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LE RONDINI VOLANO ALTE NEL CIELO LIBERE
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E-book327 pagine4 ore

LE RONDINI VOLANO ALTE NEL CIELO LIBERE

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Info su questo ebook

E’ l’alba del 23 febbraio 1832, quando il conte Edoardo Altieri ascolta incredulo sua moglie Agnese Brigante Colonna predire con esattezza l’imminente sbarco francese nella città di Ancona, un’azione decisa da complicati giochi di potere e perciò impossibile da prevedere.

Una breve occupazione militare che basta a innescare la spirale della violenza fra i membri della Giovane Italia e i Sanfedisti, fedelissimi del Papa. Da questo momento, i disordini e i fatti di sangue si susseguono di pari passo con la proliferazione delle idee giacobine, che culmina con l’uccisione di un aristocratico reazionario e con la finale caccia all’uomo per l’identificazione dei colpevoli. Sullo sfondo dell’Italia sconvolta dai moti risorgimentali si svolge l’intrigante vicenda di Edoardo Altieri, esponente di spicco del partito papalino e di sua moglie, la bellissima e misteriosa contessa Agnese. L’irresistibile magnetismo della donna non è privo di accenti mistici e si fa allegoria dell’eterno ritorno della Storia nella figura di Agnese, lettrice curiosa ed attenta che ricompone, ai nostri giorni, i tasselli della vicenda passata.
LinguaItaliano
Data di uscita26 nov 2012
ISBN9788867554027
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    LE RONDINI VOLANO ALTE NEL CIELO LIBERE - Graziella Magrini

    1833

    Cenni storici

    Nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, l’Italia era ridotta ad un mosaico di stati sui quali l’Austria esercitava un incontrastato dominio. Le speranze dei patrioti italiani in una possibile unificazione della penisola, alimentate durante il periodo napoleonico ed assopite immediatamente dopo la caduta dell’imperatore francese, avevano ripreso vita prima con i moti carbonari e poi con la diffusione delle idee mazziniane.

    Il 2 febbraio 1831 fu eletto papa Gregorio XVI, uomo di animo nobile, ma di idee conservatrici. Durante il suo pontificato le richieste di riforme liberali rimasero inascoltate e lo Stato Pontificio continuò ad essere tra gli stati più retrogradi dell’intera penisola. Il potere, mal gestito, quasi esclusivamente nelle mani del clero bigotto, era esercitato attraverso leggi antiquate ed intolleranti; l’economia chiusa e poco sviluppata, la povertà dilagante. Per sedare le insurrezioni ed i malcontenti del popolo, assai frequenti, Gregorio XVI si avvaleva dell’aiuto austriaco destando le ire dei francesi, timorosi della rottura degli equilibri stabiliti dopo la restaurazione. Quando l’ennesima rivolta scoppiò nelle Romagne, le truppe austriache intervennero in aiuto del Papa entrando a Bologna il 28 gennaio 1832. Da quel momento cominciarono i problemi per la città di Ancona ed ebbe inizio la nostra storia …

    La vita

    rende omaggio alla morte,

    nell’attesa della rinascita.

    Agnese si guardava le scarpe, erano diventate bianche di polvere a forza di camminare per strade di ghiaia. Quel posto le piaceva, silenzioso, con gli alti cipressi che ondeggiavano al vento. Lei e sua madre avevano oltrepassato il grande cancello e si erano ritrovate davanti ad un mezzo busto in peltro: ‘Carlo Faiani morto a 27 anni il 13 giugno 1846’. Poco più in là una grande aquila e dopo alcuni passi, due sarcofagi sovrastati da una croce. Tanti angeli, angeli ovunque.

    Agnese provava un senso di pace. Teneva stretta la mano della madre che camminava veloce e silenziosa.

    Stavano attraversando il viale centrale del cimitero di Tavernelle. C’erano edicole di ogni forma e dimensione. In un prato le tombe dei soldati morti durante la seconda guerra mondiale. Le lapidi tutte uguali, come uguali rende la morte. Una targa su una colonna recitava: ‘Non disprezzare la memoria dei piccoli luoghi, che essi prima furono testimoni e fecero la loro parte in ciò che la grande storia racconta – Filate Leonido’.

    Agnese e sua madre si erano fermate davanti ad una piccola cappella bianca, ai cui lati, incisi nella pietra, vi erano degli angeli alati e delle clessidre. Il trascorrere finito del tempo. Dell’edera ricopriva il tetto, qualche fronda non permetteva di vedere l’interno della tomba. Un cancello in ferro ostruiva il passaggio, sembrava che fossero passati anni dall’ultima volta che qualcuno l’aveva aperto.

    Agnese guardava. Faceva fatica a distinguere le immagini e le scritte annerite dal tempo. Sua madre la teneva stretta per mano, quasi a farle male. Il sole le scaldava il viso ed il silenzio la opprimeva. Quegli occhi. I suoi occhi guardarono quegli occhi; gli occhi di una vecchia signora, vestita di un abito nero in pizzo, i bianchi e ricci capelli raccolti in uno chignon, un’unica scritta: ‘Contessa Agnese Brigante Colonna Altieri’. Nessuna data né di nascita né di morte. Quegli occhi, i suoi occhi.

    L’uomo deve vivere di ideali,

    giusti o sbagliati,

    lotta con ostinazione.

    30 gennaio 1832

    Giuro di mantenermi fermo nel difendere la santa causa che ho abbracciata; di non risparmiare nessun individuo appartenente all’infame combriccola dei liberali, qualunque la sua nascita, parentela o fortuna; di non aver pietà dei pianti dei bambini, né dei vecchi; e di versare fino all’ultima goccia il sangue degli infami liberali, senza riguardo a sesso né a grado. Giuro, infine, odio implacabile a tutti i nemici della nostra Santa Religione Cattolica Romana, unica e vera.

    Nella sala echeggiò il giuramento del nuovo adepto. Le luci tremolanti delle candele accese ai piedi della croce intorpidivano la mente. Un lento salmodiare dei presenti accompagnava la preghiera.

    Camminavano in tondo, al di là delle alte colonne, ai bordi della stanza. Vestiti con tuniche bianche, il viso coperto, elevavano suppliche al Dio degli uomini. Una statua raffigurante l’Arcangelo Gabriele li osservava. Su di un altare una bibbia. Il Gran Maestro, luce di saggezza, si avvicinò al giovane inginocchiato. Lo asperse d’acqua benedetta e lo unse con il sacro crisma sulla fronte. Si girò verso l’altare. Davanti a lui lo stemma della setta di Sanfedisti: il Padre Eterno, un bue intero e la croce, e sotto la scritta: ‘Iddio sono morte, amore e fiducia nella Divina Provvidenza, l’Angelo custode ci sostiene’.

    Abbiamo un nuovo fratello tra noi urlò suo compito sarà combattere contro tutti coloro che avversano la nostra Santa Madre Chiesa e il Santo Padre Papa Gregorio XVI.

    Uno spiraglio di luce penetrò da un abbaino. La platea era silenziosa.

    Fratelli, i fanatismi liberali hanno l’obiettivo di annullare il vivere civile, gli usi che da secoli hanno governato questo mondo. Libertà!? Uguaglianza!? Come si può chiedere di essere liberi? E da cosa? Quando mai un popolo è stato capace di governarsi per suo conto?

    Nella sala si diffuse un mormorio di assenso. Gli uomini incappucciati parlottavano tra loro.

    I borghesi, gli intellettuali, i contadini devono essere guidati, comandati. Devono sottostare alle leggi scritte da sempre. Quale bisogno di cambiamento? Uguaglianza!? Come si può essere uguali! Vogliamo prendere esempio dai nostri vicini francesi?

    Il terrore francese era nelle menti di tutti. Uomini e donne uccisi in massa, in una follia collettiva.

    Non si può cambiare l’ordine naturale delle cose. È stato Dio all’inizio dei tempi a stabilire una gerarchia tra gli uomini, è il sangue che ci scorre nelle vene a renderci migliori e capaci di guidare la nazione. Il Papa è l’unico indiscusso Re. Chiedono riforme? Ma quali riforme?! Si sono riuniti a Bologna con richieste assurde: cambiamenti giudiziari, istituzione dei consigli provinciali, nomina a consiglieri comunali per gli eletti dal partito liberale! Hanno sobillato il popolo! I francesi distribuivano volantini. Sua Santità è stato costretto a mandare l’esercito per sedare la rivolta nelle Romagne. C’è il rischio che le fondamenta dello Stato della Chiesa siano messe in pericolo.

    Il Gran Maestro parlava con enfasi. La sua voce risuonava nella sala. Dal cappuccio si intravedevano gli occhi, colmi di rabbia, color cobalto. La capacità di ammaliare le masse. Ogni membro della setta era attento. I discepoli legati ad un’unica idea: le confraternite liberali rappresentavano il male.

    Abbiamo bisogno di aiuto economico e militare. Il mantenimento della legalità nello Stato Pontificio è il mantenimento della legalità negli altri stati, incluse le province austriache. L’esercito papalino, è inutile nascondercelo, non è in grado di affrontare le insurrezioni. A Forlì, durante l’occupazione, c’è stata una violenta sparatoria. Sono morti venticinque cittadini che nulla avevano a che fare con la rivolta. I soldati hanno infierito sui loro corpi, martoriandoli. Le truppe andando da Cesena a Lugo di Romagna non hanno avuto rispetto neanche per il Santuario della Madonna del Monte!

    Animali! urlò un uomo dal fondo della sala. Il celebrante non s’interruppe. Il generale Barbieri è un incapace. Ripeto! Abbiamo bisogno di aiuto, ma dobbiamo avere timore di quest’aiuto. Usarlo per i nostri fini senza farci sottomettere. Silenzio, ira. Le truppe austriache il 28 gennaio sono entrate a Bologna comandate dal Generale Radetzky. Sono state acclamate dal popolo. Ora, sono sul nostro territorio. Papa Gregorio XVI ha severamente rimproverato il cardinale Albani. Sua Eminenza ha avuto troppa fretta nel chiedere l’intervento dell’Austria. È stato accusato di non avere a cuore la pace. Ora la Francia reagirà. Kasimir Périer in una riunione degli ambasciatori a Parigi, una decina di giorni fa, ha proposto di inviare una spedizione militare francese ad Ancona.

    Il mormorio divenne voce. Lo stupore e l’indignazione per una possibile occupazione della città scaldò ulteriormente gli animi.

    Si sono opposti i legati di Russia ed Austria. L’ambasciatore russo, conte Pozzo di Borgo, ha ribadito che una simile iniziativa creerebbe problemi all’ordine regnante. Ma i Francesi non si fermeranno. Vogliono occupare Ancona! Vogliono occupare la nostra città! gridò il Gran Maestro e la voce si sparse tra le volte del tempio. La situazione era grave.

    L’Arcangelo Gabriele sembrava scrutare gli incappucciati che pregavano. Come reagire? La fiamma delle candele tremolava ai piedi della croce. Cosa fare davanti ad una pestilenza che imbratta ogni cosa, fa perdere la certezza per il domani ed insidia gli animi? Il destino è mutevole, ma la storia si ripete. Le parole erano state pronunciate, il rito era terminato.

    I discepoli abbandonarono la sala in un lento salmodiare camminando in tondo, al di là delle alte colonne, in senso opposto a quello d’entrata. Il rumore dei passi sull’ammattonato rompeva il silenzio ma non la preoccupazione.

    Il Gran Maestro, luce di saggezza, fu l’ultimo ad uscire.

    Lungo il cammino,

    un’unica strada da percorrere,

    il bivio è un’illusione.

    21 febbraio 1832

    Prendi il libro di famiglia e leggi la pagina segnata, Edoardo ordinò la contessa Caterina al figlio primogenito.

    Come desiderate madre.

    L’uomo, sulla quarantina, con fare altero, si avvicinò al tavolo a lunghi passi. Prese il libro in mano. Lo aprì. Nulla sul suo volto lasciò trasparire cosa vi fosse scritto.Leggi ad alta voce, che tutti possano sentire.

    Nella stanza erano presenti oltre alla contessa Caterina e a suo figlio Edoardo, gli altri membri della famiglia Altieri, il secondogenito conte Gualtiero e sua moglie contessa Clotilde.

    Il 22 febbraio 1832 è stato celebrato il matrimonio tra il conte Edoardo Carlo Maria Altieri e la contessa Agnese Brigante Colonna lesse il conte.

    Gualtiero, dopo anni di speranze, tornava nell’ombra.

    Hai avuto molto tempo a disposizione Gualtiero, per creare una tua discendenza proseguì la vecchia osservando il figlio minore ed intuendo il suo turbamento tua moglie è stata capace di mettere al mondo solo figlie femmine.

    ‘Solo figlie femmine’ fecero eco le parole nella mente di Clotilde che osservava fuori dalla finestra indifferente. Era buio, si stava avvicinando la notte. La sua bambina, di due mesi, era nel lettino al piano superiore. Aveva la febbre. Forse anche lei sarebbe morta come le sue sorelle, tutte femmine. Ogni sera passava ore a pregare il buon Dio di aiutarla, ma lui guardava altrove e non sentiva la sua voce. Si domandava quale fosse la colpa dei suoi angioletti o, forse, era lei ad aver peccato e a dover essere punita. I suoi pensieri erano lontano, oltre la finestra. Quello che accadeva nella stanza non la riguardava. L’infinito del cielo la sovrastava. Non c’erano stelle.

    Quest’unione è stata stabilita da tempo. La nostra famiglia ha quest’onore. Vostro padre, prima di morire, si è impegnato ed ha scritto sul libro di famiglia ciò che Edoardo ha appena letto. Quanto da lui disposto non può essere messo in discussione. Io non condivido la sua scelta, ma non posso oppormi. Domani Edoardo ti sposerai con la contessa Agnese Brigante Colonna.

    Nel salone, dove erano riuniti, faceva freddo. Il camino era, come sempre, spento. Le due donne sedute sui divani, avvolte in grandi scialli, tenevano tra le mani lo scaldino pieno di braci roventi. Gli uomini, in piedi al centro dell’ampia stanza. Lungo le pareti tappezzate di quadri solo pochi mobili. La notizia del matrimonio aveva colto tutti impreparati. Nessuno pensava che il conte Edoardo si sarebbe sposato, e lui meno di tutti, ed in modo così improvviso. Uomo ormai maturo, si occupava esclusivamente degli affari di famiglia e di politica. Convinto sostenitore dell’ancien regime, dopo la restaurazione, il suo desiderio più vivo e manifesto era l’immobilismo. Nulla doveva cambiare. Le idee difformi dalle sue lo logoravano. Cinico e spietato nei modi e nelle parole, mai aveva espresso segni d’affetto, soprattutto nei confronti di donne. Che cosa pensasse in quel momento, non è dato sapere. Gli occhi foschi non permettevano di scrutare il suo animo.

    La donna che sposerai la contessa madre si sistemò lo scialle non è stata scelta da tuo padre, ma a lui imposta. Appartiene ad una famiglia d’antica nobiltà, tra i suoi avi si annoverano papi, re e uomini gloriosi. La sua dote darà ulteriore lustro alla nostra famiglia. Viene da lontano. I suoi modi non ci piaceranno. Le sue idee saranno diverse dalle nostre anche se, forse, avrà il buon gusto di non esprimerle. È giovane e caparbia. Parlerà poco, ma quando lo farà dovremo ascoltarla, è una donna saggia. Sono stata chiara Edoardo: dovrai ascoltare i consigli della tua futura moglie.

    Edoardo guardava di sbieco l’anziana donna. La contessa madre, in evidente imbarazzo, non era solita dare ordini al suo primogenito, ma doveva farlo. Il destino non aveva prescelto Gualtiero, troppo debole ed ozioso per un simile compito. Ora, sarebbe arrivata nella sua casa quella donna.

    La contessa Caterina si alzò in piedi con fatica dalla poltrona. Posò lo scaldino e riprese a parlare.

    Per essere valido il matrimonio dovrà essere consumato e dovrai consumarlo la prima notte di nozze. Dopo di che, tu e la tua sposa dormirete in camere separate e non avrai più nulla da pretendere da lei. Se vuoi divertirti vai dalla tua amante.

    Si avviò verso la porta a passi lenti aiutandosi con il bastone che portava sempre con sé.

    Ora sono stanca disse possiamo far servire la cena.

    Il profumo dei libri,

    l’immensità del sapere,

    la grandezza delle menti.

    22 febbraio 2010

    Agnese amava passeggiare. Ancona, sotto il tiepido sole di febbraio, era tranquilla e silenziosa. Nel porto, un’enorme nave da crociera era pronta a salpare. Poco più in là, numerosi camion in coda aspettavano d’imbarcarsi su un mercantile greco. Il sole faceva baluginare l’acqua. La cattedrale di San Ciriaco svettava sul colle a precipizio sul mare. Il cielo era terso. Agnese amava la sua città.

    La giovane donna attraversò Piazza del Papa, l’imponente chiesa di San Domenico dominava la statua di Papa Clemente XII. Oltrepassò l’Arco di Carola ed arrivò davanti all’entrata di Palazzo Mengoni – Ferretti, sede della biblioteca Benincasa. Spinse il pesante portone di legno che cigolò. Iniziò a salire le scale: due gradinate ripide intervallate da lunghi corridoi.

    Quando entrò nella biblioteca, sapeva già cosa chiedere. La lista era lunga e la stava seguendo con metodo, conteneva libri riguardanti diversi argomenti, ma tutti con un unico denominatore: i primi cinquanta anni del 1800. Prese il modulo. Scrisse il titolo e la sua collocazione: Riforme e discipline da osservarsi dalli signori professori e medici – SF33 – 36093, un libro non distribuibile che andava letto obbligatoriamente nella sala di lettura. Non sapeva esattamente cosa stesse cercando, ma leggere testi di quel periodo storico la rasserenava. Consegnò il modulo ad una delle impiegate nascosta dietro ad una pila di libri ed un computer.

    La sala di lettura non era affollata. Un paio di ragazze studiavano. Agnese si sedette al solito tavolo, accese la luce e tirò fuori la bottiglietta d’acqua. Le veniva sempre sete quando leggeva. Guardò il libro che teneva in mano. Era un tomo alto e pesante. Aveva una copertina lisa di legno ricoperta da una carta verdognola, di quelle copertine che quando le apri, devi fare attenzione perché si richiudono subito con un tonfo sordo. Non c’erano scritte tranne un’etichetta bianca, piuttosto malmessa, sulla costa: il numero di collocazione nella biblioteca. Il primo pensiero di Agnese fu per le persone che avevano già tenuto in mano quel tomo, non molte visto l’argomento, ma poiché era stato stampato all’inizio dell’Ottocento, sicuramente, alcune di loro, erano già morte. Questo la turbava.

    Il libro conteneva più libri, come spesso accade, aggregati senza ordine o motivo. Agnese trovò quello che cercava. Faceva attenzione nello sfogliare le pagine ingiallite. Riforme e discipline da osservarsi dalli signori professori e medici era una serie di prescrizioni di comportamento consigliate ai medici nel caso di malattie infettive. Si raccomandava principalmente la pulizia. In fondo, i medici dell’epoca oltre a salassi e tisane non avevano grandi mezzi.

    Agnese sfogliava le pagine appiccicate e polverose. Lesse velocemente il testo senza trovare nulla di importante. La ricerca non era ancora finita. Era curiosa di sapere quali altri libri il caso aveva aggregato. Poesie, teorie meteorologiche associate all’agricoltura, racconti sulla fondazione di Ancona. Tutto poco interessante o già noto. Era quasi tentata di restituire il libro alla bibliotecaria e di richiederne un altro quando la sua attenzione fu attratta da un bigliettino di auguri. Strana lettura. Alla fine di una pagina sinistra, quasi centrale, in un corsivo pieno di riccioli, era stata vergata questa frase:

    22-02-1832

    Nobile donzella Agnese Contessa Brigante Colonna nel giorno fausto e lietissimo delle sue ben augurate sponsalizie con l’egregio Signor Conte Edoardo Carlo Maria Altieri sono qui a porgerle, le mie più sentite felicitazioni.

    Cavaliere Girolamo Bosdari

    Gonfaloniere della comune di Ancona

    La follia della passione,

    un amore insano,

    la perdizione dell’anima.

    22 febbraio 1832

    I due sposi, inginocchiati ai piedi dell’altare maggiore, tenevano in mano un grosso cero acceso.

    "In nòmine Patris, et Fìlii, et Spìritus Sancti. Amen. Introìbo ad altàre Dei". Davanti a loro il dipinto del Cristo Risorto. Alla loro destra l’angelo che regge la tiara papale seduto sui libri: la chiesa unica depositaria del Verbo, la chiesa che domina la cultura.

    "Misereàtur vestri omnìpotens Deus et, dimìssis peccàtis vestris, perdùcat vos ad vitam aetèrnam. Amen".

    Il vescovo officiava la cerimonia. Era il primogenito di sua sorella che si stava sposando. Al suo fianco altri chierici, ognuno di loro abbigliato riccamente con paramenti sacri bianchi. Il Duomo non era gremito. Gli invitati erano pochi, solo i più intimi. Nessun parente della sposa.

    "Te ìgitur, clementìssime Pater, per Iesum Christum Fìlium tuum Dòminum nostrum, sùpplices rogàmus ac pètimus, uti accépta hàbeas, et benedìcas haec dona, haec mùnera, haec sancta sacrifìcia illibàta".

    Quando Agnese era entrata in chiesa, seguendo il grande crocifisso d’argento portato dal celebrante in processione, un lieve mormorio l’aveva accompagnata fino all’altare. Il viso era coperto da un prezioso velo quadrangolare ricamato. L’abito color oro vecchio a motivi di peonie aperte e piccole margherite, aveva un corpetto aderente ed una gonna a pieghe morbide. Le piaceva quel vestito.

    Malgrado i grandi lampadari appesi al soffitto, il rosone ed i lucernai, non vi era molta luce all’interno del Duomo. Agnese, avanzando lungo la navata centrale, aveva incrociato il suo sguardo con quello del conte Edoardo Altieri. Si era ripromessa di tenere gli occhi bassi, aveva sbagliato. Il volto di quell’uomo lo aveva già visto in un ritratto, ed un ritratto non era certo il modo migliore per conoscere i propri sentimenti. Il cuore le pulsava in gola. Lo sguardo del suo futuro sposo era cupo. Sapeva bene chi era il conte Edoardo Carlo Maria Altieri. Avrebbe voluto andarsene. I suoi grandi occhi color ambra s’inumidirono. Aveva paura.

    "Pater noster, qui es in caeils: sanctificétur nomen tuum; advéniat regnum tuum; fiat volùntas tua, sicut in caelo et in terra".

    La cerimonia era lunga: l’officiante, affiancato dagli altri prelati, celebrava le nozze con la solennità e la magnificenza di cui i due sposi erano degni. La mitra pastorale si alzava ed abbassava al lento predicare del vescovo. Nulla era lasciato al caso, tutto seguiva l’ordine prestabilito. Agnese teneva il capo reclinato e le mani congiunte in un apparente raccoglimento che celava il suo travaglio interiore.

    "Corpus Domini nostri Iesu Christi custòdiat ànimam tuam in vitam aetèrnam. Amen".

    Il rito stava giungendo al termine, nello sfavillare delle candele e al suono delle campane.

    "Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus".

    Agnese rispondeva assorta, turbata dalla tensione.

    Amen.

    Lo zio vescovo aveva intonato il Salve Regina, Agnese si era girata verso l’immagine della Madonna Regina di tutti i Santi, la Madonna che aveva aperto gli occhi a Napoleone, ed aveva pregato con tutta la sua anima, come ad una madre, chiedendole aiuto.

    La contessa Agnese ora aveva dei doveri. Porse la mano a suo marito, il primo toccarsi di due estranei. Si avviò verso il portale da cui era entrata. Le alte colonne in granito orientale, sormontate da capitelli traforati, la circondavano. La cupola della navata centrale svettava alta fino al cielo, il rosone posto sopra il protiro lasciava filtrare una luce bianca. Qualcuno lanciò dei confetti.

    Quando uscì, un tiepido sole le scaldò il viso. I due leoni in marmo rosa, dietro le sue spalle, continuavano a fare la guardia. Davanti a lei la carrozza: sulle portelle gli stemmi, sormontati da corone, delle due famiglie che si erano appena unite. Un grifone per gli Altieri, animale mitologico con testa ed artigli d’aquila e corpo di leone, potenza e vittoria uniti a vigilanza e coraggio. Un girasole racchiuso in un uroburo per i Brigante Colonna: il girasole simbolo di devozione e l’uroburo, il serpente che si morde la coda, rappresentazione dell’eterno ritorno e del continuo rigenerarsi della vita.

    Agnese, salendo sulla carrozza, guardò il mare. La flotta francese stava gettando le ancore al largo del porto di Ancona.

    Il capitano di vascello Galloy aveva comunicato al capitano del porto che le quattro navi francesi da lui comandate, un vascello, due fregate ed un brigantino, erano dirette in Morea. I suoi uomini sarebbero scesi il giorno seguente per imbarcare viveri. Aveva preso accordi sui saluti d’uso, il cerimoniale da seguire per il suo sbarco e le misure sanitarie da applicare all’equipaggio della fregata Victoria proveniente da Algeri, che non aveva ancora scontato la quarantena obbligatoria. Tutto era andato come previsto.

    In sua compagnia, c’era l’agente consolare Quillet, inviato dall’ambasciatore francese presso la Santa Sede conte De Saint Aulaire.

    Non dovete dimenticare capitano che la situazione è molto delicata gli stava dicendo il piccolo uomo canuto fino a che non c’è il consenso espresso del governo papale, le nostre truppe non dovranno sbarcare. Lo sbarco, dovrà essere effettuato solo all’arrivo del Generale Cubières.

    Scusate il capitano Galloy esitò le vostre disposizioni non concordano con gli ordini ricevuti dall’ammiraglio Rigny: occupare Ancona o retrocedere a Civitavecchia, nel caso in cui al nostro arrivo la città fosse già stata occupata dagli austriaci. Le truppe imperiali non hanno ancora invaso Ancona, pertanto noi dobbiamo sbarcare. Il Capitano Galloy si muoveva nella stanza a lunghi passi, voleva dare avvio alla sua missione.

    Avete perfettamente ragione proseguì Quillet tuttavia, gli ordini che prima erano stati impartiti, ora sono cambiati. Dovrete temporeggiare fino all’arrivo del comandante supremo della spedizione.

    L’agente consolare aveva consegnato una lettera dell’ambasciatore Saint Aulaire al capitano di vascello.

    I vostri ordini sono chiari s’intromise il colonnello Combes, comandante del reggimento, entrato nella cabina mi chiedo tuttavia, come dovremo comportarci qualora l’ordine di occupazione ed il Generale Cubières tardino ad arrivare. Una volta imbarcati i viveri, non possiamo temporeggiare all’infinito, disse con tono pacato.

    Questa è una missione di pace e di garanzia per lo Stato Pontificio aveva risposto Quillet sempre più infastidito non dovete dimenticarlo. Sono stato informato, signori, delle idee liberali che circolano su queste navi. So anche che molti dei vostri uomini, durante la rivoluzione a Parigi, hanno combattuto sulle barricate. Tuttavia, non siete qui per liberare gli Anconetani dal Papa, ma al contrario, dovrete difendere lo Stato Pontificio dai rivoltosi.

    Parlava a fatica. Quelle nullità d’uomini, capaci solo di uccidere e sobillare gli animi, stavano mettendo in dubbio le sue parole. Il viso scarno e bianco stonava con l’abito nero

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