Nascita di Roma Perchè fu scelto il 753 a.C.
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Nascita di Roma Perchè fu scelto il 753 a.C. - Fausto Carratu'
riservata.
1
Oggetto dell’opera
Il presente trattato si propone di ricostruire la verosimile ragione che indusse i Romani, nell’ultimo secolo prima di Cristo, sul finire dell’età repubblicana, ad istituire un calendario riconducibile alla non più nascondibile presenza storica di Roma e, a tale scopo, individuare un anno da fissare come sua data di nascita e quindi come data di inizio del calendario stesso. Quell’anno, nel nostro sistema di datazione, è divenuto il 753 a.C. Si tratta di un’argomentazione del tutto innovativa, mai prospettata in precedenza.
E’ opportuno chiarire che la trattazione non si occupa né della ricerca della vera data di fondazione di Roma né della attendibilità della datazione trasmessaci dalla tradizione. Peraltro, proprio la mancanza di una data di nascita di Roma storicamente sostenibile legittima la ricerca sulle ragioni per cui, a distanza di secoli, i tardo- Romani si decisero a fissarne una, quella che nel nostro calendario risulta come 753 a.C. Il tema della giustezza o meno, quindi, della data natale, supposto che ne esista una, si lascia alle augurabili scoperte future, le sole che potrebbero anche confermare o demolire la bontà della congettura formulata nel presente lavoro.
La nostra ricerca si avvale di riferimenti bibliografici piuttosto esigui, in quanto gli elementi su cui l’intera materia è elaborata, sono reperibili e riscontrabili in tutte le buone enciclopedie cartacee o informatiche, nonché nei testi di ordinaria divulgazione storica. La peculiarità dell’opera è infatti tutta nel concepimento di un innovativo ed originale riassetto di elementi e dati storici correnti e tradizionali.
2
Criteri cronologici
Nella scienza della cronologia si incontrano due fisiologiche e correlate necessità. La prima è quella di stabilire un’era (dal tardo latino aera, plurale di aes (cifra, numero) [1], attraverso la fissazione di una origine, uno zero cronologico cui riferire e su cui costruire la successiva cronocontabilità, all’interno di quell’era. Ad esempio, nel tempo corrente, l’Occidente utilizza l’era cristiana, nella quale come origine della cronocontabilità è stata posta la data di nascita, esatta o meno che sia, del Fondatore del cristianesimo. La seconda necessità consiste nel fissare un’unità di misura che, all’interno dell’era prefissata, consenta il conteggio del tempo in modo coerente ed omogeneo. Nel sistema corrente, l’unità designata è l’anno solare, il tempo cioè che scorre tra due successivi equinozi di primavera, unità di misura maggiormente utilizzata nelle ere più recenti e la cui definizione è stata nei secoli oggetto di consistenti limature e connessi problemi.
Riferendoci soprattutto all’area mediterranea, in particolare a quella romana, saltiamo il primitivo calendario romuleo, di 304 giorni, di incerta provenienza babilonese, da cui tra l’altro i Romani trassero la credenza dell’impronunciabilità nnominabilità del giorno 19, che definirono undeviginti, ossia uno da venti, per il timore che il pronunciamento del nome proprio portasse malasorte [2]. Partiamo invece dal tradizionale calendario di Numa Pompilio, rilevando che i Romani ne utilizzarono l’anno lunare, basato sui mesi lunari, di 355 giorni, quindi di circa 11-10 giorni più breve dell’anno solare, per cui dovettero poi integrarlo, inserendo un mese correttivo dopo l’ultimo giorno dell’anno, che cadeva il 23 febbraio, in occasione delle Terminalia, feste appunto conclusive dell’anno, dato che l’anno nuovo iniziava col mese di Marte. Questo mese correttivo doveva durare 22 giorni negli anni pari, e 23 giorni negli anni dispari, mentre febbraio veniva accorciato di cinque giorni. In tutto si otteneva però un anno legale più lungo di quello solare. Il calendario numano accumulava così uno sfasamento tra stagioni reali e stagioni del calendario, obbligando a strampalate correzioni episodiche. Il problema trovò soluzione all’epoca di Giulio Cesare, che adottò l’anno solare, fissandone la durata in 365 giorni più un giorno da aggiungere ogni quattro anni. Si introducevano così quei curiosi anni che chiamiamo bisestili, perché il giorno da aggiungere ogni quattro anni venne collocato subito dopo il 24 febbraio. Poiché i Romani indicavano il 24 febbraio con il termine sestile, in quanto sesto giorno antecedente le Calende di marzo, che cadevano l’uno marzo, così quel giorno che ogni quattro anni replicava il 24 febbraio, venne chiamato bis-sestile, e bisestile venne poi chiamato l’anno stesso che lo conteneva.
Nella Naturalis Historia Plinio dice che Cesare si sarebbe rivolto all’astronomo greco Sosigene di Alessandria, consigliere della regina Cleopatra, per risolvere il problema della discrepanza tra calendario romano e stagioni. Cesare adottò la proposta del greco quando era pontefice massimo, nel 46 a.C. L’anno giuliano, che da Cesare prese il nome, costituirà l’unità di misura ufficiale per il resto dell’era romana, in tutti i suoi domìni, e resterà nell’era cristiana ed in tutte le aree di influenza cristiana, incluse le Americhe, sino all’introduzione del calendario gregoriano, nel 1582, ad opera del papa Gregorio XIII, ma continuando ad essere utilizzato ancora oggi in varie aree, nel nord africa per il calendario berbero e nelle aree cristiano-ortodosse per il calendario liturgico.
Il calendario giuliano adottava di fatto il calendario egizio, di 365 giorni, con un anno bisestile ogni quattro, e spostava anche l’inizio dell’anno al primo giorno del mese di gennaio, scombussolando l’ordine dei mesi in vigore presso i romani, quando l’anno iniziava il primo giorno del mese di marzo, dedicato a Marte, considerato padre di Romolo e per questo considerato capostipite e protettore di Roma. Quando l’anno iniziava l’uno di marzo, gli ultimi mesi prendevano il nome secondo l’ordine numerale: quintile (modificato in luglio, dal 44 a.C., in onore di Julius), sestile (modificato in agosto, dall’8 a.C., in onore di Augustus), settembre, ottobre, novembre e dicembre. Quest’ordine verrà stravolto dal calendario giuliano, per cui da settembre a dicembre non troviamo più i mesi dal settimo al decimo, in rispetto del nome, bensì i mesi che vanno dal nono al dodicesimo.
Non passi inosservato il fatto che la mezza rivoluzione prodotta dal cambio calendariale, dal romano al giuliano, cade in quel secolo nella cui temperie matura anche la necessità della celebrazione della nascita di Roma, e con essa della fissazione della data del suo natale, di cui primariamente ci occupiamo in questo lavoro.
Nei riguardi delle date del tipo 753 a.C., è da premettere una elementare quanto inovviabile osservazione.
Quando infatti trattiamo un fatto storico avvenuto in un certo anno dell’era precristiana, come il nostro 753 a.C., commettiamo – seppure scientemente - una improprietà, perché nessun antico romano, specialmente se precristiano, si sarebbe mai espresso in termini di A.D. (Anno Domini) o a.C. (avanti Cristo), per l’ovvio motivo che l’era cristiana era per lui sconosciuta, di là da venire. In realtà neppure gli antichi Romani nati dopo Cristo si sarebbero comunque espressi in termini di era cristiana, poiché questo sistema di datazione, prima e dopo Cristo, venne formulato molti secoli