Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Gesu' e' piu' forte della camorra
Gesu' e' piu' forte della camorra
Gesu' e' piu' forte della camorra
E-book209 pagine2 ore

Gesu' e' piu' forte della camorra

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Gesù è più forte della camorra è il coinvolgente racconto di vita di don Manganiello, un coraggioso prete di frontiera che si batte da oltre vent’anni per sconfiggere la camorra e a favore dei più deboli. Senza reticenze né ipocrisie. In modo radicale e spesso critico anche nei confronti di molte istituzioni che ancora oggi risultano assenti in molti territori “caldi” del Paese.
Una figura esemplare sempre al fianco delle persone bisognose, che si mischia tra gli ultimi e si impegna con quotidiana perseveranza nella difesa della giustizia, ma anche nella ricerca di redenzione e dialogo con i camorristi di cui denuncia, al tempo stesso e senza indugio, l’azione criminale. 
Una figura quindi scomoda e spesso malvista in più contesti, senza escludere alcuni ambienti ecclesiastici.
Questo diario raccoglie la testimonianza della sua intera missione che a partire dalle strade di Scampia (a Napoli) raggiunge attualmente gran parte del territorio nazionale tramite l’associazione “Ultimi contro le mafie e per la legalità” con l’intenzione di sottrarre soprattutto i giovani al sistema della criminalità organizzata, portando nelle strade più povere d’Italia la misericordia e la speranza in un futuro migliore.

Don Aniello Manganiello, di origini campane, dai primi anni Novanta al settembre 2010 è stato il parroco di Santa Maria della Provvidenza, a Scampia. Il suo trasferimento suscitò le proteste della gente ed ebbe una grande eco sui media. Nel 2012 ha fondato l’Associazione “Ultimi contro le mafie e per la legalità”, che ha presidi in molte regioni. È Garante nazionale del Premio Paolo Borsellino.

Andrea Manzi, giornalista, è stato redattore capo del “Mattino” di Napoli, ha fondato e diretto il quotidiano “la Città” ed è stato vice direttore del “Roma”. Autore di saggi socio-politici, di testi di estetica e di quattro libri di poesie, scrive da molti anni per il teatro. Ha insegnato Giornalismo nelle Università di Napoli e di Salerno. Dal 2012 presiede l’Associazione “Ultimi contro le mafie e per la legalità”.
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2019
ISBN9788855080040
Gesu' e' piu' forte della camorra

Correlato a Gesu' e' piu' forte della camorra

Ebook correlati

Scienze sociali per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Gesu' e' piu' forte della camorra

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Gesu' e' piu' forte della camorra - Don Aniello Manganiello

    Turoldo

    Prefazione

    Aniello Manganiello è un prete che grida la bellezza della sua vocazione, perché soccorre tutti gli emarginati che può incontrare.

    Ha bisogno di libertà per esprimere la sua creatività pastorale. Non sempre i superiori lo esaudiscono, ma l’inventiva di Dio lo rende comunque testimone di grazia e di salvezza.

    È un prete che forse conosce poco il rituale, ma conosce il cuore dell’uomo e quanto esso abbia bisogno di misericordia.

    Egli sa che il Vangelo è per tutti, ma non per coloro che con le loro ricchezze e con i loro pretesi privilegi dominano, sfruttano ed escludono gli altri. Pertanto, egli dedica tutta la sua vita alla restaurazione di ogni dignità violata e oppressa. La sua non è soltanto l’opzione per i poveri, ma è la vita con i poveri.

    Aniello Manganiello dichiara spesso la povertà delle sue origini, per qualificare le sue scelte preferenziali. In verità soltanto il Vangelo dimostra la sua vita donata, per amore di Cristo.

    Papa Francesco ripete: «Come vorrei una Chiesa povera, per i poveri». Noi, certo, non abbiamo ancora costruito una Chiesa di questo genere. In primo luogo, perché non condividiamo, nelle nostre vite e nelle nostre istituzioni, la povertà reale da loro sperimentata. In secondo luogo, perché di fronte all’iniquità e alla corruzione dei bramosi di ricchezza, non agiamo con la libertà e la fermezza di Gesù.

    Il Vangelo è rivolto a tutti, anche ai ricchi, ma la Chiesa ha il compito di denunciare il loro sistema di accumulazione e di privilegio, che deliberatamente espropria ed emargina l’immensa maggioranza della famiglia umana.

    A Scampia, terra desolata, Manganiello firma i suoi rapporti-denuncia che raccolgono in una tragica litania i casi di malasanità, di giovani e adulti, corrotti da una situazione di completo degrado, senza che alcun diritto venga promosso o che alcuna legge venga applicata.

    I sindaci e gli uomini di Chiesa di Napoli, piuttosto che ascoltarlo, lo denunciano.

    Manganiello non si lascia anestetizzare in una spiritualità alienante, ai margini dei problemi e della speranza degli esseri umani. È bensì un Discepolo di Cristo di straordinaria esemplarità, che sa calare il Regno di Dio nella storia di liberazione e di speranza di ogni uomo.

    Non si può essere seguaci del Vangelo e flirtare con la malia dei falsi dei.

    Il discepolo di Gesù esige da se stesso la integralità della fedeltà. Il linguaggio ecclesiale spesso non sembra corrispondervi. Gli esponenti gerarchici si trovano a loro agio con il potere. Eppure Gesù è stato giustiziato dal sinedrio e dall’impero.

    Il carattere dell’amico dei poveri è formato dalla presenza, dall’esempio, dalla profezia.

    La presenza: non si possono amare i poveri a distanza. È necessario mettersi a loro servizio, cercandoli dovunque si trovino. E sporcarsi le mani realmente, accudendoli in tutti i loro bisogni. È una presenza vergognosa per i benpensanti. Gesù quando manda a dire a Giovanni che il suo compito primario è dare la vista ai ciechi, dare l’equilibrio agli zoppi, purificare i lebbrosi, far udire i sordi, addirittura risuscitare i morti delle disperate migrazioni del nostro tempo, aggiunge che la sua amissione è quella di annunciare il Vangelo ai poveri. È uno stile di vita nuovo e sconcertante. Ma si rende libero e felice soltanto chi non si scandalizza di Lui (cf. Lc. 7, 18-23).

    Il diseredato deve sentire che sei con il cuore in mano per lui.

    L’esempio: non puoi raggiungere il povero con una fuoriserie, rivolgendo inchini a tutti i possidenti che incontri lungo la strada. Il povero deve sentire che tu sei della sua specie.

    Al termine del Concilio, il 16 novembre 1965, una quarantina di vescovi assunse l’impegno, con il Patto delle Catacombe, di fare una scelta di povertà nello svolgimento del proprio ministero. Il Patto ha tredici articoli che indicano la sincerità e la serietà dei propositi. Il primo dice che i vescovi sapranno vivere come vive ordinariamente la popolazione per quanto riguarda l’abitazione, l’alimentazione e i mezzi di locomozione. Il quinto detta: «Rifiutiamo di farci chiamare oralmente o per iscritto con nomi e titoli che significano grandezza e potere (per esempio: eminenza, eccellenza, monsignore…). Questa scelta della povertà da parte della gerarchia ha recato una ventata di rinnovamento nella società.

    In realtà gli uomini di Chiesa hanno continuato a caricarsi di prebende e di titoli magniloquenti e la virtù della povertà è rimasta la cenerentola dei consacrati, almeno fino all’avvento di papa Francesco.

    La profezia: non viene qualificata la dignità del povero se si continua a servire Dio e il denaro. O si serve il sistema o si serve il popolo. Con l’affermazione del Capitale, alla fine, si prostituisce Dio e il popolo.

    L’indignazione verso tutte le forme di disuguaglianza e di sopruso deve portare alla denuncia dell’egoismo socialmente istituzionalizzato.

    Il Padre è così imprevedibilmente vicino all’uomo da costringerci a scoprire il suo volto in ogni forma di ingiustizia. Ci dona occhi di risurrezione, capaci di entrare nella colpa fino al perdono, nella divisione fino all’unità, nella morte fino alla vita.

    Aniello Manganiello è un prete povero, sempre presente a tutte le situazioni di emarginazione e adopera il cuore del Padre per tutti i ragazzi della dispersione.

    Ha un bagaglio rifornito di molteplici capacità: cultura ed esperienza, impegno e riflessione, militanza e contemplazione, laicità e spirito di fede adamantina, profezia e realismo.

    E sono troppe le attese che gli stanno addosso, troppe le inadempienze dei suoi fratelli di ministero, troppe le gelosie di una politica facilmente ipocrita.

    Eppure leggo, sul viso di Aniello: ce la farò, perché ho Cristo con me.

    Raffaele Nogaro

    1

    Paura a Scampia

    Il superiore provinciale dei padri guanelliani, la mia congregazione, mi comunicò il trasferimento a Scampia il 17 giugno 1994.

    Avevo compiuto quarant’anni quattro mesi prima, il 14 febbraio. L’età giusta, pensai, per fare tesoro dell’esperienza acquisita presso il Centro Don Guanella del rione Trionfale a Roma, dove ero stato per undici anni, e a Ponte di Nona, alla periferia della capitale, dove mi avevano chiamato nel settembre 1993 per fondare una nuova comunità parrocchiale.

    Un quartiere popolare vale l’altro, cercavo di convincermi.

    Fino agli anni Ottanta, il rione Trionfale aveva conservato molte caratteristiche della periferia operaia. Agli inizi del Novecento vi abitavano i fornaciari, gli addetti alla cottura ad altissima temperatura dei mattoni, una produzione artigianale oggi quasi interamente sostituita da impianti industriali dotati di tecnologie avanzate. Gente pacifica intenta a lavorare l’argilla, seguendo un ciclo produttivo rimasto invariato per millenni e solo negli ultimi anni radicalmente trasformato.

    Non sarà molto diversa Scampia, pensavo.

    Era una strategia di autoconvincimento, che non produsse risultati duraturi. Riprovavo le identiche paure vissute all’età di tredici anni, quando attraversavo di corsa piazza Garibaldi a Napoli per raggiungere il terminal della ferrovia circumvesuviana. Allora frequentavo la terza media presso il seminario, a Roma, e per le vacanze tornavo da mia madre a Faibano di Camposano, il paesino dell’agro di Nola dove la mia famiglia coltiva la terra in affitto da più generazioni. Alla fine degli anni Sessanta, per accedere alla stazione della circumvesuviana, non c’era il sottopasso e bisognava percorrere l’ampia area antistante. Camminavo a testa bassa, con la paura addosso che mi paralizzava e che si trasformava in angoscia, soprattutto quando arrivavo a Napoli all’imbrunire anziché di mattina.

    Napoli era per me la città dei furti facili abitata da molti, troppi delinquenti e sfaticati, ma più ancora era il luogo delle mie grandi paure. Una fotografia tragica della città che portai con me a Scampia, quando i superiori mi ci mandarono.

    I compaesani mi parlavano delle violenze di cui spesso erano vittime anche persone estranee alla malavita. I miei fratelli più grandi conoscevano bene Napoli perché, prima di emigrare in Germania, avevano lavorato nei cantieri del Risanamento, al corso e sul lungomare. Erano malpagati e maltrattati e mi raccontavano della loro vita di fatica e delle paure vissute per strada, di imbrogli e furti, spari e aggressioni. Forse erano stati loro a trasmettermi quello stato d’animo che attraversava la mia persona e mi toglieva le forze e la lucidità.

    Io a Roma difendevo Napoli con tutti, sentivo che era la mia città, quasi una patria. Quando scendevo dal treno e mettevo piede in piazza Garibaldi, però, cominciavo a tremare come una foglia. Mi sentivo inseguito da brutti pensieri, che diventavano fantasmi. Il terrore si impossessava di me e fuggivo verso l’altra stazione come se fossi rincorso da qualcuno.

    A distanza di anni, arrivato a Scampia, riprovai la stessa angoscia. I ricordi mi restituivano l’emozione intensa di chi si crede inseguito da un pericolo e non può farci proprio nulla. Sentivo di dover ricominciare una durissima lotta contro quella sensazione.

    Palermo chiama Napoli

    Fu in quei giorni che telefonai a un mio cugino, figlio di un fratello di mia madre, trasferito improvvisamente a Palermo per dirigere una filiale del Monte dei Paschi di Siena. Due allontanamenti inattesi e inspiegabili, il mio e il suo.

    «Che male abbiamo fatto» gli chiesi al telefono «per subire questi due trasferimenti, tu a Palermo e io a Scampia, due zone così calde del nostro Paese?».

    Lui non drammatizzò più di tanto, restituendomi un po’ di fiducia.

    Però anche per mio cugino iniziò un periodo difficile. In Sicilia trovò un disordine immane, gestì la filiale senza compromessi e il suo rigore diede fastidio a qualcuno che gli aveva chiesto cose illegali, perché si comportava secondo gli insegnamenti familiari, cioè senza farsi intimorire da nulla e in particolare dall’ambiente palermitano dove la mafia, oggi come allora, condiziona le attività produttive.

    Quando andò via da Palermo, anni dopo, destinazione Milano, gli dissero che aveva testimoniato con ogni atto compiuto la sua convinta adesione ai principi della legalità. Era stato infatti sempre ligio alle regole. E la sua specchiata attività professionale gli consentì di conquistarsi un’ampia stima, oltre che una tutela da parte delle persone sane e oneste venute a contatto con lui.

    2

    a mia e le altre parrocchie in prima linea

    Quando arrivai a Napoli, il 20 settembre 1994, il rione Don Guanella mi si presentò come un’enclave tra la municipalità di Miano-Secondigliano e quella di Scampia. La parrocchia di Santa Maria della Provvidenza, alla quale ero stato destinato, si trovava all’interno del Centro Don Guanella. Fino al 1970 era stata una cappella dell’orfanotrofio del rione, poi il cardinale Corrado Ursi decise di trasformarla in parrocchia e volle che a prendersene cura fossero gli stessi padri guanelliani, che sono i proprietari del Centro. L’iniziativa del presule intendeva fornire un sostegno alle comunità di Miano e Scampia, alle prese con gravi problemi di devianza e marginalità sociale. Fu così che, dopo il 1970, la cappella di Santa Maria Maggiore diventò la parrocchia di Santa Maria della Provvidenza, la patrona dell’Opera Don Guanella.

    Il rione dedicato al beato appartiene per un quarto della sua estensione alla municipalità di Miano Secondigliano e per i restanti tre quarti a quella di Scampia. Lo chiarisco subito perché, negli ultimi mesi della mia permanenza, una delle contestazioni rivoltemi dal cardinale Crescenzio Sepe e da alcuni parroci della zona era che io mi fossi definito uno dei parroci di Scampia senza averne il diritto. Pertanto è fondamentale per me dire che dall’isolato 16 del rione Don Guanella fino all’isolato 52 siamo nel territorio di Scampia, nel quale rientra anche il quadrilatero del lotto K (lo chiamo così perché è a forma di quadrato, ha ventiquattro isolati e caratteristiche non dissimili dalle arcinote Vele: edifici di quattro piani, ogni fabbricato si appoggia sull’altro, senza soluzione di continuità). Nel quartiere non c’è verde, gli appartamenti sono piccolissimi, inadatti alle esigenze di una famiglia media e l’unico spazio destinato ai giovani è stato ricavato sulla tettoia dei garage, dove hanno allestito un campetto di calcio.

    Nell’area c’è un discreto numero di famiglie che vive nella legalità. Lo posso ben dire perché, in quell’agglomerato, conosco tutti personalmente. Nelle Vele, evacuate e rioccupate da famiglie senzatetto, abitano invece prevalentemente tossicodipendenti e spacciatori e, in molti, ancora oggi rubano la corrente e l’acqua. E sono tutti abusivi.

    Il dono dei Fernandes

    Il Centro Don Guanella, in un quartiere così difficile e degradato, è qualcosa di più di un istituto religioso: è un vero presidio contro l’illegalità, ma anche un laboratorio dove ci si inventa di tutto per tenere i giovani lontani dal crimine.

    La struttura fu donata dai coniugi Fernandes nel 1963. Essi costruirono il complesso, lo arredarono e trasferirono all’Opera Don Guanella la proprietà, in memoria della figlia Elisa, morta di peritonite a soli diciotto anni.

    Fino al 1973-74, il Centro funzionò come collegio per orfani ma successivamente, con l’approvazione della legge che di fatto abolì i collegi, fu costretto a darsi un altro scopo: quello di semiconvitto.

    Il Comune di Napoli opzionò il nuovo servizio, nell’ambito di una possibilità che la legge concedeva alle amministrazioni locali. Scelse cioè di continuare l’accompagnamento educativo dei minori con la nuova formula, cosa che non tutti i Comuni fecero. Durante questa fase di lavoro con i semiconvittori, un confratello, don Piero Lippoli, operò tantissimo. Lo conobbi perché nel 1986 andò via da Scampia e venne al Trionfale, dove mi trovavo. È una figura significativa che la gente ricorda ancora, attualmente è consigliere generale dell’Opera Don Guanella. In quegli anni, mi hanno raccontato, era grande l’attenzione per le famiglie povere e furono gettate le basi per importanti attività sportive come la fondazione del centro ricreativo.

    Negli otto anni che precedettero il mio arrivo, quando cioè a Scampia non c’era più don Piero, si verificò invece un crollo considerevole di tutte le attività in parrocchia. Gli spazi del Centro furono affidati a operatori esterni e non più utilizzati per attività gestite dagli stessi sacerdoti. Dal 1986 al 1994 il Centro Don Guanella perse così lo smalto e si chiuse al quartiere. Quando arrivai, nelle aule del catechismo non c’erano nemmeno i tavoli di lavoro, mancavano le strutture all’aperto. Spogliatoi, aule e stanze erano fatiscenti.

    Le altre quattro parrocchie di Scampia, che insieme formano un presidio contro il potere dei criminali, sono Santa Maria del Buon Rimedio, la Resurrezione al rione Monte Rosa, San Giuseppe Moscati, nei pressi della caserma dei vigili del fuoco, e infine Santa Maria Maddalena, di fronte al carcere di Secondigliano. C’è poi una rettoria, Santa Maria della Speranza: una chiesa con funzione pubblica, aperta ai fedeli e animata dai gesuiti, i quali gestiscono anche il Centro Hurtado, vicino alla municipalità di Scampia e al commissariato di pubblica sicurezza, che porta avanti progetti per l’avviamento al lavoro di minori e adulti nei settori della sartoria e della falegnameria, nonché doposcuola e corsi per il recupero della licenza media. Tra gli insediamenti religiosi c’è anche la cappella di un istituto, proprio sulla linea di confine tra i comuni di Napoli e di Melito: la Piccola Opera della Redenzione, fondata da padre Arturo D’Onofrio.

    Non avrei immaginato, quel lontano 20 settembre 1994, che sarebbe iniziata una fase lunghissima della mia vita, di uomo e di sacerdote, ricca di esperienze e di umanità, un’umanità ferita, segnata da stenti, offesa dalla prepotenza e dalla prevaricazione della camorra, colpevole soltanto di un cronico assordante silenzio che altrove non si fatica a chiamare omertà. In

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1