei et nostre

    Magister Andreas cum sociis

    de Lanziano solidis suis fecerunt

    A. D. MCCIII.

    ANDREA di Sulmona. Coltivò sul principio del 1400 la pittura come si rileva da alcune pergamene esistenti nell’Archivio Capitolare di Sulmona: ma quali opere compisse, s’ignora.

    ANDREA maestro di Guardiagrele, scultore ed architetto del XV secolo. La seguente epigrafe, scolpita in una lapide, che si vede in S. Maria Maggiore di Lanciano, ci ricorda il suo nome:

    Hoc opus est tempore Abbatis Philippi

    Capellani hujus Ecelesiae

    Hoc opus fecit (sic) ego Andreas de Guardla

    MCCCCXXII.

    ANTONUCCI AURELIO, Secol. XIX, di Civitella Alfedena, sacerdote. Fu pianista e compositore distinto, molto celebrato nel suo paese.

    ANGELINI COSTANZO di Santa Giusta, piccolo paese dell’Aquilano. Nasceva egli da onesta e civile famiglia il 22 ottobre dell’anno 1760. Suo padre ebbe nome Francesco, e Francesca de Laurentiis appellavasi la madre sua. Giovanotto ancora, insieme al fratello Loreto, si educava a Roma alle lettere ed alla religione presso un loro zio materno, sacerdote di specchiati costumi, di modesta vita e di ottima fama. Ambi questi fratelli, per conformità di tempera e per severa educazione, furono sempre adulti, né conobbero le fasi delle successive età: saggi, attenti allo studio, modesti, raccolti, amanti sempre della compagnia dei più anziani, tenaci emulatori delle severe virtù. Costanzo però, dotato di tempera più sensibile, d’ingegno più vivace, e spinto assai per tempo da forte tendenza alla coltura delle arti belle, volse l’animo alla pittura; e fa per lui gran ventura ché, mentre ne attingeva i principi da Marco Caprinozzi, allievo di Pietro Bianchi, discendente dalla scuola dei Caracci, visse in un tempo in cui le arti nostre per opera di Raffaele Mengs, di Winkelmann e di d’Angincourt subivano un’utile riforma. Lo studio dell’antico e del vero, dopo i traviamenti e le pazzie degli artisti precedenti, divenne necessità universale; la filosofia e le lettere dettero la mano all’arte, e l’Angelini fu tra i primi zelatori di questi santi principi, ed i suoi studi, ed i lavori di nudo nei Musei di Roma occupavano il primo posto insieme a’ David, a’ Girodet, a’ Da­vigny, a’ Sabatelli, a’ Benvenuti ed a’ Camuccini, dei quali visse famigliarissimo, tenendo sempre alto il decoro dell’arte italiana, anche prima che salisse in fama quel miracolo dell’arte scultoria., ANTONIO CANOVA. E fu sì estesa la sua reputazione nel ritrarre l’antico con esattezza, con sentimento e con scrupolosità mirabile, che volendosi in Roma dare esemplari per lo studio delle arti, giusta la introdotta riforma, esemplari tolti dalle più perfette statue antiche, l’Angelini fu prescelto a ritrarle in disegno, Giovanni Volpato e Raffaele Morghen ad inciderle. Ed in tal modo questi esemplari che rappresentavano l’Apollo del Belvedere, il Laocoonte, il Gladiatore, l’Ercole Farnese, e gli altri capi d’opera dovuti al sovrano ingegno greco, divennero modello universale.

    Chiamato in seguito a Napoli, ove grande era la fama del nome suo, dal celebre cav. Hamilton, disegnò ed incise meravigliosamente la bella collezione dei vasi etruschi da costui posseduta. Rimase così per sempre in Napoli, con grande ventura delle arti nostre; e datosi alle Accademie, antico campo di gloria nei suoi verdi anni, onorato e sicuro asilo nelle avversità della sua vita, prese parte all’insegnamento nella già Accademia di S. Carlo alle Mortelle, e poscia nell’altra istituita nella R. Fabbrica della Porcellana, ove, facendo mostra del valor suo nel ritrarre il vero, condusse disegni che per bontà d’insieme, precisione di contorni, nobiltà di forme, verità e franchezza d’esecuzione destarono meraviglia in quanti li videro, e rimarranno sempre modello di stile per chi vorrà dedicarsi allo studio del disegno. Poco appresso, da tutti stimato per sapere, per ingegno e per virtù, fu dal Ministro Monsignor di Taranto, grande amatore delle arti belle ed estimatore degl’ingegni, chiamato, a presiedere la Reale Accademia delle Belle Arti.

    Questa utile istituzione delle Arti del disegno, diretta da Costanzo Angelini, fu sul nascere popolata da allievi di varie scuole e di diverse età; però con tali elementi svariati e confusi non si andava, come egli voleva, innanzi; e per quanto egli si adoperasse con l’esempio, disegnando continuamente dal nudo in mezzo alla gioventù studiosa, e non facendo nessuna correzione con la matita, senza accompagnarla con le ragioni e con lo sviluppo di qualche fondamentale principio dell’arte, pure vide che a voler fondare una scuola, che veramente potesse rispondere alle esigenze dell’arte, era necessario servirsi di elementi giovani, non viziati da falsi principi ed insegnamenti. A far ciò richiedevansi un locale più adatto, una maggiore spesa per gli utensili materiali, ed un grande sacrificio di sé stesso: ma tutto vinse l’amore per l’arte e pel proprio paese: la sua casa venne in breve aperta alla gioventù napoletana, senza riceverne emolumento alcuno; vennero da lui medesimo provvisti gli originali; ed egli con paterna ed infaticabile assistenza, correggeva i lavori fino a due volte al giorno, ottenendo per i giovani pensioni mensili del governo.

    Tale opera recò a lui sommo onore, e fu tanto il gradimento del paese e del governo, che in Italia e fuori fu titolo di gloria l’essere allievo di lui e dette diritto a posti; e crebbero per opera sua dei giovani che divennero i maestri della nuova scuola ed i luminari dell’arte napoletana. Così fondatori dell’arte moderna furono dall’universale salutati Camuccini a Roma, Benvenuti a Firenze, Sabatelli a Milano e Costanzo Angelini a Napoli.

    « Esempio di padre affettuoso, d’illustre maestro e di grande artista, le sue lezioni erano grandi tratti, erano i lampi del genio: (così scrive uno dei più illustri discepoli dell’Angelini, Camillo Guerra, in un articolo biografico intorno all’Abruzzese pittore, del quale articolo, più che da altre fonti, a noi è piaciuto trarre le notizie che lo riguardano). Egli vedeva in un’opera che gli si presentava l’indole e la riuscita del giovane; contemporaneamente correggeva l’arte, la morale, la civiltà, diceva: la società aver bisogno di galantuomini, non di pittori, né potersi essere buon pittore senza essere buon galantuomo. Quindi un uomo come lui fondato su i grandi principi morali e filosofici, rallegrata la mente dell’arte divina di Febo e di Apollo, e convinto, che il principio che informar deve ogni prodotto delle due arti sorelle è la virtù; immagini ognuno quali dovevano essere gli argomenti, che imprendeva a trattare. Nelle lettere fu castigato, profondo e chiaro scrittore, studiato nel verso, ma per lo più vestendo argomenti didascalici... A chi aveva ridotto il suo occhio come un limpido specchio nel ritrarre le perfezioni della purissima forma ed aveva la mente illuminata, non era certo difficile far vaste opere nel vigore della sua età, se voluto lo avesse; ma dato com’era all’istruzione della gioventù, questa assorbiva tutto il suo spirito ed il suo cuore, né terminava col terminar della luce del giorno, volendo che i giovani andassero a lui benanco la sera dopo lo studio del nudo, e non gli lasciava largo di tempo ad eseguire, grandi lavori ».

    Non vaste perciò e numerose furono le tele animate dall’Angelini; ma brevi e poche. Ricorderemo fra le altre quella a figure terzine, al Caravita di Roma; l’ASSUNTA al vero per l’Ungheria; il Focione che beve la cicuta e l’Ercole che getta la lira in disegno, oltre un’infinità di studi e di disegni in ogni genere, opere tutte di classica forma, testimoni perenni dell’ingegno di un uomo, che tanto bene ai giovani aveva recato, e che aveva avuto il coraggio di affrontare l’arte nella sua maggiore estensione. Nel ritrarre con straordinaria valentia, sì ad olio che a pastello, la immagine dei personaggi, egli ritraeva altresì mirabilmente l’indole e la storia di essi, e questo provano, tra i molti in Roma, i due ritratti in un sol quadro, di lui e del fratello, che si tengono per mano; figure al vero, opera dagli artisti quale antica onorata; ed i ritratti di Saverio de Rogati, Angelo Maria Ricci, Melchiorre Delfico, Ferri Pisani, del Marchese Venuti, del celebre Bruno Amantea, di P. Piazzi, Zingarelli: dei due sommi critici Andres e Bonafede, di Nelson, Franceschi, Gargallo, Fenaroli e di tanti altri che per brevità tralasciamo. Lo studio indefesso degli antichi, avendo tratto copia di svariati autori nelle Gallerie di Roma, gli aveva fatto acquistare tale facilità di pennello, che tutte le opere antiche erano da lui con grande e direi insuperata bravura, contraffatte: sia di esempio la copia del Davide di Guido da lui eseguita; ed un altro quadretto fiammingo, esposti nel suo studio. Illustrò anche in Roma il famoso, Museo di vasi Etruschi del Marchese Vivenzio, con un’esattezza ed una precisione inarrivabile. Scrisse cose di vario argomento e stile che offrirà abbondante materia a chi volesse, anche da questa parte, valutare l’eccellenza del suo ingegno; tra queste opere ricorderemo le poesie, che sono prova della vivezza del suo sentire e della potenza del suo genio, e mostrano uno stile tutto proprio, armonico, atto a rivelare i forti sentimenti ond’era commosso.

    Ebbe in moglie Mariangela, sorella del celeberrimo nostro Abruzzese Filippo Rega, da cui procreò figli, che coltivarono con grande onore le arti, tra i quali Orazio architetto, Luigi pittore, e quel Tito, scultore insigne, morto non è molto Prof. nella R. Accademia di Belle Arti di Napoli. Morì l’Angelini nella notte del 22 Giugno 1853 ad ore 5 italiane. Fu onorato di esequie solenni, alle quali presero parte gli Accademici, i Professori e gli Alunni del R. Istituto di Belle Arti: vennero recitate le lodi dell’estinto dal Presidente dell’Accademia, Cav. C. Conti e dal Segretario R. Bova. Il cadavere fu portato dagli allievi sulle proprie spalle, dalla strada Avvocata fino all’arco del Sedile di Porto. In quello che il convoglio funebre passar doveva davanti al R. Museo Borbonico, indossarono, per quel tratto, la bara il Presidente della R. Accademia di Belle Arti, il Direttore del R. Istituto, il Direttore del Pensionato in Roma F. Marsigli, Camillo Guerra, G. Smargiassi e Gaetano Genovese, i quali con quell’omaggio tributato al Nestore de’ Pittori, al più valente dei Maestri, dettero nobilissimo esempio alla gioventù, in gran folla accorsa per rendere più solenne e magnifico il luttuoso corteggio.

    AQUILA (di) MARCO, celeberrimo suonatore di liuto, il quale, insieme ad altri illustri Aquilani, meritò l’onore di essere effigiato da Pompeo Cesura e dal Cardone nell’arco di trionfo eretto in onore di Margherita d’Austria.

    AQUILA (di) GIOVANNI e GASPARE fioriti nel XVI secolo, egregi maestri fonditori. In una campana della Chiesa di S. Vittorino si legge la seguente epigrafe col loro nome:

    Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum!

    Mentem Sanctam, spontaneam, honorem Deo et patriae liberationem.

    Anno Domini MCCCCCLXI Magister

    Joannes Bernardus et Gaspar de Aquila

    me fecerunt tpe. M. Jacob. Caseia (?).

    de Joanminico lar. Bernardin. d. ver. Camo (?)

    Né la Città di Aquila si rese solo illustre per opera di egregi maestri fonditori, ma per la sua famosa Zecca altresì, ove belle monete venivano coniate. Le prime zecche degli Abruzzi furono quelle di Aquila e di Sulmona, aperte per provvedere al bisogno dei traffici ed alle paghe dei soldati durante il tempo che Ludovico d’Angiò e Carlo di Durazzo, accaniti rivali, tenevano accesa nelle nostre contrade la guerra civile, favorendo università e baroni quale l’uno e quale l’altro dei due pretendenti. Le monete che vi ebbero corso furono l’oncia di conto in oro, il carlino o gigliato in argento, i soldi, i denari o denarelli, in vari nomi distinti, e di cui ci conservarono memoria i cronisti aquilani. Ma le monete che, dentro i confini del Regno, si coniavano esclusivamente in Abruzzo, salva l’unica eccezione di Sora, per assoldare le truppe ed agevolare i commerci con i vicini stati della Chiesa, furono i bolognini e le celle, particolarmente descritti dal benemerito V. Lazzari. Niun documento esiste della originaria concessione della Zecca Aquilana; ma le prime monete portano il nome di un Ludovico d’Angió, discordando i critici a quale Ludovico debba riferirsi, se al primo o al secondo. Furono coniate monete sotto i Re successivi; ma fino a che durò il travagliato governo di Renato, la Zecca Aquilana, con poche eccezioni, coniò monete di tipo peculiare agli Abruzzi: dopo i rovesci dell’Angioino, venuto il Regno nelle mani di Alfonso I, quella prerogativa cessò, e la zecca dovette per sempre uniformarsi al sistema della napoletana, quantunque onorata di non pochi privilegi dai Re di Napoli. La Zecca di Aquila, che ebbe più lunga durata di ogni altra Abruzzese, cessò del tutto sotto il regno di Luigi XII di Francia.

    ARISCOLA SILVESTRO, di Arischia, cittadino Aquilano, fiorito nel XV secolo, scultore insigne. Nei manoscritti dell’Agnifili esiste un documento, che ne fa certi dell’esistenza di questo artista. Egli studiò a Firenze, con la quale, come si è veduto, Aquila teneva stretti rapporti commerciali; e prova ne sia che nei suoi verdi anni eseguì nella facciata del Duomo di Orvieto il così detto gran diavolo, che sinora, insieme agli altri, fu stimato opera di Nicolò Pisano: lasciò scritto il Pico (ms) " Silvestro d’Ariscule dell’Aquila e Salvato scultori eccellentissimi ferno il portico di Castel Nuovo di Napoli, il diavolo d’Orvieto, opera meraculosa. Ferno oltre ciò il tabernaculo di S. Bernardino con bellissime statue, e la sepoltura di Beatrice Camponeschi, ed altre opere per Italia, degne di grande considerazione". Fu allievo di Donatello, il quale, come afferma il Cicognara, lasciò in Aquila non poche opere, e tornato in patria, già glorioso, vi condusse lavori egregi. Eseguì nella Chiesa di S. Marciano un basso rilievo rappresentante la Vergine col Bambino sulle ginocchia, mirabile per sicurezza di contorni ed avvenenza di stile; e poco appresso, scolpì nel mausoleo del Cardinale Amico Agnifili, l’immagine di lui con altri bassi rilievi che rappresentano la Vergine, S. Massimo e S. Giorgio, ed alcuni candelabri di bellissimo lavorio, ed un’arca di pietrabianca, sostenuta da quattro zampe di leoni, con finissimi intagli, vaghi angioletti, foglie e festoni che s’intrecciano allo stemma del Cardinale, che arricchì la sua Chiesa di tante opere insigni, da renderla illustre fra tutte le Chiese d’Italia, come lasciò scritto l’Ughelli: templum illud ex Amici munificentia videatur cum Italiae nobilioribus posse conferri.

    La seguente epigrafe, che venne apposta nel monumento, ricorda il nome di Amico e quello dell’artista.

    Quatuor et denos quater egit Episcopus annos

    Cardineumque decem gessit Amicus honos.

    Pauperibus largus, prudens, canonumque profundus

    Interpres, Patriae progeniaeque decus.

    Divitiis templum hoc ornavit, et aedibus aedes.

    Mente Deum petiit... Hunc tenent ossa locum.

    OPUS SILVESTRI AQUILANI

    MCCCCLXXX.

    Il Caprucci nelle sue memorie ecco che cosa scrisse di Sil­vestro.

    « Non meraviglio se l’autor delle Vite degli uomini eccellenti nella scoltura e nella pittura non abbia fatto menzione di maestro Silvestro dell’Aquila, scultore ai suoi tempi eccellentissimo, sì come fu anche valentissimo pittore ed architettore, perciocchè, come huomo non molto ambizioso, si contentò delle opere che lasciò nella sua patria dove ebbe molto da fare, senza cercar la pratica di Roma e delle Città più famose d’Italia, e perciò ai forestieri non ha dato delle molte notizie, se non quando nella facciata di Orvieto, essendo egli giovane, lasciò l’effigie scolpita del gran diavolo posta in piedi di essa, la quale è tenuta una delle più belle figure che sieno in tutta quella facciata. Ma il Deposito di S. Berar­dino nell’Aquila con le sue figure, e particolarmente quella di S. Francesco, il quale in vederlo spira una tacita divinità ed induce una grandissima devozione; ed il monumento di Beatrice Camponeschi nella medesima Chiesa, con li tre putti di mar­mo di sotto, et con la figura della donna posta di sopra; il S. Se­bastiano anche di tutto rilievo nella Chiesa del Soccorso, mostrano senza difficoltà alcuna come in quei tempi non era anco apparso al mondo Michelangelo Buonarroti, ed egli era unico e senza pari in Italia, perciocché elle son opere, a giudizio dei valenti uomini, tanto meravigliose, che possono eguagliarsi alle antiche". Anche il Pico nei suoi mss. lo chiama scultore eccellentissimo, et miraculose le sue opere. Il S. Sebastiano, da lui scolpito in legno nel 1478 per ordine di Giuseppe Caprini, é raffigurato sotto le sembianze di un giovane bellissimo e di forme perfette, con gli occhi rivolti al Cielo, con la bocca alquanto aperta ad esprimere dignitoso dolore e desiderio di una patria migliore.

    Questo capo d’opera, meraviglioso per perfezione di contorni, purezza di disegno ed eleganza di stile, viene ricordato nell’istrumento del citato Agnifili con le seguenti parole: « Promissio conficiendi imaginem Sancti Sebastiani Sanctae Mariae de Succurso de Aquila. Const. Magister Silvester Jacobi de Sulmona civis Aquilanus promisit laborare imaginem S. Sebastiani ad similitudinem cum tabernaculo portis et suis historiis pro pretio ducatorum quinquaginta, solvendorum decem ab Abate dicti Monasterii et quadraginta a

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