Il Sorvegliante
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Anteprima del libro
Il Sorvegliante - Massimo Lunati
Extra.
1
Il cono di luce rompeva a stento un'oscurità densa e pesante, impregnata di puntini rossi che baluginavano accompagnati da squittii lamentosi.
Medea correva ricurva all'interno del condotto di scolo in disuso, puntando la piccola torcia elettrica e respirando attraverso un fazzoletto il tanfo acre, addirittura osceno, che impregnava quel luogo, un miasma così penetrante che presto le sarebbe giunto fin nel profondo dell'anima, appestandola per l'eternità.
Come se lei ne avesse avuta ancora una.
Mentre si lanciava sguardi nervosi alle spalle, le dita sfioravano il vecchio disgregatore fotonico. Un sorriso sarcastico le transitò sul volto pensando al potenziale di quell'arma, buona sì e no per polverizzare qualche topo di grossa taglia. E pensare che prima dell'operazione le avevano garantito armamenti estremamente avanzati. Come no, certo! Almeno negli anni, lo erano di sicuro. Ma del resto, era probabile che neppure un bel cannone a impulsi le sarebbe servito granché, in quel frangente.
Si asciugò le gocce di sudore nel tentativo di alleviare il bruciore d'inferno che quelle vigliacche le arrecavano agli occhi, mentre i capelli, impregnati di luride incrostazioni, memoria dei liquami che da sempre scorrevano lungo quelle tubature sotterranee, erano ormai ridotti a una massa umida e informe, dandole la sensazione di portare una gigantesca sanguisuga appiccicata alla schiena. Mentre sputava il pulviscolo amaro che le finiva in bocca di tanto in tanto, e sul quale era meglio non soffermarsi a pensarne l'origine, maledì per l'ennesima volta quella dannata chioma che avrebbe già dovuto tagliare da un pezzo.
E accidenti anche a questa cazzo di missione, pensò. E pure a lei per aver accettato di condurla.
Ma era comunque tardi per recriminare. Oltretutto, di lì a poco sarebbe arrivata agli hangar interni, dove avrebbe trovato ad attenderla la piccola navetta che le avevano messo a disposizione, augurandosi che non si trattasse di un reperto da museo come l'arma che impugnava.
Dopodiché, doveva solo sperare in Torne.
Sperare in una recluta alle prime armi.
Un poppante o poco più, che da sei mesi a quella parte si era dovuta scarrozzare in azioni di poco conto, giusto per addestrare una nuova leva
. Che se la infilassero dove sapeva lei, la nuova leva! Avrebbero scoperto che faceva male quanto una vecchia.
Almeno per quella missione, aveva sperato di vedersi assegnare qualcuno con maggiore esperienza, e invece, per l'ennesima volta, si era ritrovata tra le scatole quell'impiastro.
Splendida offerta in bundle, signori! Un collaboratore troppo giovane e un'arma troppo vecchia. Un'occasione davvero. E con tanti auguri di Buon Natale! Che cazzo significasse quel modo di dire, poi, non lo aveva mai capito. Più che altro non le era mai fregato nulla di saperlo, ma di certo doveva trattarsi di roba vecchia. Come il disgregatore.
A ogni buon conto, se il suo imbranato collega si fosse trovato puntuale all'hangar, una volta usciti dall'orbita del pianeta avrebbero fatto perdere le loro tracce con facilità.
In caso contrario, non avrebbe avuto altra scelta che attenderlo, ma una simile eventualità sarebbe stata una sorta di suicidio annunciato: dopo un'impresa come quella che avevano appena compiuto, sia la guardia interna che i terribili droidi d'elite della Podesteria, di certo sguinzagliati in massa, erano senz'altro già sulle loro tracce.
Ma non era questo che la preoccupava davvero.
Era possibile che l'Istituto avesse inviato un Sorvegliante. E in quel caso, se non fossero riusciti a lasciare il pianeta prima del suo arrivo, le già esigue possibilità di fuga sarebbero diventate pari a zero.
Fuggire…
– Forza, Medea, muovi il culo – si spronò.
Proseguì ancora per alcune centinaia di metri dentro il condotto, arrivando all'altezza di una grossa baia di carico; la zona degli hangar non era lontana, si trattava solo di attraversare un paio di sezioni portuali e poi avrebbe detto addio ad Acronis, quel letamaio che alcuni si ostinavano ancora a chiamare città.
La grande porta di cristallo scintillante si aprì. Passi pesanti rimbombarono all'interno del gigantesco atrio dove lame di luce, provenienti da alte e oblunghe finestre intarsiate d'oro, accarezzavano lo sfarzoso arredamento della sala principale del palazzo della Podesteria, che riluceva come un gioiello di squisita fattura.
Al centro della sala, sopra il grande simbolo di Ternana inciso sul pavimento di marmo lucido, un uomo, con indosso una tunica non meno sontuosa dell'inutile fasto che dominava quel luogo, era in attesa.
– Benvenuto, agente 742. Io sono Sortis, il Podestà – disse, la voce sottile e stridula mentre tendeva la mano con un abbondante svolazzo della manica, accompagnando il gesto con un grande sorriso. – Non l'aspettavamo così presto.
L'agente 742 evitò di ricambiare l'atto di cortesia. Abbassò lo sguardo per osservare il suo interlocutore, un ometto basso il cui cranio lucido riluceva sotto i riflessi dell'immenso lampadario a microplasma.
– La mia designazione è agente Kalton
– spiegò con voce atona. – Quali sono le informazioni di cui disponete?
Il Podestà ritrasse la mano, il sorriso che gli si spegneva.
– Un… nome? – mormorò disorientato. Poi, come preso da una frenesia improvvisa, iniziò a sventolare le mani davanti a sé. – Mi scuso – piagnucolò – non volevo mancare di rispetto nei confronti di un Sorvegliante, è solo che…
– I dati – tagliò corto Kalton.
– Sì, sì, senz'altro, provvedo subito. – Detto ciò, con un'agilità insospettabile, il Podestà scattò verso una console di comunicazione posta sul fondo della stanza.
– Galup, qui da me, subito! – bofonchiò in un intercom mentre lanciava un'occhiata nervosa all'apparato brachiale di Kalton.
Nemmeno un minuto più tardi, da una piccola porta di servizio apparve un uomo che indossava l'uniforme e il copricapo tipici degli ufficiali governativi di Ternana.
– Galup, il mio segretario e assistente – lo presentò Sortis. – Le consegnerà i dati in nostro possesso.
L'uomo in uniforme, grazie a una statura fuori dal comune, dovette alzare di poco lo sguardo per incrociare quello del Sorvegliante. Il volto magro e livido incorniciava un paio di occhi grigi, quasi opachi, e labbra sottili.
– Questi, agente – disse porgendo un modulo a induzione mnemonica – come abbiamo già comunicato all'Istituto, sono gli unici dati di cui disponiamo. Immagino si chiederà come mai non siano stati inviati subito.
Kalton afferrò l'oggetto e restò a osservarlo nel palmo della mano per qualche istante, come se lo stesse soppesando.
– Ecco, vede, agente 742… – intervenne Sortis.
Il Sorvegliante gli rivolse uno sguardo eloquente.
Il piccolo uomo, sbiancando come colto da un malore improvviso, riprese a sventolare le mani in modo ancora più frenetico, balbettando con voce stridula: – Intendevo dire Kalton, no, agente Kalton, mi scusi, ma è la prima volta che mi trovo di fronte a un Sorvegliante che ha un nome, no, non è esatto, è la prima volta che mi trovo di fronte a un Sorvegliante e basta, è che ho sentito che avete tutti un identificativo numerico e non un nome, ma vedo che lei ha un identificativo e non un nome numerico, no, ma che dico, volevo dire un nome identificativo e non un numerico…
– Preferivamo fornirle i dati di persona – si inserì Galup con prontezza. – Converrà sul fatto che le comunicazioni criptate non sono del tutto affidabili.
– Questa non è una giustificazione accettabile – replicò Kalton. – In questo modo avete fornito ai responsabili del tempo prezioso.
Sortis si deterse il sudore lanciando un'occhiata nervosa al suo segretario, senza però ottenere conforto. Si osservò un istante la manica sulla quale spiccava una grossa chiazza bagnata, quindi, con timore reverenziale, azzardò: – Ha ragione, agente Kalton. Ma arrivati a questo punto, ormai, sarebbe della massima importanza che il materiale venisse recuperato quanto prima… – Il Podestà s'interruppe, le mani che riprendevano frenetiche a disegnare figure nell'aria: – Non fraintenda, non voglio farle fretta, no, assolutamente, anzi la ringraziamo per la sollecitudine nell'occuparsi del problema…
Galup, guardando il Podestà di sottecchi, intervenne di nuovo: – Capiamo la sua posizione, agente. Ma comprenderà che se si spargesse la notizia che un comune ladro è riuscito a disattivare tutti i sistemi di sicurezza e sorveglianza del palazzo, si verrebbe a creare una situazione, per così dire, alquanto imbarazzante.
– Tracce biologiche ed elettromagnetiche? – chiese Kalton.
– Nessuna – rispose Galup senza scomporsi. – Gli unici dati disponibili li troverà nel modulo.
– Ehm, agente… – La voce del Podestà si insinuò tremolante.
Kalton, ignorandolo, si diresse verso il portone.
– Ecco, ci chiedevamo – insistette comunque Sortis, mordendosi nervosamente un labbro e asciugandosi la fronte con la manica, la cui chiazza umida andava ingrandendosi a vista d'occhio – se quando avrà eseguito l'arresto… perché noi abbiamo piena fiducia nel suo operato, vero Galup? – Si voltò in direzione del segretario, che però stava anch'egli lasciando il salone attraverso l'uscita secondaria.
Il Podestà allargò le braccia sconsolato, poi scuotendo la testa riprese: – Mi chiedevo se l'Istituto, dopo questa assai spiacevole e imbarazzante situazione, vorrà comunque accordarci la restituzione…
I grandi battenti di cristallo si richiusero dietro il Sorvegliante.
– …del materiale – terminò Sortis, con la voce ridotta a un filo e la manica completamente inzuppata.
Il giardino antistante al palazzo della Podesteria era un vero e proprio orto botanico ospitante un'innumerevole varietà di piante rare e preziose, il naturalistico prosieguo dello sfolgorante sfarzo che ammantava l'intero edificio.
Kalton, indifferente a quello spettacolo, attraversò la distesa floreale calpestando le meravigliose infiorescenze, mentre un droide di servizio, in lontananza, lo squadrava malevolo.
Da una tasca del soprabito in fibro-lega di exolantanio estrasse il dispositivo consegnatogli da Galup, quindi lo sfiorò con la punta del dito; dalla falange si estroflesse una sonda tubolare simile a un lungo ago metallico