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Da quello virtuale ad un mondo irreale
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E-book496 pagine5 ore

Da quello virtuale ad un mondo irreale

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Info su questo ebook

“Da quello virtuale ad un mondo irreale” è un avvincente romanzo che si può definire i primo della trilogia “Avventure in Brasile”. È uno spaccato di vita brasiliana vissuta a cavallo del tempo su piani paralleli, dove i luoghi la fanno da protagonisti: da un lato l’evolversi storico del Paese - visto con occhi indigeni, dal 1500 in poi - e dall’altro i tempi odierni vissuti con realismo anche da alcuni personaggi del precedente romanzo “Incontri virtuali” che in Brasile si incontrano spinti da motivazioni diverse. Inserendosi, inoltre, come personaggio che si mette in gioco insieme a quelli che descrive, l'autore rivela un modo nuovo per immaginare un mondo irreale, anch’esso parallelo, dove le sue creature sembrano agire di volontà propria sfuggendo al controllo dello scrittore che ne ha definito i ruoli.
LinguaItaliano
Data di uscita8 feb 2015
ISBN9788899001124
Da quello virtuale ad un mondo irreale

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    Anteprima del libro

    Da quello virtuale ad un mondo irreale - Learco Learchi d'Auria

    d’Auria

    Prefazione

    Il romanzo di Learco si può considerare un vero capolavoro di intrecci storici, geografici, sociali delle tradizioni brasiliane. La sua capacità d’essere attore e cronista degli avvenimenti e delle storie di vita dei suoi personaggi consente al lettore di considerarlo amico di viaggio in queste avventure brasiliane.

    Lo conosci e lo apprezzi per la puntuale precisione dei riferimenti; lo ami per la grazia e il garbo con cui affronta argomenti di forte pregnanza culturale esoterica e non; lo ammiri per la genialità della trama, che con semplicità e competenza ti introduce e ti accompagna in argomenti anche complessi, non a tutti di facile comprensione, ma stimolanti per un approfondimento in ambito specifico.

    Learco è scrittore ed amico, lo senti parlare mentre leggi, senza sovrastrutture grammaticali o sintattiche ricercate per fare colpo; è spontaneo nel tradurre in parole le sue conoscenze, conoscenze puntuali, precise, profonde della storia del Brasile, degli usi e costumi dei Brasiliani, della morale sociale delle donne brasiliane che, seppure diversa da quella europea, merita di essere conosciuta proprio perché nella storia dei Brasiliani c’è la storia di tanti Europei che in Brasile sono approdati e del Brasile hanno fatto la loro Patria.

    A tratti il romanzo commuove ed affascina, ti spinge ad andare avanti per sapere di più e meglio. Ti trovi ad un certo punto di volerlo rileggere perché non tutto è stato recepito e tutto è importante da sapere e da interiorizzare e non ti stanca rileggerlo, anzi riscopri nuove emozioni e forti spunti di ulteriori e continue riflessioni.

    Grazie all’impegno di Learco le generazioni del terzo millennio potranno leggere alcuni pezzi di storia del Brasile, romanzata sì, ma ricca di riferimenti reali e talvolta sconosciuti perché non riportati nei libri più commercializzati.

    Quello che Learco vuole trasmettere al lettore è la voglia di conoscere, un poco meno superficialmente, il Brasile.

    Il ricorso a parole e, talvolta, intere frasi in lingua portoghese del Brasile, completano l’atmosfera tropicale di Da quello virtuale ad un mondo irreale. Per agevolarne la comprensione, nelle ultime pagine è stato inserito un glossario di facile ed istruttiva consultazione - quale complemento - al quale fare ricorso ogni qualvolta non appaia chiaro il senso della lettura.

    Elisa Savarese

    Presidente dell’Università Avalon

    "Dedico queste pagine a chi sogna

    non sapendo di sognare.

    I sogni sono illusioni d’una realtà

    inesistente, la realtà è, a sua volta,

    l’illusione di un sogno.

    Laddove finisce l’uno, l’altro comincia:

    è il capovolgimento del miraggio di un

    mondo surreale dove tutto quello che

    accade è già accaduto.

    Non temete, in fondo, anche questo

    è… un sogno."

    (Learco Learchi d’Auria)

    I personaggi del presente romanzo ed anche l’autore, tal quale si descrive, sono stati ideati dalla fantasia. Ogni riferimento a persone od fatti realmente accaduti sono puramente casuali.

    Prologo

    Era passato un anno dalla conclusione del suo precedente romanzo Incontri virtuali, vizi e virtù nascosti dietro il monitor di un computer. Molti dei lettori, che Learco aveva incontrato in libreria, nel giorno del lancio della sua opera, gli avevano chiesto di narrare il seguito di alcune vicende contenute in quel suo fortunato romanzo.

    «La trama era così avvincente che ho letto le pagine tutto di un fiato. È un vero peccato che non ci sia un seguito.» Così si era espressa un’avvenente signora, mentre gli porgeva una copia del volume perché vi apponesse una dedica.

    Un’altra lettrice aveva comprato addirittura quattro esemplari del romanzo ed altrettante dei versi contenuti inPensieri liberi a rotta di collo. Anch’essa attendeva di poter ricevere la dedica su tutte le copie e quando venne il suo turno gli disse:«Sa, tre copie le voglio regalare a delle amiche, ma questa la tengo per me…» aveva poi aggiunto, quasi a sottolineare il suo gradimento:«…perché non scrive un altro romanzo con gli stessi personaggi?» Learco aveva sorriso annuendo, mentre vergava con mano veloce una dedica molto particolare per quella simpatica ammiratrice, acquirente di ben otto volumi.

    In altre occasioni la domanda era sempre stata la stessa: il suo pubblico reclamava un bis editoriale. Perfino al supermercato sottocasa, a Genova, gli era accaduta la stessa cosa.

    «Ma che bella abbronzatura! L’ha presa in Brasile?» gli chiese la simpatica cassiera mentre passava, velocemente, i prodotti della sua spesa sul lettore ottico della cassa.

    «Si! Proprio laggiù e non vedo l’ora di ritornarci» rispose Learco, un poco rinfreddolito dal rigido inverno italiano. Del Brasile e del suo sole già sentiva molta...saudade: il sottile piacere d’una nostalgia struggente che prende l’anima.

    «La stavo aspettando! Me la scriverebbe una dedica?» gli chiese la cassiera, traendo da sotto il banco una copia del libro appena comprata.

    «Con immenso piacere, mia cara Jolanda!» rispose Learco prendendo il volume per scrivere alcune parole sulla seconda pagina bianca.

    «Grazie! Visto che il primo ha vinto un premio letterario, a quando il secondo romanzo?» chiese, impertinente, la Jolanda facendogli l’occhietto.

    «Non saprei... ci devo pensare» rispose riponendo la spesa nel sacchettone verde. Ma subito dopo qualcuno gli sottopose un’altro volumetto per una dedica: si trattava di quello dei suoi versi, anche questi, da poco pubblicati.

    «Anche tu Silvia?» chiese Learco, voltandosi di lato e riconoscendo la seconda giovane cassiera, appena ventenne, dallo sguardo dolce e romantico da sognatrice.

    «Non mi sarei azzardata a chiederle una dedica ma la Jolanda mi ha dato coraggio, con la sua faccia tosta ed il suo esempio» disse, quasi giustificandosi, la bionda Silvia dagli occhi blu.

    «Perché mai? Mi fa piacere averti tra le mie lettrici: giovane e bella come sei! Questo fatto mi inorgoglisce…» fu la volta dello scrittore a schiacciare l’occhietto in segno di complice intesa ma poi soggiunse: «… siccome ti piacciono i miei versi, a te la dedica la scriverò in rima.»

    Già da tempo Learco stava pensando ad una rivisitazione della storia di taluni personaggi creati dalla sua fantasia. Era possibile riprendere il filo della narrazione, ma non per tutte le coppie che avevano affollato il precedente romanzo… avrebbe dovuto scegliere.

    Era tornato a Natale per trascorrere un po’ di tempo con i suoi ma per il mese di maggio contava d’esser, nuovamente, a Campinas. Appena giunto in Brasile si sarebbe messo all’opera, anche se già il suo cervello stava macinando idee e pensieri. Nella nuova trama decise che il primo intervento spettava al Cielo come se il Presidente di quella complessa realtà celeste avesse voluto controllare cosa ne era stato degli umani del pianeta Terra un anno dopo. Non da meno poteva fare il Boss, capo delle schiere diaboliche, che con quelli di Lassù aveva un conto in sospeso dopo che un’anima dannata e già condannata gli era stata sottratta.

    Gano Garagnone, infatti, aiutato da Natascia Reggiani, si stava riscattando agli occhi dell’Umanità ed il suo afrore puzzava d’acqua santa. Così diceva il nero satanasso, di lui.

    Attilio Sannito si era accasato con Heloísa de Souza ed insieme abitavano a Bixiga, nel quartiere residenziale degli italiani ricchi di São Paulo, dove si conservano le tradizioni, le culture, la lingua ed il dialetto del paese di origine, da parte dei discendenti di terza o quarta - o addirittura - di quinta generazione. A São Paulo è possibile sentir parlare il dialetto veneto di fine ‘800 o quello calabrese della stessa epoca. Nonostante ciò, il caos della capitale, una delle più popolose del mondo, il traffico stradale, l’inquinamento acustico e quello atmosferico spingevano Attilio a ricercare una diversa e più salubre allocazione.

    Quanto a Licia Moroni, si era unita in matrimonio con Giannetto Giannini, trasferendosi a Sorrento, dove lui aveva aperto una nuova palestra. Licia aveva trovato impiego, come contabile, presso un’agenzia di viaggi di Piazza Lauro. Ambedue i luoghi di lavoro si trovavano di fronte alla Circonvesuviana, nome moderno dell’antica linea ferroviaria borbonica: la prima ad essere costruita nella penisola italica, che univa Napoli a Portici. Stavano pensando di adottare un bimbo, ma volendolo molto piccolo, avevano deciso di rivolgersi all’estero e la loro ricerca li aveva portati in Sud-America.

    Il protagonista principale, tuttavia, non sarebbe stato uno di quelli, bensì il Brasile. Di quel semicontinente aveva deciso di narrare - attraverso due indigeni del passato, un indio ed un negro - gli avvenimenti antichi che si sarebbero intrecciati con quelli vissuti dal vivo. Una mistura di avvenimenti vissuti in parte nel tempo andato ed in parte nel presente.

    I luoghi, permeati da cinquecento anni di storia, avevano il potere di sussurrare, la notte, alla mente d’ogni viandante, che sapesse ascoltare, la voce della natura raccontando le vicende degli indios di lingua Tupi-Guaraní e del Pau Brasil. Una storia complessa dallo sbarco dei portoghesi colonizzatori alle rivolte per l’indipendenza fino all’ultimo impero del sovrano bambino. Una realtà fatta anche di capoeira angolana , macumba e candomblé.

    Via Lattea Parallela, Lunedì 17 maggio 2010. Sede dell’Animo Universale

    Era passato un anno dalla ricerca motivazionale fatta sul pianeta Terra e Pietro ricordava con tenerezza la dolce Elisangela, un angelo che aveva perduto le ali perché sacrificate in quel balzano esperimento che il Presidente aveva voluto fare. Anche Natascia e Gano, i suoi ragazzi, gli erano rimasti nel cuore e di essi aveva seguito il viaggio ed il lavoro nella missione di San Salvador nello Stato di Bahia del Brasile. Ogni tanto dava un’occhiata anche agli altri e, più o meno, ognuno aveva trovata la propria strada. I suoi pensieri furono interrotti, telepaticamente, dal Presidente.

    «Anch’io ci sto pensando, Pietro! Vieni da me ché ho da parlarti di questo.»

    «Sì Capo, arrivo subito da te!»

    Sul pianeta Terra gli uomini avevano, da tempo, inventato la comunicazione telematica mentre in cielo veniva utilizzato un sistema sperimentato, da sempre: quello della comunicazione telepatica. Era un residuo di capacità antichissime, nate prima dell’espressione del linguaggio verbale, quando ci si parlava col pensiero e la scrittura non esisteva ancora. Pietro trovò la porta dell’ufficio di presidenza già aperta ed entrando gli fu fatto cenno di sedere in una delle poltrone che fronteggiavano la grande scrivania.

    «Accomodati Pietro, so cosa vai pensando ed anch’io mi sto chiedendo cosa sia accaduto sul pianeta Terra agli amici d’Elisangela.»

    «Amici d’Elisangela! Non sono, anche, amici tuoi… Capo?» chiese Pietro toccandosi la candida barba.

    «Che io sia loro amico è fuor di dubbio, ma che loro lo siano nei miei confronti, questo è da vedersi.»

    «Pensi che non esista il senso dell’amicizia tra i mortali della Terra?» Chiese Pietro, perplesso.

    «Il concetto d’amicizia dovrebbe essere assoluto ma gli umani sono riusciti, anche in questo, a dare un significato molto soggettivo: per essi è amico chi per loro si sacrifica, salvo in seguito odiarlo per il semplice fatto di aver dovuto ricorrere a lui.» Spiegò il Presidente con un tono d’amarezza nella voce, pensando che la riconoscenza è un fiore raro che non cresce più tanto sul quel pianeta.

    «Forse questa è la causa del fatto che le persone hanno pochi amici sui quali contare?» azzardò il Mastro di Chiavi.

    «Questa ed altro, mio buon Pietro…» disse il Creatore, che poi proseguì: «…tutti pensano che, avendo fatto del bene, sono contornati da tanti amici. Purtroppo quando le parti s’invertono essi scoprono di aver beneficato tanti opportunisti che al momento del bisogno voltano la schiena.»

    «Come, come?» chiese, stupito, Pietro che non aveva afferrato bene il concetto.

    «Mi spiego meglio. L’amicizia crea un rapporto di reciprocità: ci possono essere, quindi, debitori e creditori a fasi alterne. Debitore è colui che è conscio di dover restituire… ma non è detto che lo faccia. Creditore è colui che crede di ricevere indietro ciò che ha dato… ma non è detto che ciò avvenga. Inoltre quando una delle parti restituisce, è convinta di dare più di quanto abbia ricevuto ma dall’altro canto chi riceve pensa di ricevere meno di quanto gli spetti.»

    «Se è tutto un dare per avere… dov’è la vera amicizia?» chiese, ancora, Pietro.

    «La vera amicizia sta nella generosità d’animo! Quella che fa donare senza nulla chiedere. Quella che fa sopportare l’ingratitudine delle persone che si sono aiutate.»

    «Adesso, ho capito… Capo!» rispose Pietro, pago della lezione appena ricevuta.

    «Non era d’amicizia che volevo parlarti, ma mi chiedevo se non fosse il caso d’andare a verificare cos’è successo, un anno dopo l’ultima tua trasferta, sul quel pianeta.»

    «Questa volta non ho commesso alcun peccato!» disse Pietro allarmato, mettendo le mani avanti.

    «Non ho detto questo, né l’ho pensato» rispose il Signore dell’Universo, guardandolo con occhio benevolmente paterno.

    «Se non mi vuoi punire, cosa vuoi che faccia?» chiese Pietro, pur sapendo dove andava a parare quella manfrina.

    «Nulla, Pietro… proprio nulla! Ma se tu mi chiedessi il permesso di tornare a rivedere i tuoi ragazzi non avrei nulla in contrario» disse il Presidente con l’aria, da gatto sornione, che metteva su quando voleva ottenere qualcosa senza chiederlo, ma poi aggiunse: «…non c’è fretta. Pietro, prendi il tempo che t’occorre per rifletterci sopra. È passato un anno: giorno più o giorno meno, non fa differenza» concluse il Signore dell’Universo, congedandolo.

    Brasile – Stato di São Paulo Città di Campinas, Lunedì 17 maggio 2010. Studio dello scrittore Learco Learchi

    Learco continuava a vivere a Campinas, dove l’aria dell’altopiano è più leggera e respirabile. Nonostante la città superi abbondantemente il milione di abitanti la vita ha un ritmo più umano e meno stressante. Lì, a Campinas, c’era oltre il suo studio di scrittore anche l’atelier dove dipingeva.

    La Sede della Fondazione della quale Learco si occupava in qualità di Curatore, insieme ad altri, distava qualche centinaio di metri ed in pochi minuti di strada, a piedi, la si poteva raggiungere. In quel mese si stavano completando i lavori di ristrutturazione per l’ampliamento del fabbricato, che avrebbe accolto oltre agli uffici anche una foresteria composta da due suites per gli ospiti, un museo, una sala per mostre d’arte, una sala convegni ed un locale, non ben definito, nel quale si stavano erigendo anche due file di sei colonne che si fronteggiavano, ma la destinazione di quel locale era coperta dal segreto più impenetrabile. In tutto erano circa 400 i metri quadrati coperti della sede ampliata. Di quell’opera, Learco seguiva ogni fase di edificazione curando, in maniera quasi maniacale, le rifiniture. Aveva iniziato, tanto per svagarsi, a scrivere il nuovo romanzo. Di quello precedente riportava parte del titolo, ma non doveva esserne il seguito: semmai, solo alcuni personaggi avrebbero preso parte ad una serie di eventi, incontrandosi in terra brasiliana. Questa volta i rapporti erano reali, non più virtuali per mezzo del computer. Learco voleva che, attraverso la sua narrazione, si potesse avere una visione più veritiera di quella terra e del suo popolo che spesso era stato, troppo frettolosamente, mal giudicato ed etichettato a causa del pressappochismo degli stranieri. Quanto alle donne brasiliane -sulle spalle delle quali, da sempre, grava il peso della famiglia- un mucchio di erotiche fantasie sono state il prodotto di quanto riferito dai soliti, a modo loro, ben-informati, sempre pronti a morder la mela, ingannando, per poi fuggire e raccontare anche cose inventate. Learco aveva imparato a conoscere e ad amare il Brasile: se una parte di esso era statico, l’altra stava cambiando in meglio, facendo passi da gigante verso un futuro moderno. Per attuare il suo progetto in maniera concreta, doveva fare una ricerca storica e di costume i cui elementi gli sarebbero serviti per meglio raccontare il Brasile dei brasiliani, quello vero, visto e vissuto con occhio e spirito brasileiro.

    Brasile – Attuale Stato di Bahia Città di São Salvador, Mercoledì 18 maggio 1549. Lo schiavo Kianda

    Era ancora un ragazzo di sedici anni quando, nel 1534, Kianda con altri schiavi africani era sbarcato con i polsi e le caviglie costretti dalle catene. Quella era la costa del Brasile sulla quale i primi marinai portoghesi, capeggiati dall’Ammiraglio Dom Pedro Alvarez Cabral, erano approdati il 22 aprile del 1500, prendendone possesso in nome di Sua Maestà Manuele I, della Casata Aviz-Beja, Re di Portogallo. La nave negriera aveva preso a bordo il suo carico di merce umana sulle coste dell’Angola per sbarcarlo nella più grande colonia che il regno lusitano possedesse: la coltivazione della canna da zucchero aveva bisogno di braccia giovani e robuste. Kianda, prima di lavorare nei campi del padrone, Dom Manuel Pinheiro de Oporto, era stato affidato, come da contratto, a Dom Tomé de Souza e da questi destinato all’edificazione di quella città fortificata che sarebbe divenuta la capitale di quello che si chiamò definitivamente Brasile. La nuova capitale, dopo quella provvisoria di Porto Seguro, che lo fu dal 1500 al 1549, stava crescendo rapidamente. Le opere erano iniziate il 29 Marzo del 1540 e la nuova città, che si chiamava São Salvador da Bahia de Todos os Santos, stava divenendo il fulcro della vita della colonia. La regione, ancor prima che sorgesse il nuovo insediamento, era già stata occupata da alcuni europei: una nave francese vi aveva fatto naufragio nel 1510 e ventiquattro anni dopo fu costituito il primo nucleo abitato. In questo borgo, sei anni più tardi, sorse una città. Kianda s’era fatto uomo col crescere delle mura ed aveva ventidue anni quando i lavori furono terminati. Ora era uno schiavo robusto di 31 anni che sognava la libertà: il seme della ribellione era cresciuto di pari passo con le frustate che avevano lasciato dei solchi, più chiari, sulla sua nera pelle.

    Salvador – come brevemente, ancora, viene chiamata dai soteropolitani, suoi abitanti – divenne la capitale e la sede dell’amministrazione coloniale in Brasile nel 1549, per esserlo fino al 1763.

    Nel suo porto sbarcavano le merci provenienti dall’Europa, ma partivano zucchero e legnami pregiati, tra i quali il Pau Brasil che dal color rosso come la brasa - la brace- aveva dato il nome a quello sconfinato paese ed ai suoi indigeni.

    Brasil fu chiamato, infatti, l’uno e Brasî gli altri suddivisi in tribù di tre ceppi differenti di indios: Tupinambâ, Tupiniquin ed Aimoré.

    Nel corso degli anni che seguirono molti furono i tentativi d’invasione da parte di potenze straniere avverse ai domini coloniali portoghesi. In Brasile ad essere coinvolti furono particolarmente gli indios Tupinambá, alleati dei Francesi e gli indios Tupiniquin, alleati dei Portoghesi. Anche gli Olandesi fecero la loro parte con la Compagnia Olandese delle Indie Occidentali.

    La causa di questa mattanza tra gente della stessa razza proveniva da due principali prodotti: lo zucchero di canna ed il prezioso pau brasil.

    Si riproporrà lo stesso schema anche nelle guerre franco-inglesi per il possesso dei territori del Canada mettendo in campo Uroni contro Irochesi: alleati della Francia gli uni e dell’Inghilterra gli altri. Anche lì i nativi indigeni si scannarono per la supremazia dei nuovi padroni stranieri, attratti dalle pellicce degli animali di quel nuovo mondo coloniale.

    Storie differenti di una medesima forma di colonialismo e di sfruttamento più volte reiterati.

    Brasile – Stato di Bahia, Baia de Todos os Santos Città di São Salvador, Martedì 18 maggio 2010. Gano Garagnone e Natascia Reggiani

    Era passato un anno da quando, dopo essersi conosciuti attraverso Internet, erano partiti per il Brasile per ritornare a Roma dopo tre mesi di volontariato in una missione laica. Il periodo di volontariato era trascorso occupandosi dei meninos de rua: i bambini di strada lasciati al loro destino, privi di tutto ma ricchi di miserie umane e di povertà. Il tempo era trascorso troppo velocemente: i mesi del permesso di soggiorno erano volati via senza che se ne potessero accorgere. Il lavoro, spalla a spalla, aveva affinato la loro intesa e l’amore, che era sfociato in una passione, inevitabilmente aveva abbattuto ogni riserva: infine, erano divenuti amanti e compagni di vita.

    Passarono le ore del volo di ritorno progettando un nuovo viaggio: i meninos avevano bisogno di loro come loro avevano altrettanto bisogno di sentirsi utili a quell’infanzia abbandonata che già aveva preso a chiamarli per nome con gli appellativi di: tio Gano e tia Nataxa.

    Rientrati in patria si erano recati a Frattocchie nell’Abbazia di Nostra Signora del Santissimo Sacramento chiedendo di Fra Giacomo, la loro guida spirituale, che dopo la loro partenza pareva che si fosse volatilizzato nel nulla. Un poco delusi di quell’abbandono avevano deciso di tornare, non appena fosse stato possibile, a San Salvador da Bahia. Avvenne nel mese di maggio, dopo aver firmato un nuovo impegno con la Missione Laica per la quale operavano. Quattordici ore di volo erano state lunghe ma erano atterrati nuovamente in Brasile e, riposatisi del viaggio, stavano ora sorseggiando una batida gelada, seduti nel giardinetto di un bar del Pelourinho, il rione nella Città Alta, dove si trova l’incomparabile antico Centro Storico, ricco di folclore e caratteristici fabbricati colorati di epoca coloniale.

    Via Lattea Parallela, Mercoledì 19 maggio 2010. Sede dell’Animo Universale

    Aveva deciso! Pietro stava preparandosi a riprendere le sembianze di Fra Giacomo: avrebbe raggiunto, in Brasile, i suoi ragazzi per dar loro una mano. Li aveva invidiati un poco, in fondo, quando decisero di andare al di là dell’Oceano Atlantico in una missione laica. Avrebbe voluto seguirli per andare ad aiutare i bimbi abbandonati. Ora, però, il Presidente, senza chiedere apertamente, l’aveva esortato a farlo.

    Pietro si avviò verso l’ufficio di presidenza per comunicare la sua decisione e trovò, stranamente, la porta spalancata ed il Capo che stava lì, ad attenderlo.

    «Vieni, vieni Pietro… entra pure e siediti» gli disse, con fare affabile, il Signore dell’Universo che poi proseguì: «… hai deciso, allora? Scenderai sul pianeta Terra per recarti in Brasile?»

    «Sì! Desidero incontrare i ragazzi ed anche gli altri» confermò Pietro.

    «Non tutti, Pietro! Non tutti…» volle precisare il Presidente, che aveva ben chiaro il nuovo incarico da affidare, sotto forma di viaggio premio. Poi continuò: «… incontrerai soltanto le persone che si recheranno in Brasile e laggiù potrai aiutarle.» All’udir le parole del Capo, Pietro si rese conto che gli veniva permesso di fare ciò che, da un altro punto di vista, altro non era che un nuovo lavoro. Il Presidente, senza chiedere, stava raggiungendo il suo scopo, ma non voleva che quella fosse intesa come un’immeritata punizione: il caso era molto diverso da quello precedente.

    «Aiutarli a far cosa?» chiese Pietro che voleva aver ben chiaro quale fosse il suo mandato.

    «In tutto quello di cui avranno bisogno e che un amico può dar loro: aiuto, protezione, sostegno morale. Per non parlar, poi, dei pericoli del carnevale!» volle precisare il Presidente, che la sapeva molto lunga sugli umani e le loro debolezze.

    «Pericoli del carnevale?» chiese Pietro stralunando gli occhi.

    «Certamente: la festa del diavolo!» confermò il Signore dell’Universo.

    «Come, come? Spiegami meglio!» chiese Pietro, sempre desideroso d’apprendere.

    «L’etimologia del termine carnevale risale al latino carnem levare espressione con cui nel Medioevo si indicava il divieto di mangiar carne, a partire dal primo giorno di Quaresima, sino alla Pasqua. Il carnevale, fin dagli antichi tempi, era caratterizzato da sregolatezze col godimento di cibi, bevande e di sesso. In quel periodo l’ordine sociale veniva sconvolto e le persone nascondevano l’identità mascherandosi per non essere riconosciute. Con la simbolica morte sul rogo di un fantoccio rappresentante il Re del paese di Bengodi finivano crapule e debosce e tutto rientrava nella normalità come se nulla fosse accaduto. Il periodo carnevalesco coincide, grossomodo, con la ripresa dei lavori agricoli nei campi. Il bruciare il fantoccio che fungeva, un poco, da capro espiatorio d’ogni peccato, costituiva un augurio per il nuovo anno, da poco iniziato e per le messi che sarebbero venute. Il rinnovamento della fecondità della terra, attraverso l’esorcismo della morte, rappresenta il legame tra il carnevale e le feste greche d’impronta dionisiaca – i riti in onore di Dionisio, divinità greca del vino – caratterizzate dal raggiungimento dell’ebbrezza etilica che sfociavano in vere e proprie orge, come anche quelle romane dei Saturnali che si celebravano in onore del dio Saturno e durante le quali si tenevano cerimonie di carattere sfrenato ed orgiastico. In altre parole il carnevale ha tratto origine anche dagli otto Sabba: Shamain, Yule, Imbolc, Oestara, Beltane, Litha, Lammas e Mabon. Sono le principali festività del calendario in cui vengono celebrati i solstizi, gli equinozi e altre ricorrenze legate alla Natura. Il significato della volontà di indossare una maschera dimostra che l’irresistibile attrazione esercitata dal carnevale sta proprio nella possibilità di smettere di essere se stessi per assumere le sembianze ed il comportamento della maschera prescelta.»

    «Ancora oggi è così?» chiese Pietro stupito e dubbioso.

    «In parte sì! Ma la cosa differisce dai luoghi e dagli individui.»

    «Perché… con quale scopo?» insistette Pietro.

    «Gli scopi sono vari e differenti. Se consideriamo il carnevale dei bimbi, esso è un ingenuo divertimento consistente nella sola mascherata per gioco. Se valutiamo il carnevale degli studenti, altro non è che un’occasione di fare confusione perché a carnevale ogni scherzo vale. Se ci soffermiamo a quello dei libertini, è l’occasione… di fornicare, senza rivelarsi. Non parliamo poi dei borseggiatori che, sempre presenti nei luoghi affollati, con il volto mascherato agiscono con più tranquillità. Molte sono le sfaccettature di questo fenomeno che trae origine dalle radici antiche dei fatti che t’ho appena narrati.»

    «Ma il carnevale brasiliano è una festa d’importanza nazionale laggiù» azzardò Pietro.

    «In Brasile il carnevale si ispira alle origini primordiali ma diventa anche un grandioso spettacolo di colori e sfilate a suon di musica. Le Scuole di Samba presentano passi sempre nuovi, che hanno studiato e perfezionato nel corso di un anno. Per questo fine i Brasiliani hanno inventato il luogo chiamato sambodromo dove le rappresentazioni avvengono tra le due ali delle tribune poste ai lati. È soprattutto l’occasione per la povera gente di sentirsi diversa perché…la tristezza non ha fine mentre la felicità sì

    «Come dice la canzone di Tom Jobim, nel film Orfeo Negro?» chiese Pietro.

    «Potrei risponderti come lo farebbe un brasiliano dicendo mais ou menos ma voglio essere più esplicito…» disse il Presidente che subito dopo precisò: «… durante il carnevale brasiliano tutto si ferma per dare spazio alla voglia di vivere e alla volontà di sentirsi felici ad ogni costo: i freni inibitori si allentano fino a sparire del tutto; le preoccupazioni vengono rinviate a dopo la grande ubriacatura di musica, ballo e sesso. Ecco perché è la festa di Exu, il messaggero, demone della macumba.»

    «È molto preoccupante quello che dici, Capo!» disse Pietro con voce insicura.

    «Non più di tanto. Caetano Veloso canta, infatti …il carnevale è un’invenzione del diavolo che Dio ha benedetto anche se mi sono guardato bene dal farlo, questa è la convinzione dei brasiliani. Brava gente, tutto sommato: dopo la sbornia si pentono tornando a pregare e credere in me. Per cinque giorni sono di Lucifero ma per i rimanenti sono le mie pecorelle…» disse il Signore dell’Universo, che a sua volta domandò: «…hai capito, ora, perché devi aiutare i nostri ragazzi

    «Sì, ma esattamente cosa dovrei fare?» chiese insistentemente Pietro che non voleva cedere su quel punto, cercando d’avere precise indicazioni.

    «Vai, osserva ed agisci di conseguenza… mi fido del tuo buon senso» concluse il Presidente congedandolo. Uscendo dall’ufficio di presidenza, Pietro era felice, gioioso come non mai, questa volta sul pianeta Terra vi scendeva meno timoroso: quelle trasferte di lavoro cominciavano a piacergli.

    Italia – Sorrento, Giovedì 20 maggio 2010. Licia Moroni e Giannetto Giannini

    Dopo pranzo, Giannetto si mise a tradurre dall’inglese, vocabolario alla mano, la lettera che l’avvocato di Rio de Janeiro gli aveva mandato. L’avvocato, tale Vagner Ribeiro do Nascimento, gli era stato indicato da Elisangela, su suggerimento di un monaco conoscente di lei: Fra Giacomo.

    «Cosa dice l’avvocato? Possiamo adottare un bimbo brasiliano?» gli chiese Licia mentre asciugava le posate con lo strofinaccio, dopo aver rassettato la cucina.

    «Le notizie sono buone: anche i cittadini stranieri possono procedere all’adozione di un bimbo di età inferiore ai due anni, purché abbandonato e che non sia stato già richiesto in adozione da un cittadino brasiliano.»

    «Tanto buone, non direi…» disse Licia e subito dopo si affrettò a proseguire: «…non ti rendi conto che la trappola sta in quella frase …che non sia già stato chiesto in adozione da un cittadino brasiliano

    «Non vedo alcuna trappola… dimmi dov’è!»

    «Ma non capisci? I brasiliani hanno il diritto di prima scelta e lasciano agli stranieri gli scarti!»

    «L’avvocato ha valutato anche questo aspetto della questione e mi sta prospettando l’adozione di due gemelline di due anni. Pare che per i brasiliani due in un colpo solo siano troppe da mantenere.»

    «Uhm… di che colore sono?» chiese Licia come se stesse subdorando un nuovo inganno.

    «Mulatte chiare, chiare. Sembrerebbe che la madre, una giovane mulatta, le abbia concepite con un bianco, discendente di tedeschi di Florianopolis, nello Stato di Santa Catarina.»

    «Mulatta con

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