La Madama
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Anteprima del libro
La Madama - Antonio Tenisci
a cura di Franco Forte
La Madama
di Antonio Tenisci
1.0 settembre 2014
ISBN versione ePub: 9788867754885
© 2014 Antonio Tenisci
Edizione ebook © 2014 Delos Digital srl
Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano
Versione: 1.0 settembre 2014
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
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Indice
Antonio Tenisci
La Madama
citazione
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Nota dell’autore
Delos Digital e il DRM
In questa collana
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Antonio Tenisci
Antonio Tenisci, classe 1968, vive a Ortona in Abruzzo. È stato consulente informatico presso la Direzione Generale di Telecom Italia e in seguito responsabile del presidio internet della Camera dei Deputati. Ha pubblicato racconti per diverse riviste letterarie e numerose antologie edite da Delos Books. Al suo romanzo d'esordio Nuvole rosse sotto il mare (Solfanelli - 2012) è stato assegnato il Premio della Critica al concorso internazionale 'Montefiore' di Cattolica. I racconti Tommies e La bocca del diavolo sono stati finalisti al Premio WMI e pubblicati dalla rivista letteraria Writers Magazine Italia. Ha pubblicato la raccolta di racconti dal titolo Tommies con la casa editrice Tabula Fati. Nel maggio 2014, il racconto Feldmarshall ha vinto il 32° Premio WMI.
Ritorna!
Ritorna da me.
Dio misericordioso, indica la via al mio amato.
E fa che ritorni.
Ritorni da me.
1
Ortona, 12 novembre 1582 – due ore dopo il tramonto
Il sapore ferroso del sangue irrompe feroce e deborda in una goccia che scende lenta sul mento.
Lo schiaffo è arrivato potente e il soffitto in penombra si appanna. Vorrei mi cadesse addosso, sarebbe più lieve del peso che mi blocca il respiro.
Grandi mani, una volta care, mi spingono, si fanno spazio per toccarmi vogliose.
Rimango immobile e muta. Atterrita davanti al male che mi schiaccia.
Mio Dio, aiutami! Non permetterlo, ti prego!
Sento il dolore salire dalle cosce, crescere nel ventre e bloccarsi sul seno, all’altezza del cuore. Vorrebbe raggiungere la bocca per essere gridato, ma non ne ha il tempo, perché strozzato da un rumore sordo e deciso.
La campana della cattedrale insegue le ore con un rintocco soffocato, poi scoppia in un fragore di suoni in onore di lei. Alla fine la Madama è arrivata!
Il viso sfiora il cuscino divenuto umido all’improvviso, il peso si fa lieve e torno a respirare.
Non ho inteso né un grido, né un gemito disperato.
Nello sfondo della stanza buia, solo un rantolo, un tonfo e l’orrore del corpo che mi opprimeva crollato accanto al mio, con uno zampillo improvviso che gocciola lacrime dense sul mio viso.
Una macchia rossa si allarga veloce conquistando il bianco delle lenzuola.
Lo stesso sangue, ma non il mio!
2
Ortona, 12 novembre 1582 – due ore prima del tramonto
Annuso l’aria fredda e fermo il cavallo.
Niente sole, oggi. Solo nuvole grigie e nebbia sottile che ti entra nelle ossa. È così da giorni e non mi stupisco più. Abbiamo attraversato la regione arrivando fino al mare e ritroviamo la stesso freddo patito tra le montagne marsicane, quelle che non ti stanchi mai di maledire per il vento che riescono a incanalare in ogni direzione. Almeno qui c’è il mare, anche se da quassù non si vede perché le nubi basse celano allo stesso modo terra e acqua, rendendo tutto piatto. Ma poco importa! Quello che mi interessa sono le mura incrostate di salsedine che troneggiano sul porto e che ci accolgono silenziose.
La prima cosa che mi colpisce quando arrivo in una nuova città è l’odore che sparge nell’aria, quasi fosse un’entità viva. Se arriva l’olezzo del piscio degli uomini prima di quello della merda di cavallo, cominciano subito a formicolarmi le dita e stringo l’elsa, perché è sicuro che in mezzo alla grande quantità di carne umana che popola il posto, ci sono tante larve che non aspettano altro che cacciarsi nei guai.
Ma qui oggi è diverso! È la puzza di grasso e pece che toglie il fiato. Che diavolo staranno preparando?
Dal vociare che arriva sembrano in tanti, e tutti indaffarati con i preparativi per l’arrivo della mia Signora.
Bene! Non potrebbe essere altrimenti, visto che siamo qui per lei.
Avanzo al passo davanti ai miei due compagni, tenendo stretto le redini del mio frisone. La lunga chioma scura e ondulata sembra danzare al ritmo degli zoccoli sullo sterrato. Dall’esterno, le mura paiono robuste e la porta ben presidiata. La Madama non avrà da preoccuparsi.
– Cinciterra!
Sento avanzare il cavallo del mio miglior soldato. – Capitano Rulen!
– Entriamo a Ortona io e Guilmo. Tu fai un largo giro, controlla i presidi e lo stato dei bastioni e poi raggiungici dentro.
Scarta di lato e scivola via senza fiatare.
– Andiamo! – Le ante socchiuse della pesante porta di legno sfilano di lato e quando le guardie scorgono gli stemmi sui nostri surcotti nessuno ci ferma, nonostante il mio aspetto.
Blocco il cavallo e alzo lo sguardo. Lo sbuffo dell’animale incrocia la sensazione di fastidio e aumenta la rabbia. Torno a fissare la strada. Sono tutti indaffarati attorno alle tinozze dentro cui affondano le fiaccole che poi vengono fissate ai bracieri che costeggiano la strada.
– Guilmo, occupati della guardia alla porta, e manda a chiamare un maniscalco. Ho idea che il grande carro della Madama non riesca a passare per quell’ingresso. Bisogna scardinare i battenti e allargare la parte superiore. Presto!
Tutti quelli che non sono occupati con le torce si affrettano a pulire dove cola la pece che cade a terra. Appena farà buio, il passaggio della mia Signora illuminerà a giorno tutta la città. Sarà soddisfatta, anche se chi comanda qui mi starà a sentire per non aver pensato ad allargare quella maledetta porta.
– Ragazzo, dov’è il Podestà? Devo vederlo!
Un giovane si volta inarcando la schiena e appoggiandosi alla lunga asta di legno che termina in un fascio di frasche. Ha appena alzato una nuvola di polvere. Mi guarda in faccia e spalanca gli occhi, ma la reazione non mi scompone, perché è sempre la stessa. Ogni volta lo sguardo sorpreso cambia l’espressione del viso.
– Mio Signore! – balbetta. – Il palazzo è in fondo alla Strada Grande, nella piazza che poi risale alla Cattedrale del Santo.
Si volta e ricomincia a ramazzare allontanandosi in fretta e chinando ancora di più la schiena.
Abbasso il cappello sugli occhi, avanzando al trotto tra uomini che si affrettano come mosche impazzite.
Madama Margherita non ammette ritardi, ma sarà davvero felice dell’accoglienza.
3
Ortona, 12 novembre 1582 – un’ora e quaranta prima del tramonto
– Mia signora, rientriamo in casa. Tra poco inizierà il banchetto di vostro padre ed è meglio