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Solstice - Equinozio di primavera
Solstice - Equinozio di primavera
Solstice - Equinozio di primavera
E-book598 pagine8 ore

Solstice - Equinozio di primavera

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Info su questo ebook

Anno nuovo, vita nuova. A Emma Hataway non è mai sembrato più vero da quando, ripresi i sensi in un letto d’ospedale, è costretta a fare i conti con un’amnesia che ha cancellato buona parte dei suoi ricordi.

Cosa è accaduto la notte di Capodanno? Louis è stato davvero sconfitto o tornerà per avere la sua vendetta? Perché non ricorda più nulla di Alec, amico d’infanzia da sempre?

Le sorelle Hataway cercano di tornare alla vita di tutti i giorni tra nuove dinamiche famigliari, vecchi amori e ricordi che sfuggono senza lasciarsi afferrare. Una minaccia, però, incombe sulla loro famiglia e si intreccia con un destino al quale sembra impossibile sfuggire.

Alec Stevens è sopravvissuto alla notte di Capodanno e ora deve fare i conti con un fratello ingombrante, molte domande e una ragazza alla quale ha salvato la vita, che conosce da sempre ma di cui non ricorda granché.

Riuscirà a riportare a galla ciò che ha dimenticato e che lo tormenta? Che cosa nasconde veramente il ritorno del fratello Justin?

Una ricerca non priva di ostacoli, contro il tempo e contro qualcosa che sembra impossibile arrestare. Mentre il mondo cui appartiene gli ricorda che nulla è come sembra e il confine tra giusto e sbagliato si fa sempre più labile.

Equinozio di primavera, nuovo e atteso episodio della saga Solstice, svela nuovi segreti, amori e incantesimi che intrecceranno più a fondo il destino dei protagonisti, scoprendo la trama di quei legami – d’amore, amicizia e sangue – impossibili da sciogliere.
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2016
ISBN9788892553187
Solstice - Equinozio di primavera

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    Anteprima del libro

    Solstice - Equinozio di primavera - C.e.a Bennet

    C.E.A Bennet

    Solstice - Equinozio di primavera

    UUID: a18dc318-ec44-11e5-a166-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    C.E.A Bennet 

    ~ Solstice ~

    Equinozio di primavera

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari è del tutto casuale. 

    Realizzato da C.E.A Bennet

    Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d´autore.

    È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    Titolo originale:

    Solstice - Equinozio di primavera 

    Copyright © 2016 by C.E.A Bennet

    All rights reserved

    www.thesolsticesaga.it 

    ISBN 9788892553187

    Prima edizione digitale: febbraio 2016

    In copertina: immagine © Umberto Brambilla

    Alle mie famiglie

    Se è tardi per trovarmi,

    insisti,

    se non ci sono in un posto,

    cerca in un altro,

    perché io son fermo da qualche parte ad aspettare te

    W. Whitman

    Senso di colpa

    Alec

    Non c’era niente di peggio. Nulla di ciò che avevo provato nelle ultime 24 ore, nei 17 anni che erano stati la mia vita, si avvicinava allo strazio che stavo provando in quel momento.

    Nemmeno quando ero stato costretto a fingere che non mi importasse di lei.

    Nemmeno quando l’avevo vista sanguinante e sofferente nel parcheggio della scuola.

    Nemmeno quando Louis aveva usato la sua forza su di me.

    Era stato come se tenesse i miei nervi stretti in un pugno e, dopo averli attorcigliati e strizzati, li avesse tirati verso di sé con tutta la forza di cui era capace. La forza di un Ambasciatore non di un uomo.

    Il dolore fisico non era paragonabile al terrore che avevo provato quando mi ero reso conto che anche lei ne veniva toccata, che anche i suoi nervi erano stati attorcigliati, strizzati e tirati. Terrore che si era trasformato in orrore e rabbia e frustrazione quando il suo dolore aveva rincorso il mio, nelle vene, nelle ossa. Lo aveva amplificato in una spirale infinita. Sentivo la mia angoscia per ciò che stava subendo, la sua per quello che stavo subendo io, ma nemmeno quel corto circuito di strazio era peggiore di questo.

    Nemmeno la scarica immensa, selvaggia che mi aveva attraversato quando le avevo afferrato la mano. Il panico agghiacciante quando avevo temuto di essere arrivato troppo tardi.

    No, nemmeno quando avevo pensato che non ce l’avremmo fatta, che saremmo morti.

    Nulla era peggiore del senso di colpa schiacciante, urlante che mi aveva invaso la testa e i polmoni, nel momento stesso in cui avevo realizzato che lei era lì, bloccata nel limbo del suo cervello, immobile, fragile nel suo letto e forse non sarebbe mai più tornata indietro.

    Ed era tutta colpa mia.

    Io ne ero uscito, ero riemerso e non l’avevo portata con me. L’avevo spinta nell’abisso, condotta per mano al disastro annunciato. L’avevo data in pasto ai leoni, resa vulnerabile ai nemici. Perché la volevo. La volevo per me e me n’ero fregato dei pericoli che potevamo correre.

    E me n’ero tirato fuori senza un graffio.

    Non riuscii a reprimere il disgusto per me stesso e per un attimo annebbiò la colpa. Il secondo di sollievo rafforzò di cento volte il rimorso. Lo accolsi con gioia. Dovevo pagare per il mio egoismo, per la mia stupidità. Dovevo mille volte pagare.

    «Emma, sono qui. Emma amore, mi dispiace. Perdonami».

    Parole vuote che ripetevo da ore. Le avevo dette talmente tante volte, confuse, strascicate, spezzate che ormai non avevano più senso. Lei non le avrebbe sentite, era troppo distante. Era persa.

    Se solo mi avessero lasciato chiudere gli occhi l’avrei raggiunta. Avrei provato a tirarla fuori, dovunque fosse. Avrei fatto qualcosa, ma non lo permettevano. Miranda in piedi accanto a me, teneva una mano sulla mia spalla, pronta a scuotermi nel momento in cui avessi anche solo pensato di abbassare le palpebre. Non desideravo altro: chiudere gli occhi. Se non fossi stato in grado di trovarla, se avessi fallito, sarei affondato con lei.

    Era quello il problema. Temevano che non fossi abbastanza forte, che avrei ceduto alla tentazione di arrendermi, che non sarei stato capace di tornare indietro una seconda volta.

    Una parte di me li capiva. Al loro posto avrei desiderato che il migliore e più forte di noi la soccorresse. Io non ero il più forte, tanto meno il migliore.

    Avevo fallito su tutta la linea: infranto le leggi, ignorato il pericolo, esposto al nemico la persona della quale mi sarei dovuto occupare. Ora quella persona giaceva immobile davanti a me. I capelli sparsi sul cuscino, le labbra dischiuse, la fronte corrucciata. Era talmente pallida che non fosse stato per il lieve sibilo del suo respiro…

    «Come sta?»

    La voce di James giunse alle mie spalle. Non mi voltai e nemmeno risposi. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo o quello degli altri. Se mi avessero guardato con odio, con disgusto, sarebbe stato più facile. Sarebbe stato meglio. Invece mi guardavano traboccanti riconoscenza, come se fossi il salvatore della patria. Erano grati.

    Perché avevo afferrato la sua mano, anche se un secondo troppo tardi, perché ero tornato indietro anche se senza di lei. Perché la sua vita era attaccata a un sottile, fragile filo attraverso di me. Se esisteva una possibilità che Emma si svegliasse era grazie a me. Non capivano, non vedevano l’assurdità della situazione. Non coglievano la verità nella sua ovvietà più lampante.

    Se non fosse stato per me, non avrebbe avuto bisogno di essere riportata indietro, e la sua vita sarebbe stata piena e non attaccata a un filo. Se avessi rinunciato a lei quando mi era stato detto di farlo, non avrebbe dovuto sacrificarsi per salvare me. Per salvarci tutti.

    Invece non ero stato capace di lasciarla perdere. L’avevo trascinata nella rete di Louis e l’unica a rimanerne intrappolata era stata lei. Perché non mi aveva portato con sé? Perché non era tornata indietro con me?

    Affondai di nuovo la faccia tra le mani. Di tanto in tanto dovevo prendermi delle pause dal guardarla. Sostenere a lungo la vista di quell’immobilità innaturale era impossibile. Non riuscivo ad accettare che la sua bellezza, presente in maniera quasi offensiva sul suo volto, sembrasse impoverita. Come un sontuoso abito indossato da una donna bella ma triste che non le rende giustizia. Era Emma, ma Emma non c’era. Lei era persa e io bruciavo all’inferno.

    «So che è dura per te in questo momento, ma se riuscissi a dirmi quello che prova forse sarebbe più facile trovarla».

    James era all’altro capo del letto, davanti a me. Rimasi immobile, intontito dal dolore. Mi rendevo confusamente conto della domanda che mi era stata rivolta, ma non riuscivo a mettere a fuoco una risposta. Miranda strinse convulsa la mia spalla. Doveva aver pensato che mi fossi addormentato.

    Annuii e mi piegai verso di lei. Con la punta delle dita cercai di distendere le linee che solcavano la fronte. Nessuna energia mi attraversò la pelle, e sebbene in passato avessi desiderato che le scosse smettessero di impedirmi di toccarla, la loro assenza mi colpì come uno schiaffo.

    Cercai di concentrarmi e rendermi utile. Da quando ero riemerso avevo prestato più attenzione alla bolla che custodiva le sue emozioni dentro di me. Erano difficili da decifrare, lontane. Non erano che lievi sussurri, ma per quanto flebili, sentirle era una boccata d’aria fresca. Significava che Emma c’era, da qualche parte.

    «Come prima» sussurrai. «Confusa e angosciata». Strinsi i denti per non mettermi a urlare.

    Cosa aspettavano? Perché non aveva ancora fatto qualcosa? I minuti passavano e lei sprofondava sempre di più. Se solo mi avessero permesso di chiudere gli occhi, avrei saputo dove cercare. Cosa sapeva James di lei? Era scomparso per quattordici anni. Miranda, però, era stata inflessibile.

    «Non andrai da nessuna parte, ragazzo. Devi restare sveglio».

    Mi aveva allungato una tazza di caffè, fatto sedere sul letto e da quel momento non mi aveva staccato gli occhi di dosso.

    Era stato deciso che sarebbe andato James, perché i poteri di Emma erano simili ai suoi e questo suggeriva l’idea che le loro menti funzionassero allo stesso modo. E poi non avrebbe mai permesso che la moglie o la madre corressero dei rischi.

    Kate aveva cercato l’incantesimo, Miranda preparato la pozione che gli avrebbe indotto un sonno profondo quasi quanto quello di Emma. Una volta addormentato, Kate l’avrebbe legato alla figlia con l’incantesimo. Aveva cinque ore per trovarla e convincerla a tornare. Dopo di che si sarebbe svegliato e avremmo dovuto trovare un’altra soluzione. Sempre che esistesse.

    Centinaia di cose potevano andare storte, mentre a me sarebbe bastato chiudere gli occhi e l’avrei raggiunta subito, senza sforzi.

    «Se ti convincesse a restare con lei? Se vacilli solo un secondo siete perduti entrambi. Nessuno riuscirà a tirarvi fuori. Tu sei il motivo che la farà tornare, devi stare qui».

    Miranda era così decisa che non avevo osato obbiettare, ma ora che tutto stava per cominciare, vedevo i limiti di quel piano assurdo e ne avevo paura.

    «Mamma è pronta» sussurrò Eileen.

    Non l’avevo sentita entrare. Mi voltai verso di lei sapendo che avrei trovato ciò che cercavo: rabbia e disgusto. Elle aveva un’idea precisa di chi fosse causa della tragedia e non mi aveva fatto sconti. Le ero grato della muta accusa. Bilanciava le assurde aspettative degli altri.

    Gli occhi verdi fiammeggiarono per un secondo quando incontrarono i miei, ma distolse svelta lo sguardo. Non ci teneva a sorbirsi un’altra ramanzina del padre, e comunque si era già sfogata. Appena messo piede in casa si era gettata come una furia su di me, tempestandomi di pugni. Non avevo battuto ciglio, li meritavo. James me l’aveva staccata di dosso, ma c’era voluto un buon quarto d’ora per farla calmare.

    Miranda aveva mandata a letto Constance costringendola a bere la pozione preparata per James. Era un sollievo che stesse dormendo. Il suo sguardo era il più difficile da sostenere, perché rifletteva il mio. Non l’avevo sentita proferire una parola, e il senso di colpa bruciava nei suoi occhi neri e liquidi come pozze d’olio, e sulle labbra sigillate forse per impedirsi di urlare. Non c’era traccia di rabbia o disgusto nello sguardo che mi aveva lanciato, né gratitudine. C’era solo comprensione.

    La voce di James risuonò sicura, limpida, senza traccia di esitazioni.

    «Siamo pronti?»

    Miranda annuì senza riuscire a nascondere la tensione che affiorò nel tono sbrigativo.

    «William ha nascosto ogni traccia alla casa sulla spiaggia. Nessuno troverà il corpo o potrebbe intuire che l’aggressione sia avvenuta lì. La polizia per il momento non ha scoperto l’evasione di Tony, ma l’illusione che Louis ha formulato per coprirla durerà ancora poche ore. Thomas sostiene si stia affievolendo e che presto verranno a fare domande. Giocheremo d’anticipo e al tuo risveglio, chiameremo la polizia. Tesoro hai fatto quello che dovevi fare?»

    «Sono tutti convinti di aver passato la serata dagli Stevens. Non so quanto reggerà, la sensazione di solito è momentanea. Domani mattina potrebbero cominciare a mettere in dubbio la mia versione» rispose Eileen titubante.

    «William consoliderà il tuo incantesimo. Andrà bene, vedrai. Sei stata bravissima».

    Lo era stata davvero. Aveva avuto sangue freddo e prontezza. Aveva contenuto la crisi.

    Ci trovavamo ancora alla casa sulla spiaggia quando Miranda aveva chiamato Eileen. Si trovava con gli altri in un pub non troppo distante, dove avevano cercato riparo dal gelo.

    Aveva avuto un presentimento quando Louis aveva attaccato? Si aspettava la telefonata di Miranda? Avevano quello strano modo di avvertire il pericolo, una connessione che non avevo mai capito fino in fondo.

    Io lottavo per non addormentarmi. Non erano ancora riusciti a togliermi Emma dalle braccia e giravo per il salotto evitando di guardare il corpo esangue di Tony sul pavimento della mia casa al mare. William aveva cominciato a cancellare le tracce della lotta, il sangue sul parquet, i brandelli della zona franca che erano sopravvissuti. I pochi rimasti.

    Non era stato granché come incantesimo e per nostra fortuna aveva ceduto in fretta. Se non avessi avuto quel minimo di forza che mi aveva permesso di rallentare Tony, ci avrebbe ucciso prima dell’arrivo di Louis.

    La voce di Miranda mi giungeva appena. Fissavo Emma, il sangue rappreso sotto il naso, il livido sulla guancia, le labbra screpolate. Le bruciature sui palmi delle mani. Dovevano fare male, sempre che sentisse qualcosa nel posto in cui si trovava. Mi dibattevo tra il desiderio di andare a cercare una medicazione e il terrore che se l’avessi staccata da me sarebbe andata alla deriva.

    «Elle? Allontanati dagli altri. Non dire una parola e ascoltami. Rispondi alle mie domande con sì o no, quando te lo dirò mi passerai tua sorella». Miranda aveva fatto una breve pausa per lasciarle il tempo di comprendere la gravità della situazione. «C’è stato un incidente. Stiamo portando Emma a casa. No! Zitta! Non fiatare, per il momento nessuno deve sapere cosa è successo. Hai capito? Dì che Emma e Alec sono dovuti tornare in città e vi aspettano a casa degli Stevens. Inventati quello che ti pare: una fuga di gas, mancanza di elettricità, ti crederanno in ogni caso. Una volta arrivati dirai loro che Emma non si sentiva bene e Alec l’ha accompagnata a casa. Li devi persuadere di essere stati lì tutta la sera, di essere stanchi e di voler andare a letto. William si è già occupato dei loro bagagli. Prendi per mano tua sorella, rafforzerà l’incanto. Cercate di comportarvi nel modo più naturale possibile. Devi controllarti, devi credere a ciò che dici, altrimenti l’incantesimo sarà debole. Pensi di poterlo fare?». Un’altra pausa. Miranda sorrise. «Ho molta fiducia in te. Passami Constance, ora. Non appena chiuderemo la conversazione, le chiederai l’ora e lei fermerà il tempo. Le spiegherai cosa dovete fare. Fatelo bene e in fretta. Non abbiamo molto tempo» tentennò per un secondo. «Buona fortuna, tesoro».

    Pensai all’autocontrollo che aveva dovuto sfoderare la maggiore delle sorelle, mentre passava il cellulare alla più piccola. Come fosse riuscita a non tradirsi. Alla furia che avrebbe accumulato e avrebbe scaricato su di me una volta giunta a casa.

    «Non dire una parola e ascoltami. Quando tua sorella chiederà che ore sono ferma il tempo. Fai quello che ti dice, Constance. Tutto». Dopo aver riattaccato, Miranda si era rivolta a me dicendo solo: «Andiamo». Lasciato William a occuparsi di Tony, ci eravamo diretti verso l’auto.

    Avevo un ricordo confuso del tragitto. Lottavo per restare sveglio e l’unica cosa reale era il peso del corpo di Emma tra le mie braccia. E l’oscurità.

    Arrivati a casa si era fatto tutto più vorticoso, ma allo stesso tempo spezzato. Avevo dei flash di mio padre e Kate che discutevano, lanciandomi occhiate stravolte e preoccupate. James cercava di convincermi a lasciarla a lui.

    Poi era arrivata Eileen. Sapevo cosa mi attendeva e cedetti Emma a suo padre per ricevere ciò che meritavo. Non era abbastanza. Continuavo a bruciare sul mio rogo.

    Tutti si rendevano utili. Thomas teneva sotto controllo la polizia per avvertirci quando si fossero accorti della fuga di Tony. Era necessario risolvere ogni cosa prima del loro arrivo, altrimenti non saremmo stati in grado di spiegarlo.

    L’assurda famiglia di cui facevamo parte si trovava in pericolo. Lo stesso William. Se il Consiglio avesse scoperto che era coinvolto, avrebbe capito che sotto c’era dell’altro. E io non potevo fare niente. Solo rimanere sveglio. Strinsi i pugni e Miranda rafforzò la presa sulla mia spalla.

    «Al ritorno di James porteremo Emma all’ospedale, convaliderà la nostra versione dei fatti. Inoltre potrebbe impiegare giorni a svegliarsi ed è meglio che sia monitorata. Diremo che Tony vi ha aggredito mentre la riaccompagnavi a casa. Avete lottato, vi ha sopraffatti e tramortiti. Ripresi i sensi hai chiamato l’ambulanza, ma di Marshall nessuna traccia. Se le cose andranno come speriamo, eviteremo di lasciare spazio alla polizia per capire che in questa storia c’è qualcosa di strano e di farti accusarti di omicidio. Vedi di studiare la tua parte. Un piccolo errore e cadrà tutto come un castello di carte» disse fissandomi con intensità.

    «Se James tornerà indietro» commentai sprezzante.

    Erano sicuri che ci sarebbe riuscito. Si preoccupavano solo della polizia, di mantenere salda la loro segretezza, delle accuse che sarebbero ricadute su di me se avessero trovato il corpo.

    «Si sveglierà» ribatté aggressiva. Gli occhi da gatta duri come la pietra.

    «Se non volesse tornare?» chiesi altrettanto agguerrito.

    Se non volesse tornare da me?

    «In quel caso l’ospedale sarà il luogo più adatto. Penseranno a una commozione cerebrale. I segni di lotta ci sono» sibilò e il suo sguardo bruciò per un istante come il mio, come quello di Connie. La squadra della colpa aveva un altro giocatore. Miranda non era stata abbastanza veloce a nasconderlo.

    James prese la pozione lasciata sul comodino e si sdraiò sul letto di Connie. Kate, pallida e silenziosa, entrò nella stanza e sedette per terra in mezzo ai due letti. Prese la mano della figlia e quella del marito e chiuse gli occhi. Cantilenò una litania incomprensibile per minuti lunghi come ore. Poi sbarrò gli occhi e smisi di respirare. Furono le due ore più lunghe della mia vita.

    Quando James si svegliò era quasi l’alba. Kate trasalì e cercò gli occhi del marito. Li cercai anch’io e vi trovai sollievo. Scattai in piedi, ma qualcosa nel suo sguardo mi bloccò. Pietà? Senso di colpa? Non riuscii a capire.

    «Sta tornando, ma… Cat, mamma dobbiamo parlare».

    Miranda si mosse veloce verso di lui. Kate si alzò.

    «Non qui» mi lanciò un’occhiata veloce e saltò giù dal letto. «Alec resta con lei. Non mollare la presa. È tutto okay, ma è meglio essere prudenti» disse incerto. Annuii poco convinto e afferrai la mano di Emma. Una leggera scossa pizzicò la punta delle dita e liberai un impercettibile sospiro di sollievo.

    Si precipitarono fuori dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Che stava succedendo? Perché non volevano sentissi? Sussurri concitati provenivano dal corridoio. Mi concentrai per sentire meglio, ma ero troppo stanco.

    «Non se ne parla. Sei pazzo? Hai idea di quanto sia difficile? È troppo rischioso» protestò Miranda.

    «È una sua decisione, dobbiamo rispettarla. Il grosso è fatto ma ho bisogno di te, mamma. Ho bisogno di una distorsione per diffonderlo. Non sono in molti a esserne a conoscenza. Le ragazze, forse qualche amico… Per te sarà una passeggiata. A lui ci penso io».

    «Non funzionerà. Se hai tralasciato qualcosa d’importante, salterà fuori al primo accenno. Non lo puoi cancellare James, è innato. Non sappiamo nemmeno quando sia iniziato» replicò sicura, come se la sua ultima considerazione bastasse a chiudere il discorso. Purtroppo James pareva molto motivato.

    «Ho preso quasi tutto ciò che lo riguarda. Ho lasciato solo l’essenziale». Per qualche secondo calò il silenzio.

    «E come farai con lui? Potrebbero essere dettagli diversi. Potresti impiegare ore e non le abbiamo» rilanciò Kate d’accordo con Miranda.

    «Le ho dato le chiavi e le ho detto di custodirle. Quando si sveglierà non ricorderà nemmeno di averle». James fece una breve pausa, come se stesse cercando le parole giuste per spiegarsi. «Sono connessi in un modo che non so spiegare. È come un flusso unico per certi aspetti. Probabilmente in lui sta già sparendo quello che era condiviso. Nasconderò ciò che resta e che riesco a trovare, ma è solo una precauzione. Senza le chiavi, tutto rimarrà chiuso» concluse deciso. Il tempo della discussione per lui era finito, non c’era più niente da aggiungere.

    Di cosa stavano parlando? Non ero in grado di connettere, di capire. La testa iniziò a girare e scivolai dal letto, senza mollare la presa. Le mie dita stringevano ancora le sue. Per precauzione… Senza le chiavi

    La fastidiosa e ripetitiva suoneria di un cellulare mi risvegliò per un istante dal torpore. Giunse ovattata, attutita dallo scontro con la porta chiusa.

    «Quanto tempo abbiamo?» la voce di Kate risuonò stridula. La polizia…

    Una parte di me sapeva che dovevo rimanere sveglio, che qualcosa stava per accadere e che avrei dovuto cercare di fermarlo, ma tutto si confondeva nella mia mente, scivolava via… Perché mi trovavo lì? Cosa…

    La porta si spalancò e James si chinò su di me. Il suo viso perse in contorni, la voce divenne un sussurro. Sperai che mi scuotesse, mi aiutasse a rimanere sveglio. Invece poggiò una mano sulla mia fronte e la fece scivolare chiudendomi gli occhi.

    Ricordati

    Emma

    Doveva trattarsi di un sogno. Anzi, era un sogno di sicuro. Al contrario Eileen non avrebbe avuto quattro anni e non l’avrei trovata sul tappeto del salotto a giocare con una bambola quasi calva. Attaccato alla testa di plastica era rimasto solo qualche sparuto ciuffo biondo.

    Allungai la mano verso mia sorella. Volevo accarezzarla, farle sentire che ero accanto a lei, ma le dita la attraversarono come se fosse fatta d’aria.

    Così ero morta. Una specie di fantasma. Non era così che lo avevo immaginato.

    In preda al panico mi guardai attorno. Era il nostro salotto, solo più nuovo. Mia madre, seduta sulla poltrona di pelle sotto la finestra, leggeva un libro. Luminosa come un mattino di giugno e visibilmente incinta.

    L’altra figlia, dai capelli castani e l’aria concentrata, colorava un album da disegno che aveva visto tempi migliori. La fronte aggrottata per lo sforzo, un pennarello blu stretto nel pugno, tentava di non uscire dai contorni di una mela che per gentile concessione dell’illustratore era stata fornita di occhi e bocca.

    Sebbene fosse rimasto sepolto per molto tempo, avrei riconosciuto quel ricordo tra mille. Sapevo di che pomeriggio si trattava e cosa stava per accadere.

    Non vedevo l’ora che papà tornasse per mostrargli il mio capolavoro. Era la prima volta che riuscivo a colorare un’intera figura senza sbagliare. Ciò che era successo dopo aveva reso dei banali istanti di quiete famigliare impossibili da cancellare.

    Non aveva senso. Se ero morta perché mi trovavo in un ricordo vecchio di quattordici anni? Forse non ero morta, forse stavo sognando. Se era un sogno, allora stavo dormendo e il mio piano aveva funzionato. Cercai di risalire all’ultima immagine reale nella mia mente.

    La spiaggia. Louis. Il blocco che andava in mille pezzi. L’oscurità.

    Quindi era successo. Avevo fatto saltare il blocco per fermare l’uomo che voleva distruggere la mia famiglia e fare del male ad Alec.

    Alec.

    Lui era con me, aveva afferrato la mia mano. Se ero riuscita a fermare Louis, allora forse anche Alec era… Se invece Louis fosse sopravvissuto? Il mio sacrificio sarebbe stato inutile. Sarei stata prigioniera della mia mente, senza la garanzia che le persone che amavo fossero al sicuro.

    Non era un sogno, era un incubo.

    La porta d’ingresso si spalancò ed entrò James. Quello era stato il momento, tanti anni prima, in cui Elle aveva avuto il presentimento che aveva cambiato le nostre vite.

    Mia sorella iniziò a piangere e la bambola le cadde dalle mani. Sopraffatta da ciò che avevo sentito attraverso di lei, mi lasciai sfuggire il pennarello e tracciai per errore una linea dal centro della mela all’angolo della pagina. Kate balzò in piedi, stringendo la pancia tra le mani. Guardò prima Elle, poi me. Infine papà che aveva ancora un piede sulla soglia. Andò a sedersi sul tappeto accanto a Eileen e l’abbracciò, sussurrandole qualcosa all’orecchio. Non ho mai saputo cosa le avesse detto per farla calmare, ma funzionò. L’attimo di orrore svanì com’era arrivato.

    La me bambina tornò a fissare avvilita il disegno. Si alzò, triste e piena di vergogna per aver rovinato il lavoro costato tanta fatica. Andò dal padre, che la sollevò e prese in braccio.

    «Sei qui. Ti ho cercato dappertutto» disse rivolgendosi a me.

    A me, l’adulta immateriale, non alla bambina con le mani sporche d’inchiostro. Il cervello mi stava giocando dei brutti scherzi.

    «Scusa?» chiesi stupidamente.

    Non poteva essersi rivolto a me. Si trattava di un ricordo. L’ombra di una cosa accaduta molti anni prima.

    «Dai, andiamo» insistette.

    Lo osservai meglio. Non era il James del passato. Sembrava più maturo e aveva i capelli più corti. Era il James del presente. L’uomo riapparso nelle nostre vite la vigilia di Natale, dopo che Tony Marshall mi aveva picchiata e aveva cercato di chiudermi nel baule di un’auto a noleggio. Insomma, era arrivata la cavalleria.

    «Dove?» domandai sospettosa. Se fosse stata una trappola? Non sarebbe stata la prima in cui cadevo come un’allocca.

    «A casa» rispose asciutto, rimettendomi a terra. Cioè rimettendo la me bambina a terra. Era una situazione dissociante.

    Di quale casa stava parlando? Di quale Emma? Forse non esistevano più né l’una né l’altra.

    «Siamo già a casa» ribattei.

    Tecnicamente era vero. Era senza dubbio il nostro salotto. Avrei potuto scegliere meglio il giorno. Non mi trovavo nel ricordo più bello della mia vita, considerato che qualche ora più tardi mio padre sarebbe scomparso senza lasciare traccia.

    «Siamo in un ricordo e nemmeno dei più felici» commentò aggrottando la fronte. «Vuoi rimanere bloccata qui o preferisci tornare alla vita normale?» disse avvicinandosi. Indietreggiai.

    Non mi fidavo di lui, poteva essere un trucco di Louis. Finché rimanevo nel limbo non poteva usarmi per fare del male alle persone che amavo.

    Magari stava cercando di svegliarmi per portare avanti il suo piano. Un piano complicato e crudele che prevedeva la rovina e la morte della mia famiglia, per farla pagare a Miranda e William che, secondo lui, avevano distrutto la sua. Per impedirglielo avevo fatto tutto quello che era in mio potere. E poi… Se Alec era morto a causa mia, non volevo tornare e vivere. Se lui non esisteva più, anch’io non sarei più esistita.

    «Non vengo da nessuna parte» risposi decisa.

    James emise un lungo sospiro, ma non sembrò sorpreso. Socchiuse gli occhi e dal nulla apparve una scatola di legno chiaro senza scritte o simboli. La superficie era liscia e le cerniere d’argento luccicanti. La chiusura era sigillata da un grosso lucchetto, al quale erano attaccate tre piccole chiavi, anch’esse d’argento, finemente lavorate.

    «Cos’è?» chiesi senza abbassare la guardia. Una scatola misteriosa era un buono spunto per una conversazione.

    «Ho vagato nei tuoi ricordi nella speranza di trovarti. I primi in cui ti ho cercata sono quelli di Alec. Pensavo avresti trovato conforto in un momento felice, invece ti sei rintanata qui» commentò incredulo. «Sono in questa scatola. Li ho raccolti pensando che me ne sarei potuto servire per convincerti a tornare. Se non vuoi farlo per tua madre, per le tue sorelle, per me» esitò quando giunse il suo turno, forse temeva che non lo avessi ancora perdonato. «Forse vorrai farlo per lui».

    Lo avrei fatto per Alec. Avrei fatto qualsiasi cosa, ma lui non c’era più.

    «È morto. L’ho ucciso» bisbigliai.

    Dirlo a voce alta lo avrebbe fatto sembrare vero. Anche in quel luogo senza spazio e senza tempo, dove avevo trovato rifugio. Era vero fuori, non lì. Sarei rimasta, perché solo così sarei stata in grado di sopportarlo senza impazzire.

    James scosse la testa confuso.

    «Non è morto, non l’hai ucciso. Perché pensi una cosa del genere?»

    «Non è qui. Non è venuto a cercarmi» insistetti.

    Alec lo avrebbe fatto. Avevo commesso già una volta l’errore di dubitare di lui.

    «Ragiona, tesoro. Tu sei viva» disse con un sorriso nella voce.

    «Non lo so se sono viva» ribattei torva. James sospirò.

    «Dove ci troviamo?»

    «In un ricordo della mia infanzia». Se quella era la miglior proiezione di mio padre che il mio cervello era in grado di produrre, non dovevo aver una grande stima della sua perspicacia.

    «Stai sognando un ricordo della tua infanzia. Se stai sognando significa che stai dormendo» incalzò.

    «Se sto dormendo significa che non sono morta e se io sono viva…» proseguii lentamente.

    «Alec è vivo» concluse James. Nonostante il ragionamento non facesse una piega, non ero ancora convinta.

    «Se la teoria di Miranda è corretta, e comunque non spiega perché non sia venuto a cercarmi».

    In realtà ero abbastanza sicura che la teoria di Miranda sulla coppia perfetta fosse vera o per lo meno molto vicina all’esserlo. Alla spiaggia avevo avuto una prova piuttosto convincente della sua veridicità.

    «La nonna non glielo permette. Teme che possa perdersi nel tentativo di tirarti fuori o che tu lo convinca a restare, così ha mandato me. Ero il solo in grado di raggiungerti senza correre rischi» spiegò serio.

    «Non potrei mai farei del male ad Alec» replicai addolorata. Miranda non si fidava più di me. Potevo biasimarla? Avevo messo in pericolo la vita di Alec facendo saltare il mio blocco. Lo avevo voluto a tutti i costi, lo avevo spinto a infrangere le leggi. A fare un incantesimo proibito, a stare con me anche se era vietato.

    Se non fosse stato per me, Louis non avrebbe potuto fargli del male. Non avrebbe assassinato Tony, torturato Alec e scoperto mio padre.

    Non lo avevo ucciso, ma ci ero andata molto vicina e l’uomo che in quel momento si spacciava per mio padre, poteva essere Louis tornato a terminare l’opera. Mi stavo lasciando abbindolare di nuovo.

    James percepì il mio scetticismo. «Non mi credi? Apri la scatola, guarda tu stessa» suggerì porgendomi la misteriosa scatola di legno.

    Non la sfiorai nemmeno. Non potevo permettermi di pensare a lui.

    «No, non ti credo. Chi mi dice che non sei il frutto della mia immaginazione o Louis che cerca di svegliarmi per avere di nuovo tutti in pugno?»

    Sembrava davvero mio padre. Desideravo lo fosse. Desideravo che le sue parole fossero vere, ma avevo imparato che non sempre si ottiene ciò che si vuole. Anche quando si pensa che sia così. C’è sempre un conto da pagare e i miei di solito erano salatissimi.

    Per la prima volta da quando era apparso sulla porta del mio ricordo, sembrò in difficoltà. Temetti il peggio. Mi preparai a vederlo trasformarsi sotto i miei occhi.

    I corti capelli rossicci sarebbero diventati lunghi e talmente biondi da sembrare bianchi. Le iridi verdi, nere come onice. I rassicuranti e perfetti lineamenti di mio padre si sarebbero fatti taglienti come lame.

    Invece il suo viso, gli occhi, i capelli rimasero com’erano. Quando parlò la voce era confortante e decisa, come quella di un padre. Il mio.

    «Ti proverò che sono io. Chiedimi qualcosa che solo tu ed io possiamo sapere. Qualcosa che nessuno sa, nemmeno tua madre».

    Subito mi parve un’ottima idea, ma capii in fretta che mi sbagliavo. Non erano molti i particolari che lo riguardavano di cui avessi memoria. Non avevo nemmeno tre anni quando se ne era andato, e quando era riapparso erano state più le cose che avevo cercato di nascondergli che quelle condivise con lui. Eppure sembrava immaginare cosa avrei chiesto o avrei dovuto chiedere, se me lo fossi ricordato.

    Mi guardai intorno in cerca di un appiglio. Mi trovavo in uno degli ultimi ricordi che avevo di lui, doveva esserci per forza qualcosa. Poi mi venne in mente un frammento che non era stato mostrato dalle immagini in cui eravamo intrappolati.

    «Cosa mi dicesti quando ti mostrai il disegno?». James sorrise.

    «Che era bellissimo, ma non ne volevi sapere. Ti rammaricavi di non essere riuscita a rimanere nei bordi e ti era sorto il dubbio di aver sbagliato colore».

    «Le mele non sono blu papà» mormorai ricordando lo sciocco scambio tra una bambina e suo padre.

    «Le cose sono come le vogliamo vedere. È la tua mela ed è blu».

    Risposta esatta.

    Allargò le braccia e mi lasciai abbracciare. Fu strano. Sentivo il calore, ma non la sensazione fisica.

    «Che ne è stato di Louis?» chiesi quando mi staccai da lui. Sulla faccia gli si dipinse una strana espressione che non prometteva niente di buono.

    «Ne parleremo quando ti sarai svegliata. Dobbiamo andare, non c’è molto tempo».

    «È riuscito a fuggire? Ha fatto del male a qualcuno? Alec?» lo tempestai in preda all’ansia. James non aveva mai giocato nella squadra dei reticenti. Se tergiversava, non era un buon segno.

    «È fuggito, non sappiamo come e in che condizioni, forse qualcuno l’ha aiutato. Al momento stiamo tutti bene, ma è fondamentale che ti riporti a casa. Questa situazione sta uccidendo tua madre» concluse cupo.

    Louis era riuscito a scappare. Quello che avevo fatto era stato inutile. Alec e la mia famiglia erano ancora in pericolo.

    «Cosa è successo? Chi ci ha trovato?» lo incalzai.

    «Miranda e William. Ascolta Emma… ». Non lo lasciai terminare. Avevo bisogno di risposte.

    Miranda e William?

    «Come hanno fatto?» chiesi stupefatta mentre la mia voce saliva di mezzo tono. La nonna aveva avuto un presentimento? James sospirò sconfitto.

    «Eravamo da Thomas e Carolyne, stavamo festeggiando quando la mamma ha capito che qualcosa non andava. Abbiamo provato a chiamarvi al cellullare, ma non siamo riusciti a metterci in contatto con voi, così ci siamo divisi per cercarvi. I nonni, che erano nei paraggi, hanno deviato verso la costa e vi hanno trovato privi di sensi sulla spiaggia. Alec aveva detto a Thomas che avrebbe trascorso il Capodanno alla casa al mare con alcuni amici e non ci è voluto molto per capire che le nostre figlie facevano parte della comitiva, nonostante avessero detto di essere da un’altra parte» sottolineò con una punta di rimprovero. Distolsi lo sguardo imbarazzata. Mi era passata tutta quella voglia di avere delle risposte. James non aggiunse altre accuse al velato rimprovero e proseguì.

    «Quando ti sveglierai non sarà facile. La polizia cercherà Tony, ti faranno delle domande».

    «Tony non è fuggito, Louis l’ha ucciso» le parole mi morirono in gola.

    Era stato orribile. Orribile.

    «Lo so, ma è quello che faremo credere alla polizia. Eileen ha modificato la memoria dei vostri amici e abbiamo fatto in modo che i resti di Tony non vengano ritrovati».

    «Eileen… » boccheggiai al pensiero di mia sorella che usava i suoi poteri su Dave.

    «Per te farebbe questo e altro. Non te ne devi preoccupare, limitati a tenere a mente la versione ufficiale».

    «Sarebbe?». Se esisteva una versione ufficiale era meglio conoscerla prima di dire qualche sciocchezza che avrebbe compromesso tutto.

    «Tony ha aggredito te e Alec nel giardino di casa nostra. Avete lottato, hai sbattuto la testa. Al suo arrivo la polizia ti troverà ancora priva di sensi. Ti porteremo all’ospedale e i dottori non potranno fare altro che dichiararti in coma. Potresti impiegare giorni a tornare indietro. Al tuo risveglio fingerai di essere stata colpita da una forte amnesia, il che è perfettamente verosimile» spiegò pratico.

    «Alec?»

    «Anche lui dirà di essere stato tramortito e di aver chiamato la polizia non appena tornato in sé».

    «La polizia sta aspettando che allestiamo questo bel siparietto prima di intervenire?» chiesi frustrata. Non ci stavo capendo niente.

    «Non sanno che Tony è scappato, Em».

    «Cosa?» sbottai ancora più confusa.

    Miranda aveva fermato il tempo? Per delle ore? In tutta la città?

    «Non c’è tempo per i dettagli, dobbiamo andare…»

    «Dovrai trovarlo il tempo, perché se mi sveglierò in un letto d’ospedale non avremo modo di metterci d’accordo sui dettagli» ripetei facendogli il verso. Mio padre sbuffò impaziente.

    «Quando tua nonna e William vi hanno trovato, Alec era privo di sensi e tu ti trovavi dove sei adesso, sprofondata in chissà quale angolo della mente. Ha lottato, è riuscito a svegliarsi. Ti hanno riportata a casa e ci siamo organizzati. Per nostra fortuna Louis aveva fatto in modo che la polizia non si rendesse conto della fuga di Tony. Il suo incantesimo ci ha permesso di avere il tempo di correre ai ripari, ma sta per cedere e dobbiamo essere pronti».

    «Credete davvero che la polizia si berrà questa storia?»

    «Tua sorella sa essere molto convincente» tagliò corto. «Andiamo. Quando ti risveglierai in ospedale, tesoro, non spaventarti» aggiunse più comprensivo.

    Dove mi sarei svegliata era l’ultimo dei miei pensieri. Proteggere chi amavo era la priorità, e se non fossi riuscita a trovare un modo, non sarei tornata alla vita reale. Sarei rimasta dove non avrei fatto del male a nessuno.

    Realizzai con straziante lucidità cosa ci aveva condotto fino a quel punto e ci aveva quasi distrutto tutti. Lo sguardo mi cadde sulla scatola di legno e cosa avrei dovuto fare mi parve dolorosamente chiaro. Esisteva un modo, definitivo e spaventoso, forse l’unico, ma avevo bisogno di aiuto.

    «Papà devi fare una cosa per me» dissi con un filo di voce.

    Gli spiegai cosa avevo in mente. James rimase in silenzio per qualche secondo.

    «Se dovessimo riuscire… Ti rendi conto di ciò che mi stai chiedendo, vero? È una strada pericolosa Emma, non è detto che si possa tornare indietro una volta intrapresa».

    «Ti prego, papà. È la cosa giusta da fare. In questo modo saremo al sicuro, ma senza il tuo aiuto non può funzionare».

    Era la decisione più difficile che avessi preso nella mia giovane vita, doveva essere per forza quella giusta. Dovevo solo sopportarne il pensiero per qualche ora, poi sarebbe finito tutto. James prese la scatola di legno e staccò le tre piccole chiavi dal lucchetto.

    «Varranno per entrambi. È tutto qui dentro» disse indicando la scatola di legno. Annuii con un impercettibile segno del capo. Faceva già così male…

    «Custodiscile in un luogo sicuro, un giorno potrebbero servirti» continuò. «Devo andare. Riuscirai a tornare indietro da sola?» chiese incerto.

    Feci cenno di sì con la testa. Avevo deciso, non c’era più niente che mi tenesse lì.

    «Al tuo risveglio non ricorderai le cose che ci siamo detti e la decisione che hai preso» lo interruppi subito. Se avesse cercato di farmi cambiare idea, non avrei più avuto il coraggio di continuare.

    «Grazie papà» la voce uscì spezzata in più punti. James esitò ancora. «Ti prego» supplicai. Dovevo, dovevo, dovevo farlo. Non esisteva altro modo.

    Prese un bel respiro, mi baciò la fronte e uscì da dove era entrato.

    Strinsi il pugno attorno a ciò che rimaneva della mia decisione. Non sentivo le piccole chiavi al tatto, ma percepivo che c’erano. Avevo poco tempo e iniziai a pensare dove nasconderle. La camera che condividevo con le mie sorelle, quella del presente, fu il primo posto che mi venne in mente.

    Il salotto iniziò a ondeggiare e sbiadì fino a sparire. I tre letti e la cabina armadio della nostra stanza presero il suo posto. Mi diressi verso la scrivania, così come la ricordavo. La confezione di un costoso profumo che nonna Beatrice mi aveva regalato per Natale troneggiava sopra una pila di schede di storia che avrei dovuto studiare durante le vacanze.

    Profumo al gelsomino. Il ricordo scivolò in quella sera d’estate. Una delle tre chiavi si dissolse nella mia mano. Allora era così che funzionava.

    La seconda svanì quando presi dalla libreria Anna Karenina, canticchiando Sigh no more dei Mumford and sons svanì la terza.

    Le chiavi erano al sicuro. Non rimaneva che cominciare la risalita verso il mondo reale. Mi resi conto che al mio risveglio non sarei stata più la stessa ed ebbi paura. Era stata una mia idea, ma non ero più sicura di essere in grado di sopportarne le conseguenze.

    Che sciocca. Non mi sarei resa conto delle conseguenze.

    Sentivo crescere lo smarrimento che avrei provato, il vuoto che ci sarebbe stato non appena avrei aperto gli occhi senza sapere cosa fosse.

    Non è detto che si possa tornare indietro una volta intrapresa.

    Non potevo farlo. Ero stata pazza a pensare che sarei riuscita a resistere. Solo il pensiero di ciò che stava per succedere mi gettava nella disperazione. Mio padre era lontano, intento a fare ciò che io gli avevo chiesto. Non potevo più fermarlo.

    Mi guardai intorno in cerca di una soluzione. Era la mia testa, maledizione, doveva esistere un modo. In quel momento mi accorsi di non essere sola. Constance era seduta sul suo letto.

    «Sei nel mio sogno?» chiesi stupefatta. Poteva essere un’ombra come la Eileen bambina del salotto.

    «Stavo facendo un sogno bellissimo» rispose mia sorella piuttosto piccata. Forse il mio subconscio mi mostrava ciò che desideravo vedere, ma non aveva importanza. Cominciavo a sentire i ricordi scivolare via dalla mente.

    «Devi ricordare cosa sto per dirti. Al tuo risveglio lo devi ricordare».

    «La mattina non ricordo mai i sogni che ho fatto» obiettò dispiaciuta.

    «Tu provaci, Connie. Ricordati».

    Le cose che so

    Emma

    La gente normale quando si sveglia per prima cosa apre gli occhi. È un gesto piuttosto istintivo, ma non sia mai che io faccia qualcosa di normale. Ero sveglia, ma gli occhi non li avevo ancora aperti. Non sapevo cosa avrei trovato.

    Conservavo un ricordo piuttosto preciso di ciò che era successo prima di addormentarmi, anche se forse non era il verbo più adatto per definire l’accaduto. Svenire? Implodere? Mah.

    Ad ogni modo me ne stavo immobile, con le orecchie tese per cercare di capire dove fossi. Prepararmi psicologicamente, quello era il mio piano.

    Sebbene ricordassi le ultime immagini prima dell’oscurità, non avevo la minima idea di cosa fosse successo dopo. Niente. Buio totale. Dove mi trovavo? Le mie sorelle stavano bene? Che giorno era? Domande su domande e nessuna risposta. Bel casino.

    Magari ero rimasta in coma cinquant’anni ed ero diventata una vecchietta rinsecchita oppure ero svenuta, senza implodere come sospettavo e l’uomo malvagio, che avevo cercato di fermare, mi aveva portata via con sé.

    Louis.

    L’uomo malvagio si chiamava Louis. Nella mia mente si affacciò l’immagine del suo volto affilato e brani di un dialogo surreale, sconnesso e senza senso, come se mancassero dei pezzi.

    Mossi le dita e mi accorsi che la loro libertà era ridotta, sotto il peso di un’altra mano. Se fossi stata prigioniera dell’uomo malvagio, difficilmente sarebbe rimasto al mio capezzale a tenermi la mano. Doveva trattarsi di qualcuno preoccupato al punto da dormire in una posizione tanto scomoda. Perché il possessore della mano dormiva, non c’erano dubbi. Sentivo il respiro regolare del sonno scandire il silenzio che ci circondava, ma soprattutto se fosse stato sveglio, avrebbe reagito in qualche modo al movimento delle mie dita.

    Ero sicura si trattasse di una mano maschile. La presa era ferrea e se non fosse bastato a connotare il genere, si trattava di una mano abbastanza grande, visto che la mia c’era seppellita sotto.

    Papà?

    Poteva essere. Una parte di me ricordava il suo ritorno. Lo avevo sorpreso in

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