Battiti: L'armonia del cambiamento
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Anteprima del libro
Battiti - Giovanni Crisanti
- forme -
Scatole Parlanti
© Utterson s.r.l., Viterbo, 2022
Scatole Parlanti
Collana: Forme
I edizione digitale: gennaio 2022
ISBN: 978-88-3281-354-8
Progetto e illustrazione di copertina: Luca Verduchi
Progetto grafico interni: Stefano Frateiacci
www.scatoleparlanti.it
A nonna Angiolella
Prologo
2016, notte del 4 dicembre. Il Presidente del Consiglio rassegna le sue dimissioni per non essere stato in grado di portare a termine una sfida che sembrava potesse essere epocale: il rinnovamento della Costituzione italiana.
Un tentativo dibattuto per mesi in tutti i canali televisivi e nelle prime pagine dei principali quotidiani. Al di là della qualità nel merito, si è trattato senz’altro di un espediente capace di mobilitare e scaldare l’interesse per la Cosa Pubblica, chiamando a esprimersi oltre quarantacinque milioni di italiani. Era un obiettivo quasi da sognatori per il 40% degli elettori del Paese più bello del mondo, lo stesso da cui ventottomila laureati se ne vanno ogni anno in cerca di maggiori opportunità con il dolore nel cuore. Perché non siamo robot, abbiamo diritto ad aspirare a una libertà e a una realizzazione professionale di eccellenza. E qui, non ci è dato, non sempre.
Quella notte era la conclusione della mia prima battaglia politica, per cui ho combattuto da rappresentante di istituto di un liceo scientifico romano di oltre milleduecento studenti. Avevo diciassette anni, non potevo neanche votare, ma con qualche amico ho scaricato il testo di quella riforma, l’ho studiato nei minimi dettagli pur non disponendo di tutti gli strumenti necessari per comprenderlo al meglio, e ne ho visto le potenzialità. Era una proposta che poteva non essere condivisa perché imperfetta, come ogni prodotto dell’umanità, ma proponeva due punti che a un ragazzo pronto a entrare nel mondo dei grandi
, e abituato a sentire dai mass media e dagli adulti che l’Italia è un Paese da cui scappare, sembravano fondamentali: semplificare e velocizzare il processo del legiferare e permettere ai cittadini di avanzare proposte di legge di iniziativa popolare con vie più semplici. Tante sono state le discussioni con amici, insegnanti, parenti, il dirigente scolastico che inizialmente aveva invitato solo ospiti a far campagna per il NO. Pensavo davvero che fosse una battaglia vitale, da cui potesse nascere una nuova stagione e che mettesse fine alla politica della burocrazia e della corruzione. Ero ingenuo, forse. Lo sprint e l’entusiasmo di un popolo che si mobilitava per semplificare il futuro mi suggerivano una serie di giuste ragioni per credere che l’attivismo in politica potesse portare a risultati grandi e concreti. Si è perso. Ho sofferto molto, mi sono disilluso. Sembra esagerato per un diciassettenne, a tratti patetico. È proprio la disillusione il sentimento che mi ha travolto. Seppur nel merito si trattasse di una battaglia politica di tante che se ne vedono in una vita, ci credevo tanto.
Da quel giorno ho cominciato a vedere il futuro del Paese diversamente da prima, mi è parso di diventare più stantio, meno incline allo sviluppo e al cambiamento. Ho deciso di cominciare a fare politica.
Com’è successo? Semplice. Facevo l’attore professionista a teatro, mettevo in scena con una compagnia uno spettacolo l’anno per tre settimane di repliche. Amavo l’idea di poter emozionare, di cambiare, anche se di poco, la giornata delle centinaia di persone che venivano ogni sera. Di strappargli un sorriso, o una lacrima, di porgli delle domande su cui meditare.
Non era abbastanza. Sentivo che le mie capacità non si concentravano unicamente in quella disciplina, bensì nell’abilità di ideare, motivare e scaldare animi per lavorare a obiettivi comuni. Rappresentano infatti due discipline simili, per certi versi, ma presentano un’enorme differenza: la loro funzione. Se la politica deve rispondere ai problemi delle persone, deve anche essere in grado di comunicare e dare una visione. Ma quello non è il fine, e sarebbe ora che qualcun altro ai piani alti se lo mettesse bene in testa.
Mi sono iscritto alla Facoltà di Global Governance all’Università di Tor Vergata, e la mia vita ha preso tutto un altro taglio. Ho deciso di puntare al massimo su una formazione interdisciplinare che mi potesse dare le competenze per far dialogare filosofi, ingegneri, politici, giuristi, scienziati e trovare soluzioni serie e strutturali alle tematiche che dal dopoguerra non siamo ancora riusciti ad affrontare una volta per tutte. A Roma, in Italia, in Europa e nel contesto della comunità internazionale.
Ho fondato insieme a sei amici dell’università l’evento trimestrale L’asSociata di Roma, con cui per la prima volta abbiamo portato a dialogare le associazioni giovanili del territorio di ogni bandiera politica a dibattere sui temi cruciali della città, per rimettere al centro l’unico scopo della nostra missione: il miglioramento delle condizioni di vita nella società. Oltre duecento ragazzi si sono avvicinati a partecipare, e le proposte che abbiamo scritto sono diventate parte di progetti comuni e di iniziative di legge al Comune di Roma e alla Regione Lazio. Continuiamo con le nostre attività, per portare contributi concreti alle amministrazioni frutto di discussioni plurali, ma soprattutto per scaldare giovani animi e chiamarli all’interesse per la Cosa Pubblica.
A cavallo fra il 2019 e il 2020, ho passato 5 mesi a Tokyo per completare il percorso di studi della laurea triennale. È lì che ho deciso di portare a termine questo libro. A seguito di numerose esperienze di associazionismo per il territorio, di confronto all’estero e di studio, mi ero già cominciato a porre delle domande di alta complessità per dare una prospettiva a chi come me vorrebbe cambiare le cose, incidere, ma non si spiega come si esca da un pantano pluriennale. Da un mondo che sembra tornare spesso sugli stessi errori, dimenticando cosa sia il sano progresso.
È la classe politica il problema? Chi è che deve fare politica, quali sono i requisiti? Perché viviamo in comunità così complesse, regolate da meccanismi burocratici e culturali che ci possono stare stretti e limitare le libertà e le dimensioni dei nostri sogni? Quali sono i limiti che nella storia ci hanno portato a compiere errori fatali e che ancora ci rendono deboli e stantii? Come si può lasciare un segno davvero e cambiare il corso delle cose?
Ho provato a dare delle risposte alle domande che ogni ragazza e ragazzo che vogliano intraprendere un percorso di incidenza sulla Cosa Pubblica si pongono quotidianamente. E in parte, chissà, ho dato umili spunti che potrebbero motivarci e tirarci fuori dal pantano chiamato disillusione.
La discussione inizia con un richiamo molto semplice: la responsabilità civica che gioca un ruolo concreto nello sviluppo, anche se talvolta non siamo consapevoli delle ripercussioni positive o negative del nostro agire. In seguito, cercherò di spiegare il perché non siamo attratti dalla Cosa Pubblica e ci sembra che tutto sia fermo, che non ci sia progresso di valori, economia e società. Tuttavia, fornirò chiari spunti che mi convincono sempre di più che sia quel pantano
che muova i cambiamenti di maggiore qualità. Analizzeremo poi le origini delle scelte che l’uomo ha preso, portandolo alla composizione delle attuali società: organismi complessi e difficilissimi da far crescere e prosperare, in ognuna delle loro sfaccettature e tematiche. Da lì, cercherò di offrire una metrica totalmente nuova per approcciare a suddette sfide, che parte dalla morale e dalla riforma del metodo e dalla concezione del nostro vivere in comunità.
Una sfida arguta, ma sentita e appassionante. Forse utile a un giovane volenteroso di interessarsi al