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Açúcar e Café
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E-book564 pagine5 ore

Açúcar e Café

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“Açucar e Café” chiude la trilogia delle “Avventure in Brasile”. Simili sono gli scenari tropicali brasiliani nei quali si muovono gli stessi personaggi dei precedenti romanzi. Il nuovo romanzo si ambienta in parte in Italia ed in parte in Brasile. Sulle vicende del presente si innestano quelle del passato, avvenute sul medesimo territorio latino americano dove la ricchezza viene prodotta da due piante: la canna da zucchero e quella del caffè. Una parentesi temporale è inerente la storia di una famiglia afrobrasiliana che da sempre ha vissuto la realtà della coltivazione delle due piante con alterna fortuna. Un’altra, più recente, si innesta tra l’epoca antica e quella attuale: la vicenda di un “U- boot” della Marina da Guerra Germanica che, nel luglio del 1944, resta inabissato con a bordo una fortuna che i protagonisti dovranno recuperare. Tra i due periodi ne viene descritto uno antecedente dal quale si può intuire come in Brasile siano approdati alcuni esponenti di un popolo proveniente dall’Asia Sudoccidentale guidati da Ezra di Gerico all’epoca della distruzione del Tempio di Re Salomone. Tre differenti storie avvenute sullo stesso territorio, tutte avventurose ed avvincenti ma non prive di spunti su fatti storici realmente accaduti.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2015
ISBN9788899001230
Açúcar e Café

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    Anteprima del libro

    Açúcar e Café - Learco Learchi d'Auria

    info@uniavalon.com

    Prefazione

    Uno scrittore pressato dal proprio editore decide di accettare l’invito di una Università italiana per dare testimonianza della propria esperienza ai giovani del "Corso di Letteratura Moderna. Scopre che l’invito gli è stato fatto con lo scopo di coinvolgerlo in un’esperienza editoriale: l’istituto intende proporsi al mercato dei lettori editando, oltre ai propri testi di studio, opere di autori emergenti attraverso Internet, istituendo un premio letterario attraverso il quale selezionare le opere da mettere nel catalogo della nascente casa editrice virtuale.

    Ancora un volta il mondo virtuale si affaccia nella vita dello scrittore che viene attratto dal nuovo modo di fare editoria: senza l’uso della carta stampata e soprattutto senza dover soggiacere ai ricatti degli editori, che sovente si fanno pagare, anziché remunerare gli autori stessi.

    Il nuovo romanzo si ambienta in parte in Italia ed in parte in Brasile. Sulle vicende del presente si innestano quelle del passato, avvenute sul medesimo territorio latino americano dove la ricchezza viene prodotta da due piante: la canna da zucchero e quella del caffè.

    Una parentesi temporale si innesta tra l’epoca antica e quella attuale: la vicenda di un U- boot della Marina da Guerra Germanica che, nel luglio del 1944, resta inabissato con a bordo una fortuna contenuta in centoventi cassette piene di lingotti d’oro, per un peso netto complessivo di 384 quintali del prezioso metallo.

    In parallelo si svolge l’avventura di un gruppo d’amici che sono usi ritrovarsi, ogni anno, in Brasile per una vacanza alla scoperta di un semicontinente ricco di fascino, mistero e di storia.

    Una nuova avventura, dunque, che non mancherà di coinvolgerli nel ritrovamento del sottomarino e nel recupero dell’oro che risulterà portatore di una triplice maledizione. Vi sarà un’impari lotta contro oscure forze che, minacciose, volteggiano su di loro ma un intervento risolutivo farà, in fine, volgere a loro favore la sorte.

    Quello che Learco vuole trasmettere al lettore è la voglia di conoscere, un poco meno superficialmente, il Brasile.

    I suoi romanzi, che sotto le stelle della croce del sud sono ambientati, fanno sì che il lettore possa immaginarsi immerso sia nella realtà romanzesca, sia nei luoghi nei quali i fatti narrati si svolgono.

    Il ricorso a parole e, talvolta, intere frasi in lingua portoghese del Brasile, completano l’atmosfera tropicale di Açucar e Café. Per agevolarne la comprensione, nelle ultime pagine è stato inserito un glossario di massima che è di facile ed istruttiva consultazione, un complemento al quale fare ricorso ogni qualvolta non appaia chiaro il senso della lettura letterale.

    Elisa Savarese

    Presidente dell’Università Avalon

    "Questo romanzo surreale, è dedicato a tutti coloro

    che, amici e lettori, hanno voluto sostenermi nel

    corso delle mie fatiche letterarie.

    Aver avuto la costanza di continuare a leggermi è una

    dimostrazione d’affetto che merita di essere premiata.

    Non potendo fare di meglio, come offrir loro una tazza

    simbolica di caffè zuccherato, vada a tutti loro il mio

    ringraziamento più sincero, dal profondo del cuore."

    (Learco Learchi d’Auria)

    I personaggi del presente romanzo ed anche l’autore, tal quale si descrive, sono stati ideati dalla fantasia. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti sono puramente casuali.

    Prologo

    L’idea, invero balzana assai, era frullata in capo all’editore. Consisteva in una serie di interventi per dare testimonianza, della propria esperienza di romanziere, ai giovani allievi del corso di Letteratura Moderna, su invito dell’Università degli Studi Avalon di Castellammare di Stabia.

    L’aereo era partito da Genova Sestri Ponente alle 17,35 e l’atterraggio era previsto per le 18,50 nell’aeroporto di Napoli Capodichino. Rispetto ai voli intercontinentali, ai quali Learco s’era abituato, quella era una passeggiata breve e rilassante: nei voli nazionali il panorama della bella Italia è visibile e tiene compagnia. Una considerazione era balenata in mente allo scrittore, mentre sorvolava il paesaggio della terra campana: «I campi ben coltivati e di colore differente, l’uno attaccato all’altro, sembrano una coperta patchwork .» Il panorama era diverso da quello offerto dalle grandi città viste dall’alto che, con i loro fabbricati svettanti protesi a mordere il cielo, parevano tanti presepi in chiave moderna. L’altoparlante di bordo stava annunciando l’arrivo: l’aereo era puntuale. Recuperata l’unica valigia consentita -peso tassativo: venti chilogrammi- Learco si diresse verso l’uscita. Una delegazione d’insegnanti lo stava attendendo: esibivano, per farsi riconoscere, un cartello col nome Learco scritto con caratteri di stampa, in bella vista. Lo scrittore si diresse verso di loro.

    «Benvenuto, benvenuto Learco Learchi!» disse una voce dal tono argentino, che poi proseguì: «...oddio che emozione! Sono una vostra lettrice ed ammiro il vostro stile ed il modo con il quale sapete dipingere le situazioni.» Quel voi datogli a posto del lei ricordò a Learco il vezzo, tipico dei campani, nell’usarlo nei confronti delle persone che ritenevano essere di rispetto. Chi parlava era una signora, bionda ed ancora piacente con due bellissimi occhi da Circe, che gli altri chiamavano, con molta deferenza la preside. Era la capo-gruppo di quella rappresentanza della Avalon, l’Università degli Studi di Castellammare di Stabia, accreditata presso quella Statale di Napoli Federico II.

    «Dice davvero? Le sono piaciuti i miei romanzi?» chiese Learco, un poco sorpreso che le sue cose scribacchiate, tanto per passare il tempo tra un quadro dipinto e l’altro, potessero destare l’interesse di una professoressa: addirittura quello della presidente di una università.

    «Mi sono piaciuti… eccome! Ho letto anche tutte le vostre poesie…» aggiunse con enfasi, quasi eccessiva.

    «Non sono poesie! Son versi liberi scritti a rotta di collo» volle sminuire lo scrittore, un poco rintronato da quelle lodi eccessive.

    «Ho letto quello che voi scrivete di voi stesso e del vostro lavoro: chiamatele come volete, ma a me hanno preso il cuore. La tristezza dei vostri versi denuncia brucianti esperienze vissute sulla pelle della propria anima, di fronte alle quali non si può restare insensibili.»

    Un’accoglienza del genere non se la sarebbe aspettata, davvero.. Era partito da Genova per compiacere l’editore ed incontrare dei giovani allievi della Università di Castellammare di Stabia.

    Durante il tragitto, sull’automobile della preside fino al Campus, questa gli confidò un’altra cosa.

    «Conosco il vostro editore e per mesi l’ho tempestato di telefonate perché voi poteste accettare l’invito a venire qui da noi a parlarci delle vostre esperienze, ma anche del vostro ultimo romanzo.»

    Learco cominciava a capire molte cose: l’insistenza dell’editore affinché partisse e la sua presenza avevano solamente lo scopo di promuovere la vendita dei suoi romanzetti e null’altro. L’incontro con i giovani allievi del Corso di Letteratura Moderna, altro non era che una scusa.

    «Bene! Visto che sono in ballo… non mi resta che ballare, giocando le mie carte al meglio.» si disse Learco, un poco indispettito dal tiro mancino giocatogli dal suo editore. In effetti aveva in mano un asso, due donne e due scartine di nessun valore. Poco dopo giunsero al Campusdel R.A.S. - la fondazione Restoring Ancient Stabiae - all’interno del quale si inseriscono: "L’Istituto Internazionale Vesuviano, ed un’altra Università locale, l’Oratorio Salesiano e le sue dipendenze, nonché la struttura alberghiera di accoglienza. Al bancone della reception, una volta registrati i suoi documenti, un’affascinante ragazza con i capelli neri e begli occhioni blu gli consegnò la chiave della sua suite.

    «La cena verrà servita alle venti» gli disse la ragazza, con un sorriso accattivante che pareva essere pieno di promesse.

    «Sarebbe bello cenare con te, mia giovane sirena, figlia di Poseidone» si sorprese a pensare, maliziosamente, Learco, mentre rimpiangeva di non avere trent’anni di meno. Guardando l’orologio da polso, calcolò d’avere giusto il tempo per disfare il bagaglio e prendere una doccia.

    Le strutture del Campus erano state proprietà dei Padri Salesiani, che le avevano volute quale centro di aggregazione ed insegnamento, fin dagli anni settanta. Cambiando, poi, la politica internazionale dell’istituzione religiosa, erano state cedute alla Fondazione italo-americana R.A.S. con il vincolo che l’oratorio, con annessa la cappella, gli impianti sportivi e le attività salesiane potessero proseguire immutate e che ai dipendenti, dell’intero complesso, fosse garantito il posto di lavoro.

    La parte alberghiera conta di 200 posti letto in 20 camere singole. 73 doppie e 5 multiple. Si aggiungono: un teatro con 300 posti, una sala conferenze da 200, 5 aule di studio, un’aula magna, una biblioteca, i laboratori, gli uffici amministrativi ed un ristorante con 160 coperti. Altri servizi quali quello di navetta -per e dalle Terme Stabiane- e quello di lavanderia oltre all’accesso rapido e gratuito ad Internet completano il complesso. Il tutto sorge sul pianoro del Solaro circondato dai monti Pendolo e Faito nonché dal monte Coppola, ai piedi del quale si trova la Reggia di Quisisana voluta, in quel paradiso delle acque curative, dai re Borbone.

    Learco gettando un’occhiata, dall’ampia vetrata della propria camera, non poté fare a meno di abbracciare la vista del parco fiorito e del sottostante porticciolo affacciato sul golfo dal mare color cobalto intenso.

    «Altro che dare spettacolo di me nell’aula magna! Questo è un luogo di meditazione e relax che ispira: ne profitterò per dare inizio alla stesura del mio prossimo romanzo.» Lo scrittore aveva deciso, così su due piedi, che il nuovo romanzo l’avrebbe titolato "Açúcar e Café": i prodotti che avevano fatto, nei tempi andati, la ricchezza del Brasile. Con la narrazione di avvenimenti contemporanei in sovrapposizione a quelli antichi, avrebbe appassionato, ancora una volta, il lettore con altre interessanti vicende brasiliane.

    Italia – Castellammare di Stabia (Na). Campus della Fondazione R A S, Giovedì 17 maggio 2012. La prima lezione agli studenti

    L’Aula Magna era gremita. Centonovantotto giovani matricole, centoventisette ragazze e settantuno ragazzi, stavano aspettando che lo scrittore invitato dall’Ateneo, prendesse la parola.

    «Buon giorno ragazzi…» disse Learco, sfoderando uno dei suoi sorrisi più accattivanti.

    «Buon giorno professore.» risposero, in coro, gli studenti.

    «Non sono professore e neppure dottore…» volle precisare lo scrittore che poi aggiunse: «… sono di ventiquattr’ore e rivolgetevi a me per nome: mi chiamo Learco.» Una risata generale seguita da un battimani indicava l’apprezzamento per la battuta delle ventiquattro ore contrapposta all’appellativo dot-to-re. Il formalismo e le rispettive bolle comportamentali s’era rotto e Learco, un poco rinfrancato, poteva iniziare, più che una lezione, una specie di chiacchierata con i giovani.

    «Come voi sapete, sono stato invitato in questo Corso di Letteratura Moderna, per portarvi una testimonianza: quella mia, di scrittore di romanzi. Come vi ho già detto, non sono un insegnante, ma mi limito ad osservare il mondo che mi circonda e, poi, scribacchio le mie impressioni, con semplicità. Probabilmente non sono neppure un buon scrittore e le mie nozioni di letteratura risalgono ai tempi del Liceo Classico. Ponendomi dei limiti d’identità, vi propongo di abbandonare gli schemi di una normale lezione, facendo una chiacchierata tra amici o, se lo preferite, tra zio e nipoti…» un altro applauso accolse la proposta appena formulata. Learco sentiva di poter proseguire su quella strada. Lo scrittore, rinfrancato, aggiunse: «…so che vi hanno chiesto di leggere i miei romanzi. Qualcuno ha domande da fare?»

    Diverse alzate di mano prenotarono altrettante domande. Learco non poté fare a meno di notare che quelle mani appartenevano a delle ragazze. I ragazzi parevano intimiditi dalla supremazia numerica delle colleghe. Lo scrittore fece cenno, alla prima studentessa, di prendere la parola.

    «Mi chiamo Caterina…» si presentò una bella ragazza dal faccino pulito, che poi chiese: «…voi avete scritto diversi romanzi, ma anche un libro di poesie. Perché non ci parlate di quelle?» La domanda arrivò come un fendente al basso ventre. Dopo qualche secondo di concentrazione Learco rispose: «innanzi tutto debbo correggerti, mia cara Caterina, perché le mie non sono poesie, ma dei pensieri che denunciano lo stato d’animo del momento in cui li ho scritti in versi liberi: senza metrica o rime forzate» volle chiarire Learco che si indispettiva ogni qual volta i suoi semplici versi venivano definiti poesia.

    «Mi scusi professore, ma non sono d’accodo con voi…» replicò la giovane che poi aggiunse: «…il fatto che non abbiano una metrica in pentametri od endecasillabi non esclude la realtà che i vostri versi trasmettono delle sensazioni. Personalmente preferisco poesie come quelle da voi scritte, a quelle che rispettano i canoni della classicità. Leggendole mi sento vibrare dentro: l’altro tipo di poesia non mi fa lo stesso effetto.»

    «Ti ringrazio, Caterina, per le belle parole, ma chiamami Learco: semplicemente Learco e se lo preferisci, dammi pure del tu anziché del voi come usate fare qui in Campania. Voglio ringraziarti anche per il fatto d’aver ripetuto il concetto da me espresso nel titolo e nel sottotitolo della raccolta: "Pensieri liberi a rotta di collo… come dipingere sensazioni sul cuore, lievi come ali di farfalle". Composti a rotta di collo in quanto buttati giù, a caldo e nella fretta, per fissarli sulla carta prima che sfuggissero di mente, rappresentano un messaggio, che viene trasmesso al lettore, fatto di sensazioni emotive» ribadì lo scrittore e subito dopo fece cenno al un’altra studentessa che chiedeva la parola.

    «Mi chiamo Anna…» fece ugual autopresentazione come la collega e poi domandò: «Mi dite che tipo di messaggio avete inteso trasmettere?»

    «È un dato di fatto che i rapporti interpersonali tra le donne e gli uomini d’oggi, stanno soffrendo di una grave crisi relazionale. La poesia dovrebbe far rivivere l’arte del corteggiamento che è fatta anche del linguaggio delle occhiate e della complicità e dei sottintesi che, attraverso i versi il lettore potrà riscoprire ripercorrendo la via dell’antico romanticismo. Sarebbe opportuno un momento di riflessione sulla frenesia del vivere di ogni giorno, sulla corsa alla carriera e sull’accaparramento di beni materiali a scapito di valori ben più elevati. Le barriere che l’uomo continua a costruire per difendersi dai propri simili, fanno di lui un solitario e questa realtà denuncia una profonda fragilità interiore.» Dopo aver detto ciò Learco volse lo sguardo verso ad un’altra studentessa, che insistentemente, faceva cenno di voler inserirsi nel dibattito .

    «Mi chiamo Chiara. Se quanto voi avete dichiarato fosse vero, questa realtà odierna si ripercuoterebbe, come una pesante eredità morale sulla nostra e sulle generazioni future. Mi sapete dire quale sarebbe la soluzione a quanto da voi paventato?» chiese la nuova intervenuta.

    «Non ho paventato nulla, mi sono limitato a registrare un dato di fatto. Sulla difficoltà a relazionarsi con il proprio prossimo ho scritto il mio primo romanzo "Incontri virtuali". Riscoprire la poesia, riportandola nei valori del quotidiano potrebbe essere la chiave per riaprire una porta che, indubbiamente, si sta chiudendo» replicò Learco, cercando di spiegare quali fossero state le leve che l’avevano mosso a scrivere sia il romanzo sia i versi.

    «Mi chiamo Armando. A proposito del vostro primo romanzo, mi spiegate per qual motivo avete incentrato il vostro lavoro di scrittore sul mondo dei rapporti attraverso Internet?» chiese un ragazzo che, finalmente, si era fatto coraggio e stava riportando il tema sui romanzi.

    «Il motivo, o meglio i motivi, li ho spiegati nel prologo del romanzo stesso. Non ha voluto essere, questo racconto, una condanna del sistema, né del servizio offerto da talune società specializzate in incontri tra persone sole, in cerca di amicizia e talvolta speranzose di instaurare un rapporto basato, anche, sull’amore. Ho voluto far notare come sia più facile raccontare i fatti propri davanti al monitor di un computer, protetti dall’anonimato, piuttosto che guardando negli occhi il proprio interlocutore. La diffidenza, e talvolta la voglia di apparire differenti da come si è, fan si che il più delle volte non si giunga ad un incontro faccia a faccia. Nella trama del romanzo vi sono personaggi la cui mendacia viene punita ed altri che vengono premiati per la loro onestà. Questo fatto dovrebbe far riflettere sulla vita d’oggi ed alle barriere che si tende a frapporre con i propri simili presso i quali si cerca amicizia, comprensione e solidarietà. La causa delle delusioni non nasce dallo strumento bensì dall’uso che se fa e dalla maniera con la quale ci si propone. Va, del resto, considerato che gli attuali strumenti di comunicazione costituiti da "siti" che, attraverso Internet, permettono comunicazioni immediate e plurime si sono semplicemente affiancati alle agenzie matrimoniali ed agli annunci che ancora appaiono sulle ultime pagine dei quotidiani cittadini, dove vigono identiche regole. Ciò che si ci auspica è che ogni utente sia conscio delle proprie responsabilità morali.»

    «Mi chiamo Arnaldo. Che cosa intendete dire, riferendovi alle responsabilità morali?» A fare la domanda era di nuovo un maschietto.

    «È ovvio, Arnaldo! Trattandosi, il più delle volte, di un gioco tra adulti è bene che ognuno si ponga, volontariamente, dei paletti di etica comportamentale.»

    «Mi chiamo Carlo. Ci volete spiegare in cosa consistono i paletti di etica, da voi citati?» chiese un altro ragazzo che si era fatto avanti. Learco cominciò a capire che le femminucce erano più propense per la poesia romantica, mentre i maschietti avevano concentrato la loro attenzione sulla prosa dei romanzi. Si accinse, quindi a rispondere.

    «Uno di quesiti è costituito dalla volontà di non barare in una partita che, coinvolge la sfera sentimentale degli individui. Dall’altro capo della connessione vi sono persone con dei sentimenti, con alle spalle storie vere, talvolta rappresentate da drammi personali. Non è bene, quindi, calpestarne la sensibilità. Un’altro, non meno importante, riguarda la lealtà con la quale si fa la dichiarazione d’intenti che viene espressa nella propria autopresentazione nonché tutte le notizie personali, che -seppur protette, giustamente, dalla privacy- non debbono contenere menzogne di alcun genere.»

    Il tempo, come sempre tiranno, era trascorso velocemente e l’orario di fine lezione - se così si poteva chiamare quella chiacchierata, costellata di botte e risposte - era terminato. Learco diede un sospiro di sollievo: quei giovani l’avevano tenuto in tiro, per tutta la durata, con le loro domande. A quella tornata di lavoro in aula, ne sarebbero seguite altre. A Learco venne un dubbio: «chissà se mi hanno promosso sul campo?» Lo scrittore sapeva che prima o poi ne avrebbe avuto la conferma. Nel frattempo, nei prossimi giorni, si sarebbe dedicato al nuovo romanzo, la cui trama già stava formandosi nella propria mente.

    Italia – Castellammare di Stabia (Na). Campus della Fondazione R A S, Venerdì 18 maggio 2012. Nel parco

    Per scrivere, non disturbato, aveva scelto un angolino del parco dove aveva scovato una presa di corrente elettrica per l’alimentazione del suo computer portatile. Learco aveva innanzi lo splendido scenario che il Mar Tirreno gli regalava con i suoi colori sempre cangianti a seconda dell’inclinazione dei raggi del sole. L’aria era tiepida rendendo piacevole il bearsi di quel dono del creato.

    «Anche nelle cose semplici, il Signore dell’Universo ha voluto infondere la propria grandiosità» si disse, mentalmente, mentre cercava di raccogliere le fila di quel nuovo romanzo che aveva deciso di scrivere.

    «Vediamo un po’! Di che cosa scriverò, questa volta?» era una domanda fin troppo scontata: il tema stava inserito, tutto, nel titolo da lui già scelto.

    «Açúcar e café: zucchero e caffè, parole che richiamano alla mente molte cose.»

    Learco cominciò a vivere nella fantasia l’epopea brasiliana delle immense fazendas dei Baroni dello zucchero e dei Colonnelli del caffè. Già le sue orecchie parevano sentire una lontana musica afro-brasiliana scandita al suono dei tamburi. Le vibrazioni di quel ritmare di strumenti, tribali, a percussione prendevano il plesso solare: era la "musica Axé"! Cosa vuol dire AxéAxé è energia: la forza vitale dell’essere e delle divinità, che scioglie i sensi che esprime l’augurio dal quale una persona attinge energia vitale. Nel linguaggio popolare Yoruba sta ad indicare buona energia. Nella filosofia del Candomblé indica il potere di far accadere le cose. Rappresenta il comando spirituale, il potere dell’invocazione, la preghiera, il ringraziamento e la luce della Deità che, in tal modo, diventa accessibile agli uomini.

    «Per la verità, la manifestazione più popolare della Cultura Axé è proprio la sua musica. La musica popolare brasiliana che è un sound ispirato alle religioni africane, nato circa una ventina d’anni fa…» si disse lo scrittore che poi continuò a considerare: «…essa fonde insieme samba, reggae, funky, rock e pop. Si è sviluppato nello Stato di Bahia, nella generale confusione degli stili ritmici e musicali del grande calderone culturale baiano. Musica Axé rappresenta una definizione per gli stili suonati principalmente nelle strade con il pandeiro e il caxixi; due tipici strumenti. È suonata da gruppi come: Companhia do Pagode e Harmonia do Samba. Mescola il ritmo, accelerando la musica axé, con lamelodia della pagode. Il samba-reggae, origine della musica axé, è caratterizzato dalla tipica batucada, un ritmatissimo concerto di percussioni.» Anche se -ai tempi in cui i fatti che voleva descrivere- ancora, non esisteva quella musica, a Learco piaceva immaginarsela, quale sottofondo di percussioni, a commento delle sue descrizioni. Stava ancora digitando sulla tastiera del computer portatile, quando venne distolto da una voce che non gli era del tutto sconosciuta: era quella de la preside.

    «Che cosa state scrivendo di bello?» chiese la docente di una delle due Università locali.

    «Sto abbozzando un nuovo romanzo» rispose Learco senza distogliere lo sguardo dal monitor.

    «Un nuo-o-o-vo romanzo scritto qui, a Castellammare di Stabia? Oddio che emozione!» esclamò la donna che subito dopo, chiese con un poco di timidezza: «scusate, Learco, mi consentite di dare un’occhiata… posso leggere ciò che avete scritto?» Lo scrittore annuì col capo, ruotando verso di lei il computer e contemporaneamente facendole cenno di sedersi su una sedia, lì accanto.

    Mentre la preside leggeva, lo sguardo dello scrittore era intento a registrarne le espressioni del viso. Voleva, forse, intuire i commenti che nella mente dell’insegnate stavano formandosi, ma ahimè non possedeva il dono della lettura nel pensiero che taluni personaggi, da lui inventati, avevano. Una domanda della preside lo riportò alla realtà.

    «Che strumenti sono il pandeiro e il caxixi... come sono fatti?» chiese, curiosa, l’insegnante.

    «Sono strumenti musicali utilizzati, anche, per accompagnare le evoluzioni dei capoeiristi.»

    «Capoeiristri… chi sono costoro?» chiese, nuovamente, con aria stupita da quel termine a lei sconosciuto.

    «La Capoeira di Angola, questo è il suo nome completo, è una disciplina che unisce in sé la fluidità della danza, l’abilità acrobatica, la teatralità del gesto, la forza del canto e il ritmo pulsante delle percussioni in un continuo e ricco scambio tra gruppo e individuo. La Capoeira è un gioco di finezza, abilità e destrezza nell’incontro con l’altro, con il piacere e la forza del gioco. La si gioca all’interno di una roda -il cerchio- al pulsare del ritmo del berimbau, dell’agogo, del pandeiro, e dell’atabaque: strumenti tipici della capoeira. Al canto intonato dal suonatore del berimbau, risponde il gruppo in coro, mentre al centro due capoeiristi giocano e fingendo di lottare, danzano.

    Il berimbau è costituito da un’asta di legno flessibile alla quale viene data una forma arcuata dalla tensione dell’arame -il filo di acciaio- fissato alle due estremità ed ha come cassa di risonanza il guscio di cabaça - una zucca secca- fissata nella parte inferiore dello strumento. Ci sono tre tipologie di berimbau determinate dalla grandezza della cabaçagunga -è il più grande- viola -è il più acuto- e poi -médio- il cui nome non ha bisogno di spiegazioni.»

    «Interessante, ma non mi avete detto come sono fatti il pandeiro e il caxixi» lo interruppe la preside.

    «Ha ragione, mi perdoni! Ora ci arrivo» rispose lo scrittore che riprese la spiegazione interrotta dalla donna: «… il pandeiro è un tamburello con dischi tintinnanti diffuso anche in Italia. Nelle regioni centro-meridionali lo si usa per accompagnare le danze popolari come la tarantella. Ilcaxixi, invece, è un cestino di vimini intrecciati chiuso alla base da un cerchio di scorza di zucca che, all’interno, contiene dei semi o delle piccole conchiglie. L’agogo è uno strumento formato da due campane di metallo coniche saldate ad una forcella. Viene percosso da una bacchetta di legno o di metallo. L’atabaque, infine, è un tamburo simile alla conga, ma dalla forma molto più allungata.»

    Learco pensava di aver finito, quando: zacchete! un’altra domando gli arrivò tra capo e collo. La preside, man mano che apprendeva, si dimostrava sempre più desiderosa di apprendere ancora maggiormente.

    «Perdonatemi se approfitto, Learco, ma voi spiegate così bene che per me, che non so nulla del Brasile, voi siete un pozzo di preziose informazioni» disse la donna, quasi a scusarsi della domanda successiva.

    «Dica… chieda pure» rispose lo scrittore che, già, aveva intuito quale fosse.

    «Ma come nasce questa Capoeira?» La domanda era proprio quella che Learco si aspettava.

    «La Capoeira di Angola è nata in Brasile come movimento di liberazione degli schiavi africani deportati nelle colonie spagnole e portoghesi. Dichiarata illegale, è solo negli anni '50 che viene riammessa all’interno delle palestre ginniche, grazie a due maestri: Mestre Bimba e al MestrePastinha. Il primo sviluppò quella tradizione formando le basi della nuova Capoeira cosiddetta Regionale; il secondo, restando fedele all’antica tradizione del gioco di malizia e alla conservazione del rapporto col sacro, fondò la prestigiosa Academia de Capoeira da Angola

    «Allora è una lotta… con colpi mortali!» L’esclamazione suonava come quella di una persona un poco allarmata.

    «Lo sarà stata, probabilmente all’inizio, ma poi i tempi sono cambiati. La Capoeira è stata per molto tempo, oltre che una lotta, un movimento di liberazione degli schiavi africani in Brasile e oggi è conosciuta in tutto il mondo come arte marziale brasiliana: è un gioco-lotta in cui non esiste vincitore né vinto e che sottolinea la relativa importanza della forza fisica rispetto alla precisione tecnica e alla capacità di applicarla nel gioco. Definita da alcuni la lotta dei deboli, non per la mancanza di efficacia quanto per l’elevato potenziale di adattabilità che ha per ogni persona o situazione. La Capoeira è arte, è filosofia di vita. Non prevede limiti di sesso o di età. Il costante accompagnamento musicale di canto e strumenti crea un clima rilassato che favorisce l’unione totale tra mente e corpo. L’importanza della strategia ne fa un’arte marziale di istinto e riflessione allo stesso tempo. La Capoeira valorizza naturalmente le doti individuali del praticante, insegna l’autostima, il rispetto e la disciplina, sviluppa la coordinazione motoria, il senso del ritmo e dell’armonia, aumenta riflessi ed elasticità, porta ad ottenere buona forma fisica e controllo fisico ed emotivo.»

    «Tutto mi sarei aspettata oggi, ma non il fatto di apprendere tante cose da un dotto brasilianista come voi…» disse ridendo la preside, che poi aggiunse: «… potremmo organizzare, qui in una delle due università, un corso sul Brasile! Cosa ne pensate?» Quel che pensava, Learco non lo disse, ma appariva evidente dall’espressione del suo volto, che, per lui, un’esperienza in aula come docente gli stava bastando.

    «Non penso di essere all’altezza di tanto onore. Come lei sa non sono un insegnante e già ho qualche difficoltà a tener a bada i ragazzi del corso nel quale sono stato coinvolto dal mio editore» rispose con sincerità, ammettendo i propri limiti.

    «Non crediate di esservela cavata, poi, tanto male! I ragazzi sono entusiasti del vostro modo di condurre l’incontro. Hanno apprezzato molto il vostro fare anticonformista nonché l’impostazione di dialogo con

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