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E-book328 pagine4 ore

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Dall’amata Croazia, in compagnia della fidata amica Edita, agli angoli meno battuti della Liguria e del Piemonte; dal mare di Minorca al cuore antico di Roma, camminando col naso all’insù per ammirarne tutti gli obelischi; dai santuari torinesi alle bellezze di Padova. L’autore rievoca qui i viaggi che maggiormente lo hanno segnato e suggestionato, dalla gioventù all’età adulta, e le vicende - note o dimenticate - legate ai luoghi toccati nel corso delle sue peregrinazioni, dettate dalla curiosità e dalla sete di conoscenza. Perché dietro ogni pietra si nasconde una storia da raccontare.
LinguaItaliano
Data di uscita7 apr 2020
ISBN9788831666725
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    Anteprima del libro

    Edita - Dante Paolo Ferraris

    li­bro.

    Prefazione

    Dai colori della città eterna in un viaggio tra la storia e le leggende, idealmente percorrendo un percorso che unisce i più importanti obelischi di Roma, agli ipnotici racconti della città patavina. Dalla dolce pianura di Vukovar fino al pacifico mare Adriatico di Spalato, passando per Zagabria e l’amata Karlovac sempre in compagnia di Edità. Un viaggio tra i santuari torinesi e gli amici di Leinì. Un affascinante viaggio in treno dalla pianura Padana, attraverso gli Appennini, fino al mare. Una fuga giovanile alla ricerca di divertimento a Minorca.

    Edità, è un libro dedicato ad una vera Amica croata, una delle persone più amabili che ho conosciuto – un’appassionata viaggiatrice che nutre un amore incommensurabile per l’Italia. Conosciuta durante il tragico conflitto che insanguinò i balcani negli anni novanta del secolo scorso, da allora l’amicizia si è sempre più rafforzata nonostante la lontananza. Cittadina onoraria della città di Alessandria, ha ispirato tanti viaggi in giro per il mondo ed ha saputo mantenere vivo il lagame tra le città gemellate di Karlovac ed Alessandria, tanto da essere anche un importante raccordo tra le gemelle Karlovačka Županija e la Provincia di Alessandria.

    Il libro racconta le storie di alcuni miei viaggi, esperienze personali, di chi salendo su un treno, un autobus, un aereo o una nave, ha trovato giorno per giorno l’opportunità di crescere, di cambiare e di trasformarsi in uomo. Viaggi nel dolore, viaggi di piacere, viaggi alla scoperta di se stessi, segnati nella memoria indelebile dell’amicizia.

    ZAGREB

    Di Kar­lo­vac ho già scrit­to tan­to e tan­to an­co­ra scri­ve­rò, la ri­ten­go la mia se­con­da cit­tà, in quan­to rac­chiu­de mol­ti miei af­fet­ti. Del­la sua ca­pi­ta­le Za­ga­bria ho scrit­to in­ve­ce po­co e me­ri­ta una mia mag­gio­re at­ten­zio­ne.

    Di­ver­se vol­te ho avu­to mo­do di vi­si­tar­la ed ho ap­prez­za­to il suo sti­le di vi­ta, la tro­vo una cit­tà ro­man­ti­ca, non me­no del­le più fa­mo­se Pa­ri­gi e Ve­ne­zia, ma an­che af­fa­sci­nan­te e in­tri­gan­te co­me Pra­ga o Ro­ma, gio­va­ni­le e gio­via­le co­me Bar­cel­lo­na o Ber­li­no e tra­sgres­si­va co­me Am­ster­dam o Mi­la­no ed inol­tre è pro­prio una cit­tà mit­te­leu­ro­pea che mi pia­ce, pic­co­la, che si può gi­ra­re a pie­di, pie­na di sto­ria, a mi­su­ra d’uo­mo.

    È bel­lo per­der­si per le sue stra­di­ne e vi­co­li in ciot­to­la­to che spes­so fan­no un per­cor­so an­no­da­to, una cit­tà che par­te dal fiu­me e sa­le in col­li­na do­po aver per­cor­so un bel trat­to di pia­nu­ra. Za­ga­bria si pre­sen­ta al tu­ri­sta co­me una cit­tà di­na­mi­ca, vi­va­ce, ric­ca di sto­ria ri­ve­la­ta dai suoi mol­te­pli­ci mu­sei, una cit­tà d’ar­te con le pro­prie ar­chi­tet­tu­re che sem­bra vo­glia­no ga­reg­gia­re con le stel­le e te­sti­mo­nia­ta dal­le in­nu­me­re­vo­li gal­le­rie d’ar­te, dai suoi caf­fè let­te­ra­ri e dai suoi cir­co­li più esclu­si­vi.

    Un tem­po era co­no­sciu­ta qua­si esclu­si­va­men­te co­me fer­ma­ta lun­go la li­nea dell’Orient-Ex­press, og­gi è una cit­tà di co­stu­me, pron­ta a rac­co­glie­re sti­mo­li e tra­dur­li in mo­da. La sto­ria con­tem­po­ra­nea è fat­ta di guer­ra, sof­fe­ren­ze e atro­ci­tà com­bat­tu­te da un po­po­lo che per se­co­li ha cer­ca­to di au­to­de­ter­mi­nar­si, pri­ma dai Ro­ma­ni, poi da­gli Un­ghe­re­si, poi da­gli Au­stria­ci e re­cen­te­men­te dall’Ex Ju­go­sla­via. Per for­tu­na la cit­tà ha su­bi­to nell’ul­ti­mo con­flit­to per l’in­di­pen­den­za croa­ta po­chi dan­ni e i se­gni e le fe­ri­te so­no più nell’ani­mo de­gli za­ga­bre­si che ne­gli edi­fi­ci.

    Pur­trop­po Za­ga­bria è una del­le cit­tà più sot­to­va­lu­ta­te dell’Eu­ro­pa Cen­tro-Orien­ta­le. I tu­ri­sti so­no so­li­ti da­re un’oc­chia­ta fu­ga­ce al cen­tro per poi spo­star­si sul­le co­ste dal­ma­te o per re­car­si in al­tre ca­pi­ta­li eu­ro­pee. Ed è un pec­ca­to per­ché non è so­lo la ca­pi­ta­le po­li­ti­ca, eco­no­mi­ca e cul­tu­ra­le del­la Croa­zia ma of­fre mol­to di più sia co­me sto­ria che co­me cul­tu­ra.

    I suoi abi­tan­ti so­no co­no­sciu­ti per il lo­ro for­te cam­pa­ni­li­smo, che poi si tra­du­ce in amo­re per la cit­tà, ma an­che per l’abi­li­tà di fon­der­si con la cit­tà stes­sa, qua­si fos­se un ma­tri­mo­nio. Za­ga­bria è una cit­tà che va­le la pe­na go­der­si e va trat­ta­ta a mio pa­re­re co­me una bel­la sto­ria d’amo­re.

    La par­te bas­sa del­la cit­tà è un sus­se­guir­si di par­chi e piaz­ze. Si trat­ta di una com­bi­na­zio­ne di giar­di­ni al­la fran­ce­se e par­chi bo­sco­si in sti­le in­gle­se, cir­con­da­ti da gran­di pa­laz­zi ot­to­cen­te­schi. In pie­no cen­tro si tro­va il Giar­di­no bo­ta­ni­co in gra­do di sve­glia­re del­le fan­ta­sti­che sen­sa­zio­ni. Un giar­di­no al­le­sti­to nel 1890 con ol­tre die­ci­mi­la pian­te di cui qua­si due­mi­la ori­gi­na­rie dei tro­pi­ci. Cre­do che deb­ba es­se­re una sen­sa­zio­ne fan­ta­sti­ca pas­seg­gia­re per i giar­di­ni in pri­ma­ve­ra o in au­tun­no all’al­ba, quan­do tut­to si sve­glia ed è tut­to pro­fu­ma­to, un ve­ro mu­st di ro­man­ti­ci­smo.

    Di so­li­to cer­co di par­cheg­gia­re, quan­do ci rie­sco, vi­ci­no al ma­gni­fi­co Tea­tro Na­zio­na­le Croa­to, in Trg Ma­rŝa­la Ti­ta. Il mo­nu­men­ta­le Tea­tro Na­zio­na­le Croa­to, un’ope­ra com­me­mo­ra­ti­va del neo­ba­roc­co, che è sta­to inau­gu­ra­to dall’Im­pe­ra­to­re Franz Jo­se­ph nel lon­ta­no 1895. Il tem­pio ba­roc­co dell’ar­te dram­ma­ti­ca del­la cit­tà di Za­ga­bria of­fre una sen­sa­zio­ne spe­cia­le nel guar­dar­lo. Que­sto im­men­so pa­laz­zo è at­tor­nia­to da splen­di­di giar­di­ni e dall’ in­tri­gan­te e mo­der­na fon­ta­na del­la Vi­ta, ope­ra del­lo scul­to­re Ivan Meš­tro­vić.

    Vi­ci­no al tea­tro si tro­va il Mu­seo Mi­ma­ra, una re­cen­te gal­le­ria d’ar­te for­se an­no­ve­ra­bi­le tra le mi­glio­ri di Za­ga­bria, inau­gu­ra­ta nel 1987. Al suo in­ter­no vi si tro­va­no espo­sti re­per­ti egi­zi, gre­ci e ro­ma­ni in­sie­me a im­por­tan­ti di­pin­ti di Re­noir, Ru­bens e Raf­fael­lo.

    Al bar He­ming­way, di­rim­pet­ta­io del tea­tro, so­lo gio­va­ni vir­gul­ti con oc­chia­li da so­le ne­ri e cel­lu­la­re in­col­la­to all’orec­chio. Au­to ul­ti­mo mo­del­lo e di gros­sa ci­lin­dra­ta in­sie­me ad abi­ti grif­fa­ti pa­re sia­no i prin­ci­pa­li re­qui­si­ti per po­ter ac­ce­de­re al lo­ca­le. L’esi­bi­zio­ni­smo di que­sti gio­va­ni croa­ti non era pro­prio dell’il­lu­stre scrit­to­re del ce­le­bre ro­man­zo Il vec­chio e il ma­re.

    All’an­go­lo tra la Pre­ra­do­vi­ca uli­ca e la Ma­sa­ry­ko­va uli­ca, non puoi non no­ta­re la sta­tua de­di­ca­ta a Ni­ko­la Te­sla, chia­ma­ta il ge­nio pen­so­so; il mo­nu­men­to, a gran­dez­za na­tu­ra­le e rea­liz­za­to in bron­zo co­me al­tre sta­tue spar­se per il cen­tro cit­ta­di­no, pog­gia su un ba­sa­men­to che ren­de la fi­gu­ra di Te­sla an­co­ra più im­po­nen­te. È raf­fi­gu­ra­to se­du­to, ri­pie­ga­to su se stes­so con espres­sio­ne pen­so­sa.

    Te­sla (1856) nac­que da ge­ni­to­ri ser­bi del­la Li­ka, re­gio­ne del­la Croa­zia vi­ci­no al­la Dal­ma­zia. A lui si de­vo­no mol­te im­por­tan­ti sco­per­te sull’ener­gia elet­tri­ca e sul cam­po ma­gne­ti­co ro­tan­te.

    Nell’av­vi­ci­nar­si al­la par­te cen­tra­le di Za­ga­bria cor­re l’ob­bli­go di scri­ve­re due pa­ro­le sul­la cit­tà, an­che per com­pren­de­re me­glio il con­ten­zio­so sto­ri­co esi­sten­te tra le vec­chie mu­ra. L’area su cui sor­ge Za­ga­bria ri­sul­ta abi­ta­ta sin dal Neo­li­ti­co, men­tre all’epo­ca dei Ro­ma­ni ri­sal­go­no le ve­sti­gia ben con­ser­va­te di An­dau­to­nia. La sto­ria più in­te­res­san­te del­la cit­tà ri­cor­re pe­rò so­lo dall’XI se­co­lo: nel 1094 il re d’Un­ghe­ria La­di­slao eres­se una se­de ve­sco­vi­le sul­la col­li­na di Kap­tol. Sul col­le adia­cen­te si svi­lup­pò nel con­tem­po un’al­tra co­mu­ni­tà, in­di­pen­den­te dal ve­sco­vo, che pre­se il no­me di Gra­dec. No­no­stan­te la vi­ci­nan­za i due in­se­dia­men­ti di Gra­dec e Kap­tol cer­ca­ro­no co­stan­te­men­te di dan­neg­giar­si a vi­cen­da. La cit­tà ve­sco­vi­le sco­mu­ni­ca­va Gra­dec, che ri­spon­de­va in­cen­dian­do la ri­va­le. I due cen­tri in­tes­se­va­no rap­por­ti so­lo per mo­ti­vi com­mer­cia­li, co­me le tre gran­di fie­re.

    I due in­se­dia­men­ti su­bi­ro­no pe­san­ti dan­ni du­ran­te l’in­va­sio­ne dei Mon­go­li del 1242. Il re Be­la IV fe­ce di Gra­dec una cit­tà re­gia, os­sia non sog­get­ta a si­gno­rie feu­da­li, per at­ti­rar­vi ar­ti­gia­ni fo­re­stie­ri e ren­der­la zo­na d’in­te­res­se per scam­bi com­mer­cia­li. Gra­dec e Kap­tol di­ven­ne­ro un’uni­ca cit­tà, Za­ga­bria, all’ini­zio del XVII se­co­lo.

    A ri­dos­so del­la cit­tà, sul mon­te Med­ve­ni­ca, si er­ge quel­lo che re­sta del­la for­tez­za di Med­ved­grad, eret­ta tra il 1249 e il 1254 per pro­teg­ge­re Za­ga­bria dal­le in­va­sio­ni dei Mon­go­li e da al­lo­ra è sim­bo­lo del­la re­si­sten­za croa­ta e del­la lot­ta per la li­ber­tà; in se­gui­to ap­par­ten­ne a di­ver­se fa­mi­glie ari­sto­cra­ti­che, fin­ché a cau­sa di un vio­len­to ter­re­mo­to ven­ne ab­ban­do­na­ta. La for­tez­za è as­so­cia­ta ad una del­le leg­gen­de più an­ti­che e in­quie­tan­ti del­la Croa­zia, quel­la del­la Re­gi­na Ne­ra; un per­so­nag­gio dal­la cru­del­tà leg­gen­da­ria e chis­sà se il mi­to de­ri­va dal­la Mes­sa­li­na di Ger­ma­nia, me­glio no­ta co­me Bar­ba­ra di Ce­l­je (1400 cir­ca). La Re­gi­na Ne­ra era una re­gnan­te stra­nie­ra, au­da­ce e for­te, pra­ti­ca­va l’al­chi­mia e si di­ce an­che ri­ti ma­gi­ci, ve­sti­va sem­pre di ne­ro per­ché ri­ma­sta ve­do­va all’età di qua­ran­ta­sei an­ni e ciò la por­ta nell’ico­no­gra­fia fan­ciul­le­sca a ve­der­la sot­to for­ma di vam­pi­ro. Nel­la leg­gen­da il suo fe­de­le ser­vi­to­re era un enor­me cor­vo che ter­ro­riz­za­va le cam­pa­gne cir­co­stan­ti. La sua fi­gu­ra è spes­so uti­liz­za­ta per spa­ven­ta­re ed ab­bo­ni­re i bam­bi­ni croa­ti che an­co­ra og­gi gio­ca­no a Cr­na Kra­l­ji­ca jen, dva, tri! (Re­gi­na Ne­ra uno, due, tre), la ver­sio­ne croa­ta del gio­co di grup­po Un, due, tre, stel­la! che or­mai i no­stri fan­ciul­li non co­no­sco­no nem­me­no più. La tra­di­zio­ne vuo­le che l’oro del­la re­gi­na sia an­co­ra na­sco­sto nel­le se­gre­te del­la for­tez­za.

    Per rag­giun­ge­re il cen­tro del­la cit­tà si tran­si­ta lun­go stra­de af­fol­la­te ad ogni ora del gior­no e del­la not­te dal­la gio­ven­tù uni­ver­si­ta­ria za­ga­bre­se e non so­lo. In Trg Cv­jet­ni e nel­le vie adia­cen­ti, og­gi zo­na pe­do­na­le del­la par­te bas­sa del­la cit­tà, si tro­va il luo­go di in­con­tro pre­fe­ri­to da­gli za­ga­bre­si, un pun­to cao­ti­co del­la ca­pi­ta­le so­prat­tut­to nell’ora di pun­ta. Vi tro­vi spes­so le ban­ca­rel­le di va­rie as­so­cia­zio­ni, di or­ga­niz­za­zio­ni re­li­gio­se e non so­lo, per la di­stri­bu­zio­ne di vo­lan­ti­ni ma an­che di pro­mo­zio­ni com­mer­cia­li. Un luo­go idea­le per fa­re so­sta du­ran­te lo shop­ping, do­ve fi­no a tar­da not­te è pos­si­bi­le fer­mar­si a chiac­chie­ra­re ama­bil­men­te nei tan­ti bar con i lo­ro de­hors dal­le pol­tron­ci­ne di pa­glia e dai ca­rat­te­ri­sti­ci om­brel­lo­ni co­lo­ra­ti. Non a ca­so in que­sta piaz­za è sta­to eret­to il mo­nu­men­to a Pe­tar Pre­ra­do­vić, poe­ta del mo­vi­men­to il­li­ri­co che scri­ve­va "al cuo­re uma­no man­ca sem­pre qual­co­sa, l’ani­mo è sem­pre in­sod­di­sfat­to", pa­ro­le strug­gen­ti di un poe­ta, pro­fon­do co­no­sci­to­re dell’ani­mo uma­no e dal pen­sie­ro sem­pre at­tua­le. Sul­la piaz­za bel­lis­si­mi chio­schi di ven­di­to­ri di fio­ri che pa­re sia­no sta­ti ap­po­si­ta­men­te col­lo­ca­ti per of­fri­re al pas­san­te il gu­sto di as­sa­po­ra­re pro­fu­mi e co­lo­ri. Que­sta è una piaz­za che non va rac­con­ta­ta ma sem­pli­ce­men­te vis­su­ta. Tra l’al­tro all’estre­mi­tà set­ten­trio­na­le del­la piaz­za si tro­va la chie­sa or­to­dos­sa del­la San­ta Tra­sfi­gu­ra­zio­ne, co­strui­ta nel 1866.

    In cen­tro cit­tà si tro­va la piaz­za Trg Jo­sip Je­lačića, col­lo­ca­ta tra la mo­der­na cit­tà bas­sa e la cit­tà al­ta, co­sti­tui­ta dai due an­ti­chi vil­lag­gi di Gra­dec e Kap­tol, la cui unio­ne die­de vi­ta a Za­ga­bria. La Trg Jo­sip Je­lačića è la piaz­za più im­por­tan­te del­la ca­pi­ta­le croa­ta, se la cit­tà ha un cuo­re que­sto è il cuo­re di Za­ga­bria; è un luo­go che con il suo sfer­ra­glia­re dei tram in con­ti­nuo tran­si­to la ren­de ai miei oc­chi par­ti­co­lar­men­te af­fa­sci­nan­te. Ar­ti­sti di stra­da, ven­di­tri­ci di maz­zet­ti di fio­ri e in­con­tri ca­sua­li so­no la sua quo­ti­dia­ni­tà, tut­to all’om­bra del mo­nu­men­to eque­stre che vi cam­peg­gia. Il mo­nu­men­to è de­di­ca­to al Ban (vi­ce­ré) Jo­sip Je­lačić che nel XIX se­co­lo gui­dò l’eser­ci­to croa­to in una sfor­tu­na­ta bat­ta­glia con­tro l’Un­ghe­ria, nel­la spe­ran­za di ot­te­ne­re mag­gio­re au­to­no­mia per il suo po­po­lo se non ad­di­rit­tu­ra l’in­di­pen­den­za.

    È cu­rio­so sa­pe­re che la sta­tua eque­stre fu ri­mos­sa dal­la piaz­za nel 1947 dal go­ver­no di Ti­to, ri­te­nen­do che rap­pre­sen­tas­se un sim­bo­lo per i na­zio­na­li­sti croa­ti e quin­di un pe­ri­co­lo per la neo­na­ta Fe­de­ra­zio­ne di Ju­go­sla­via. Nel 1990, ad in­di­pen­den­za ot­te­nu­ta, il nuo­vo go­ver­no, tra le pri­me de­ci­sio­ni che as­sun­se, pre­se quel­la di ri­col­lo­ca­re il mo­nu­men­to eque­stre al cen­tro del­la piaz­za nel­la sua an­ti­ca po­si­zio­ne ori­gi­na­ria.

    Nel­la par­te de­stra del­la piaz­za c’è una mo­der­na fon­ta­na ro­ton­da, la Fon­ta­na Man­du­se­vac a cui è le­ga­ta una leg­gen­da. Pa­re che tem­po ad­die­tro la fon­ta­na fos­se ri­for­ni­ta da una sor­gen­te di ac­qua. Nei do­cu­men­ti dei pro­ces­si al­le stre­ghe ve­ni­va in­di­ca­ta co­me il lo­ro luo­go di ri­tro­vo. Si di­ce che du­ran­te una gior­na­ta mol­to cal­da ed as­so­la­ta, il Ban di ri­tor­no da un’im­por­tan­te bat­ta­glia, pas­sò, stan­co e as­se­ta­to da­van­ti al­la fon­te. Ve­den­do una gio­va­ne po­po­la­na, che si chia­ma­va Man­da, ac­can­to al­la sor­gen­te, le do­man­dò di at­tin­ger­gli dell’ac­qua per po­ter­si dis­se­ta­re. La ra­gaz­za at­tin­se l’ac­qua e gli por­se da be­re. Da que­sto fat­to la sor­gen­te pre­se il no­me di Man­du­se­vac con ri­fe­ri­men­to al­la bel­la e gen­ti­le Man­da e il luo­go, dal ver­bo at­tin­ge­re, che in croa­to an­ti­co è za­gra­bi­ti, fu chia­ma­to Za­greb, che die­de poi for­ma­zio­ne del no­me del­la cit­tà Za­ga­bria. Si dif­fu­se su­bi­to la di­ce­ria che chi si dis­se­ta­va con l’ac­qua del­la fon­te di Man­da sa­reb­be ri­tor­na­to in vi­si­ta al­la cit­tà. Og­gi si cre­de che por­ti for­tu­na get­ta­re nel piat­to del­la fon­ta­na una mo­ne­ti­na e co­me suc­ce­de per il poz­zo di San Pa­tri­zio e per la ro­ma­na Fon­ta­na di Tre­vi, si di­ce che sia di buon au­spi­cio per tor­na­re a far vi­si­ta a Za­ga­bria. Que­sta piaz­za non è mai de­ser­ta, pas­san­ti in­daf­fa­ra­ti, ca­sa­lin­ghe con le spor­ti­ne ca­ri­che di spe­sa, in­na­mo­ra­ti ma­no nel­la ma­no, fan­ciul­li di­vi­si in croc­chi a chiac­chie­ra­re e uo­mi­ni d’af­fa­ri mu­ni­ti di va­li­get­ta ven­ti­quat­tro­re so­no par­te del­la sua vi­ta quo­ti­dia­na.

    Vi­ci­no si tro­va an­che la cat­te­dra­le in sti­le neo­go­ti­co de­di­ca­ta all’As­sun­zio­ne di Ma­ria ed ai due re Ste­fa­no I e La­di­slao I e rap­pre­sen­ta l’edi­fi­cio di cul­to più al­to del pae­se. Co­strui­ta ori­gi­na­ria­men­te in epo­ca me­die­va­le, la cat­te­dra­le cu­sto­di­sce un te­so­ro d’ine­sti­ma­bi­le va­lo­re con og­get­ti ri­sa­len­ti al pe­rio­do che va dall’XI al XIX se­co­lo. In es­sa ri­po­sa­no le spo­glie di nu­me­ro­si pro­ta­go­ni­sti del­la sto­ria co­me quel­le del Bea­to Alo­j­zi­je Ste­pi­nac, ar­ci­ve­sco­vo di Za­ga­bria dal 1937 al 1960 e car­di­na­le tra i più gio­va­ni del tem­po, una fi­gu­ra pe­rò piut­to­sto con­tro­ver­sa. Da una par­te è ac­cu­sa­to di col­lu­sio­ne con il re­gi­me usta­scia di An­te Pa­ve­lić, dall’al­tra vie­ne con­si­de­ra­to un mar­ti­re per­se­gui­ta­to dal re­gi­me co­mu­ni­sta ju­go­sla­vo.

    La co­stru­zio­ne del­la cat­te­dra­le eb­be ini­zio nel 1093 e fu com­ple­ta­ta nel 1217 ma con l’in­va­sio­ne mon­go­la del 1242 fu ra­sa al suo­lo da­gli in­va­so­ri. Suc­ces­si­va­men­te il ve­sco­vo Ti­mo­teo (1263-1287) fe­ce ri­co­strui­re una nuo­va cat­te­dra­le sul­le ro­vi­ne di quel­la di­strut­ta. Il nuo­vo edi­fi­cio fu de­di­ca­to al re un­ghe­re­se Ste­fa­no I, poi san­ti­fi­ca­to. A se­gui­to del­le in­va­sio­ni del­le ar­ma­te dell’Im­pe­ro ot­to­ma­no che oc­cu­pa­ro­no la Croa­zia e la Bo­snia nel XV se­co­lo, fu de­ci­so di co­strui­re del­le mu­ra di for­ti­fi­ca­zio­ne, al­cu­ne del­le qua­li so­no an­co­ra in­tat­te. Una tor­re di guar­dia for­ti­fi­ca­ta in sti­le ri­na­sci­men­ta­le fu eret­ta nel XVII se­co­lo e uti­liz­za­ta co­me pun­to di os­ser­va­zio­ne mi­li­ta­re al fi­ne di con­tra­sta­re la mi­nac­cia ot­to­ma­na. La tor­re pre­se il no­me di Tor­re Ba­kac, in ono­re dell’al­lo­ra ar­ci­ve­sco­vo di Esz­ter­gom To­ma Ba­kac. La cat­te­dra­le ven­ne se­ria­men­te dan­neg­gia­ta dal ter­re­mo­to di Za­ga­bria del 1880. La na­va­ta prin­ci­pa­le crol­lò e fu dan­neg­gia­ta ir­re­pa­ra­bil­men­te an­che la tor­re. Il re­stau­ro del­la cat­te­dra­le fu con­dot­to da Her­mann Bol­lé. L’at­tua­le fi­sio­no­mia dell’edi­fi­cio in sti­le neo­go­ti­co ri­sa­le a quel pe­rio­do. Du­ran­te il re­stau­ro due gran­di gu­glie al­te108 me­tri fu­ro­no eret­te sul la­to oc­ci­den­ta­le del­la strut­tu­ra.

    Ogni vol­ta che vi en­tro ri­man­go im­pres­sio­na­to per il grup­po di sta­tue che raf­fi­gu­ra­no la cro­ci­fis­sio­ne di Cri­sto e dei due la­dro­ni. Ra­ra­men­te ho po­tu­to ve­de­re un grup­po scul­to­reo che com­pren­des­se l’in­te­ro av­ve­ni­men­to. So­pra al grup­po sta­tua­rio c’è una lun­ga fra­se in gla­co­li­ti­co, il più an­ti­co al­fa­be­to sla­vo co­no­sciu­to. Ven­ne crea­to dal mis­sio­na­rio Ci­ril­lo, in­sie­me a suo fra­tel­lo Me­to­dio, in­tor­no all’862-863 per tra­dur­re la Bib­bia e al­tri te­sti sa­cri in an­ti­co sla­vo ec­cle­sia­sti­co.

    La cat­te­dra­le è an­che raf­fi­gu­ra­ta sul re­tro del­le ban­co­no­te da 1000 ku­na (mo­ne­ta na­zio­na­le croa­ta) emes­se nel 1993. Di fron­te al­la cat­te­dra­le di Za­ga­bria si tro­va la Fon­ta­na de­gli An­ge­li del XIX se­co­lo, do­ve sem­bra che i quat­tro an­ge­li stes­se­ro a guar­da­re la co­stru­zio­ne del­la cat­te­dra­le. Nel­la par­te som­mi­ta­le del­la co­lon­na la Ver­gi­ne Ma­ria do­mi­na la piaz­za.

    As­so­lu­ta­men­te im­per­di­bi­le è il mer­ca­to del­la frut­ta e del­la ver­du­ra, se Trg Jo­sip Je­lačića è il cuo­re del­la cit­tà, Do­lac è il suo ven­tre, do­ve i con­ta­di­ni por­ta­no i lo­ro pro­dot­ti per es­se­re ven­du­ti di­ret­ta­men­te al pub­bli­co. Qui ti ac­co­glie, qua­si a ve­nir­ti in­con­tro, la sta­tua di Ku­mi­ca Ba­ri­ca, con la qua­le la cit­tà di Za­ga­bria ha vo­lu­to ren­de­re omag­gio al du­ro la­vo­ro del­le con­ta­di­ne, che a pie­di dal­le cam­pa­gne cir­co­stan­ti por­ta­va­no al mer­ca­to i pro­dot­ti del­la lo­ro ter­ra, in un ce­sto po­sto so­pra la te­sta. Ba­ri­ca è il di­mi­nu­ti­vo del no­me Bar­ba­ra, men­tre ku­mi­za era il no­me con cui le si­gno­re di Za­ga­bria iden­ti­fi­ca­va­no le con­ta­di­ne, ve­sti­te in co­stu­mi na­zio­na­li, che por­ta­va­no i vi­ve­ri in cit­tà. Una ta­vo­loz­za di co­lo­ri e pro­fu­mi ine­brian­ti, dif­fi­ci­le, se non qua­si im­pos­si­bi­le rac­con­ta­re l’enor­me quan­ti­tà dei pro­dot­ti agri­co­li, po­sti in com­po­si­zio­ni or­di­na­te, qua­si di­se­gna­te da un ar­chi­tet­to e di­pin­te dai mi­glio­ri pit­to­ri ri­na­sci­men­ta­li. Vi so­no an­che pic­co­li pro­dut­to­ri di for­mag­gi e al­tri pro­dot­ti ca­sea­ri con ban­chi che ema­na­no pro­fu­mi che sti­mo­la­no la fa­me e che ti fan­no as­sag­gia­re le lo­ro gu­sto­se spe­cia­li­tà e i de­li­ca­ti pro­dot­ti in­naf­fian­do­li con mie­le cam­pe­stre. Do­po so­lo po­chi gra­di­ni si giun­ge al mer­ca­to dei fio­ri, do­ve an­zia­ne con­ta­di­ne con il fou­lard av­vol­to al­la te­sta e con il vi­so se­gna­to dal tem­po, of­fro­no com­po­si­zio­ni di fio­ri fre­schi e sec­chi, bel­lis­si­mi i grup­pi flo­rea­li rac­col­ti in maz­zo­li­ni di fio­ri di cam­po. Tut­to all’om­bra del vi­ci­no mo­nu­men­to al va­ga­bon­do me­ne­strel­lo di Za­ga­bria, Pe­tri­ca Ke­rem­puh, pro­ta­go­ni­sta di bal­la­te scrit­te in un croa­to ar­cai­co che of­fro­no uno sguar­do dal bas­so sul­la so­cie­tà croa­ta che va dal 1500, epo­ca del­le pri­me ri­vol­te con­ta­di­ne, fi­no all’età ro­man­ti­ca e al­le ten­sio­ni po­li­ti­che del pri­mo ’900. Pe­tri­ca Ke­rem­puh è vi­sto co­me una spe­cie di can­ta­sto­rie va­gan­te e brac­ca­to da tut­ti in ogni epo­ca. L’iro­nia, il dif­fu­so sar­ca­smo e la vo­glia di ri­bel­lio­ne se­gna­no da sem­pre il for­te rea­li­smo di pro­te­sta, di do­lo­re, di ir­ri­sio­ne e, so­prat­tut­to, di li­ber­tà con­tro le isti­tu­zio­ni e le so­praf­fa­zio­ni di ogni tem­po.

    A po­chi pas­si dal fan­ta­sti­co e cao­ti­co mer­ca­to, scom­pa­io­no im­prov­vi­sa­men­te i rit­mi fre­ne­ti­ci e si en­tra in una zo­na più ri­las­sa­ta do­ve è ne­ces­sa­rio per­der­si nel de­da­lo di viuz­ze per as­sa­po­ra­re ve­ra­men­te l’ac­co­glien­za di que­sta cit­tà che vuo­le pre­sen­tar­si all’Eu­ro­pa uni­ta co­me una ca­pi­ta­le ac­co­glien­te e in­no­va­ti­va. I ta­vo­li­ni dei bi­strot lun­go Tka­lčiće­va uli­ca, che si esten­de dal­la cen­tra­le piaz­za Ban Je­lačić, so­no sem­pre den­sa­men­te po­po­la­ti dal­la gio­ven­tù za­ga­bre­se e ne­gli ora­ri di scuo­la da uo­mi­ni d’af­fa­ri che di­scu­to­no. Ove og­gi vi è la stra­da vi era il tor­ren­te Med­veščak (a quel tem­po chia­ma­to an­che Cri­k­ve­nik o Cir­k­ve­nik), lun­go il suo cor­so vi era­no sta­ti edi­fi­ca­ti di­ver­si mu­li­ni ad ac­qua che fun­ge­va­no co­me pri­ma zo­na in­du­stria­le di Za­ga­bria. Vi era­no an­che pic­co­li ar­ti­gia­ni che pro­du­ce­va­no sa­po­ni, car­ta e fab­bri­che di li­quo­ri e con­ce­rie.

    I mu­li­ni ad ac­qua era­no spes­so og­get­to di con­te­se tra i due vil­lag­gi, Kap­tol e Gra­dec. Un trat­ta­to di pa­ce tra i due vil­lag­gi del 1392 vie­ta­va la co­stru­zio­ne di nuo­vi mu­li­ni ad ac­qua lun­go il con­fi­ne dei due cen­tri abi­ta­ti, la­scian­do so­lo due mu­li­ni in fun­zio­ne, en­tram­bi di pro­prie­tà di un mo­na­ste­ro ci­ster­cen­se. Que­sti mu­li­ni so­no sta­ti ra­si al suo­lo du­ran­te la co­per­tu­ra del tor­ren­te nel 1898 e la nuo­va stra­da pre­se il no­me di Uli­ca Po­tok.

    La mag­gior par­te del­le ca­se che si af­fac­cia­no su que­sta stra­da so­no del XVIII o XIX se­co­lo ed il no­me di Uli­ca Po­tok ven­ne mo­di­fi­ca­to in via Tka­lčiće­va in ono­re del­lo sto­ri­co Ivan Tka­lčić, na­to nel­la vi­ci­na No­va Ves. La vi­ta lun­go que­sta stra­da ora rac­con­ta del­la sua at­mo­sfe­ra tran­quil­la e me­tro­po­li­ta­na, una stra­da co­steg­gia­ta da ca­se an­ti­che e co­lo­ra­te dai tan­ti om­brel­lo­ni dei bar. Per­cor­ren­do­la si gu­sta un am­bien­te sen­za il qua­le di­ven­ta dif­fi­ci­le com­pren­de­re la ve­ra ani­ma del­la cit­tà, se non leg­gen­do­la at­tra­ver­so le sue bot­te­ghe ar­ti­gia­ne che espon­go­no uno scor­cio di tem­po pas­sa­to ma im­pe­gna­to nel­la quo­ti­dia­ni­tà. Qui ci vor­reb­be Ma­ri­ja Ju­ric Za­gor­ka a rac­con­tar­ci la ve­ra Za­ga­bria, ri­trat­ta nel bron­zo del­la sta­tua a lei de­di­ca­ta men­tre sem­bra pas­seg­gia­re tran­quil­la­men­te in via Tka­lčiće­va, con i suoi ca­pel­li rac­col­ti in uno chi­gnon e col suo om­brel­li­no da pas­seg­gio, in­ten­ta a cer­ca­re no­ti­zie per la sua ri­vi­sta fem­mi­ni­le, la pri­ma na­ta in Croa­zia, per­so­nag­gio ri­cor­da­to an­che co­me scrit­tri­ce di ro­man­zi che in­trec­cia­va­no sto­rie d’amo­re con ele­men­ti di sto­ria na­zio­na­le.

    Ra­diće­va uli­ca è un’al­tra stra­da im­por­tan­te il cui no­me è le­ga­to sto­ri­ca­men­te a fat­ti tru­ci, co­me quan­do in quel­la zo­na fu­ro­no ri­tro­va­ti i ca­da­ve­ri di gio­va­ni uo­mi­ni uc­ci­si, esat­ta­men­te sot­to il Pon­te del San­gue che at­tra­ver­sa­va il tor­ren­te che scor­re­va vi­ci­no al­la zo­na del mer­ca­to, ap­pe­na fuo­ri dal­le mu­ra. L’area in pas­sa­to fu luo­go di ar­dui com­bat­ti­men­ti tra le due zo­ne con­trap­po­ste del­la cit­tà e spes­se vol­te l’ac­qua del tor­ren­te era di­ven­ta­ta co­lor ros­so san­gue. La sto­ria-leg­gen­da ci rac­con­ta di un ge­sui­ta che uc­ci­de­va gio­va­ni uo­mi­ni che si az­zar­da­va­no a cor­teg­gia­re una no­bi­le don­na di cui lui era in­na­mo­ra­to, ma che non po­te­va ov­via­men­te spo­sa­re per il suo sta­to ec­cle­sia­sti­co. Il mi­ste­ro fu ri­sol­to so­lo do­po la sua mor­te per­ché fu tro­va­ta la sua con­fes­sio­ne scrit­ta.

    La Cit­tà Al­ta of­fre la pos­si­bi­li­tà di fa­re una pas­seg­gia­ta in Stross­mayer, una ro­man­ti­ca stra­da dal­la qua­le am­mi­ra­re un bel pa­no­ra­ma di tut­ta Za­ga­bria. La cit­tà al­ta si può rag­giun­ge­re a pie­di, ma per i pi­gri vi è an­che una co­mo­da fu­ni­co­la­re che ar­ri­va pro­prio sot­to al­la tor­re di Lo­tr­scak.

    La tor­re Lo­trščak fu co­strui­ta in­tor­no al­la me­tà del XIII se­co­lo in di­fe­sa del­la por­ta me­ri­dio­na­le del­la cit­tà. Il no­me ha ori­gi­ne la­ti­na: de­ri­va dal­la cam­pa­na la­tron­cu­lo­rum (cam­pa­na dei la­dri): una vol­ta se­gna­va l’ar­ri­vo del­la not­te e la con­se­guen­te chiu­su­ra del­le por­te cit­ta­di­ne do­po un’ora, ol­tre la qua­le all’in­ter­no del­la cit­tà avreb­be­ro po­tu­to ag­gi­rar­si sol­tan­to la­dri.

    Un fa­mo­so rac­con­to tra­di­zio­na­le fa ri­sa­li­re la con­sue­tu­di­ne quo­ti­dia­na del­lo spa­ro di un col­po di can­no­ne dal­la tor­ret­ta a mez­zo­gior­no ai tem­pi di un as­se­dio del­la cit­tà da par­te dei tur­chi ac­cam­pa­ti sul la­to op­po­sto del­la Sa­va. Un pro­iet­ti­le di can­no­ne spa­ra­to dai tur­chi avreb­be col­pi­to sol­tan­to un gal­lo ri­du­cen­do­lo a bran­del­li. Il fat­to avreb­be de­mo­ra­liz­za­to i tur­chi a tal pun­to da in­dur­li a non at­tac­ca­re più la cit­tà. Un’al­tra ver­sio­ne di­ce che l’eser­ci­to ot­to­ma­no era pron­to ad at­tac­ca­re la cit­tà, quan­do una can­no­na­ta par­ti­ta dal col­le di Gra­dec cen­trò in pie­no la ten­da del pa­scià, uc­ci­den­do­lo. Lo stu­po­re e la pau­ra fu­ro­no ta­li da in­dur­re l’eser­ci­to tur­co al­la ri­ti­ra­ta.

    Più pro­sai­ca­men­te la can­no­na­ta ser­vi­reb­be a sin­cro­niz­za­re gli oro­lo­gi dei cam­pa­ni­li e gli oro­lo­gi di tut­ta la cit­tà.

    Per chi pre­fe­ri­sce sa­li­re a pie­di è d’ob­bli­go pas­sa­re dal­la an­ti­ca por­ta me­die­va­le di pie­tra che dà ac­ces­so al­la cit­tà più vec­chia (Gor­n­ji Gra­dec): la por­ta di ac­ces­so si è tra­sfor­ma­ta in un san­tua­rio dai tem­pi in cui la tra­di­zio­ne po­po­la­re rac­con­ta che un gran­de in­cen­dio (1731) de­va­stò e di­strus­se la por­ta di le­gno e che dal ro­go si sal­vò sol­tan­to un di­pin­to raf­fi­gu­ran­te una Ma­don­na con bam­bi­no, al qua­le da quel mo­men­to ven­ne­ro at­tri­bui­te ca­pa­ci­tà tau­ma­tur­gi­che. Di­ven­tò pre­sto luo­go di pre­ghie­ra in cui ac­cen­de­re un ce­ro, por­ta­re un fio­re o chie­de­re una gra­zia.

    Su­bi­to fuo­ri dal­la por­ta di pie­tra si tro­va una piaz­zet­ta, im­por­tan­te cro­cic­chio del­la cit­tà al­ta, in cui all’in­ter­no di una aiuo­la fio­ri­ta, che for­ni­sce mag­gio­re pla­sti­ci­tà al­la scul­tu­ra, vi è il mo­nu­men­to che raf­fi­gu­ra San Gior­gio e il dra­go. Que­sta sta­tua ha una par­ti­co­la­ri­tà: tra­di­zio­nal­men­te San Gior­gio e il dra­go so­no rap­pre­sen­ta­ti nel mo­men­to del com­bat­ti­men­to o dell’uc­ci­sio­ne, men­tre in­ve­ce in que­sta sta­tua del 1867 è ri­trat­to il mo­men­to in cui il san­to ha già ha già uc­ci­so il dra­go e si tro­va in po­si­zio­ne di ri­po­so.

    Su­bi­to a ri­dos­so dell’an­ti­ca por­ta, ver­so l’in­ter­no del­le mu­ra, ap­pog­gia­ta a mezz’al­tez­za del­le an­ti­che for­ti­fi­ca­zio­ni tro­vi una gra­zio­sa sta­tui­na do­ra­ta raf­fi­gu­ran­te Do­ra Kru­piće­va. La scul­tu­ra rap­pre­sen­ta una pu­di­ca e bel­la fan­ciul­la, sog­get­to di un fa­mo­so ro­man­zo d’amo­re scrit­to nel 1871 ed am­bien­ta­to a fi­ne del XVI se­co­lo. Il ti­to­lo del ro­man­zo è L’oro dell’ore­fi­ce di Au­gu­st Še­noa, se­con­do il ro­man­zo la pro­ta­go­ni­sta avreb­be abi­ta­to in una ca­sa vi­ci­no al­la por­ta del­la cit­tà, in­sie­me al pa­dre, l’ore­fi­ce Pe­tar Kru­pic. La sto­ria rac­con­ta dell’amo­re im­pos­si­bi­le tra una gio­va­ne fan­ciul­la e un no­bi­le lo­ca­le,  un ro­man­zo che fi­ni­rà in tra­ge­dia per l’im­pos­si­bi­li­tà dei due di vi­ve­re in­sie­me per la dif­fe­ren­za di li­gnag­gio.

    La por­ta me­die­va­le di pie­tra è so­vra­sta­ta da una cla­va che ser­vi­va per pro­teg­ge­re la cit­tà dal­le stre­ghe.

    Su­bi­to do­po c’è la più an­ti­ca far­ma­cia di Za­ga­bria, aper­ta dal ni­po­te di Dan­te Ali­ghie­ri, e una tar­ga in mar­mo ri­cor­da il ni­po­te del no­stro ita­li­co poe­ta. Un’al­tra leg­gen­da ci rac­con­ta che le ca­te­ne po­ste di fron­te al­la far­ma­cia pro­ven­ga­no dal ve­lie­ro Vic­to­ry co­man­da­to dal fa­mo­so am­mi­ra­glio in­gle­se Nel­son, il vin­ci­to­re del­la bat­ta­glia di Tra­fal­gar.

    A po­ca di­stan­za si er­ge la chie­sa di San­ta Ca­te­ri­na, un tem­po chie­sa dei ge­sui­ti; fan­no bel­la mo­stra sul­la fac­cia­ta del­la chie­sa le nic­chie con le sta­tue dei quat­tro apo­sto­li. Nel­la nic­chia più al­ta, sot­to il tim­pa­no, la sta­tua di San­ta Ca­te­ri­na che im­pu­gna la

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