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Ritorno a Stella Maris
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E-book184 pagine1 ora

Ritorno a Stella Maris

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Info su questo ebook

In “Ritorno a Stella Maris”, una vicenda che parrebbe autobiografica, anche se l’autore fermamente lo nega, Learco ci descrive un personaggio alquanto controverso, e un poco bizzarro: Giovanni Sciaccaluga genovese per nascita ma peruibense per scelta. Egli viene talvolta chiamato “Mestre João” con l’appellativo che si è guadagnato con la sua bravura nel dipingere quadri coloratissimi usando le tecniche più svariate e talvolta di sua invenzione. Giovanni ha la vocazione del giramondo e sono molti i luoghi dove ha dipinto ed esposto le sue opere. Ha girato quasi tutte le Americhe, si è spino fino all’Estremo Oriente dove ha appreso cose nuove e si è permeato di forti emozioni. Poi è rientrato in Sudamerica, perché voleva vivere qualche tempo a Buenos Aires tra i genovesi del quartiere de La Boca. Vi si trovava bene in quel luogo, che tanto gli ricordava i colorati villaggi dei vecchi pescatori liguri della propria infanzia ma d’improvviso accade qualcosa che lo fa fuggire da quel luogo tanto amato. Decide di rientrare a Peruíbe, nel quartiere di Stella Maris dove ha ancora una casa nella quale potersi rifugiare per affrontare un momento difficile della propria vita.
LinguaItaliano
Data di uscita21 feb 2016
ISBN9788899001537
Ritorno a Stella Maris

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    Anteprima del libro

    Ritorno a Stella Maris - Learco Learchi d'Auria

    el.dorado.44@hotmail.com

    Prefazione

    In questo nuovo racconto Learco ci descrive un personaggio alquanto controverso, forse anche un poco bizzarro: Giovanni Sciaccaluga genovese per nascita ma peruibense per scelta. Parrebbe una vicenda autobiografica dell’autore, anche se egli fermamente lo nega.

    Il protagonista viene talvolta chiamato Mestre João con l’appellativo che si è guadagnato con la sua bravura nel dipingere quadri coloratissimi usando le tecniche più svariate e talvolta di sua invenzione. Giovanni ha, tra le altre cose, la vocazione del giramondo e sono molti i luoghi dove ha dipinto ed esposto le sue opere. Ha girato quasi tutte le Americhe, si è spino fino all’Estremo Oriente dove ha appreso cose nuove e si è permeato di forti emozioni.

    Quando ha fatto rientro in Sudamerica, è avvenuto perché voleva vivere qualche tempo a Buenos Aires tra i genovesi del quartiere de La Boca. Vi si trovava bene in quel luogo, che tanto gli ricordavano i colorati borghi dei vecchi pescatori liguri impressi nella memoria della propria infanzia ma d’improvviso accade qualcosa che lo fa fuggire da quel luogo tanto amato.

    Decide di rientrare a Peruíbe, nel quartiere di Stella Maris dove ha ancora una casa nella quale potersi rifugiare per affrontare un momento difficile della propria esistenza e forse chiudervi gli occhi per sempre. Poco tempo ancora e poi… il capolinea. Poco tempo e tante cose da fare o che resteranno incompiute se iniziate tardivamente si era detto Giovanni, con amarezza, pensando alle parole fredde, senza pietosa amicizia, del dottor Gómez, il medico argentino che gli aveva diagnosticato ancora poco tempo da vivere.

    Quella del genovese era stata una fuga da un problema che egli riteneva senza soluzione. Quando si fugge sperando di allontanarsi da ogni pericolo incombente non si ragiona ed è così che il protagonista si rende conto che le proprie preoccupazioni non potevano essere lasciate, chiuse in una valigia custodita nel deposito bagagli di una ignota stazione, dopo averne gettato via la chiave.

    Tornando nuovamente a Stella Maris di Peruíbe, un luogo nel quale era stato sereno, Giovanni Sciaccaluga si butta a capofitto nel lavoro cercando di dimenticare i propri problemi di salute, in attesa di ritrovare quella serenità di un tempo già passato in quella città.

    Incontra casualmente un vecchio amico, si tratta di Ararê, il pajé curandeiro della Aldeia de Bananal, e da quell’incontro le cose cominciano a cambiare grazie anche all’intervento di Auá Tupã-Cunun, figlio del pajé curandeiro, da questi chiamato per un consulto. I due indigeni, esperti di medicina naturopatica, di scuola antica e di quella moderna, si rendono conto che dal confronto con le analisi rifatte ex novo, c’è qualche cosa che non torna.

    Per venire a conoscenza dell’intera vicenda il lettore dovrà leggere, pagina per pagina fino in fondo, questo romanzo che Learco ha scritto con la sua congeniale abilità descrittiva, non priva di una certa originalità nell’intessere trame.

    Elisa Savarese

    Presidente dell’Università Avalon

    Quando ci si trova perduti nel

    tempo e nello spazio, vengono

    in mente le sagge parole di un

    illuminato: Sant’Agostino.

    "Il tempo non esiste, è solo una

    dimensione dell’anima.

    Il passato non esiste in quanto

    non è più.

    Il futuro e non esiste in quanto

    deve ancora essere.

    Il presente è solo un istante,

    inesistente, di separazione tra il

    passato ed il futuro".

    Dedico questo mio fantasioso

    racconto a tutti coloro che si

    credono ammalati ed ammalati

    non sono benché succubi delle

    proprie paure.

    (Learco Learchi d’Auria)

    Prologo

    Stella Maris è un nome di origine latina che, spesso, si incontra in molti luoghi: un nome tipicamente marinaro ma anche religioso in quanto si riferisce alla Vergine Maria nella traduzione latina che san Girolamo fece dell’Onomasticon, di Eusebio di Cesarea. Questo, tuttavia, è in realtà un termine improprio in base a un errore di trascrizione. Il nome ebraico Miryam, che significa goccia del mare è stato tradotto da san Girolamo in Stilla Maris ma in una fase successiva un copista lo ha trascritto come Stella Maris e questo errore di trascrizione è divenuto di uso comune tutt’oggi.

    Quando Giovanni, un pittore genovese giramondo, aveva appreso dal dottor Gómez, il proprio medico curante del quartiere della Boca nel sud-est di Buenos Aires, che gli restava ancora poco tempo da vivere, aveva deciso di tornare a Peruíbe, la cittadina brasiliana dove era stato, se non completamente felice, almeno molto sereno.

    Giovanni era consapevole che l’interpretazione degli esami clinici, datagli dal medico argentino, era stata pessimistica ma di fronte all’alternativa di cambiare radicalmente le proprie abitudini aveva preferito accettare, con rassegnata filosofia, il ferale responso.

    «È molto difficile cambiar vita dopo i settant’anni. Meglio morire presto e felici piuttosto che vivere più a lungo nella tristezza regalata da diete, da farmaci, e da una costosa clinica asettica!» Si era detto partendo da Buenos Aires.

    Aveva fatto fagotto, recuperato i propri pennelli, salutato gli amici liguri che abitavano nel quartiere più italiano della capitale ed era tornato su a Nord, in Brasile, nella quiete calda della piccola città di Peruíbe.

    «Se proprio deve cessare, preferisco che la mia vita abbia fine in un luogo come quello peruibense, pieno di colori e di luce» si disse, rivedendo lo scenario del Litoral Sul Paulista e, senza farne una tragedia, aveva deciso di stare lì a raccattare ciò che ancora restava della propria esistenza.

    Peruíbe è la località rivierasca, a Sud di Santos nello Stato di São Paulo, testimone della sua prima e fortunata esposizione brasiliana: sessanta tele di varia misura, dipinte con vivacissima policromia nei quattro stili differenti, della sua eclettica produzione artistica.

    Rivedendo il panorama ridente di Stella Maris, nella Baixada Santista, percependo i benefici raggi solari sulla pelle, gli sembrava di essere tornato a vivere i bei tempi andati.

    A Stella Maris, il quartiere nel quale aveva vissuto molti anni prima, in quella ridente cittadina del

    Litoral Sul Paulista, Giovanni Sciaccaluga, artista ultrasettantenne, aveva deciso di tornare per mettere insieme i frammenti di una storia che egli riteneva essere giunta prossima al traguardo finale.

    Il luogo scelto per meditare era un chiosco vicino alla spiaggia che, guarda caso, aveva lo stesso nome del quartiere: Quiosque Stella Maris. Era un sito simpatico e tranquillo posto all’ombra di un gigantesco Chapéu-de-Sol, un albero con grandi foglie ma anche di palme da cocco. Lì Giovanni si recava ogni mattino per nuotare nel Mar Oceano e poi stendersi sulla sabbia per asciugare la pelle al sole del tropico. L’intera operazione non gli prendeva più di un’ora ragione per la quale ritornava a sedersi ad uno dei tavolini del chiosco, posto all’ombra, sorseggiando qualcosa di fresco in attesa della nuotata successiva. Erano mesi che Giovanni occupava quel tavolo, sempre lo stesso, disegnando oppure leggendo un buon libro scritto nella sua madrelingua: quella di padre Dante. Il personale del chiosco aveva preso l’abitudine di riservarlo a lui, un pittore straniero ma ben conosciuto, la cui immagine era apparsa più di una volta sulle pagine del giornale locale dedicate alle celebridades, e quel tavolo scelto fin dal primo giorno era divenuto il tavolo del pittore italiano.

    Il proprietario del chiosco riteneva che Giovanni, con la sua presenza, potesse dare un certo lustro al locale e, quindi, lasciava fare. Talvolta Giovanni vedeva giungere, al tavolo dove schizzava anche i disegni dei paesaggi che avrebbe poi dipinto a casa, una delle graziose cameriere recante una bottiglia di birra ghiacciata ed un bicchiere pulito: era l’omaggio della casa per un cliente ritenuto importante.

    Il chiosco offriva, ai propri clienti, porzioni di pesce fritto, gamberi, contorni di patatine e cipolla tagliata finemente a rondelle e poi fritta, polenta ed aipim fritti tagliati à la julienne, Birra, Coca-Cola, Cachaça, Caipirinha, Caipiroska, frullati di frutta tropicale, Batidas ed altre bevande. A Giovanni l’odore di frittura non dispiaceva giacché gli ricordava quello delle friggitorie dell’angiporto di Genova, la

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